Cassazione Penale, Sez. 4, 19 dicembre 2011, n. 46837 - Pulizia dell'interno del tamburo di una betoniera e responsabilità di un preposto


 

 

Responsabilità di un capo cantiere e soggetto preposto alla sicurezza per il reato di lesioni colpose aggravato dalla violazione della normativa antinfortunistica in danno del lavoratore Ro. Vi. che nel corso delle operazioni di pulizia all'interno del tamburo di una betoniera riportava lesioni gravissime consistite nell'amputazione del piede sinistro. All'imputato è stato addebitato di non avere adottato misure di sicurezza idonee a consentire l'effettuazione dei lavori in condizioni di sicurezza in quanto l'uso dei cunei di legno per il bloccaggio del tamburo dell'autobetoniera non era idoneo ad assicurare la posizione di fermo del tamburo.

 

Condannato in primo e secondo grado, ricorre in Cassazione - La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il reato è estinto per prescrizione. Rigetta il ricorso agli effetti civili.

 

Va innanzitutto ricordato che il preposto, come il datore di lavoro ed il dirigente, è indubbiamente destinatario diretto (iure proprio) delle norme antinfortunistiche, prescindendo da una eventuale "delega di funzioni" conferita dal datore di lavoro. Che si tratti di una responsabilità diretta lo si ricava, del resto, dal disposto del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81, articolo 56 ove sono stabilite le sanzioni per l'inosservanza alla normativa precauzionale di cui è direttamente onerato il preposto, distinte da quelle previste per il datore di lavoro.

Inoltre l'attuale previsione normativa nell'elencare gli obblighi a carico del preposto, stabilisce espressamente le funzioni di supervisione e controllo delle attività lavorative, e l'obbligo di verificare affinchè soltanto i lavoratori che abbiano ricevuto adeguate istruzioni accedano alle zone che li espongono ad un rischio grave e specifico e l'obbligo di segnalare tempestivamente al datore di lavoro sia le deficienze dei mezzi e delle attrezzature e dei dispositivi di protezione individuale sia ogni altra condizione di pericolo che si verifichi durante il lavoro. Correttamente, perciò, i giudici del merito, dopo aver dato atto che lo stesso imputato aveva ammesso di essere stato informato del fatto che quel giorno si stava procedendo alla pulizia dell'interno del tamburo della betoniera, che aveva il pignone rotto, hanno ritenuto che, in sostanza, egli aveva l'obbligo di sorveglianza dei lavori e di vigilanza sui dipendenti, soprattutto in una situazione pericolosa come quella in esame, in cui il primo pericolo per pulizia della betoniera è la rotazione del tamburo ed è proprio il pignone che assicura il bloccaggio del tamburo, in conformità a quanto emerge dal manuale d'uso del mezzo acquisito agli atti.

Infine la condotta colposa del lavoratore infortunato esclude la responsabilità del datore di lavoro solo quando il comportamento del lavoratore, e le sue conseguenze, presentino i caratteri dell'eccezionalità e dell'abnormità, il che, all'evidenza, è da escludere in questo caso.






REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Presidente

Dott. ROMIS Vincenzo - Consigliere

Dott. FOTI Giacomo - Consigliere

Dott. BIANCHI Luisa - Consigliere

Dott. PICCIALLI Patrizia - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA





sul ricorso proposto da:

1) AR. AN. N. IL (Omissis);

avverso la sentenza n. 1612/2009 CORTE APPELLO di PALERMO, del 06/12/2010;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/10/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. RIELLO Luigi che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;

Udito il difensore Avv.to Giglio Leonardo del Foro di Palermo che conclude per l'annullamento della sentenza impugnata.


Fatto


Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Palermo confermava quella di primo grado che aveva ritenuto AR. An. , nella qualità di capo cantiere e soggetto preposto alla sicurezza, responsabile del reato di lesioni colpose aggravato dalla violazione della normativa antinfortunistica in danno del lavoratore Ro. Vi. che nel corso delle operazioni di pulizia all'interno del tamburo di una betoniera riportava lesioni gravissime consistite nell'amputazione del piede sinistro (fatto del (Omissis)).

All' Ar. è stato addebitato di non avere adottato misure di sicurezza idonee a consentire l'effettuazione dei lavori in condizioni di sicurezza in quanto l'uso dei cunei di legno per il bloccaggio del tamburo dell'autobetoniera non era idoneo ad assicurare la posizione di fermo del tamburo.

