4.- La dottrina e le principali problematiche giuridiche.
Gli studi editi in materia sono numerosi e, oltre a vari saggi, si registrano una trentina di approfondimenti monografici della dottrina italiana: in questa sede si richiamano solo alcuni interventi che appaiono più utili ad analizzare il fenomeno del mobbing o a focalizzare le problematiche ancora dibattute, tralasciando i riferimenti più generici o relativi ad aspetti ormai condivisi.
In dottrina si è intanto evidenziato che il mobbing è uno dei nuovi rischi da lavoro, e che "se la maggiore attenzione è stata dedicata finora ai fattori connessi a ripetitività, monotonia, carichi di lavoro, ritmi e così via, appare oggi indispensabile considerare alcuni ulteriori aspetti (relativamente) nuovi, nel senso che sono frutto di più recente acquisizione. Faccio riferimento a tutti i fenomeni che attengono agli aspetti relazionali (relazioni fra i lavoratori e fra loro e i superiori), al rapporto persona-ambiente di lavoro-tecniche di lavorazione, a tutte le questioni attinenti al disagio, alla disaffezione, alla insoddisfazione, al malessere e a quel grande complesso di fenomeni riconducibili, in modo semplificativo, allo stress. Ovviamente, non è che tutti questi fenomeni conducano necessariamente a vere e proprie patologie, perché anzi esse dovranno essere dimostrate e provate di volta in volta, come indicato dalla stessa sentenza ;già citata della Corte Costituzionale; ma è pacifico che si tratta di altrettanti fattori di rischio, finora considerati poco o comunque in modo insufficiente". In tale ambito, anche "le cosiddette «incongruenze del processo organizzativo», costituisco certamente aspetti di novità nel contesto dell' organizzazione del lavoro come fattori di rischio" (SMURAGLIA, Le malattie da lavoro, prevenzione e tutela, Ediesse).
Altro studio (BUFFA, in BUFFA e CASSANO, Il danno esistenziale nel rapporto di lavoro, Utet, 2005(all. 47) ha rivisitato tutto il diritto del lavoro approfondendo gli aspetti immateriali ed esistenziali del rapporto di lavoro, evidenziando tutti i fattori lavorativi che possono incidere sulla salute del lavoratore e sulla sua dignità e sicurezza.
Si è parlato così di:
- lavoro usurante (e di danno esistenziale da mancato riposo, settimanale o feriale o per gravidanza, da diniego di permessi dovuti, da superlavoro o lavoro notturno, da condizioni lavorative anguste, da lesioni gravissime o morte del lavoratore per infortunio o malattia professionale);
- lavoro frustante (e di danno esistenziale da dequalificazione e demansionamento, da assegnazione di mansioni incongrue o di compiti senza mezzi idonei, da diniego o revoca di incarico dirigenziale, da inattività forzata, da elusione di provvedimenti giurisdizionali, da precarietà del rapporto, fittiziamente qualificato, da condotta processuale del datore, da discriminazione e quello da disparità di trattamento, da mancato o ritardato pagamento della retribuzione o da retribuzione insufficiente);
- lavoro molestato (e di danno esistenziale da mobbing, da molestie sessuali sul lavoro, da controlli illeciti del lavoratore, da abuso di visite di controllo della malattia, da atti ingiuriosi o violenti e da riduzione in schiavitù, da uso illecito del potere disciplinare, da trasferimento);
- lavoro compromesso (e di danno esistenziale da licenziamento ingiurioso, licenziamento ritorsivo, licenziamento illegittimo, da mancata reintegrazione a seguito di licenziamento dichiarato illegittimo, da dimissioni per giusta causa);
- qualità della vita compromessa (e di danno da lesione della tutela dei dati personali e danno correlato alla partecipazione a concorsi pubblici) e vita compromessa (e di danno esistenziale da mobbing estremo e suicidio del lavoratore).

In tutte queste ipotesi si sono esaminate le tutele del lavoratore vittima di lesioni della sua personalità e salute (per un esame generale delle fattispecie, altresì GAROFALO D., Mobbing e tutela del lavoratore tra fondamento normativo e tecnica risarcitoria, Ipsoa, 2004: all. 50).

