Cassazione Penale, 13 dicembre 2011, n. 46024 - Elettricista morto in seguito a folgorazione e successivo schiacciamento del torace tra la piattaforma del montacarichi e la soletta di cemento armato
Fatto
Con sentenza 24 marzo 2010, la Corte d'appello di Trieste confermava la sentenza emessa in data 12 marzo 2008 dal GIP del Tribunale di Pordenone in esito a giudizio abbreviato, con cui: FF VC erano giudicati responsabili del delitto di cui agli artt. 40 cpv., 589 cod. pen. commesso in Zoppola in data 30 maggio 2003, in danno di DJP con conseguente condanna alle pene ritenute di giustizia, previa concessione delle attenuanti generiche ritenute equivalenti alla contestata aggravante nonché al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, da liquidarsi in separata sede, eccezion fatta per una provvisionale immediatamente esecutiva, pari a complessivi 45.000,00 euro.
In esito all'espletata istruttoria si era accertato che il predetto D elettricista di fiducia di C M era deceduto, a quanto rilevato nell'immediatezza dei fatti dal medico legale, a causa dello schiacciamento del torace, in conseguenza del fatto che la vittima era rimasta incastrata tra la soletta di cemento del garage seminterrato e la piattaforma del montacarichi, venduto ed installato due anni prima nell'abitazione del CM dalla ditta FA di F & C. s.n.c. (della quale gli imputati rivestivano la qualità di amministratori). Il D si era recato sul posto per installare, su incarico del proprietario dell'immobile, alcuni sensori - fotocellule onde assicurare il funzionamento in sicurezza dell'impianto di sollevamento. Nell'occorso, la piattaforma, il cui funzionamento era asservito ad uno specifico impianto elettrico, come rilevato dai Carabinieri intervenuti sul posto, si era però bloccata a 30 cm. dal fine - corsa superiore, non essendo entrato in funzione il salvavita e risultando esclusi i pulsanti di emergenza; donde la produzione del grave incidente.
Quanto alla dinamica, il consulente del P.M. aveva indicato, quale ipotesi più verosimile, quella secondo la quale la vittima,azionata la macchina, avrebbe subito un contatto elettrico di tipo indiretto, proveniente non da un componente sotto tensione, ma dalla cofanatura metallica a protezione della bobina di azionamento dei perni di sblocco della piattaforma. Lo stato di stordimento così subito aveva impedito all'elettricista di porre in atto un qualsivoglia intervento volto ad arrestare il pur lentissimo movimento della piattaforma di sollevamento, sulla quale si trovava, fino al punto di arrivo superiore ove aveva luogo lo schiacciamento meccanico del corpo della vittima contro la soletta di cemento armato.
Le cause tecniche dell'infortunio venivano in particolare individuate:
1. nella presenza dell'infortunato sulla piattaforma in movimento, in contrasto con la prescrizione impartita dal manuale di istruzione che vietava il sollevamento di persone;
2. nell'assenza di un dispositivo di comando ad azione mantenuta che, pur previsto sin dall'origine in sede di costruzione del quadro elettrico di installazione dell'impianto, era stato escluso, essendosi invece optato per un funzionamento automatico;
3. nell'assenza di un portone di accesso alla piattaforma, al piano basso che costituiva, quale difetto palese della macchina, concausa dell'evento mortale occorso all'elettricista nonché violazione dell'art. 2, comma 1° d.P.R. n. 459 del 1999 (ndr: art. 2, comma 2° lett. a) dello stesso d.P.R. Proprio al fine di ovviare a tale mancanza, il e aveva dato incarico al D di installare una barriera di fotocellule,allo scopo di provocare l'immediato arresto del movimento della piattaforma, per effetto della interposizione tra le stesse fotocellule, di un corpo estraneo;
4. nell'adozione di un dispositivo elettrico a 380 Volt, non adeguatamente protetto contro i contatti indiretti, da ritenersi concausa dell'incidente. Benché, secondo il consulente, la scelta di una maggior tensione di alimentazione a 380 volt anziché a 24 volt ( come previsto nel fascicolo tecnico di costruzione ) non costituisse violazione della regola dell'arte o della speciale normativa in vigore, sarebbe stato tuttavia indispensabile il rigoroso rispetto di tutte le misure di protezione contro i contatti indiretti, invece del tutto mancante nel caso di specie. Né risultava rispettato il collegamento equipotenziale di tutte le masse suscettibili di andare sotto tensione di guisa che la carenza di protezione contro i contatti indiretti doveva ritenersi un vizio occulto della macchina.
