Tribunale di Milano, Sez. Lav., 15 novembre 2011 - Riconoscimento dei benefici previdenziali di cui all'art. 13, co. 8, L. 257/92
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI MILANO
SEZIONE LAVORO
Il dott. NICOLA DI LEO in funzione di giudice del lavoro ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. 1164/2011 R.G. promossa da:
AG.GA., con il patrocinio dell'avv. GA.AL. con elezione di domicilio in omissis presso e nello studio dell'avv. GA.AL.
ATTORE
contro:
I.N.P.S., con il patrocinio dell'avv. SA.CA.AN., con elezione di domicilio in omissis, presso e nello studio dell'avv. SA.CA.AN.
CONVENUTO
OGGETTO: Riconoscimento dei benefici previdenziali di cui all'art. 13, co. 8, L. 257/92.
Fatto
Con ricorso al Tribunale di Milano, quale giudice del lavoro, depositato in data 28.1.11, AG.GA. ha chiamato in giudizio l'I.N.P.S. per sentire dichiarare il proprio diritto al riconoscimento dei benefici previdenziali di cui all'art. 13, co. 8, L. 257/92, essendo stato esposto a polveri di amianto per un periodo ultradecennale per oltre otto ore al giorno, lavorando presso l'AT. S.p.A. di omissis.
Ha dedotto il ricorrente di aver prestato la propria opera, dal 6.9.71 al 30.6.07 - facendo riferimento al deposito di omissis, ma con l'attività lavorativa, comunque, in diverse sottostazioni elettriche della metropolitana e, principalmente, in quella di omissis - con la qualifica di operaio elettromeccanico, sempre con le medesime mansioni, finalizzate alla manutenzione della Metropolitana omissis.
A sostegno delle proprie pretese, la parte attrice ha posto in evidenza come il proprio operato sia sempre stato svolto nelle sottostazioni elettriche su impianti con Ampolle ai vapori di mercurio, successivamente sostituite con Armadi Raddrizzatori al silicio, in cui sarebbero stati presenti gli interruttori estrarapidi con caminetti spegni arco in amianto.
Ugualmente, anche le apparecchiature installate precedentemente rispetto agli interruttori estrarapidi sarebbero state dotate di interruttori chiamati catodici e anodici, dotati anch'essi di caminetti spegni arco in amianto.
Inoltre, sugli interruttori delle ampolle avrebbero operato contemporaneamente in fase di manutenzione 6/10 operai e, poiché non vi sarebbe stata sempre la disponibilità dell'aspiratore, si sarebbe dovuto far uso, per la manutenzione, spesso, di stracci, pennelli, nonché di aria soffiata a bocca.
Peraltro, alla base delle ampolle, sarebbero stati collocati dei grossi ventilatori, utili per il raffreddamento della macchina, che avrebbero provocato una grandissima dispersione di polveri e fibre di amianto.
In più, la manutenzione effettuata dal ricorrente su parti d'amianto sarebbe stata compiuta con carta vetrata e spazzole di ferro, determinando una grossa quantità di polveri d'amianto che si disperdevano nell'aria in tutto l'ambiente lavorativo.
E, ancora, i soffitti delle cabine elettriche sarebbero stati coibentati in amianto e sarebbero stati sfaldati a causa delle infiltrazioni d'acqua e per il continuo passaggio delle vetture metropolitane.
Ha tenuto, inoltre, a sottolineare la parte attorea come ai lavoratori non sarebbe stata data in uso, salvo saltuariamente, una efficace mascherina di protezione per le vie respiratorie e come non sarebbero sussistiti in azienda idonei aspiratori, ricordando, da ultimo, come sarebbe nota la presenza nelle vetture della metropolitana di un'elevata quantità d'amianto (nel sottocassa, nei caminetti spegniarco e nei freni).
Nelle conclusioni, pertanto, la parte ha domandato che fosse accertata l'esposizione ultradecennale per otto ore al giorno al rischio di amianto con concentrazioni superiori a 100 flt o, comunque, pericolose per la salute, con declaratoria del diritto della stessa al riconoscimento dei benefici previdenziali di cui all'art. 13, co. 8, L. 257/92 e con condanna dell'I.N.P.S. al ricalcolo della propria anzianità contributiva ai fini pensionistici mediante applicazione del coefficiente di legge per tutto il periodo indicato. Con vittoria di spese.
