Cassazione Civile, Sez, Lav., 23 novembre 2011, n. 24718 - Bossing (sottomissione) e mobbing (persecuzione)
Fatto
Con sentenza del 5/6 - 20/7/09 la Corte d’Appello di Campobasso accolse per quanto di ragione l’impugnazione proposta da C.G. avverso la sentenza del 28/3/06 del Tribunale di Isernia, che gli aveva accolto solo in minima parte la domanda diretta alla condanna della datrice di lavoro C. Service s.a.s. di T. F. D. & C. per differenze retributive non percepite per un importo complessivo di Euro 51.230,16 e per danni morali, esistenziali, biologici, da bossing (sottomissione) e da mobbing (persecuzione) quantificati in Euro 100.000,00, con relativa condanna di quest’ultima al versamento della somma di Euro 759,54, corrispondente all’importo della retribuzione del mese di luglio 2004; conseguentemente, in parziale riforma della gravata sentenza, la Corte territoriale dichiarò che sussisteva anche la legittimazione passiva degli enti convenuti Inps ed Inail, rispetto ai quali dovevano ritenersi interamente compensate le spese di primo grado, mentre confermò nel resto la suddetta decisione.
La Corte d’appello addivenne a tale decisione dopo aver rilevato che le mansioni svolte dall’appellante, comprese quelle di addetto alla revisione di autoveicoli e motoveicoli, erano riconducibili al livello di inquadramento posseduto, che lo svolgimento del preteso straordinario non era stato provato e che le richieste risarcitorie avanzate a vario titolo erano rimaste prive di riscontri probatori. Per la cassazione della sentenza propone ricorso il C., il quale affida l’impugnazione a quattro motivi di censura.
Resistono con controricorso la V. C. Service s.a.s., l’Inps e l’Inail. Il ricorrente deposita, altresì, memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Diritto
1. Col primo motivo il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione delle norme di cui all’art. 13 Statuto dei lavoratori, sostitutivo dell’art. 2103 c.c. e dell’art. 6 del CCNL metalmeccanici P.M.I. relativo alla classificazione dei lavoratori (inquadramento e mansioni), in rapporto alla interpretazione negoziale (art. 1362 operaio di 5^ categoria di cui al contratto collettivo nazionale applicabile nella fattispecie. In particolare, l’accertamento praticato dalla Corte territoriale ha consentito di porre in rilievo che le operazioni svolte dal lavoratore consistevano nell’attivazione dei macchinari per il controllo dello stato degli organi meccanici interessati, nella verifica visiva dell’esito del controllo palesato dai macchinari medesimi e nell’eventuale invio, col mezzo informatico in dotazione e secondo un programma preimpostato, dei dati, con conseguente acquisizione dell’attestato positivo.
Né può ritenersi rilevante, ai fini del rivendicato inquadramento, la circostanza che il ricorrente fosse in possesso della necessaria abilitazione per l’espletamento dei compiti di revisore, una volta che è risultato accertato, con giudizio di merito insindacabile in questa sede, in quanto adeguatamente motivato ed immune da vizi di carattere logico-giuridico, che le mansioni in concreto svolte dal C. , che ricomprendevano anche quelle di revisione di autovetture e motoveicoli, corrispondevano a quelle della categoria contrattuale di appartenenza e non rientravano in quelle della superiore categoria reclamata.
Al riguardo è opportuno ricordare che, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, ” nel procedimento logico-giuridico diretto alla determinazione dell’inquadramento di un lavoratore subordinato non si può prescindere da tre fasi successive, e cioè, dall’accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, dalla individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e dal raffronto tra il risultato della prima indagine ed i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, con motivazione logica e adeguata, aveva escluso, sulla scorta dell’istruttoria espletata, di poter ravvisare nelle mansioni svolte dal ricorrente, inquadrato al 3^ livello del CCNL del settore abbigliamento delle aziende artigiane ed addetto alla fase di stampa di disegni su foulard e sciarpe, l’elemento della particolare complessità che, unitamente a quello della variabilità, connotava l’inquadramento al 4^ livello di detto CCNL, al cui riconoscimento mirava la domanda giudiziale). (Cass. Sez. lav. n. 20272 del 27/9/2010; in senso conforme v. pure Cass. sez. lav. n. 26234 del 30/10/2008 e Cass. sez. iav. n. 28284 del 31/12/2009).
Ebbene, tale procedimento è stato seguito nella fattispecie dalla Corte di merito la quale, basandosi sul ragionamento sopra illustrato, è pervenuta al convincimento, immune da vizi logici e giuridici, che le accertate mansioni di fatto espletate dal C. erano riconducibili alla categoria da lui posseduta, così come prevista dalla contrattazione collettiva di riferimento, mentre le stesse non si adattavano a quelle della invocata categoria superiore.
