Tribunale di Milano, Ufficio del GIP, 17 ottobre 2011 - Mobbing e natura para - familiare del rapporto di lavoro
n. 4864/09 R.G.N.R.
n. 1172/09 R.G.G.I.P.
Tribunale di Milano
Ufficio del Giudice delle indagini preliminari
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
lì Giudice Doti Enrico MANZI ha pronunciato la presente
SENTENZA
nel giudizio abbreviato celebrato nei confronti di:
-gli imputati:
1) ... elettivamente domiciliato presso il difensore di fiducia avv. Alessandro PISTOCHINI in Corso di Porta Vittoria n. 10 MILANO
CONTUMACE
difeso di fiducia dall'avv. Alessandro PISTOCHINI con studio in Corso di Porta Vittoria n. 10 MILANO e dall'avv. Francesco MUCCIARELLI con studio in Via Manin n. 3 MILANO
PRESENTI
2) ... elettivamente domiciliato presso il difensore di fiducia avv. Massimo DINOIA Corso Venezia n. 40 MILANO
CONTUMACE
difeso di fiducia dall'avv. Massimo DINOIA con studio in Corso Venezia n. 40 MILANO, sostituito con delega dall'Avv. Armando SIMBARI
PRESENTE
IMPUTATI
Del reato p. e p. dagli artt. 110, 572 c. 2 c.p„ perchè in concorso tra loro ... dall'aprile 2005, ... dal marzo 2006 al giugno 2006 ponevano in essere atti di maltrattamento sul lavoro, e segnatamente di "straining", nei confronti di ... persona sottoposta, nei periodi sopra indicati, alla loro autorità, fatto dal quale derivava una incapacità di attendere alle proprie ordinarie occupazioni dal maggio 2006 al 14/12/2009.
In particolare, nella primavera del 2005 il ... sottraeva al ... - allora Responsabile dell'Unità Customer Care della Lombardia il compito di sovraintendere e firmare le lettere di risposta ai reclami; nell'agosto dello stesso anno dopo aver ordinato al ... un periodo di ferie, convocava una riunione di sigle sindacali ove venivano discussi, in assenza del predetto, comportamenti del ... risultati sgraditi agli altri dipendenti.
A partire dal 12/09/2005, nel corso di un periodo di malattia del dipendente, il ... assumeva ad interim l'incarico di Responsabile del Customer Care dell'Area Territoriale Lombardia sottraendolo al ... e collocando quest'ultimo in "staff al Direttore di Area" destinandolo ad una stanza molto piccola e isolata nel piano ammezzato, sporca e non rimbiancata prima del trasferimento deprivandolo delle risorse umane e di ogni incarico specifico, nonché di progetti lavorativi dì lunga durata affidandogli mansioni decise giornalmente da terzi e non corrispondenti alle qualità professionali dello stesso seguite da periodi di completa inattività.
Più precisamente affidava al ... le seguenti mansioni: gestione del "charge off individuals" esercitata dal dipendente per il tramite dell'Ufficio Controllo Rischi di Area; telethon: mansione consistita nel compilare moduli per richiesta somministrazione bevande al Comune di ... e e dei relativi bollettini postali;
verifica dei tempi di risposta alle domande dì credito; preparazione di mail e lettere per il Direttore di Area, inoltrate dallo stesso poi a proprio nome.
Nel marzo 2006 il ... collocava il ... presso l'Unità Controllo Rischi di Area senza alcuna comunicazione (posizione regolarizzata solo il mese successivo) in modo tale che il dipendente venisse a conoscenza dello spostamento solo consultando l'elenco telefonico.
Presso l'Unità di Controllo Rischi di Area ... nuovo datore dì lavoro del ... gli conferiva mansioni meramente esecutive e non corrispondenti alla sua qualifica professionale quali la compilazione di schede tecniche di valutazione di prestiti personali e mutui e imponeva al predetto di chiedere l'autorizzazione per ogni comunicazione alle reti dell'agenzia.
Il 29/06/2006 ... inseriva il ... nel posto di lavoro come ... ruolo risultato poi meramente formale atteso che i suoi compiti erano determinati da altri e lo stesso non aveva una posizione di coordinamento del personale; in particolare, venivano affidate al ... la gestione delle posizioni debitorie da regolarizzare e di altre posizioni irregolari sulle carte di credito, di fatto limitando il suo compito a mero sollecito da parte delle agenzie senza autonomia gestionale delle pratiche.