Ciò posto, il Giudice di prime cure ha ravvisato la sussistenza, in capo agli imputati - ai quali risaliva la responsabilità di aver posto in commercio la macchina costruita dalla ditta C di GI & C. s.n.c. di R di Gudizzolo (Mantova) senza aver ottemperato alle prescrizioni dettate dal fascicolo tecnico di costruzione e nel manuale di istruzioni sì da risultare investiti, quali rivenditori, di una specifica posizione di garanzia - di altrettanti profili di colpa specifica in relazione alle diverse violazioni, loro ascritte, della normativa di sicurezza di cui alla Direttiva Macchine 89/392 e succ. modif., al d.P.R. n. 459 del 1999 (ndr: art. 6, comma 2° D.l.vo n. 626 del 1994) profili di colpa causalmente determinanti dell'evento.
Ed ha altresì statuito che I'evento letale si sarebbe potuto evitare:
- qualora i prevenuti avessero ottemperato al divieto di messa in funzione della piattaforma per il trasporto di persone;
- se l'azione di salita della stessa fosse stata inibita dal collegamento del comando "ad azione mantenuta ", come previsto dal manuale di istruzioni;
- se, grazie all'installazione di un cancello di sicurezza con microinterruttore ovvero di una barriera di fotocellule, fosse stato impedito il funzionamento della piattaforma - ove il D. era incautamente salito - di guisa da scongiurare il rischio per la vittima (in realtà, invece, tragicamente verificatosi) di venire a trovarsi - esanime - su di essa, in inarrestabile risalita verso il soffitto del garage;
- se fossero state adottate adeguate misure di isolamento per pervenire contatti indiretti del un sistema di sblocco perni di sicurezza a funzionamento con tensione significativamente superiore a quella prevista dal fascicolo tecnico di costruzione, peraltro risultando la piattaforma stessa collocata in ambiente esterno e quindi esposta agli agenti atmosferici (ed in particolare all'acqua meteorica ed all'umidità) notoriamente ottimi conduttori di elettricità.
Pur in difetto (a cagione della mancata esecuzione di ulteriori esami istologici) della certa individuazione della causa mortis: se avvenuta per schiacciamento o per folgorazione, entrambe le eventualità dovevano comunque ritenersi, secondo il Giudice di primo grado, fattori concausali dell'evento. La vittima era deceduta perché inesorabilmente schiacciata contro il soffitto, dopo aver subito la folgorazione che ne aveva determinato la perdita di coscienza, fermo il fatto che l'evento non si sarebbe verificato se il malcapitato elettricista non fosse salito sulla piattaforma installata; ciò a cagione dei gravi deficit di sicurezza, riscontrati.