La dottrina che si è occupata del tema del mobbing ha costantemente evidenziato che caratteristica del mobbing è proprio la sistematicità e la durata degli atti di persecuzione e dell'aggressione (CIMAGLIA, Riflessioni su mobbing e danno esistenziale, in Riv. giur. lav. 2002, I, 93), e che il danno da mobbing si configura come la conclusione in senso cronologico di un processo complesso articolato in condotte logicamente contestuali alla complessiva strategia o progetto di emarginazione del lavoratore (FOGLIA, Danno da mobbing nel rapporto di lavoro: prime linee di sviluppo giurisprudenziale, in Dir. lav., 2000, II, 3 ss., 13).
Vari studi hanno esaminato poi le fattispecie di conflittualità sul lavoro (stalking, straining, ed altri), determinative di danno del lavoratore (EGE, Oltre il mobbing, 2007; MANNA, Mobbing e straining come fattispecie determinative di danno: inutile un intervento normativo?, in Riv. critica dir. lav. 2006, 3, 705); TRAMONTANO, Il risarcimento dei danni da attività lavorativa, Tribuna, 2007), (ali. 51-52-53) ovvero approfondito gli aspetti penali, anche in relazione alla responsabilità delle persone giuridiche (SZEGO, Mobbing e diritto penale, Giuffré, 2007). (all. 54)
Il rapporto tra stress e mobbing, anche alla luce della legislazione sulla sicurezza del lavoro, è analizzato da DE FALCO, MESSINEO, MESSINEO, Stress e mobbing, EPC, 2006). (all. 55)
Non si esclude peraltro che anche il singolo atto, avendo effetti duraturi, possa costituire lesione rilevante della sicurezza del lavoratore. Inoltre, va considerata la rilevanza delle discriminazioni, che assumono rilevanza anche ove uno actu perficiuntur.
In dottrina, si è studiata la tutela antidiscriminatoria (che, come già ricordato, attribuisce rilevanza alle molestie) e si è evidenziata la sua applicabilità ai soli motivi tipici di discriminazione, previsti dalla disciplina dettata dai d.lgs. 215 e 216 del 2003. Si è altresì evidenziato che, al di là di tali motivi, vi sono una serie di motivi che sono discriminatori secondo il senso comune, ma che non sono tali secondo l'ordinamento giuridico, e che possiamo chiamare motivi atipici di discriminazione: pensiamo alla discriminazione del lavoratore per fatti inerenti la sua vita privata, i suoi caratteri fisici, il suo stato di malattia, la sua minore età o per converso la sua anzianità anagrafica o la sua anzianità contributiva, la circostanza che il lavoratore sia discriminato per avere assunto la qualità di parte ricorrente in un giudizio di lavoro contro il datore di lavoro, ovvero abbia semplicemente manifestato mere rivendicazioni economiche. Pensiamo poi al lavoratore -privato o pubblico non fa differenza- discriminato sul lavoro semplicemente perché "poco gradito": si tratta di casi nei quali la tutela antidiscriminatori non può operare proprio per difetto della tipicità dei motivi delle molestie; la regola è infatti quella della tipicità della tutela antidiscriminatoria, e dunque della applicabilità della stessa ai soli motivi previsti dalla legge.
I motivi atipici di discriminazione, intesi così dalla collettività in un dato momento storico e geografico, ma non tipizzate dal legislatore, possono dar luogo a forme di esercizio illegittimo o anche illecito del potere datoriale, ma non consentono l'applicazione delle tutele previste espressamente dal legislatore per i motivi tipicamente discriminatori, ma al più la tutela ex art. 1345 c.c. (per la quale, però, il motivo illecito deve essere determinante ed esclusivo, ed occorre la prova del motivo soggettivo illecito determinante perseguito dal datore di lavoro, laddove l'atto discriminatorio per motivi tipizzati rileva oggettivamente, anche se questi non sono determinanti né esclusivi, e comunque a prescindere dall'animus dell'autore dell'atto vietato) (sul tema, BUFFA, Discriminazione della pubblica amministrazione e tutela del lavoratore. Mobbing e abusi, Maggioli, 2004, 12 ss.). (all. 46)
La tutela dei lavoratori contro il mobbing è del tutto autonoma rispetto alla tutela (quale quella antidiscriminatoria) dei soggetti deboli e dei membri di gruppi sociali svantaggiati; anche sul piano soggettivo, infatti, ad essere colpiti dal mobbing sono il più delle volte lavoratori professionali con un curriculum di ottimo livello e dalle molteplici esperienze — normalmente provenienti da aziende esterne e non assunti ab initio dall'azienda ove si immettono, portatori quindi di una professionalità altamente concorrenziale per gli interni in quanto maturata in altri contesti più evoluti organizzativamente — giacché proprio per questo motivo meno di altri riescono ad adattarsi a vetusti metodi di lavoro o a prassi e relazioni umane consolidate.