A partire dal luglio 2007 il ... inseriva il ... presso l'Ufficio Monitoraggio Crediti in qualità di addetto, ulteriormente demansionandolo, e attribuendogli funzioni meramente esecutive alternate da periodi di inattività.
A partire dal marzo 2008 il ... inseriva il ... presso il Customer Care sempre in condizioni di demansionamento con funzioni ristrette alla sola Regione Liguria e affidamento di lavori meramente esecutivi.
Nel corso di tutto il periodo di tempo considerato il ... non ha mai ricevuto aggiornamento professionale e veniva escluso dai flussi informativi inerenti l'attività operativa
Tali comportamenti cagionavano a ... condizioni di vita lavorativa particolarmente penose e rendevano abitualmente frustranti le sue relazioni personali e lavorative.
Con l'aggravante di aver cagionato a ... lesioni consistite in "disturbo dell'adattamento, reazione depressiva prolungata da problemi sul lavoro", comportante un'incapacità ad attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore a giorni 40 (condizione psichica riscontrata il 06/10/2005 e perdurante al 14/12/2009).
In Milano condotta tenuta dal gennaio 2005 al luglio 2008 - stato di malattia in permanenza attuale.
Conclusioni delle parti:
Il P.M. ritenuti gli imputati responsabili dei reati chiede:
per ... la pena di mesi 6 di reclusione, previa riduzione per il rito e la concessione delle attenuanti generiche da ritenersi equivalenti alla contestata aggravante.
per ... la pena di mesi 5 giorni 10 di reclusione, previa riduzione per il rito e la concessione dette attenuanti generiche da ritenersi equivalenti alla contestata aggravante.
La Parte Civile conclude associandosi alla richiesta del P.M. e riportandosi alte conclusioni scritte che deposita. Deposita altresì nota spese con relativo allegato.
L'avv. Simbari per ... conclude chiedendo emettersi sentenza di assoluzione con la formula più ampia.
... conclude chiedendo emettersi sentenza di assoluzione e si riporta alle conclusioni della memoria in atti.
... conclude riportandosi alle note d'udienza che deposita e che illustra
MOTIVAZIONE
1. Svolgimento del processo
Il Pubblico Ministero ha promosso l'azione penale contro ... chiedendone il rinvio a giudizio con il rito ordinario; nel corso della udienza preliminare gli imputati hanno chiesto dì definire il processo con rito abbreviato. II giudice ha disposto in conformità.
Sulle conclusioni delle parti il processo è stato definito con la lettura del dispositivo e la riserva dei motivi ai sensi dell'art. 544.3 cod. proc. pen.
Si espongono nel paragrafo seguente le ragioni di fatto e di diritto poste a base della decisione.
2. Motivi della decisione
Con denuncia querela del 28.2.2008 ... funzionario della ... esponeva diversi fatti relativi a comportamenti persecutori assunti nei suoi confronti da organi e funzionari dell'istituto negli anni dal 2005 in poi, tali da procurargli una malattia professionale espressamente certificata e risarcita dall'INAIL.
Oltre a descrivere minutamente le angherie subite, tutte finalizzate a provocare la sua emarginazione nell'ambiente di lavoro e manifestargli il disprezzo dei superiori nei suoi confronti, il querelante faceva presente che ... aveva deliberatamente omesso di intervenire per porre fine a tale condizione di lavoro patogena, oltretutto tenendolo all'oscuro, fin dal 2006 (anno in cui la malattia era stata accertata e conosciuta dai responsabili dell'istituto), della avvenuta notifica di sospetta malattia professionale per disturbo dell'adattamento e problemi di lavoro.
La omessa segnalazione della sua situazione agli organi competenti, precisava ..., appariva finalizzata ad evitare qualsiasi intervento che potesse porvi rimedio ed era chiaramente strumentale a provocare il suo licenziamento o forzarne le dimissioni.
Il querelante, infine, allegava l'accertamento dell'INAIL da cui si evidenziava, a suo dire, una chiara situazione di "mobbing" ai suoi danni - con ciò intendendo, secondo la definizione datane dalle norme comunitarie recepite nel nostro ordinamento: "le molestie ovvero quei comportamenti indesiderati... aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante e offensivo"' (art. 2/3 D. Lgs. 216/2003).