La Corte d'appello di Trieste, facendo propria la motivazione della sentenza di primo grado,richiamata per relationem (fin qui riassunta) perveniva al rigetto dei gravami proposti dagli imputati, in particolare, ulteriormente rimarcando che:
- secondo la ricostruzione della dinamica dell'incidente prospettata dal consulente del P.M. esaminato nel contraddittorio e ritenuta la più aderente alle emergenze di fatto, l'elettricista D salito sulla piattaforma, ne aveva attivato il funzionamento; al fine di controllare dal basso il sensore della tenda a capottina e di meglio accertarne le cause del difettoso funzionamento, si era inginocchiato sulla stessa piattaforma metallica, vicino alla scatola del dispositivo sblocca perni, dalla quale era partita la scarica elettrica che, investendolo al polpaccio sinistro, aveva provocato la contrazione involontaria dei muscoli dell'altra gamba, per poi scaricarsi a terra attraverso le ginocchia a contatto con la piattaforma in metallo. Il medico legale aveva accertato che il D era stato colpito da una scarica di forte/media intensità prima dello schiacciamento sì da stordirlo e da impedirgli qualsiasi reazione a tutela della propria incolumità, tant'è vero che lo schiacciamento era avvenuto ad organi ancora vitali, attesoché la pressione sanguigna era cessata a seguito della sezione dell'aorta per effetto della compressione toracica, sopravvenuta pochi secondi dopo la folgorazione;
- la posizione del corpo della vittima in prossimità della scatola sblocca -perni e le ustioni presenti in entrambi i polpacci inducevano a ritenere che la scarica elettrica fosse partita proprio dal contatto con il gruppo magnete sblocca - perni di acciaio. Anche se la cofanatura avvitata al dispositivo sottostante di tale gruppo magnetico era munita di messa a terra, poiché il coperchio metallico presentava, ai margini, residui di fango, era del tutto plausibile che fossero intervenute preesistenti infiltrazioni d'acqua che avevano neutralizzato l'unicità del sistema, privando la cofanatura della messa a terra. L'impiego di una tensione più bassa a 24 volt, come prescritto, avrebbe determinato un scossa elettrica appena percepibile dal D che non avrebbe perso la vita, in quanto non stordito. In ogni caso sarebbe stato doveroso usare altro materiale per la cofanatura, con proprietà isolanti, quali plastica o resina tanto più che la stessa era esposta ad agenti atmosferici.
- anche a non voler ritenere dimostrato che l'infortunio letale avesse trovato causa nel trauma da schiacciamento e non solo nella folgorazione dalla quale l'elettricista era stato colpito poco prima (come poteva in tesi sostenersi a causa dell'omesso esame istologico delle ecchimosi e delle petecchie riscontrate sul volto della vittima ), era comunque indiscutibile, per la Corte d'appello, il nesso eziologico concausale tra le omissioni ascritte agli imputati e l'evento, posto che, dal complesso degli elementi indiziari raccolti e dalle valutazioni espresse sulla ricostruzione dell'episodio dal consulente del P.M., non era stato possibile disattendere il concorso causale tra la conduzione della corrente elettrica e la morte dell'elettricista. Tale nesso eziologico sussisteva in ogni caso poiché la mancanza dell'installazione della chiusura della piattaforma in salita o, in alternativa, del comando ad azione mantenuta (che aveva consentito al D di sostare sulla stessa in movimento) ebbe ad integrare l’incipit della sequenza causale sulla quale si era poi innestata la scarica elettrica alla quale risaliva la folgorazione che aveva a sua volta determinato la perdita di coscienza della vittima poi inesorabilmente esposta allo schiacciamento per effetto della salita inarrestabile del montauto fino al soffitto. Ed egualmente si sarebbe verificato l'evento anche se si accedesse alla tesi che ha individuato nella sola folgorazione la causa mortis siccome sopravvenuta allorché l'elettricista si trovava sulla piattaforma in movimento, attesa l'omessa installazione delle cautele che tanto avrebbero invece evitato;
- come dimostrato dalla documentazione anche fiscale attestante i diversi rapporti commerciali intercorsi con la ditta costruttrice C s.n.c. ,l'installazione del montauto presso la villa del C in Murlis - in carenza dei dispositivi di sicurezza surrichiamati - risaliva alla società di cui gli imputati erano gli amministratori; installazione cui ebbero a cooperare la dirra GP di PP e la stessa vittima che intervenne con il F nell'attivazione dell'elevatore stesso, per la predisposizione definitiva dell'impianto elettrico. La ditta costruttrice aveva fornito alla società F un impianto a norma ovverosia progettato e realizzato previa predisposizione di tutti i comandi deputati alla installazione dei cancelli di segregazione ed in particolare di quello inferiore (le cui coppie dei morsetti di collegamento erano stati rinvenuti in fondo alla fossa, cortocircuitati in modo da metterli fuori uso, sì da rendere possibile il funzionamento del montauto in assenza dei cancelli). La ditta installatrice avrebbe poi dovuto provvedere all'effettivo collegamento e comunque, anche se non in via esclusiva, all'insieme delle operazioni necessarie, come prescritto dal d.P.R. n. 459 del 1996, affinché la macchina fosse in condizioni di funzionare e di essere utilizzata in sicurezza.