Costituendosi ritualmente in giudizio, con articolata memoria difensiva, l'I.N.P.S. ha contestato la fondatezza delle domande, chiedendone il rigetto. Con vittoria di spese.
In particolare, l'Ente convenuto ha contestato la propria legittimazione a stare in giudizio sostenendo la sussistenza della legittimazione passiva dell'INAIL.
Ha, poi, rilevato come con decreto del 27.10.04 del Ministero del Lavoro, in attuazione delle previsioni di cui all'art. 47 della L. 326/03, ha stabilito, all'art. 3, che "la sussistenza e la durata dell'esposizione all'amianto sono accertate e certificate dall'INAIL. 2. La domanda di certificazione dell'esposizione all'amianto, predisposta secondo lo schema di cui all'allegato 1, deve essere presentata alla sede INAIL entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, a pena di decadenza dal diritto ai benefici pensionistici di cui all'art. 2, comma 1. Per data di presentazione della domanda si intende la data di arrivo alla sede INAIL o la data del timbro postale di invio nel caso di raccomandata. I lavoratori di cui all'art. 1, comma 1, che hanno già presentato domanda di certificazione dell'esposizione all'amianto alla data del 2 ottobre 2003 devono ripresentare la domanda".
In udienza, è stato verificato che la domanda all'INAIL di cui alla menzionata norma fosse stata presentata entro il termine.
Quindi, tentata inutilmente la conciliazione, è stata svolta la necessaria istruttoria testimoniale e disposta una CTU medico legale e, non essendo necessaria alcuna ulteriore attività istruttoria, la causa è stata oralmente discussa e decisa come da dispositivo pubblicamente letto.
Diritto
A) LA SUCCESSIONE DELLE DISPOSIZIONI NORMATIVE.
E', innanzitutto, da ricordarsi come, nella materia del riconoscimento dei benefici previdenziali per il "rischio amianto", l'art. 13, co. 8, della L. 257/92 così disponga: "ai fini del conseguimento delle prestazioni pensionistiche i periodi di lavoro soggetti all'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall'esposizione all'amianto gestita dall'Inail quando superano i 10 anni sono moltiplicati per il coefficiente di 1,5".
Successivamente, l'art. 47 del D.L. n. 269/03, convertito nella legge 326/03, ha stabilito che "a decorrere dal 1 ottobre 2003, il coefficiente stabilito dall'articolo 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, è ridotto da 1,5 a 1,25. Con la stessa decorrenza, il predetto coefficiente moltiplicatore si applica ai soli fini della determinazione dell'importo delle prestazioni pensionistiche e non della maturazione del diritto di accesso alle medesime.
2. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche ai lavoratori a cui sono state rilasciate dall'INAIL le certificazioni relative all'esposizione all'amianto sulla base degli atti d'indirizzo emanati sulla materia dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali antecedentemente alla data di entrata in vigore del presente decreto.
3. Con la stessa decorrenza prevista al comma 1, i benefici di cui (al comma 1) sono concessi esclusivamente ai lavoratori che, per un periodo non inferiore a dieci anni, sono stati esposti all'amianto in concentrazione media annua non inferiore a 100 fibre/litro come valore medio su otto ore al giorno. I predetti limiti non si applicano ai lavoratori per i quali sia stata accertata una malattia professionale a causa dell'esposizione all'amianto, ai sensi del testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, (di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124).
4. La sussistenza e la durata dell'esposizione all'amianto di cui al comma 3 sono accertate e certificate dall'INAIL.
5. I lavoratori che intendano ottenere il riconoscimento dei benefici di cui (al comma 1) compresi quelli a cui è stata rilasciata certificazione dall'INAIL prima del 1 ottobre 2003, devono presentare domanda alla sede INAIL di residenza entro 180 giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto interministeriale di cui al comma 6, a pena di decadenza del diritto agli stessi benefici.
6. Le modalità di attuazione del presente articolo sono stabilite con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'Economia e delle Finanze, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore dei presente decreto.