Va subito precisato, in questa sede, che il richiamo oltremodo preciso della difesa della p.o. alle norme comunitarie deve essere completato con la considerazione che il legislatore, proprio in sede di recepimento delle norme europee contro la discriminazione di qualsiasi tipo negli ambienti di lavoro (a causa di handicap, convinzioni politiche, orientamento sessuale e altro), non ha previsto alcuna sanzione di tipo penale, limitandosi a rafforzare gli strumenti processuali civili e a includere la tutela dei soggetti discriminati nell'ambito delle norme giuslavoristiche.
Tale considerazione appare già da subito decisiva in quanto il legislatore nazionale non ha ritenuto di prevedere un nuovo delitto di "mobbing", così inducendo gli interpreti a ricercare nelle norme vigenti quella che potesse meglio adattarsi alla fattispecie e individuando la stessa nell'art. 572 c.p. (con tutti i limiti che tale norma presenta).
Tornando alla vicenda del ... accennava ad una indagine svolta dall'INAIL in merito alle patologie che hanno afflitto il denunciante per effetto dei presunti maltrattamenti subiti sul luogo di lavoro.
Proprio perché appare decisiva al fine di ricostruire con ordine i fatti (oggetto di esposti ripetuti e dettagliatissimi della p.o.), si ritiene opportuno riportare in questa sede l'esito degli accertamenti "oggettivi" dell'INAIL che, come già accennato, non ha mai sottovalutato la situazione prospettata dall'esponente, arrivando a certificare la esistenza di una situazione patologica del rapporti fra dipendente e suoi superiori.
L'istituto, all'esito delle dovute verifiche, rilevava con accuratezza tutto l'iter temporale dei comportamenti discriminatori subiti dal ... riassumendolo nei termini che di seguito si riportano:
1. Una sottrazione di responsabilità a favore di altra dipendente, ingiustificatamente favorita dai suoi dirigenti, durante il suo servizio alla unità Customer Care della ... ;
2. Le ingiuste e aspre critiche alla sua professionalità da parte del ... nel corso del 2005;
3. I contrasti avuti fra ... e la responsabile nazionale del servizio Customer Care ... sempre nel 2005;
4. La convocazione di un incontro intersindacale, nel luglio di quell'anno, finalizzato a criticare il suo comportamento, proprio nel periodo in cui si era messo in ferie per riprendersi dalle dure critiche subite dai suoi superiori;
5. La sua estromissione dal Customer Care nell'agosto 2005;
6. Il suo successivo inserimento in mansioni dequalificanti, se non addirittura degradanti, come componente di staff del direttore ...;
7. La sua allocazione in un vero e proprio "sgabuzzino", spoglio e sporco, per svilire ulteriormente la sia dignità di uomo e lavoratore;
8. La sua assegnazione a mansioni di mero esecutore, ripetitive, limitate e avvilenti;
9. L'ulteriore demansionamento conseguente alla sua collocazione alle dipendenze di ... come addetto alla unità controllo rischi;
10. Lo svilimento derivante della esistenza di rapporti preferenziali fra detto superiore e una sua dipendente, che veniva sostanzialmente "premiata" a suo discapito senza alcuna giustificazione.
Dopo avere descritto la cronologia dei fatti relativi al controverso rapporto fra il querelante, i suoi superiori e la banca di cui è dipendente, l'ente esponeva, in una sorta di contraddittorio scritto fra diverse versioni dei fatti, il punto dì vista aziendale e quello delle organizzazioni sindacali.
Secondo quanto riferito all'ispettore dal ... odierno imputato, l'aspetto più problematico dei rapporti con il ... era costituito dalla sua conflittualità con gli altri dipendenti a causa della sua tendenza, denunciata da più di un collega, ad avere atteggiamenti offensivi verso gli stessi. . .
In relazione a questi atteggiamenti, come riferito dallo stesso ... era stato organizzato in azienda un incontro fra rappresentanti sindacali, tenutosi il 27.7.2005.
L'azienda, peraltro, non aveva sollevato alcuna contestazione disciplinare al ... in ragione di questi suoi presunti atteggiamenti scorretti.
In merito a questo fatti sono stati interpellati dall'ispettore due sindacalisti che, pur confermando la circostanza dell'incontro sindacale organizzato per discutere i presunti atteggiamenti offensivi del querelante, hanno comunque riferito che lo stesso era apprezzato per la sua professionalità e che il suo allontanamento dall'ufficio Customer Care - con il successivo inserimento nello staff del direttore d'area - era una oggettiva "degradazione" di responsabilità.