Come già emerso dall'esame della giurisprudenza, spesso le attività costituenti mobbing sono già in sé illegittime o addirittura criminali e contrastanti con previsioni di legge, e qui operano le tutele tradizionali del lavoratore, alle quali, se del caso, può aggiungersi la tutela applicabile al mobbing; altre volte, invece, gli atti del datore di lavoro o di soggetti dei quali egli deve risponder risultano in sé astrattamente legittimi e tuttavia, pur non contrastando formalmente con disposizioni normative specifiche, sono in concreto, per le modalità con cui sono poste in essere o per i fini perseguiti dal loro autore, contrastanti con il generale dovere di buona fede e correttezza che permea il contenuto dell'obbligazione datoriale ed anche causativi di un danno ingiusto e quindi illecite.
Il mobbing è fenomeno difficile da dimostrare proprio perché non sempre ci si trova innanzi ad atti illegittimi, ma spesso ad atti neutri, con la conseguente difficoltà di distinguere gli atti che arrecano danni risarcibili da quelli che invece rientrano nella normale gestione, pur conflittuale, dei rapporti di lavoro e sociali. Si tratta d'altra parte di aspetti problematici proprio perché spesso involgono giudizi di carattere morale o sociale propri di un dato momento storico e di un dato ambiente (e dei quali il giudice, con la sua personalità, sensibilità, formazione e cultura, deve farsi interprete).
Significativo è così quanto affermato in tema (MERLO, Il mal d'ufficio, ultima trovata della filosofia buonista, in Corriere della Sera, suppl. Sette, 26.11.98, n. 47): "l'ultima trovata della filosofia buonista è il mobbing, il mal d'ufficio, il malessere provocato dalle calunnie dei colleghi, dalle prepotente dei capetti e dei concorrenti, la maldicenza che ti ostacola la carriera, le piccole sevizie subite quotidianamente sul lavoro, il doppiogioco del compagno. Medici e sindacalisti, giornalisti e professori vorrebbero che gli uffici italiani fossero dunque finalmente purificati dal morbo del mobbing, niente più calunnie o invidie". Si evidenzia, dunque, la difficoltà di distinguere tra ciò che è normale conflittualità al lavoro da ciò che giuridicamente può assumere rilievo; in altri termini, "i conflitti sono la vita stessa di un ufficio, e non si può pretendere -e quindi sanzionarne la mancanza- educazione, rispetto, sorrisi, perché la vita è spesso anche maldicenza e calunnia, invidia e trabocchetti".
Purtuttavia, l'importanza dell'individuazione della categoria del mobbing (vista appunto come framework di condotte eterogenee, pur ove -in sé considerate- siano irrilevanti) risale proprio in ciò, per l'unificazione di condotte in sé astrattamente irrilevanti o inidonee a suscitare una reazione adeguata dell'ordinamento e che tuttavia, riguardata nel loro insieme, possono essere valutate nella loro portata lesiva reale; correlativamente, la considerazione unitaria del fenomeno consente di colpirlo superando l'approccio tradizionale delle corti che sanzionano solo particolari degenerazioni di elevato impatto lesivo.
Il mobbing diviene così un legal framework, che consente di decodificare, unificare e collegare quei diversi comportamenti, indipendentemente dalla illiceità di ciascuno di essi, in un unicum connotato da disvalore e rilevanza giuridica autonoma (BONA, MONATERI, OLIVA, Mobbing. Vessazioni sul luogo di lavoro, Giuffré, 2000, 550; BONA, MONATERI, OLIVA, La responsabilità civile nel mobbing, IPSOA, 2007, 21 (all. 56)). Tale costruzione è peraltro utile sia con riferimento al mobbing verticale che con riferimento al mobbing orizzontale (per un approfondimento delle responsabilità del datore di lavoro indiretta, DEL BORRELLO, in AA.VV., I danni alla persona del lavoratore nella giurisprudenza, CEDAM, 2006, 109) (all. 64)