6-bis. Sono comunque fatte salve le previgenti disposizioni per i lavoratori che abbiano già maturato, alla data di entrata in vigore del presente decreto, il diritto di trattamento pensionistico anche in base ai benefici previdenziali di cui all'articolo 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, nonché coloro che alla data di entrata in vigore del presente decreto, fruiscono dei trattamenti di mobilità, ovvero che abbiano definito la risoluzione del rapporto di lavoro in relazione alla domanda di pensionamento".
E', poi, intervenuto l'art. 3, comma 132, della L. 24.12.03 n. 350 che ha disposto che "in favore dei lavoratori che abbiano già maturato, alla data del 2 ottobre 2003, il diritto al conseguimento dei benefici previdenziali di cui all'articolo 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni, sono fatte salve le disposizioni previgenti alla medesima data del 2 ottobre 2003. La disposizione di cui al primo periodo si applica anche a coloro che hanno avanzato domanda di riconoscimento all'INAIL o che ottengono sentenze favorevoli per cause avviate entro la stessa data. Restano valide le certificazioni già rilasciate dall'INAIL".
Quindi, il decreto del 27.10.04 del Ministero del Lavoro, in attuazione delle previsioni di cui all'art. 47 della L. 326/03, ha stabilito, all'art. 3, che "1. La sussistenza e la durata dell'esposizione all'amianto sono accertate e certificate dall'INAIL.
2. La domanda di certificazione dell'esposizione all'amianto, predisposta secondo lo schema di cui all'allegato 1, deve essere presentata alla sede INAIL entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, a pena di decadenza dal diritto ai benefici pensionistici di cui all'art. 2, comma 1. Per data di presentazione della domanda si intende la data di arrivo alla sede INAIL o la data del timbro postale di invio nel caso di raccomandata. I lavoratori di cui all'art. 1, comma 1, che hanno già presentato domanda di certificazione dell'esposizione all'amianto alla data del 2 ottobre 2003 devono ripresentare la domanda.
3. L'avvio del procedimento di accertamento dell'INAIL è subordinato alla presentazione, da parte del lavoratore interessato, del curriculum lavorativo, predisposto secondo lo schema di cui all'allegato 2, rilasciato dal datore di lavoro, dal quale risulti l'adibizione, in modo diretto ed abituale, ad una delle attività lavorative di cui al medesimo art. 2, comma 2, comportanti l'esposizione all'amianto.
4. Le controversie relative al rilascio ed al contenuto dei curricula sono di competenza delle direzioni provinciali del lavoro.
5. Nel caso di aziende cessate o fallite, qualora il datore di lavoro risulti irreperibile, il curriculum lavorativo di cui al comma 3 è rilasciato dalla direzione provinciale del lavoro, previe apposite indagini.
6. Ai fini dell'accertamento dell'esposizione all'amianto, il datore di lavoro è tenuto a fornire all'INAIL tutte le notizie e i documenti ritenuti utili dall'Istituto stesso. Nel corso dell'accertamento, l'INAIL esegue i sopralluoghi ed effettua gli incontri tecnici che ritiene necessari per l'acquisizione di elementi di valutazione, ivi compresi quelli con i rappresentanti dell'azienda e con le organizzazioni sindacali firmatarie dei contratti collettivi applicati nell'azienda stessa.
7. Per lo svolgimento dei suoi compiti, l'INAIL si avvale dei dati delle indagini mirate di igiene industriale, di quelli della letteratura scientifica, delle informazioni tecniche, ricavabili da situazioni di lavoro con caratteristiche analoghe, nonché di ogni altra documentazione e conoscenza utile a formulare un giudizio sull'esposizione all'amianto fondato su criteri di ragionevole verosimiglianza.
8. La certificazione della sussistenza e della durata dell'esposizione all'amianto deve essere rilasciata dall'INAIL entro un anno dalla conclusione dell'accertamento tecnico.
9. Per i lavoratori di cui all'art. 1, comma 2, continuano a trovare applicazione le procedure di riconoscimento dell'esposizione all'amianto seguite in attuazione della previgente disciplina, fermo restando, per coloro i quali non abbiano già provveduto, l'obbligo di presentazione della domanda di cui al comma 2 entro il termine di 180 giorni, a pena di decadenza, dalla data di entrata in vigore del presente decreto.