Tale inserimento, secondo il rappresentate della ... Sig. .... era stato impostato dalla dirigenza come una sorta di parcheggio del dipendente senza competenze ben definite.
Gli stessi sindacalisti evidenziavano che era rispondente al vero il fatto denunciato dal ... di essere stato allocato, in quel periodo, in "un vero e proprio fatiscente stanzino".
L'ispettore INAIL ha poi riportato la testimonianza della dipendente ... collaboratrice subordinata del ... al Customer Care che ha smentito gli apprezzamenti negativi degli altri dipendenti circa il carattere e i comportamenti offensivi dello stesso. Secondo la ..., era chiaro che gli altri dipendenti di ... si erano coalizzati per allontanarlo dal suo ufficio, ritenendolo incapace di gestire i rapporti con il personale.
Appare, a questo punto, estremamente interessante riportare le conclusioni della ispezione.
Secondo il funzionario dell'INAIL, la oggettiva dequalifìcazione del ... da un ruolo di responsabilità a quella di membro senza precise competenze di uno "staff" ha comportato il passaggio da mansioni contrassegnate da "marcata autonomia decisionale" a ruoli caratterizzati da "bassa e/o nessuna autonomia".
Tale situazione, secondo le disposizioni interne dell'INAIL, aveva indotto il suo ufficio a disporre una verifica circa la sussistenza di disturbi psichici conseguenti a "costrittività organizzativa su lavoro" (Circ. INAIL 71/03).
All'esito delle opportune verifiche l'ispettore rilevava che si era certamente verificata la marginalizzazione dell'attività lavorativa a danno del ... e un reale svuotamento di mansioni da lui espletate.
Il primo rilievo conseguiva alle testimonianze raccolte, anche di parte sindacale (cioè di quei soggetti che sembravano essersi lamentati dei comportamenti del ... verso i subordinati) circa la collocazione in un ruolo di livello inferiore a quello in precedenza ricoperto e il trasferimento nel già citato "sgabuzzino".
In ordine allo svuotamento di mansioni, l'ispettore rilevava che le mansioni ricoperte nello staff erano prive di rilevanza e autonomia e che rispetto a quelle precedentemente svolte comportavano un oggettivo svilimento del ruolo del querelante.
Il successivo collocamento nelle unità controllo rischi comportava, secondo l'ispettore, il suggello del progressivo demansionamento. Anche la susseguente collocazione in una funzione di coordinamento non aveva comportato una riappropriazione di autonomia decisionale essendo costantemente subordinato al ... .
Per finire all'esito dell'ispezione venivano comunque escluse quali circostanze indicative di comportamenti discriminatori:
- La mancata assegnazione di compiti lavorativi con inattività forzata
- La mancata assegnazione di strumenti di lavoro
- Ripetuti trasferimenti ingiustificati
- La attribuzione di compiti esorbitanti o eccessivi
- L'impedimento sistematico strutturale all'accesso di notizie
- La inadeguatezza strutturale e sistematica di informazioni inerenti l'ordinaria attività di lavoro.
- L'esercizio esasperato ed eccessivo di forme di controllo
I passaggi di funzione, inoltre, avevano comportato la esclusione del lavoratore da iniziative di formazione, riqualificazione ed aggiornamento.
§§§
Ritenendo in qualche modo fondata la denuncia del ... e partendo dalla considerazione che il fenomeno del mobbing - già ben noto alla giurisprudenza civile del lavoro - sia ricomprendibile nella definizione di maltrattamenti di cui all'art. 572 c.p., il p.m. ha disposto nel corso delle indagini una consulenza tecnica finalizzata ad accertare se il querelante soffriva di patologie psichiche riconducibili ad episodi di mobbing e quali fossero le condotte da cui si erano originate.
All'esito degli accertamenti peritali, il consulente - ovviamente rimanendo su un piano psicologico e non giuridico, non potendo certo attribuire allo stesso il potere/dovere di individuare la norma sanzionatrice da applicare - accertava che il ... aveva subito una azione di "straining", con ciò intendendo "una situazione lavorativa conflittuale in cui la vittima ha subito azioni ostili limitate nel numero e/o distanziate nel tempo (e quindi non rientranti nei paramentri del mobbing), tuttavia tali da provocarle una modificazione in negativo costante e permanente della sua condizione lavorativa" (pag. 10 relazione ct.).