- gli imputati avevano rivestito tale, specifica posizione di garanzia in qualità di rivenditori, avendo assunto l'obbligazione contrattuale dell'installazione del montauto. Ad essi risaliva quindi l'omessa installazione dei tre fondamentali dispositivi di sicurezza che si era rivelata determinante nella produzione dell'evento.
Ricorrono per cassazione gli imputati per tramite dell'unico difensore, deducendo, in primo luogo, il vizio di contraddittorietà e di manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata. La Corte distrettuale, pur dando atto delle critiche sollevate dai consulenti della difesa, ha però omesso di spiegare in termini logici, secondo i ricorrenti, per quali ragioni dette censure non apparivano maggiormente attendibili e condivisibili rispetto agli assunti dei consulenti dell'accusa; ciò con specifico riferimento alla ricostruzione dell'accaduto ed alle cause della morte dell'elettricista (se per schiacciamento o per folgorazione); all'origine della scarica elettrica (se dovuta a contatto diretto ovvero indiretto); alla posizione della vittima sul montauto (se piegata sulle ginocchia ovvero distesa, prona sulla piattaforma metallica dell'elevatore).
I Giudici d'appello, avendo affermato che le soluzioni fornite dai consulenti dell'accusa apparivano più verosimili in quanto le obiezioni dei consulenti della difesa sarebbero "controbilanciate dalle circostanze fattuali accertate e dai propositi che avrebbero spinto la vittima a recarsi, il giorno dell'infortunio, presso l'abitazione del C ad eseguire un controllo della tenda a capottina del montauto", hanno in realtà reso una motivazione meramente apparente ed insufficiente, visto che non hanno specificato in che cosa sarebbero consistite dette "circostanze fattuali " né per quali ragioni il riferito intervento eseguito dall'elettricista avrebbe dovuto avvalorare l'ipotesi ricostruttiva dell'accusa piuttosto che quella della difesa.
Con il secondo motivo di ricorso, lamenta la difesa vizi motivazionali e di inosservanza od erronea applicazione dell'art. 40 cod.pen., in merito all'accertamento del nesso di causalità tra le omissioni ascritte agli imputati e la morte del D. La Corte distrettuale ha sostenuto che, anche a voler ammettere in via d'ipotesi, che la morte del D risalisse a folgorazione e non a schiacciamento, era da ritenersi ciononostante indiscutibile la sussistenza del nesso eziologico tra le omissioni degli imputati, quali rivenditori della macchina, e l'evento poiché l'omessa installazione di dispositivi idonei ad impedire che l'elettricista si trovasse sulla piattaforma in movimento al momento di esser attinto dalla scarica elettrica costituiva concausa della morte. Assumono in contrario i ricorrenti che, se la morte del D fosse stata cagionata da folgorazione e non da schiacciamento, la violazione della regola cautelare omessa per fatto degli imputati, quali rivenditori del montauto (ovvero l'omessa installazione di un cancello basculante dotato di microinterruttori ovvero di altro sistema di segregazione, come una barriera di fotocellule ) era predisposta a prevenire i rischi di carattere meccanico (schiacciamento ) e non quelli di natura elettrica (folgorazione). Sicché non era possibile ritenere la sussistenza del nesso causale tra I 'evento morte per folgorazione ed i comportamenti omissivi degli imputati che tali regole o misure precauzionali avrebbero disatteso.