10. Il lavoratore in possesso della certificazione rilasciata dall'INAIL presenta domanda di pensione all'ente previdenziale di appartenenza che provvede a liquidare il trattamento pensionistico con i benefici di cui al presente decreto".
Da ultimo, si rammenta che l'art. 13, comma 8 della L. 257/92 aveva dato luogo ad incertezze interpretative in ordine all'entità delle agevolazioni accordate dal legislatore.
Intervenne, allora la disposizione, contenuta nell'art. 1, comma 1, del decreto legge 5 giugno 1993, n. 169, la quale stabiliva che "per i lavoratori dipendenti dalle imprese che estraggono amianto o utilizzano amianto come materia prima, anche se in corso di dismissione o sottoposte a procedure fallimentari o fallite o dimesse, che siano stati esposti all'amianto per un periodo superiore a dieci anni, l'intero periodo lavorativo soggetto all'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall'esposizione all'amianto, gestita dall'INAIL, è moltiplicato, ai fini delle prestazioni pensionistiche, per il coefficiente 1,5". La legge 4 agosto 1993, n. 271, che ha convertito il summenzionato provvedimento di urgenza, sopprimendo la locuzione "dipendenti dalle imprese che estraggono amianto o utilizzano amianto come materia prima, anche se in corso di dismissione o sottoposte a procedure fallimentari o fallite o dimesse", ha inteso soddisfare, secondo quanto emerge dai lavori preparatori, l'esigenza di attribuire centralità all'assoggettamento dei lavoratori all'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall'amianto ed ha escluso che potesse darsi rilevanza alla tipologia dell'attività produttiva del datore di lavoro ai fini di una eventuale selezione per l'applicazione del beneficio in esame.
B) LA LEGITTIMAZIONE PASSIVA E LA PROPOSIZIONE NEI TERMINI DELL'ISTANZA DI CUI ALL'ART. 3 DEL DECRETO DEL 27.10.04 DEL MINISTERO DEL LAVORO.
Esaminata la suddetta normativa, preliminarmente, si deve affermare la legittimazione passiva dell'INPS, in quanto ente previdenziale detentore della posizione contributiva e pensionistica del lavoratore che agisce in giudizio.
Come, infatti, chiarito dalla Suprema Corte "con riguardo al beneficio della rivalutazione contributiva previsto dall'art. 13, comma ottavo, della legge n. 257 del 1992 in favore dei lavoratori del settore dell'amianto - beneficio consistente in un incremento dell'anzianità contributiva realizzato attraverso la rivalutazione per il coefficiente 1,5 dei periodi lavorativi di esposizione all'amianto - legittimato passivo rispetto alla domanda di attribuzione di detto beneficio è l'ente previdenziale detentore della posizione contributiva e pensionistica del lavoratore che agisce in giudizio" (cfr. Cass. Sentenza n. 6659 del 29/04/2003).
Inoltre, si deve rilevare come la parte attorea abbia proposto nei termini (in data 14.6.05: cfr. doc. 4 ric.) la istanza all'INAIL di cui all'art. 3 del decreto del 27.10.04 del Ministero del Lavoro.
Infine, è possibile rilevare come la domanda amministrativa sia stata trasmessa all'INPS il 6/11/10 (mentre il ricorso amministrativo è, addirittura, del gennaio 2011: cfr. doc. 1 e 2 ric.) e il ricorrente fosse andato in pensione il 1/7/07, cosicché non risultano maturati i tre anni e 300 giorni utili per la decadenza di cui all'articolo 47 del D.P.R. 639/70.
Infatti, detta norma dispone la decadenza nel termine di tre anni dalla data di comunicazione della decisione sul ricorso amministrativo (risultante dalla somma del termine presuntivo di centoventi giorni dalla data di presentazione della richiesta di prestazione di cui all'art. 7 della legge 11 agosto 1973, n. 533 e di centottanta giorni, previsto dall'art. 46, commi quinto e sesto, della legge 9 marzo 1989, n. 88), cosicché, ai tre anni previsti dall'art. 47 cit., si aggiungono i 300 giorni utili per il procedimento amministrativo e, perciò, appare che, nel caso in esame, la stessa non sia maturata.