Sempre secondo il c.t., ... aveva subito, per effetto di tale azione, un "disturbo all'adattamento", seppur di grado lieve, insorto dal 2005 come diretta conseguenza della situazione lavorativa penalizzante.
§§§
Il presente giudizio deve essere affrontato, a parere di Questo Ufficio, sotto il duplice profilo di un effettivo accertamento delle condotte degli imputati ai danni del ... ma soprattutto della individuazione dei casi nei quali, nel nostro ordinamento, sia penalmente punibile la condotta del datore di lavoro identificata con il termine "mobbing".
In alcune pronunce di merito e in qualche isolata decisione della S.C. si è ritenuto di ricondurre questa condotta nella fattispecie dell'art. 572 c.p. soprattutto alla luce del fatto che la norma, dopo avere contemplato i maltrattamenti a persone della famiglia, fa espresso riferimento ai maltrattamenti contro una persona soggetta all'autorità del soggetto agente.
Una interpretazione estesa di questa disposizione sembrerebbe idonea a sanzionare tutti i casi in cui un superiore, a prescindere dalla dimensione della organizzazione in cui sia inserito, della natura dell'ambito in cui avvengono i maltrattamenti e del livello di gerarchia, sottopone un suo subordinato gerarchico a vessazioni, azioni discriminatorie, angherie, violenze fisiche o psichiche, caratterizzate dalla finalità di "degradare" il dipendente.
Sul punto appare necessario riportare quanto ha statuito la S.C. su questo tema.
Di recente la Corte ha affermato che: Le pratiche persecutorie realizzate ai danni del lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione (cosiddetta "mobbing") possono integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia esclusivamente qualora il rapporto tra datore di lavoro e il dipendente assuma natura para-familiare, in quanto caratterizzato da relazioni intense ed abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell'altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia. (Fattispecie in cui è stata esclusa la configurabilità del reato in relazione alle condotte vessatorie poste in essere dal capo squadra nei confronti di un operaio)
Sez. 6, Sentenza 685 del 22/09/2010 Cc. (dep. 13/01/2011) Rv. 249186
In precedenza la S.C. aveva precisato che: "tale fenomeno, così come definito, appare più prossimo alla fattispecie di cui all'art. 572 c.p. (maltrattamenti commessi da soggetto investito di autorità) la cui integrazione richiede, comunque, la ravvisabilità dei parametri di frequenza e durata nel tempo delle azioni ostili al fine di valutarne il complessivo carattere persecutorio e discriminatorio (nella specie non compiutamente contestati).
Sez. 5, Sentenza n. 33624 del 09/07/2007 Cc. (dep. 29/08/2007) Rv. 237439.
E' importante, a parere di Questo Ufficio, analizzare con attenzione le motivazioni delle pronunce ora citate perchè le stesse risolvono in termini assolutamente chiari, la questione circa la punibilità di tali condotte, affermando principi che sono del tutto condivisibili, anche sul piano della interpretazione conforme ai parametri costituzionali di uguaglianza e di stretta legalità del sistema penale.
Nella motivazione della sentenza del 2007 la Corte ha puntualizzato che:
"Con la nozione (delineatasi nella esperienza giudiziale giuslavoristica) di mobòing. si individua la fattispecie relativa ad una condotta che si protragga nel tempo con le caratteristiche della persecuzione, finalizzata all'emarginazione del lavoratore, onde configurare una vera e propria condotta persecutoria posta in essere dal preposto sul luogo di lavoro."
La condotta di mobbing suppone non tanto un singolo atto lesivo, ma una mirata reiterazione di una pluralità di atteggiamenti, anche se non singolarmente connotati da rilevanza penale, convergenti sia nell'esprimere l'ostilità del soggetto attivo verso la vittima sia nell'efficace capacità di mortificare ed isolare il dipendente nell'ambiente di lavoro. Pertanto la prova della relativa responsabilità "deve essere verificata, procedendosi alla valutazione complessiva degli episodi dedotti in giudizio come lesivi ... che può essere dimostrata per la sistematicità e durata dell' azione nel tempo, dalle sue caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione, risultanti specificamente da una connotazione emulativa e pretestuosa ..." (cfr. Cass. civ,, Sez. L, 6.2006, Meneghello/Unicredit Spa, CED Cass. 587359).