Con il terzo motivo di ricorso denunzia il difensore l'ulteriore vizio motivazionale in ordine all'accertamento della posizione di garanzia ed al giudizio di colpevolezza degli imputati. La Corte d'appello di Trieste ha omesso di spiegare per quali ragioni e sulla base di quali elementi di prova la s.n.c. p avrebbe cooperato all'installazione del montauto insieme a PP quando due testi (dipendenti della stessa società) avevano chiaramente negato la circostanza riferendo che all'installazione aveva provveduto la stessa società C costruttrice del macchinario. Né ha spiegato per quali motivi ha ritenuto di disattendere le surrichiamate deposizioni testimoniali.
Con la quarta ed ultima censura proposta, si dolgono i ricorrenti della contraddittorietà della motivazione in punto alla determinazione della pena, avendo omesso la Corte distrettuale, confermando le statuizioni della sentenza di primo grado, di valutare lo specifico motivo d'appello dedotto circa l'incongruenza del preteso giudizio di comparazione tra le attenuanti generiche ed una "contestata aggravante " invero non risultante dal capo di imputazione. Conclusivamente i ricorrenti instano per l'annullamento della impugnata sentenza, anche previa declaratoria di estinzione del reato per maturata prescrizione.
Diritto
I ricorsi sono infondati e devono quindi esser respinti con il conseguente onere a carico dei ricorrenti del pagamento delle spese processuali, a norma dell'art. 40 cod. penale, giova innanzitutto ricordare che, per consolidato, pacifico e risalente assunto giurisprudenziale di questa Corte, in tema di sindacato del vizio di motivazione, compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici del merito, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione; se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti e se abbiano correttamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Cass., Sez. Un., 13.12.1995, n. 930/1996); id., Sez. Un., 31.5.2000, n. 12).
Il vizio di motivazione deducibile in sede di legittimità deve risultare, per espressa previsione normativa, dal testo del provvedimento impugnato, ovvero - a seguito della modifica apportata all'art. 8 della L 20.2.2006, n. 46 - da "altri atti del procedimento specificamente indicati nei motivi di gravame" ; il che implica - quanto al vizio di manifesta illogicità - che, per un verso, il ricorrente deve dimostrare in tale sede che l'iter argomentativo seguito dal giudice è assolutamente carente sul piano logico e che, per altro verso, questa dimostrazione non ha nulla a che fare con la prospettazione di un'altra interpretazione o di un altro iter, quand'anche in tesi egualmente corretti sul piano logico. Ne consegue che, una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si presterebbero ad una diversa lettura od interpretazione, ancorché, in tesi, munite di eguale crisma di logicità (cfr. Cass., Sez. Un., 27.9.1995, n. 30).
Nella concreta fattispecie, la decisione impugnata si presenta formalmente e sostanzialmente legittima ed i suoi contenuti motivazionali risultanti dall'integrazione con l'apparato argomentativo della conforme sentenza di primo grado - quali sopra riportati nella parte narrativa e da intendersi qui integralmente richiamati onde evitare superflue ripetizioni - forniscono, con argomentazioni basate su di una corretta utilizzazione e valutazione delle risultanze probatorie, esauriente e persuasiva risposta ai quesiti concernenti la vicenda oggetto del processo.
Ciò posto, deve rilevarsi che le censure de quibus, dedotte in sede di legittimità, riproducono, in termini sostanziali, i corrispondenti motivi d'appello con i quali il difensore degli imputati ha criticato in radice la ricostruzione, in punto di fatto, dell'incidente con riferimento agli specifici profili della causa mortis; dell'origine della scarica elettrica che colpì la vittima; della posizione dell'elettricista sul montauto al momento in cui fu investito dall'elettrocuzione; delle modalità e della dinamica dell'infortunio. Trattasi invero di censure relative alla ricostruzione fattuale dell'infortunio, improponibili in sede di legittimità ( cfr. Sez. 4 n. 13917/2008 ) avendo la Corte distrettuale recepito, sul punto, le proposizioni del Giudice di prime cure, sulla scorta di ineccepibili e congrue argomentazioni, come in appresso si preciserà.