Si è pure acutamente detto (AMATO, in AA.VV., Il mobbing, Giuffré, Milano, 2002, 48) che proprio sul versante della tutela risarcitoria si apprezza meglio il salto qualitativo derivante dalla ricostruzione della fattispecie di mobbing come fenomeno unitario: infatti, anche qualora tutte le singole condotte considerate fossero sanzionabili (cosa che peraltro spesso non è, come si è detto), la riconduzione ad unità si mostrerebbe comunque indispensabile per una migliore valutazione del danno, in quanto gli effetti dannosi dal mobbing non sono una semplice sommatoria degli effetti dannosi delle singole condotte, atteso che ogni singola condotta persecutoria crea un precedente nella psiche e/o sul corpo della vittima sicché il danno successivamente inferto opererà su un substrato psicofisico già indebolito e compromesso.
La rilevanza del mobbing è stata poi evidenziata sotto un profilo obiettivo, a prescindere quindi dalla illegittimità formale degli atti ovvero dell'intento soggettivo persecutorio (MEUCCI, Danni da mobbing e loro risarcibilità, Ediesse, 2006, 72) (all. 57).
Ad ogni modo, il principale problema resta quello del superamento della soglia della ordinaria conflittualità e della rilevanza della fattispecie. È certo difficile sceverare, nell'ambito di fatti in sé neutri, quei fatti che possono rilevare quali integrativi del mobbing; specie ove i rapporti tra i dipendenti siano conflittuali, può risultare problematico stabilire in concreto fin dove si spinga la subordinazione del dipendente e dove emerga l'abuso del superiore, fin dove i conflitti lavorativi rientrino nella normale dinamica dei rapporti umani sul lavoro e dove sfocino invece nella patologia dei rapporti, fin dove i disagi e gli stress da lavoro siano irrisarcibili in quanto normali (anche se mal tollerati dal dipendente: sulla tutela della felicità del dipendente sul posto di lavoro, GRAGNOLI, Soddisfazione professionale e promozione delle libertà personali. I limiti ai poteri del datore di lavoro e la tutela risarcitoria, in atti dell'incontro di studi "Il mobbing nei rapporti di lavoro", organizzato dal Centro studi Domenico Napoletano in Cosenza, 2006 (all. 58)) o frutto di disciplina particolarmente serrata e dove invece essi diventino oggettivamente intollerabili o espressione di abuso (Sull'abuso del diritto come limite generale ai poteri datoriali, con specifico riferimento al mobbing, LEARDINI, in PEDRAZZOLI, Vessazioni ed angherie sul lavoro, Zanichelli, 2007 (all. 59)). Si tratta indubbiamente di valutazioni da effettuare in relazione al singolo caso di volta in volta oggetto di giudizio.

Altro problema rilevante, per quanto poco battuto in dottrina, riguarda la precisazione dei limiti di configurabilità del nesso causale tra condotta e danno nel caso in cui il soggetto che asserisce il mobbing sia un soggetto debole o "predisposto" al danno.
Sul punto può rilevarsi che, alla base della ricostruzione delle fattispecie di mobbing vi è l'esigenza di protezione dei lavoratori, esigenza che, se spesso -nel mobbing sia orizzontale che verticale- trova espressione nei confronti di persone brillanti e motivate sul lavoro e perciò obiettivo dell'invidia dei colleghi, trova espressione anche nei confronti dei lavoratori più deboli e fragili, restando così rilevante l'obbligo di protezione del datore di lavoro ex art. 2087 c.c. anche nei casi in cui il danno alla sfera psicofisica del lavoratore sia in parte ascrivibile alla personalità non normale dello stesso (perché più debole e come tale bisognosa di maggior protezione: sul punto, AMATO in AA.VV., Il mobbing, Giuffré, 2002, 35 ss., e CARACUTA, Mobbing e tutela giudiziaria, in www.diritto.it, 2000, che incisivamente ricordano che l'art. 32 Cost. e l'art. 2087 c.c. proteggono e tutelano sia i soggetti forti sia quelli deboli e fragili; vedi pure TULLINI, Mobbing e rapporto di lavoro, in Riv. it. dir. lav., 2000, 2, 258; e TRONATI, Mobbing e straining nel rapporto di lavoro, Ediesse, 2007, 43). (all. 60)
Per converso, un limite al riconoscimento della tutela del lavoratore è stato ben individuato a monte, nella polifattorialità eziologica delle malattie psichiatriche (MARIGLIANO, in AA.VV., Accertare il mobbing, Giuffré, 2007, 223 ss.). (all. 61)