La Corte, in quella occasione, non aveva escluso, in linea di principio, la applicabilità al mobbing della fattispecie criminosa di cui all'art. 572 c.p. ribadendo che:
"... È approdo giurisprudenziale di questa Corte che la figura di reato maggiormente prossima ai connotati caratterizzanti il cd. mobbing è quella descritta dall'art. 572 c.p., commessa da persona dotata di autorità per l'esercizio di una professione..."CED Cass. 218201.
Date queste premesse basilari - cioè la applicabilità al mobbing dell'art. 572 c.p., con la necessità di dare la prova rigorosa e puntuale dell'atteggiamento di ostilità verso il dipendente per provocarne la mortificazione sul piano professionale e umano - la Corte, con la sentenza del 2010, ha limitato la interpretazione della norma in questione, considerandola applicabile solo a situazioni lavorative comparabili a quelle di una "famiglia", o comunque, ad un gruppo di persone legate da rapporti personali diretti e quotidiani:
" ... Non va sottaciuto, inoltre, che le pratiche persecutorie realizzate ai danni del lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione (cd. mobbing) possono integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia esclusivamente nel caso in cui il rapporto tra il datore di lavoro e il dipendente o, per rimanere aderenti alla fattispecie in esame, tra il preposto e il lavoratore soggetto all'autorità del primo assuma natura para-familiare, in quanto caratterizzato da relazioni intense e abituali, da consuetudini di vita tra i detti soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell'altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia (cfr. Cass. Sez. 6 6/2/2009 n. 26594, che fa esemplificativamente riferimento al rapporto che lega il collaboratore domestico alle persone della famiglia presso cui svolge la propria opera o al rapporto che può intercorrere tra il maestro d'arte e l'apprendista).
Nel nostro codice penale, però, nonostante una delibera del Consiglio d'Europa del 2000, che vincolava tutti gli Stati membri a dotarsi di una normativa corrispondente, non v'è traccia di una specifica figura incriminatrice per contrastare tale pratica persecutoria definita mobbing. Sulla base del diritto positivo e dei dati fattuali acquisiti, pertanto, la via penale non appare praticabile.
È certamente percorribile, invece, la strada del procedimento civile, costituende il mobbing titolo per il risarcimento del danno eventualmente patito dal lavoratore in conseguenza di condotte e atteggiamenti persecutori del datore di lavoro o del preposto. La responsabilità datoriale ha natura contrattuale ex art. 2087 cc, norma questa in stretto collegamento con quelle costituzionali poste a difesa del diritto alla salute (art. 32) e del rispetto della sicurezza, della libertà e della dignità umana nell'esplicazione dell'iniziativa economica (art. 41). Il legittimo esercizio del potere imprenditoriale, infatti, deve trovare un limite invalicabile nell'inviolabilità di tali diritti e nella imprescindibile esigenza di impedire comunque l'insorgenza o l'aggravamento di situazioni patologiche pregiudizievoli per la salute del lavoratore, assicurando allo stesso serenità e rispetto nella dinamica del rapporto lavorativo, anche di fronte a situazioni che impongano l'eventuale esercizio nei suoi confronti del potere direttivo o addirittura di quello disciplinare. Il mobbing è solo vagamente assimilabile alla previsione di cui all'art. 572 c.p., ma di questa non condivide tout court, quasi per automatismo, tutti gli elementi tipici."
Questo Ufficio ritiene di condividere pienamente la interpretazione della S.C. perché la caratteristica fondamentale del reato di cui all'art, 572 c.p., la sua caratteristica ontologica (a motivo della quale la norma è inserita nel titolo dei delitti contro la famiglia) è quella di reprimere non la generica discriminazione contro il lavoratore dipendente, né tantomeno la sistematica violazione dei doveri contrattuali di rispetto della sua integrità fisica e morale, ma lo stravolgimento di un peculiare rapporto personale fra il "superiore" e un subordinato, in un ambito che per dimensioni e rapporti di quotidianità può essere assimilato ad una famiglia.
La azione persecutoria, in questi casi, può provenire solo da un determinato soggetto e deve essere personale e diretta, in modo tale da inquinare irreparabilmente un rapporto di fiducia che va ben oltre il solo rapporto gerarchico.
La ratio di tale limitazione della applicabilità dell'art. 572 c.p. (una interpretazione limitativa della norma che non contrasta con il principio costituzionale di uguaglianza) risiede nelle particolari caratteristiche dei piccoli ambienti di lavoro rispetto a quelli delle grandi organizzazioni aziendali.