Come peraltro già riferito in parte narrativa, la stessa Corte d'appello di Trieste, senza incorrere in alcun vizio logico ed anzi procedendo a congrue valutazioni saldamente ancorate al dato obiettivo costituito da quanto emerso dalla approfondita attività istruttoria espletata nel giudizio di primo grado, è giunta ad emettere un pronunzia di conferma della sentenza di primo grado, previa analitica confutazione delle tesi difensive per lo più mutuate dalle opinioni espresse dagli stessi consulenti tecnici della difesa, in dissenso da quelle provenienti dai consulenti tecnici del P.M., invece fatte proprie da entrambi i Giudici di merito perché ritenute logicamente più aderenti alle risultanze di fatto. Circa il nesso di causa, hanno in particolare (cfr. fgl. 20 e 21 della sentenza impugnata) sottolineato i Giudici d'appello, adottando una corretta tecnica motivazionale cd. a doppia mandata (come sottolineato nell'odierna discussione dal Procuratore Generale), che "anche enfatizzando tali deficit probatori iniziali, correlati principalmente alle cause della folgorazione del D ed al momento esatto di sopravvenienza della morte rispetto a tale scarica ed al trauma da schiacciamento intervenuto, un brevissimo lasso di tempo dopo " , doveva giudicarsi ineludibile il concorso causale tra l'elettrocuzione e I'evento morte.
Ed hanno altresì evidenziato che, in ogni caso, le omissioni colpose ascritte agli imputati ovverosia la mancanza della chiusura della piattaforma in risalita od, in alternativa, del comando ad azione mantenuta avevano costituito la causa originaria della sequenza determinativa dell'evento nella quale si era venuta ad inserire la scarica elettrica che ebbe a colpire la vittima mentre si trovava sulla piattaforma in lento - ma inarrestabile - movimento di risalita.
Se invero il D fosse stato colpito dalla scarica elettrica prima dell'azionamento del comando di risalita (inarrestabile, a cagione delle suddette omissioni colposamente attribuibili agli imputati) doveva ritenersi incontestabile che sarebbe stato trovato esanime sulla piattaforma stessa, ferma nel punto più basso e non schiacciato tra la stessa e la trave di cemento, nell'opposto punto più alto: donde l'obiettiva rilevanza concausale dell'elettrocuzione, rispetto all'evento.
La Corte distrettuale ha altresì chiarito che, ove non fosse stata omessa l'adozione delle suddette cautele (colposamente risalente agli imputati quali titolari della società installatrice dell'elevatore per automobili), si sarebbe impedito alla vittima di trovarsi sulla piattaforma metallica in lento movimento di risalita, sulla quale invece gli era stato indebitamente ed imprudentemente consentito di venirsi a trovare proprio a causa di siffatte inosservanze ed ove era stata attinta dalla scarica elettrica o indirettamente (per effetto del non corretto isolamento a terra della cofanatura in metallo del gruppo sblocca - perni dalla quale aveva avuto origine l'elettrocuzione, prima, alla piattaforma metallica ed in seguito, agli arti del D) ovvero direttamente, come sostenuto dalla difesa, per effetto del contatto dell'elettricista con le parti in tensione all'interno del quadro elettrico della capottina, mentre si trovava in posizione distesa sulla piattaforma metallica del montauto.
In altri termini,con assunti scevri da margini di illogicità e di contraddittorietà, la Corte distrettuale ha correttamente individuato nell'omessa adozione, all'atto della installazione del macchinario, di quei presidi tecnici atti ad impedire il movimento della piattaforma del parcheggiatore mentre sulla stessa si trovava l'elettricista la primigenia condizione della sequenza causale che aveva determinato il decesso del D vuoi per elettrocuzione vuoi per schiacciamento, di poco successivo, tra la piattaforma e la trave di cemento (cd. causalità della colpa).