Vari ed interessanti anche per il giurista sono poi gli studi medico legali del mobbing; sotto tale profilo, si è evidenziato che tra le conseguenze più frequenti sul piano patologico, la neuropsichiatria individua appunto una diagnosi specifica di "disturbo postraumatico da stress", formula che indica quell'insieme di disturbi psichici (come depressione, ansia, pensiero ossessivamente concentrato, stato di tensione perpetua e di iperallerta), che compaiono dopo un trauma psichico acuto o cumulativo. Altre volte la diagnosi è di "disturbo dell'adattamento", che ha gli stessi caratteri del disturbo postraumatico da stress ma in forma meno intensa e senza conseguenze croniche: spesso derivano sindrome ansioso-depressiva reattiva, labilità emotiva, nervosismo, insonnia, disappetenza, ansia, perdita di autostima, crisi di pianto con conseguente frequente ricorso all'uso farmacologico di ansiolitici, antidepressivi, e disintossicanti (Sul tema, AA.VV., Patologia psichiatrica da stress, mobbing e costrittività organizzativa. La tutela dell'INAIL, ed. INAIL, 2007). Vi è poi la "sindrome del burn-out", connesso al senso di inutilità e di insoddisfazione professionale ed esistenziale del lavoratore vittima di isolamento e di vessazioni.
Il mobbing presenta notevoli difficoltà anche in ordine all'accertamento medico legale dei danni derivanti dallo stesso (sul tema, che qui non può essere trattato, si rimanda a BONZIGLIA, MARIGLIANO, BONA, MONATERI, OLIVA, Accertare il mobbing, Giuffré, 2007(all. 61); QUERINI e SUNI La consulenza tecnica in materia di mobbing,, Utet, 2007 (all. 62); EGE, La valutazione peritale del danno da mobbing, Giuffré, 2002).

Un altro problema particolarmente rilevante è costituito dalla individuazione dell'obbligo di intervento del datore a tutela del dipendente mobbizzato al fine di rimuovere la sitruazine lesiva, e dalla correlativa possibilità di esigere dal datore di lavoro il comportamento atteso anche se occorra incidere sulla sfera della organizzazione dell'impresa ovvero dell'amministrazione pubblica.
In altri termini, l'obbligo del datore di inibire condotte mobbizzanti e di assicurare la sicurezza dell'ambiente di lavoro si traduce talora nella necessità di comprimere le prerogative di libertà imprenditoriale (quanto al lavoro privato) ovvero la tutela incondizionata dell'interesse pubblico (nel caso di lavoro alle dipendenze di pubbliche amministrazioni).
La richiamata risoluzione del 2001 del Parlamento europeo sul mobbing ha evidenziato l'importanza dell'organizzazione in relazione la fenomeno del mobbing, ed ha esortato la Commissione a prendere ugualmente in considerazione, nelle sue comunicazioni relative a una strategia comune in materia di salute e sicurezza sul lavoro e al rafforzamento della dimensione qualitativa della politica occupazionale e sociale nonché nel libro verde sulla responsabilità sociale delle imprese, fattori psichici, psicosociali e sociali connessi all'ambiente lavorativo, inclusa l'organizzazione lavorativa, invitandola pertanto ad attribuire importanza a misure di miglioramento dell'ambiente lavorativo che siano lungimiranti, sistematiche e preventive, finalizzate tra l'altro a combattere il mobbing sul posto di lavoro e a valutare l'esigenza di iniziative legislative in tal senso.

Sul punto non ci si può soffermare in questa sede, salvo ad evidenziare che la questione non è affrontata dalla discipline del mobbing ed è presente solo in parte in uno solo dei disegni di legge all'esame del Parlamento. È opportuno peraltro ricordare che vi sono nell'ordinamento alcune norme (art. 4, comma 4, e 10, comma 3, legge n. 68 del 1999, in relazione agli invalidi interni e 42 del d.lgs. 81 del 2008, sulla sicurezza sul lavoro, in relazione alla sopravvenuta inidoneità alle mansioni) che in date materie consentono, pur garantendo l'intangibilità dell'organizzazione datoriale, di garantire la tutela del soggetto in posizione di debolezza.