La Corte di merito ha sottolineato che l' Ar., munito di apposita procura, conferitagli il 24 novembre del 2000, con qualifica di capo cantiere e preposto alla sicurezza, svolgeva il ruolo di direttore tecnico di cantiere all'interno della impresa avvalendosi di alcuni dipendenti, tra i quali il capimbocco assistente, Gi. , per coordinare il lavoro degli operai, ed era specificamente preposto alla sicurezza con compiti di vigilanza sui preposti. Non assumeva, pertanto, valore scriminante il fatto che l'ordine di effettuare la pulizia della betoniera fosse stato impartito da soggetto diverso dall' Ar. in quanto questi aveva comunque, in virtù dell'incarico ricevuto e della procura conferitagli, l'obbligo di vigilare sui preposti e su quanto costoro disponevano ed eseguivano a mezzo di altri dipendenti. Inoltre, lo stesso Ar. aveva ammesso di essere stato informato quel giorno della rottura del pignone e della necessità di pulire il tamburo. Tale situazione richiedeva un elevamento del livello di attenzione da parte del titolare della posizione di garanzia in quanto è proprio il pignone, come emerge dal manuale d'uso, che assicura il bloccaggio del tamburo con la conseguenza che il tamburo poteva roteare liberamente senza adeguati metodi di fermo. La doverosa vigilanza, attuabile mediante l'impiego di un operaio all'esterno del mezzo con la specifica funzione di verifica continua del fissaggio, avrebbe dovuto essere attivata con maggior cura anche in ragione del fatto che all'attività di pulizia era stata destinata una unità lavorativa, il Ro. , solitamente impiegato in differenti mansioni. La Corte di merito escludeva, altresì, la configurabilità della condotta abnorme del lavoratore che si era introdotto all'interno della betoniera per eseguire un ben preciso compito affidatogli.

Avverso la predetta decisione propone ricorso per cassazione Ar. An. articolando tre motivi.

Con il primo lamenta la manifesta illogicità della motivazione con riferimento al giudizio di responsabilità, sostenendo che la Corte di merito aveva fatto discendere tale giudizio dalla formale qualifica di preposto dallo stesso rivestita senza tener conto che dal contenuto della procura speciale non erano rilevabili il potere di spesa e le risorse finanziarie attribuite al ricorrente per garantire la sicurezza sul lavoro e che gli ordini di provvedere alla pulizia della betoniera erano stati impartiti dal capo imbocco, che aveva assunto tale iniziativa all'insaputa dell'imputato, a seguito di un danno al pignone del mezzo, con la conseguente necessità di scaricare la malta cementizia in essa contenuta per evitare che si solidificasse. Con il secondo motivo si duole dell'omessa assunzione di una prova decisiva (l'assunzione della prova testimoniale di Gi. Or. ), inspiegabilmente rinunciato dal precedente difensore, e senza il consenso delle altre parti. Lamenta altresì che il primo giudice non aveva sufficientemente motivato il rigetto della richiesta formulata dalla parte civile di procedere al riesame dei testi Ro. e Ve. circa l'ordine di entrare all'interno della betoniera. Con il terzo motivo lamenta la violazione di legge con riferimento al ritenuto nesso di causalità, che non aveva tenuto conto nè del comportamento imprudente del Ro. , che era stato dedotto e bene informato dei rischi connessi alla propria attività di magazziniere, che certo non comprendevano quelli connessi alla pulizia della betoniera nè della iniziativa autonoma ed esorbitante del Gi. , idonee ad interrompere il nesso causale.

E' stata depositata memoria difensiva nell'interesse della parte offesa con la quale è stata richiesta la conferma della sentenza impugnata.


Diritto


In via preliminare deve darsi atto che nelle more del giudizio di cassazione il reato, commesso il (Omissis), per il quale è previsto il termine massimo di prescrizione, pari a sette anni e mezzo (v. articolo 157 c.p., comma 1 e articolo 161 c.p., comma 2), si è prescritto in data 3 febbraio 2011, tenuto altresì conto dei periodi di sospensione della prescrizione (dal 23.1.2008 al 27.2.2008 e dal 6.5.2009 al 26.6.2008 per sciopero avvocati, pari a complessivi 2 mesi e 24 giorni).

Ciò non esclude che debbano esaminarsi funditus il ricorso, anche laddove evoca un difetto di motivazione della sentenza gravata, essendovi le statuizioni civili su cui occorre provvedere, onde l'auspicato (dal ricorrente) proscioglimento nel merito dovrebbe essere adottato ex articolo 129 c.p.p., comma 2, per il principio del favor rei, anche allorquando si vertesse in ipotesi di contraddittorietà o insufficienza della prova della responsabilità (cfr. Sezioni unite, 28 maggio 2009, Tettamanti).

Alla luce dei principi appena richiamati, deve riconoscersi che non solo dalla sentenza non risulta affatto evidente che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che non costituisce reato, ecc. ma non risulta neanche la contraddittorietà o insufficienza della prova.