Vero è infatti che, ove eliminata per ipotesi siffatta condizione dell'evento; se il D fosse stato comunque attinto dalla scarica elettrica da ritenersi in tesi,quale causa mortis esclusiva, il suo corpo esanime si sarebbe dovuto trovare sulla piattaforma ferma al punto più basso in quanto non azionata dall'elettricista nel movimento di risalita. Neppure hanno pregio le doglianze dedotte con il terzo motivo di ricorso.
Gli imputati - come esaustivamente argomentato dalla Corte d'appello di Trieste - avevano assunto una posizione di garanzia ex art. 6, comma 2° D.l.vo n. 626 del 1994. I prevenuti invero, quali titolari e responsabili della omonima società di persone F A & C. s.n.c, ebbero non solo a vendere al committente C il macchinario costruito da altra ditta,ma ne curarono altresì l'installazione (in collaborazione con PP) come dimostrato dalla documentazione fiscale e commerciale acquisita agli atti ed in particolare dalla fattura 21 settembre 2001 con la quale la s.n.c. FA. aveva addebitato al committente C la somma di lire 13 milioni per "la fornitura e posa in opera di una piattaforma per il trasporto di automobili del tipo Cover B 1 senza tetto”. E' quindi di tutta evidenza che, ad onta delle infondate obiezioni dei ricorrenti, esuli qualsivoglia vizio di illogicità o di carenza della motivazione per aver omesso la Corte distrettuale, a fronte di siffatta inconfutabile prova "regina " ( come osservato dal Procuratore Generale nel corso dell'odierna discussione) di confutare espressamente le deposizioni di F D e di M F che avrebbero, al contrario, escluso che la società gestita dagli imputati si fosse occupata anche nella messa in esercizio del montauto oltreché della sua commercializzazione. In nome della logica oltreché della comune esperienza, sarebbe stato invero semplicemente inconcepibile supporre che, stante la rilevanza non solo commerciale,ma anche - e soprattutto fiscale - della fattura, il soggetto emittente avesse "attestato" esecuzione di operazioni in realtà dallo stesso non compiute per addebitarne poi a relativa spesa al committente dopoché, in conformità alla fattura, era stato redatto con il predetto il preventivo e dopoché oggetto di nutrito carteggio itercorso tra la ditta costruttrice e la società gestita dagli imputati erano state precise istruzioni finalizzate alla messa in funzione del macchinario. Ad ulteriore conforto dell'ineccepibile argomentare della Corte distrettuale, va evidenziato che la motivazione della sentenza impugnata rimarca che il C (il committente ), nel corso dell'interrogatorio, aveva riferito di accordi intervenuti con il F secondo cui la sua ditta avrebbe dovuto occuparsi della installazione delle componenti meccaniche ed idrauliche del montauto.
Ai collegamenti elettrici avrebbe dovuto provvedere un elettricista incaricato dallo stesso imputato F, prescelto nella persona dello stesso D al quale il F aveva poi fornito le istruzioni relative al lavoro da eseguire, ai singoli componenti da installare ed al loro utilizzo.
Infondato è infine anche il quarto motivo di ricorso.
La Corte d'appello con motivazione esaustiva ha condiviso, anche in ordine alla congruità del trattamento sanzionatorio, gli assunti del Primo Giudice ribadendo che, attesa la gravità delle omissioni colpose risalenti agli imputati, era da escludersi qualsivoglia ridimensionamento della pena che, pur discostandosi dal minimo edittale, risultava comunque adeguata all'entità del fatto grazie al riconoscimento ai ricorrenti delle attenuanti generiche dichiarate equivalenti alla contestata aggravante di cui all'art. 69, comma 3° cod. pen, previa reiezione di uno specifico motivo d'appello, ha pacificamente inteso confermare la sussistenza anche dell'aggravante, legittimamente contestata.
Da ciò discende che, in applicazione della disciplina dell'istituto della prescrizione previgente alla novella di cui alla 160, comma 3° cod.pen. Deve dunque concludersi che il reato de quo, commesso in data 30 maggio 2003, non è attualmente estinto per prescrizione.
P Q M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.