In tali ambienti il subordinato non è un semplice "inferiore", con propri diritti e doveri ben codificati, ma viene coinvolto in una rapporto diretto e personale con il suo superiore. Si instaura in questi luoghi un rapporto che non è limitato alla esecuzione di un compito, ma che coinvolge la persona in una rapporto di fiducia personale verso il datore di lavoro. Tale rapporto deve essere particolarmente protetto dagli abusi del superiore, perché l'offesa verso il subordinato incide, in questi casi, in maniera profonda sulla dignità e sull'equilibrio psicologico ed emotivo del lavoratore.
Viene leso, infatti, non solo un diritto del dipendente, ma una sua condizione umana e i maltrattamenti rendono insopportabile non solo l'orario di lavoro, ma la vita quotidiana. Va poi considerato che nelle piccole aziende non è possibile al subordinato cambiare ufficio, chiedere un trasferimento o appellarsi alle autorità superiori dell'ente giuridico.
In tali situazioni (si pensi al lavoratore domestico, alla collaboratrice famigliare, all'unico lavoratore subordinato di una piccola azienda famigliare, al ragazzo di bottega di un artigiano) il dipendente viene coinvolto in un rapporto necessariamente personale ed è in questa situazione che non può essere tollerato dall'ordinamento il comportamento del superiore che si atteggi verso l'inferiore con disprezzo, irrisione, violenza morale o fisica, malvagità, palese o voluta ingiustizia rispetto ai comportamento tenuto verso altri compagni di lavoro perché questo comporta ben più di un illecito civile, ma un danno alla stessa personalità del dipendente.
Il bene giuridico tutelato dall'art. 572 c.p., pertanto, è ben più corposo e delicato della sola, anche se grave, violazione dei doveri contrattuali verso il dipendente e per questo motivo non può essere ravvisato nelle aziende di grandi dimensioni in cui il lavoratore presta, sostanzialmente, solo il suo tempo e le sue capacità intellettuali e fisiche ad un soggetto impersonale, ad una organizzazione complessa e articolata.
In queste organizzazioni, come nei fatti è avvenuto nella vicenda del ... vi possono essere comportamenti illeciti da parte di uno o più organi di comando, ma non si può affermare che la azienda nel suo complessò abbia maltrattato il dipendente in quanto si tratta in ogni caso di un rapporto distaccato e formale, nel cui ambito il dipendente gode di un complesso di garanzie che gli consentono di reagire alle ingiuste offese di cui possa essere fatto segno.
Nel caso specifico, fra l'altro, l'unico aspetto rilevato come causa di disagio psichico da parte dell'INAIL - che pure ha ritenuto di ravvisare nella fattispecie una situazione patologica a danno del lavoratore - è costituito dal demansionamento ingiustificato. Un fatto, questo, che può essere sicuramente oggetto di efficaci e penetranti interventi del giudice civile.
Anche la ct. del p.m., fra l'altro, al di là della distinzione molto empirica fra "mobbing" e "straining", ha accertato che i comportamenti ostili della struttura aziendale contro ... sono stati discontinui.
Questa conclusione sarebbe di per sé sufficiente ad escludere il reato di cui all'art. 572 c.p., anche se si ammettesse, per puro esercizio teorico, che la norma possa essere applicata ad ogni rapporto di lavoro, a prescindere dalla dimensione della organizzazione lavorativa.
A monte di queste considerazioni, comunque, in via assorbente e decisiva, si ritiene che non sia applicabile alla fattispecie la ipotesi delittuosa contestata dal p.m. perché l'ambito lavorativo in cui sono avvenuti i presunti maltrattamenti denunciati dal lavoratore è di per sé incompatibile, per le sue dimensioni, per la sua articolazione strutturale e per la complessità delle sue articolazioni, con la nozione di ambiente "para famigliare" in cui può essere commesso il delitto di cui si tratta.
Gli imputati vanno pertanto assolti ex art. 530/1 c.p.p. perché mancano gli stessi presupposti di fatto per la applicabilità della norma punitiva.
P.Q.M.
Visto l'art. 530 c.p.p. Assolve gli imputati ... e ... dal reato a loro ascritto perché il fatto non sussiste
Letti gli artt. 544 e 548 c.p.p. dispone che il deposito della motivazione avvenga entro il sessantesimo giorno dalla deliberazione.
Milano, 30 settembre 2011
DEPOSITATO in CANCELLERIA il 17 ottobre 2011