Nella materia del mobbing incidono larga misura tutte le questioni affrontate dalla dottrina e dalla giurisprudenza i relazione al tipo di danno risarcibile e, più a monte, alle categorie di danno configurabili: ci si riferisce in particolare alla categoria del danno esistenziale, che in materia inoltre rileva in particolare in ragione della operatività, per molti aspetti alternativa, delle tutele risarcitoria e previdenziale.
In proposito, va qui ricordato che l'art. 10 del testo unico sugli infortuni sul lavoro e malattie professionali n. 1124 del 1965 stabilisce l'esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile per gli infortuni sul lavoro ove operi l'assicurazione relativa, sempre che il datore di lavoro non abbia riportato condanna penale per il fatto dal quale l'infortunio è derivato (la giurisprudenza ha peraltro inteso la norma nel senso che l'illiceità penale del fatto, pur accertata incidentalmente dal giudice civile, può escludere l'operatività dell'esonero del datore). Ora, poiché all'esito della riforma del D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, è oggetto di copertura assicurativa il danno biologico non lieve, ma non anche il danno esistenziale (al pari del danno morale, del danno biologico di lieve entità e del danno biologico temporaneo) è evidente che l'ambito delle nozioni di danno biologico e di danno esistenziale contribuiscono a precisare i margini dell'intervento previdenziale e, rispettivamente, della portata dell'esonero della responsabilità datoriale (sul punto, altresì LA PECCERELLA, Il mobbing. Responsabilità e danni, ed. INAIL 2007; (all. 63) sul tema, AA.VV., Patologia psichiatrica da stress, mobbing e costrittività organizzativa. La tutela dell'INAIL, ed. INAIL, 2007).

Un ultimo problema evidenziato anche in dottrina riguarda poi la liquidazione del danno da mobbing. Si tratta di problematica su cui non può soffermarsi in questa sede, riguardando essa il generale problema della liquidazione del danno non patrimoniale, ma che consente di richiamare alcune riflessioni espresse in dottrina.

In particolare, un'attenta dottrina (MEUCCI, Il danno esistenziale nel rapporto di lavoro, in www.dirittolavoro.web1000.com) ha lamentato i limitatissimi risarcimenti concessi dai giudici e rileva che, a fronte di comportamenti che ledono i primari diritti della personalità dei prestatori di lavoro e che pregiudicano e segnano indelebilmente il mobbizzato (o demansionato), nella carriera, nella salute, nella vita familiare e relazionale, c'è nel nostro Paese una sottostima -a differenza che nel mondo anglosassone e a prescindere dalla problematica e/o ammissibilità dei cd. "punitive damages" — dei danni non patrimoniali, sicché "(al di là delle affermazioni di principio in positivo), tramite simili risarcimenti non combattono il fenomeno del mobbing ma lo legittimano nella sostanza, in quanto - svuotati i risarcimenti del carattere della deterrenza alla reiterazione -indirizzano ai "concreti" datori di lavoro il messaggio (tutt'altro che subliminale) che possono cavarsela con poche decine di milioni (nel caso si tratta come visto di molto meno) per perseverare in comportamenti illeciti (che, se vanno silenziosamente in porto, conducono alle dimissioni del soggetto inviso e, se non vanno in porto, si pagano con somme modeste)"(sul tema, altresì, BUFFA, La liquidazione del danno da mobbing "nummo uno", in Corti pugliesi, 2007, I). (all. 49)
Del resto, il riconoscimento di danni da mobbing in misura notevole dovrebbe derivare proprio dalla stesa (corretta) enucleazione della categoria del danno esistenziale, quale danno riferibile non a situazioni bagatellari proprie dei piccoli fastidi della vita di ogni giorno, bensì ai soli casi di lesioni rilevanti di interessi fondamentali (selezionando in tal modo la tutela attraverso i filtri della ingiustizia del danno e della gravità dell'offesa, oltre che della natura dell'interesse: BUFFA, in BUFFA e CASSANO, Il danno esistenziale nel rapporto di lavoro, Utet, 2005). Allora, se la copertura del danno esistenziale può essere affermata nelle fattispecie in cui l'illecito attinge interessi non patrimoniali particolarmente rilevanti e provoca danni gravi, "ipotesi tutte -com'è palese- di aggressioni e collisioni non da poco, ciascuna all'origine di seri imbarazzi per l'equilibrio personale per l'attore", non dovremo stupirci allora se l'illecito divenga "fonte di risarcimenti con molti zeri" (CENDON, Premessa a BUFFA e CASSANO, cit.).