A tal fine è opportuno soffermarsi sugli aspetti più rilevanti dei motivi del ricorso, che si risolvono in una censura complessiva, sia sotto il profilo oggettivo che sotto quello soggettivo, del giudizio di responsabilità formulato dai giudici di merito, a fronte di una sentenza che appare corretta nella ricostruzione ed applicazione della normativa di interesse e dei profili di colpa addebitati all'imputato, nella qualità di capo cantiere e soggetto preposto alla sicurezza in virtù di procura speciale del 24 novembre 2000.

In sintesi, il ricorrente, con il primo motivo,contesta il giudizio di responsabilità sostenendo la sussistenza nel caso concreto delle condizioni per l'esonero della responsabilità del preposto, in quanto, per un verso, privo del potere di spesa e delle risorse finanziarie per garantire la sicurezza sul lavoro e,per l'altro, estraneo alla dinamica dei fatti che avevano preceduto l'incidente.

Il primo profilo di censura è infondato in quanto tale questione non era mai stata prospettata con i motivi di appello, concentrati a far valere l'interruzione del nesso causale per la condotta abnorme del lavoratore e per l'iniziativa autonoma ed esorbitante del preposto che aveva utilizzato il magazziniere per un'attività completamente estranea a quelle mansioni.

Anche il secondo profilo di censura è infondato.

E' sufficiente in proposito ricordare che i giudici di merito si sono soffermati attentamente sull'ipotesi prospettata dalla difesa afferente l'asserita estraneità dell' Ar. al fatto ed hanno fondato il giudizio di responsabilità facendo riferimento all'inadempimento da parte dell'imputato, in relazione alla posizione di garanzia ricoperta, all'obbligo di curare tutti gli adempimenti necessari all'esecuzione dei lavori in condizione di sicurezza adottando ogni misura prevista dalla legge per la prevenzione degli infortuni sul lavoro ed all'obbligo di vigilanza sui preposti perchè svolgessero le necessarie attività di controllo nella propria sfera di influenza,finalizzata proprio ad evitare che i lavoratori, in virtù di scelte irrazionali e/o per comportamenti non adeguatamente attenti, potessero compromettere la propria integrità fisica.

Va ricordato in proposito che il preposto (ed è tale, il capo cantiere, v. da ultimo, Sezione 4, 20 aprile 2011, Di Martino ed altri e 9 luglio 2008, Crea ed altro), come il datore di lavoro ed il dirigente, è indubbiamente destinatario diretto (iure proprio) delle norme antinfortunistiche, prescindendo da una eventuale "delega di funzioni" conferita dal datore di lavoro.

Che si tratti di una responsabilità diretta lo si ricava, del resto, dal disposto del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81, articolo 56 ove sono stabilite le sanzioni per l'inosservanza alla normativa precauzionale di cui è direttamente onerato il preposto, distinte da quelle previste per il datore di lavoro dall'articolo 55 dello stesso testo.

Il Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 4 - poi sostituito dal Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81, articolo 19 - annovera anche i preposti tra i soggetti obbligati ad "attuare le misure di sicurezza previste dal presente decreto". Vero è che tale obbligo incombe innanzitutto al datore di lavoro, cui competono anche poteri organizzativi, predispositivi e di spesa al riguardo; ma il preposto non è soggetto estraneo al conseguimento dei risultati scaturenti dall'adempimento di quell'obbligo, non è soggetto che possa notarilmente e passivamente meramente registrare una situazione di non conformità a legge e ad essa prestare silente, passiva e ratificatoria acquiescenza. Egli, al contrario, proprio perchè pur esso diretto destinatario del precetto di legge, è tenuto ad attivarsi nel controllo della rispondenza della situazione di fatto ai dettami di legge e, nella verificata situazione di non corrispondenza dei luoghi di lavoro alle prescrizioni antinfortunistiche di legge, ad attivarsi per tutto quanto sia nelle sue possibilità per rimuovere tale situazione pregiudizievole per la sicurezza dei lavoratori nello svolgimento di quelle attività che egli pur sempre dirige e sovrintende, assumendo anch'egli nei confronti dei lavoratori medesimi una posizione di garanzia.

L'attuale previsione normativa nell'elencare gli obblighi a carico del preposto, stabilisce espressamente le funzioni di supervisione e controllo delle attività lavorative, e l'obbligo di verificare affinchè soltanto i lavoratori che abbiano ricevuto adeguate istruzioni accedano alle zone che li espongono ad un rischio grave e specifico e l'obbligo di segnalare tempestivamente al datore di lavoro sia le deficienze dei mezzi e delle attrezzature e dei dispositivi di protezione individuale sia ogni altra condizione di pericolo che si verifichi durante il lavoro. Correttamente, perciò, i giudici del merito, dopo aver dato atto che lo stesso Ar. aveva ammesso di essere stato informato del fatto che quel giorno si stava procedendo alla pulizia dell'interno del tamburo della betoniera, che aveva il pignone rotto, hanno ritenuto che, in sostanza, egli aveva l'obbligo di sorveglianza dei lavori e di vigilanza sui dipendenti, soprattutto in una situazione pericolosa come quella in esame, in cui il primo pericolo per pulizia della betoniera è la rotazione del tamburo ed è proprio il pignone che assicura il bloccaggio del tamburo, in conformità a quanto emerge dal manuale d'uso del mezzo acquisito agli atti.