In tal senso, la Suprema Corte ha, del resto, chiarito che "in tema di decadenza dall'azione giudiziaria per il conseguimento di prestazioni previdenziali, l'art. 47 del D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639 (nel testo modificato dall'art. 4 del d.l. 19 settembre 1992, n. 384, convertito, con modificazioni, nella legge 14 novembre 1992, n. 438) dopo avere enunciato due diverse decorrenze delle decadenze riguardanti dette prestazioni (dalla data della comunicazione della decisione del ricorso amministrativo o dalla data di scadenza del termine stabilito per la pronunzia della detta decisione), individua infine - nella "scadenza dei termini prescritti per l'esaurimento del procedimento amministrativo" - la soglia di trecento giorni (risultante dalla somma del termine presuntivo di centoventi giorni dalla data di presentazione della richiesta di prestazione di cui all'art. 7 della legge 11 agosto 1973, n. 533 e di centottanta giorni, previsto dall'art. 46, commi quinto e sesto, della legge 9 marzo 1989, n. 88), oltre la quale la presentazione di un ricorso tardivo - pur restando rilevante ai fini della procedibilità dell'azione giudiziaria - non consente lo spostamento in avanti del "dies a quo" per l'inizio del computo del termine decadenziale (di tre anni o di un anno)" (cfr. Cass. SU, Sentenza n. 12718 del 29/05/2009).
C) IL MERITO.
Venendo, quindi, al merito della presente causa si deve rilevare come il ricorso debba trovare accoglimento.
Come, varie volte, chiarito dalla Corte di Cassazione (cfr. Cass. sentenza 3 aprile 2001 n. 4913; Cass. 28 giugno 2001 n. 8859, 27 febbraio 2002 n. 2926) l'attribuzione dell'eccezionale beneficio di cui all'art. 13, ottavo comma, della legge 27 marzo 1992 n. 257, nel testo risultante dalle modifiche apportate dall'art. 1, primo comma, d.l. 5 giugno 1993 n. 271, presuppone l'assegnazione ultradecennale del lavoratore a mansioni comportanti, per il lavoratore medesimo, un effettivo e personale rischio morbigeno, a causa della presenza, nei luoghi di lavoro, di una concentrazione di fibre di amianto che, per essere superiore ai valori limite indicati nella legislazione prevenzionale di cui al D.Lgs. 15 agosto 1991 n. 277 e successive modifiche, renda concreta la possibilità del manifestarsi delle patologie, quali esse siano, che la sostanza è capace di generare (cfr. Cass. Sentenza n. 16119 del 2005).
Per meglio chiarire, si rileva che l'accertamento della sussistenza di una esposizione significativa nei sensi sopra precisati deve essere compiuto dal giudice avendo riguardo alla singola collocazione lavorativa, verificando cioè - nel rispetto del criterio di ripartizione dell'onere probatorio ex art. 2697 cod. civ. (o, se del caso, avvalendosi dei poteri di ufficio ad esso riconosciuti nel rito del lavoro) - se colui che ha fatto richiesta del beneficio di cui all'art. 13, ottavo comma, dopo aver indicato e provato la specifica lavorazione praticata, abbia anche dimostrato che l'ambiente nel quale la stessa si svolgeva presentasse una concentrazione di polveri di amianto superiore ai valori limite di cui all'art. 3 della legge n. 257/92 (identificati attraverso il rinvio all'art. 31 del d.lgs. n. 277/91, come in seguito precisato nella presente motivazione).
Si aggiunge, inoltre, che sempre nell'ottica della necessaria personalizzazione del rischio, deve essere dimostrata dall'attore la sussistenza dell'ulteriore requisito temporale prescritto dalla legge, vale a dire l'essere stato esposto a quel rischio "qualificato" per un periodo superiore a dieci anni, considerandosi, nel periodo in questione, le pause "fisiologiche" di attività (riposi, ferie, festività) che rientrano nella normale evoluzione del rapporto di lavoro.