3. Col terzo motivo è dedotta la violazione ed errata interpretazione degli artt. 2730, 2735, 2697, 2727 e 2729 c.c. per aver il giudice di merito attribuito valore di confessione stragiudiziale alle presunte quietanze risultanti dalla sottoscrizione delle buste paga, il tutto in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c. Inoltre, il ricorrente evidenzia che, essendo emerso che aveva lavorato per un numero di giornate superiore a quello indicato nelle buste paga, oltretutto insufficienti da sole a costituire una prova dell’assoluta veridicità del loro contenuto, spettava al datore di lavoro dimostrare di avergli corrisposto una idonea retribuzione per la quantità del lavoro svolto.
Il motivo è infondato.
In realtà, nel pervenire al convincimento sulla mancanza di prova dello svolgimento del preteso lavoro straordinario, la cui rigorosa dimostrazione, come evidenziato in sentenza, non poteva che gravare sul C. che reclamava un tale diritto, la Corte d’appello non si è limitata a valutare quanto emergeva delle buste paga firmate dal medesimo lavoratore: invero, il giudicante ha considerato anche che le deposizioni testimoniali acquisite sul punto non erano tutte coincidenti con l’allegazione dello straordinario che il ricorrente assumeva di aver svolto, che non poteva tralasciarsi di considerare che la teste D.F. era la fidanzata del ricorrente ed il teste l. si era intrattenuto sul luogo di lavoro solo per mezz’ora, che si era tenuto pure conto della compensabilità oraria dell’attività lavorativa su base non settimanale, giusto quanto previsto al riguardo dal CCNL di settore applicabile nella fattispecie. In definitiva una tale motivazione è nel suo complesso congrua ed è supportata dal riscontro del materiale probatorio adeguatamente valutato dalla Corte di merito, per cui la stessa sfugge ai rilievi di legittimità svolti in questa sede dal ricorrente.
Invero, come è stato già statuito da questa Corte (Cass. sez. lav. n. 2272 del 2/2/2007), “il difetto di motivazione, nel senso di sua insufficienza, legittimante la prospettazione con il ricorso per cassazione del motivo previsto dall’art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., è configurabile soltanto quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito e quale risulta dalla sentenza stessa impugnata emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero quando è evincibile l’obiettiva deficienza, nel complesso della sentenza medesima, del procedimento logico che ha indotto il predetto giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già, invece, quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati, poiché, in quest’ultimo caso, il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso giudice di merito che tenderebbe all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione. In ogni caso, per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi (come accaduto nella specie) le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse”.
4. Con l’ultimo motivo è lamentata l’omessa e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo della controversia (art. 360, n. 5 c.p.c.) in relazione al negato risarcimento per danni da cosiddetto “mobbing”, da demansionamento e da cosiddetto “bossing”. Ci si duole che al riguardo la Corte di merito si sia limitata, nell’escludere la responsabilità datoriale, a prendere atto della sentenza assolutoria dall’imputazione del reato delle false revisioni a cui la parte imprenditoriale avrebbe costretto esso dipendente e della mancanza di prova di presunti comportamenti vessatori ad opera della datrice di lavoro, omettendo ogni pronunzia in merito ai lamentati danni da “mobbing”, da “bossing” e da demansionamento e riversando sul lavoratore l’onere di provare la contestata dequalificazione. Il motivo è infondato.
Come ha avuto già modo di precisare questa Corte (Cass. sez. lav. n. 19785 del 1779/2010) “in tema di risarcimento del danno non patrimoniale derivante da demansionamento e dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale e non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio - dall’esistenza di un pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare reddituale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno. Tale pregiudizio non si pone quale conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo rientrante nella suindicata categoria, cosicché non è sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, incombendo sul lavoratore non solo di allegare il demansionamento ma anche di fornire la prova ex art. 2697 cod. civ. del danno non patrimoniale e del nesso di causalità con l’inadempimento datoriale.” (In senso conforme v. anche Cass. sez. lav. n. 29832 del 19/12/2008).
Orbene, la Corte territoriale ha fatto corretto uso di tali principi nella verifica del governo degli oneri probatori ed ha adeguatamente motivato il proprio convincimento di rigetto della domanda risarcitoria, non limitandosi a prendere in considerazione gli esiti del giudizio penale che aveva visto coinvolta la parte datoriale. Infatti, una volta operato il richiamo all’esito del giudizio penale conclusosi con sentenza assolutoria per insussistenza del fatto come denunziato dal C. in merito alle presunte false revisioni cui sarebbe stato costretto ad opera della parte datoriale, la Corte di merito ha posto in evidenza che l’allegazione del ricorrente non aveva fatto registrare nel giudizio civile alcun riscontro probatorio, così come era rimasto indimostrato che il lavoratore, sul quale incombeva il relativo onere, avesse subito i comportamenti datoriali vessatori indicati come fonte dei lamentati danni non patrimoniali. Pertanto il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo in favore delle parti intimate e costituite.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio nella misura di Euro 2200,00 per onorario, Euro 35,00 per esborsi, oltre I.V.A. C.P.A. e spese generali ai sensi di legge nei confronti della Venafro Car Service e di Euro 1500,00 per onorario, Euro 20,00 per esborsi, oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali ai sensi di legge in favore dell’INAIL e nella stessa misura nei confronti dell’INPS.