Ed ancora più pregnante doveva essere l'esercizio degli obblighi di sorveglianza e di vigilanza in questo caso in cui destinato all'esecuzione dei lavori di pulizia del tamburo era un lavoratore solitamente impiegato in differenti mansioni.

Obblighi di sorveglianza e diligenza che non lasciano margini di discrezionalità al riguardo, nel senso che la tutela della sicurezza ed incolumità deve comunque essere apprestata dal titolare della posizione di garanzia, che non abbia adottato specifica delega, anche nei confronti dei preposti perchè svolgano le necessarie attività di controllo e di vigilanza nella propria sfera d'influenza diretta.

In questa prospettiva non assume alcuna efficacia esimente la circostanza posta a base della tesi difensiva secondo la quale sarebbe stato il capimbocco assistente Gi. ad impartire l'ordine di procedere alla pulizia della betoniera destinandovi incautamente la parte offesa Ro. .

Infondate sono le doglianze di carattere processuale.

L'error in procedendo in cui si sostanzia il vizio relativo alla lesione del diritto alla controprova, previsto dall'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera d), è utilmente dedotto solo quando la prova sollecitata, ma negata, confrontata con le argomentazioni addotte in motivazione, a sostegno della sentenza, sarebbe risultata decisiva, nel senso che se quella fosse stata ammessa avrebbe potuto determinare una diversa decisione del giudice.

Orbene, nella specie, deve escludersi che le prove indicate dal ricorrente, rivestano le caratteristiche innanzi richiamate.

Con argomentazioni sufficientemente esplicative delle ragioni del non accoglimento della richiesta di espletamento delle nuove prove, la Corte di merito ha evidenziato in proposito il carattere di non decisività della rinnovazione del dibattimento attraverso la nuova escussione dei testi Ro. e Ve. , già escussi in primo grado, e della escussione del teste Gi. , peraltro già oggetto di rinuncia dalla parte interessata, a fronte della efficacia probatoria, decisamente risolutiva, desumibile dall'ulteriore contesto probatorio acquisito che deponeva per la esclusiva responsabilità dell' Ar. .

Strettamente connessa al primo motivo è la censura contenuta nel terzo motivo, afferente il nesso causale, basata sulla asserita interruzione determinata dal comportamento anomalo del lavoratore e dell'iniziativa autonoma del preposto.

Quanto al primo profilo, non ci si può che riportare alle esatte considerazioni dei giudici di appello, laddove hanno evidenziato che non può certamente definirsi abnorme la condotta del Ro. che si introdusse all'interno della betoniera per eseguire un ben preciso compito affidatogli.

La decisione è, pertanto, in linea con la giurisprudenza consolidata di questa Corte che, come è noto, afferma che la condotta colposa del lavoratore infortunato esclude la responsabilità del datore di lavoro solo quando il comportamento del lavoratore, e le sue conseguenze, presentino i caratteri dell'eccezionalità e dell'abnormità, il che, all'evidenza, è da escludere in questo caso.

L'addebito di responsabilità a carico del datore di lavoro anche per gli infortuni dovuti a comportamenti negligenti, trascurati, imperiti del lavoratore, che abbiano contribuito alla verificazione dell'infortunio, si fonda infatti sul principio secondo cui al datore di lavoro, che è "garante" anche della correttezza dell'agire del lavoratore, è imposto (anche) di esigere da quest'ultimo il rispetto delle regole di cautela (cfr. Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 18, comma 1, lettera f)).

Quanto al secondo profilo, come già sopra evidenziato, la responsabilità diretta del preposto (v. Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 56) impone che lo stesso sia destinatario iure proprio dell'obbligo giuridico di impedire l'evento, con la conseguenza che la mancata eliminazione di una situazione di pericolo (derivante dal fatto commissivo od omissivo dell'agente), ad opera di terzi, non è una distinta causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento, ma una causa condizione negativa grazie la quale la prima continua ad essere efficace (v. anche Sezione 4, 28 aprile 2005, Poli ed altri).

Ciò soprattutto tenuto conto che, nel caso in esame, gravava sull' Ar. , nella qualità di capocantiere, anche l'obbligo di vigilare sull'attività dei preposti.

La sentenza impugnata va, pertanto, annullata senza rinvio per intervenuta prescrizione del reato e le statuizioni civili devono essere confermate.

 

 

P.Q.M.



Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il reato è estinto per prescrizione. Rigetta il ricorso agli effetti civili.