E' noto, poi, che, come rilevato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 5 del 12.01.2000, la legge 27 marzo 1992, n. 257 è stata preceduta da una disciplina comunitaria, già da tempo, consapevole della necessità di protezione contro i rischi connessi all'esposizione ad amianto sul luogo di lavoro (direttiva del Consiglio n. 477 del 1983, modificata dalla direttiva n. 382 del 1991) e che ha espressamente chiarito, tra le proprie finalità, quella della dismissione dalla produzione e dal commercio della sostanza in questione e dei relativi prodotti, nonché della decontaminazione e della bonifica (cfr. art. 1).
Tutto ciò premesso, si deve, pertanto, osservare come lo scopo della tutela offerta ai lavoratori esposti all'amianto per almeno dieci anni sia necessariamente correlato alla possibile incidenza invalidante di lavorazioni che, in qualche modo, presentano potenzialità morbigene.
Il criterio dell'esposizione decennale costituisce un dato di riferimento "perfettamente determinato" in quanto collegato (secondo quanto contemplato dallo stesso art. 13, comma 8) al sistema generale di assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall'amianto, gestita dall'INAIL (cfr. ancora quanto affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 5 del 12.01.2000), ma quello che pare effettivamente determinante, secondo un'interpretazione teleologica, è il fatto che, in tale periodo di tempo, il dipendente sia restato esposto ad un serio pericolo di contrarre le malattie derivanti dall'esposizione all'amianto.
A tal punto, è possibile porre in evidenza come, al fine di definire tale concreto pericolo di malattia, la giurisprudenza si sia, quindi, posta il problema di identificare la corretta soglia perché potesse dirsi effettivamente risultante tale rischio.
Valorizzando il rinvio di cui all'art. 3 della L. 257/92, che dispone che "la concentrazione di fibre di amianto respirabili nei luoghi di lavoro ove si utilizza o si trasforma o si smaltisce amianto, nei luoghi ove si effettuano bonifiche, negli ambienti delle unità produttive ove si utilizza amianto e delle imprese o degli enti autorizzati alle attività di trasformazione o di smaltimento dell'amianto o di bonifica delle aree interessate, non può superare i valori limite fissati dall'articolo 31 del decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277, come modificato dalla presente legge", si è ritenuto di rinvenire un concreto elemento per presumersi verificato tale pericolo per il lavoratore nella prova del superamento delle soglie previste dalle suddette disposizioni di cui al decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277.
Si è, cioè, osservato che il legislatore, sia pure a fini di prevenzione, ha fissato in tali previsioni il valore massimo di concentrazione di amianto nell'ambiente lavorativo, offrendo un parametro concreto per individuarsi un significativo rischio di esposizione (la disposizione in parola pare, infatti, da inquadrarsi tra le "norme cautelari specifiche").
Venendo ad esaminare il caso in analisi secondo i menzionati canoni ermeneutici, si deve, innanzitutto, notare come l'istruttoria (cfr. le deposizioni testimoniali e la relazione del CTU) abbia dimostrato come le circostanze dedotte dall'attore fossero rispondenti al vero, svolgendo il dipendente mansioni che lo hanno esposto per oltre dieci anni alla respirazione di polveri di amianto in valori superiori alla suddetta soglia, considerato come sia stata dimostrata la presenza nelle sottostazioni della metropolitana di un'elevata quantità d'amianto (nelle ampolle, negli interruttori extrarapidi e nei relativi caminetti spegniarco, nei soffitti, nelle passerelle, ecc.).
I testimoni, in particolare, hanno attestato come l'operato del ricorrente sia sempre stato svolto - facendo riferimento al deposito di omissis, ma con attività lavorativa, comunque, in diverse sottostazioni elettriche della metropolitana e, principalmente, in quella di omissis - con la qualifica di operaio elettromeccanico, sempre con le medesime mansioni, finalizzate alla manutenzione della Metropolitana omissis.
Precisamente, è stato posto in evidenza come l'operato del medesimo sia sempre stato svolto nelle sottostazioni elettriche su impianti con Ampolle ai vapori di mercurio, successivamente sostituite con Armadi Raddrizzatori al silicio, in cui erano presenti gli interruttori estrarapidi con caminetti spegni arco in amianto.
Ugualmente, anche le apparecchiature installate precedentemente rispetto agli interruttori estrarapidi erano dotate di interruttori chiamati catodici e anodici dotati anch'essi di caminetti spegni arco in amianto.