Infine, con riferimento ai criteri di liquidazione, va poi ricordato che in linea generale, in dottrina, sono stati teorizzati differenti sistemi di liquidazione (su cui SBARRA, Mobbing e tecniche risarcitorie, relazione al Convegno del Centro Nazionale Studi di Diritto del Lavoro D. Napoletano, sezione di Bari, su "Il Mobbing dinanzi al giudice" del 13-14 maggio 2005, Cacucci)., richiamandosi da taluni un modello di liquidazione che sempre ha a base la retribuzione, mentre altri, più opportunamente, prescindono da un parametro retributivo di riferimento e richiamano come criteri di liquidazione i precedenti giurisprudenziali e l'ordine di grandezze seguito, la graduazione degli interessi nell'ordinamento, il tempo di durata della violazione, il grado della lesione, la posizione delle parti (VIOLA-BUFFA-CASSANO, Il danno esistenziale, Atti dell'incontro di studi sul tema organizzato dal Centro studi Ateneo, Bologna, 2.10.03, Maggioli). Una tale pluralità di criteri consente in fatti di superare il rischio legato (come nel danno biologico) ad un appiattimento eccessivamente egualitaristico dei risarcimenti, che prescindano dal concreto atteggiarsi, caso per caso, dei diritti non patrimoniali lesi, e permette una "personalizzazione" della liquidazione del danno.

(Red. Francesco Buffa)

 

Il direttore aggiunto
(Luigi Macioce)



Riferimenti normativi

Decreti legislativi 215 e 216 del 2003
Decreto legislativo 9. 4.2008, n. 81.
Decreto Legislativo n. 38/2000 (art. 10, comma 4)
Art. 2087 cod. civ.
D.p.r. 1124 del 1965 art. 10
Legge regionale del Lazio 11 luglio 2002, n.16,
Legge Regione Abruzzo 11 agosto 2004, n. 26
Legge Regione Umbria 28 febbraio 2005, n. 18
Legge Regione Friuli Venezia Giulia 8 aprile 2005, n. 7
Regolamento Regione Liguria 19 maggio 1997, n. 2
D.m. 27 aprile 2004
Ministero per la Funzione Pubblica direttiva 24 marzo 2004
INAIL circolare 17 dicembre 2003, n. 71
accordo europeo quadro dell'8 ottobre 2004 contro lo stress su lavoro
accordo interconfederale del 9 giugno 2008 (all. 11).


Riferimenti giurisprudenziali

Corte cost. 19 dicembre 2003, n. 359
Corte cost. 27 gennaio 2006, n. 22,
Corte cost. 22 giugno 2006, n. 238 e 239
Corte Cost. n. 179/1988
Cass. SU 4 maggio 2004, n. 8438
Cass. SU 12 giugno 2006, n. 13537
Cass. SU 27 novembre 2007, n. 24625
Cass., VI sez. pen., 22 gennaio 2001, n. 10090
Cass. 29 agosto 2007, n. 33624
Cass., VI sez. pen., 21 settembre 2006, n. 31413
Cass., VI sez. pen., 11 giugno 2007, n. 22702
Cass. VI sez. pen., 7 novembre 2007, n. 40891
Cass. 19 gennaio 1999, n. 475
Cass. 6 marzo 2006, n. 4774
Cass. 20 maggio 2008, n. 12735
Cass. 29 gennaio 2008, n. 1971
Cass. 24 ottobre 2007, n. 22305
Cass. 29 settembre 2005, n. 19053
Cass. 11 settembre 2008, n. 22858
Cass. 20 luglio 2007, n. 16148
Cass. 29 agosto 2007, n. 18262
Consiglio di Stato 9 ottobre 2002, n. 5414
Consiglio di Stato 6 dicembre 2000 n. 6311
Consiglio di Stato n. 2515 del 2008
Corte dei Conti, Sez. III, 25 ottobre 2005, n. 623
tar Lazio n. 5454 del 2005
tar Veneto 8 gennaio 2004
tar Lazio 5 aprile 2004
tar Lazio 25 giugno 2004
tar Lazio 17 aprile 2007, n. 3315
tar Lazio n. 5177 del 2008
trib. Lecce 25 luglio 1995
trib. Milano 20 maggio 2000
trib. Lecce, 23 agosto 2001
trib. Cassino 18 dicembre 2002
trib. Como 22 febbraio 2003
trib. Lecce 4 giugno 2003
trib. Trieste 23 dicembre 2003
trib. Bari 12 marzo 2004
trib. Torino 3 maggio 2005
trib. Lecce 9 giugno 2005
trib. Bergamo 20 giugno 2005
trib. Civitavecchia 20 luglio 2006