Inoltre, sugli interruttori delle ampolle lavoravano contemporaneamente, in fase di manutenzione, 6/10 operai e, poiché non vi era sempre la disponibilità dell'aspiratore, si doveva far uso, per la manutenzione, spesso di stracci, pennelli, nonché di aria soffiata a bocca.
Peraltro, alla base delle ampolle, erano collocati dei grossi ventilatori, utili per il raffreddamento della macchina, che determinavano una grandissima dispersione di polveri e fibre di amianto.
In più, la manutenzione effettuata dal ricorrente su parti d'amianto era compiuta con carta vetrata e spazzole di ferro, determinando una grossa quantità di polvere d'amianto che si disperdeva nell'aria in tutto l'ambiente lavorativo.
E, ancora, le passerelle nelle sottostazioni e i soffitti delle cabine elettriche risultavano coibentati in amianto e questi ultimi erano sfaldati a causa delle infiltrazioni d'acqua e per il continuo passaggio delle vetture metropolitane (esposizione generica).
Inoltre, è stato confermato come ai lavoratori non fosse data in uso, salvo saltuariamente, una efficace mascherina di protezione per le vie respiratorie e come non sussistessero in azienda idonei aspiratori.
L'esposizione indiretta del ricorrente è stata, poi, determinata dalla già menzionata compresenza sul luogo di lavoro di altri dipendenti che, parimenti, effettuavano le proprie mansioni lavorando a contatto con l'amianto e determinandone la dispersione nell'ambiente.
Sulla base dei suddetti dati, il CTU ha accertato, con motivazione che si condivide e alla quale si fa espresso rinvio, che, in conseguenza di tali circostanze, il lavoratore é stato esposto ad una concentrazione aereodispersa media annuale di fibre di amianto superiore a 100 ff/l per il periodo temporale intercorrente tra il 6/9/71 e il 31/12/92.
In particolare, il CTU ha analizzato, con dovizia e argomentazioni convincenti le risultanze istruttorie di causa pervenendo alle conclusioni sopra riportate.
Si deve, dunque, reputare accertata, in base ai rilievi istruttori, sussistendo indizi gravi precisi e concordanti utili per una valutazione ex art. 2729 c.c., la sussistenza di un'esposizione significativa ultradecennale (diretta, indiretta e generica), con rischio morbigeno nel senso sopra precisato, avuto riguardo alla collocazione lavorativa della parte attorea, all'ambiente di lavoro, alla natura dei materiali lavorativi e delle lavorazioni effettuate, alla mancanza di dotazioni di sicurezza specifiche e adeguate ed al probabile malfunzionamento dell'impianto di aspirazione.
Si deve, conseguentemente, dichiarare il diritto del ricorrente al riconoscimento del beneficio della rivalutazione del 1,5 delle settimane di contribuzione relative ai periodi indicati in dispositivo per esposizione all'amianto (dal 6/9/71 al 31/12/92, dovendosi escludere solo il periodo dal 11/1/84 al 3/7/84, riferibile a un'aspettativa goduta dal ricorrente: cfr. la c.t.u.) e il conseguente diritto al ricalcalo della anzianità contributiva del ricorrente ai fini pensionistici mediante applicazione del coefficiente di legge per tutti i periodi suddetti.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso e per l'effetto dichiara il diritto al riconoscimento del beneficio della rivalutazione del 1,5 delle settimane di contribuzione relative al periodo dal 6/9/71 al 31/12/92 (con eccezione del periodo dal 11/1/84 al 3/7/84), per esposizione all'amianto; condanna l'I.N.P.S. al ricalcolo della anzianità contributiva ai fini pensionistici del ricorrente mediante applicazione del coefficiente di legge per tutto il periodo indicato; liquida definitivamente il compenso del CTU Dott. St. in Euro 900, oltre accessori e pone il relativo importo a carico dell'INPS; condanna l'I.N.P.S. al pagamento delle spese di lite che si liquidano in Euro 1.800,00 comprensivi di diritti, onorari e spese, oltre IVA e CPA e spese generali come per legge, con distrazione a favore del difensore che le anticipate.
Fissa il termine di 60 giorni per il deposito della sentenza. Sentenza provvisoriamente esecutiva.