Riferimenti dottrinali principali
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2. AA.VV., Patologia psichiatrica da stress, mobbing e costrittività organizzativa. La tutela dell'INAIL, ed. INAIL, 2007
3. AMATO F., CASCIANO M. V., LAZZERONI L. e LOFFREDO A., Il mobbing - Aspetti lavoristici: nozione, responsabilità, tutele, Giuffrè, Milano, 2002
4. Bianchi Leonardo, Ammalarsi di lavoro, Edizioni Entropie, 2001
5. BONA, MONATERI, OLIVA, La responsabilità civile nel mobbing, IPSOA, 2007
6. BONA, MONATERI, OLIVA, Mobbing. Vessazioni sul luogo di lavoro, Giuffré, 2000
7. BONZIGLIA, MARIGLIANO, BONA, MONATERI, OLIVA, Accertare il mobbing, Giuffré, 2007
8. BUFFA, nota a Trib. Tempio Pausania 27 luglio 2003, in Nuova giurisprudenza on line, Ipsoa, 2003, www.iposoa.it/ngonline
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1 In particolare, si richiamano:
- la direttiva 76/207/CEE del Consiglio del 9 febbraio 1976 relativa all'applicazione del principio di uguaglianza tra uomini e donne per quanto concerne l'impiego, la formazione, la promozione professionale e le condizioni di lavoro;
- la direttiva quadro 89/391/CEE del Consiglio del 12 giugno 1989, relativa all'applicazione delle misure finalizzate alla promozione del miglioramento della sicurezza e salute dei lavoratori sul lavoro;
- la risoluzione del Consiglio del 29 maggio 1990, concernente la protezione della dignità della donna e dell'uomo al lavoro secondo la quale "ogni comportamento indesiderato a connotazione sessuale, o qualsiasi altro comportamento basato sul sesso, che offenda la dignità degli uomini e delle donne nel mondo del lavoro, può in determinate circostanze essere contrario al principio della parità di trattamento ai sensi degli articoli 3, 4 e 5 della Direttiva del Consiglio 76/207/CEE". La medesima risoluzione contempla, inoltre, l'ipotesi della creazione di un "ambiente di lavoro intimidatorio, ostile o umiliante" (c.d. molestia ambientale);
- la raccomandazione 92/131/CEE della Commissione del 27 novembre 1991, sulla protezione della dignità degli uomini e delle donne al lavoro alla quale è allegato un codice di condotta su come evitare e combattere le molestie sessuali;
- la direttiva 2000/43/CE del Consiglio del 29 giugno 2000, relativa all’applicazione del principio di uguaglianza di trattamento delle persone indipendentemente dall’origine razziale o etnica;
- la direttiva 2000/78/CE, del Consiglio del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro e per la quale le molestie sono da considerarsi una discriminazione in caso di comportamento indesiderato adottato sulla base della religione o delle convinzioni personali, degli handicap, dell’età o delle tendenze sessuali e avente lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo.

2 Sotto il primo profilo (Article L. 122-52 nouveau (dispositif sur la charge de la preuve), si prevede che "En cas de litige relatif à l'application des articles L. 122-46 et L. 122-49, dès lors que le salarié concerné établit des faits qui permettent de présumer l'existence d'un harcèlement, il incombe à la partie défenderesse, au vu de ces éléments, de prouver que ces agissements ne sont pas constitutifs d'un tel harcèlement et que sa décision est justifiée par des éléments objectifs étrangers à tout harcèlement. Le juge forme sa conviction après avoir ordonné, en cas de besoin, toutes les mesures d'instruction qu'il estime utiles".
Sotto il secondo profilo (L. 122-54 nouveau (dispositif sur la médiation), si disciplina il nuovo istituto della mediazione: "Une procédure de médiation peut être engagée par toute personne de l'entreprise s'estimant victime de harcèlement moral. Elle peut être également mise en oeuvre par la personne mise en cause. Le choix du médiateur fait l'objet d'un accord entre les parties".


Fonte: cisaluniversita.org