Cassazione Penale, Sez. 4, 22 dicembre 2011, n. 47798 - Caduta dall'alto per mancanza di cavi di sicurezza ai quali agganciarsi e responsabilità di un coordinatore per la sicurezza


 

 

Responsabilità di un coordinatore per la sicurezza nominato dalla ditta appaltante per la morte del lavoratore C. che, durante i lavori di copertura di un capannone subappaltati dalla I. Montaggi s.r.l., era precipitato dalla sommità ed era deceduto. Secondo il tribunale di Latina i cavi di sicurezza ai quali gli operai avrebbero dovuto essere agganciati per ragioni di sicurezza, regolarmente apposti nella parte sinistra del capannone, non erano stati invece installati nella parte destra dello stesso e da ciò era derivato il decesso del C. che, caduto dalla sommità, non aveva potuto evitare il contatto con il terreno in quanto, pur essendo dotato di cinture di sicurezza, non poteva essere agganciato ad alcunchè.


Condannato in primo e secondo grado, ricorre in Cassazione - Rigetto.


 

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MARZANO Francesco - Presidente

Dott. GALBIATI Ruggero - Consigliere

Dott. MASSAFRA Umberto - Consigliere

Dott. MARINELLI Felicetta - rel. Consigliere

Dott. PICCIALLI Patrizia - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

 

sul ricorso proposto da:

1) B.F., N. IL (Omissis);

avverso la sentenza n. 4152/2006 CORTE APPELLO di ROMA, del 25/05/2009;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 24/11/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. FELICETTA MARINELLI;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Salvi Giovanni, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;

Udito, per le parti civili, l'Avv. Villani Alberico del foro di Avellino, il quale deposita conclusioni e nota spese.

udito il difensore avv. Mariani Orlando del foro di Latina che chiede l'accoglimento del ricorso.

 

 

Fatto

 

B.F. è stato tratto a giudizio davanti al Tribunale di Latina per rispondere del reato di cui all'art. 589 c.p., commesso con violazione delle norme in materia di sicurezza sul lavoro per avere, nella sua qualità di coordinatore per la sicurezza durante la realizzazione dell'opera descritta nel capo di imputazione, cagionato la morte in data 4.07.2000, del lavoratore C. che, durante i lavori di copertura di un capannone subappaltati dalla I. Montaggi s.r.l., era precipitato dalla sommità ed era deceduto.

Con sentenza del 25.03.05 il Tribunale di Latina in composizione monocratica aveva dichiarato B.F. responsabile del reato di cui sopra e lo aveva condannato alla pena di anni uno di reclusione, con i doppi benefici, oltre al pagamento delle spese processuali, al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite da liquidarsi in separata sede e alle spese sostenute dalle stesse liquidate come da dispositivo.

Secondo il tribunale di Latina i cavi di sicurezza ai quali gli operai avrebbero dovuto essere agganciati per ragioni di sicurezza, regolarmente apposti nella parte sinistra del capannone, non erano stati invece installati nella parte destra dello stesso e da ciò era derivato il decesso del C. che, caduto dalla sommità, non aveva potuto evitare il contatto con il terreno in quanto, pur essendo dotato di cinture di sicurezza, non poteva essere agganciato ad alcunchè. L'imputato era al corrente di tale carenza strutturale e, nonostante fosse il coordinatore della sicurezza nominato dalla ditta appaltante e fosse stato visto più volte discutere animatamente con gli operai, non aveva sospeso i lavori come, invece, imposto dalla norma di cui al D.Lgs. n. 494 del 1995, art. 5, comma 1, lett. f).

Avverso la decisione del Tribunale di Latina ha proposto appello il difensore dell'imputato. La Corte di Appello di Roma, con la sentenza oggetto del presente ricorso emessa in data 25.05.2009, confermava la sentenza emessa dal giudice di primo grado e condannava l'appellante al pagamento delle spese del grado.

Avverso la sentenza della Corte d'appello di Roma B. F., a mezzo del suo difensore, proponeva ricorso per Cassazione e concludeva chiedendone l'annullamento con o senza rinvio.

B.F. ha censurato la sentenza impugnata per i seguenti motivi:

1) nullità della sentenza, omessa valutazione di atti processuali penali e di memorie delle parti, in quanto il giudice di primo grado avrebbe omesso di valutare la memoria difensiva ai sensi dell'art. 121 c.p.p..

2) Nullità della sentenza ai sensi dell'art. 185 c.p.p., in quanto sarebbe nulla la sentenza di secondo grado ai sensi dell'art. 185 c.p.p., quale atto consecutivo della pronuncia del Tribunale di Latina da ritenersi nulla in virtù dell'omessa valutazione della memoria difensiva depositata davanti al giudice di primo grado ed oggetto di specifico motivo di impugnazione, con conseguente regressione del procedimento, non risultando inoltre l'allegazione della memoria al verbale dibattimentale del processo di primo grado.

3) Inosservanza di norme processuali penali in relazione agli artt. 606, 82, 491 e 523 c.p.p. e violazione del diritto di difesa ai sensi dell'art. 178 c.p.p.. La Corte di appello infatti aveva motivato in sentenza sul punto relativo alla richiesta di revoca della parte civile, affermando implicitamente la persistenza della stessa, mentre invece avrebbe dovuto decidere sulla questione prima delle conclusioni, con apposita ordinanza, trattandosi di questione pregiudiziale, in tal modo impedendo alla difesa di argomentare sia sul rigetto dell'eccezione, sia sulla richiesta risarcitoria.

4) Difetto di motivazione, omessa valutazione o travisamento di atti (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e). Secondo il ricorrente la sentenza impugnata dovrebbe essere annullata in quanto non avrebbe valutato specifici atti processuali, costituiti oltre che dalla memoria difensiva di cui sopra, anche dalle dichiarazioni dei testi Ba., maresciallo C.C. M.A., T.S., Ma.Ro., R.R. (consulente tecnico), M. C., L.G., M.A., C.G., B.G.. Secondo il ricorrente da tali atti probatori emergerebbero, quali elementi fattuali certi, a) la presenza di cavi di sostegno sul perimetro del capannone ed anche e soprattutto sul lato destro e sulle travi oggetto dell'imputazione, luoghi in cui si svolgeva l'attività lavorativa; b) il verificarsi dell'evento allorquando il B.F. non si trovava all'interno del cantiere (non prevedendo peraltro la norma vigente all'epoca dei fatti l'obbligatoria e costante presenza); c) la non corrispondenza alla realtà di quanto dedotto in sentenza circa spazi non deputati all'attività lavorativa e quindi non asserviti da misure di sicurezza.

5) Nullità della sentenza per omessa motivazione in ordine alla determinazione della pena base e al computo della pena applicata, per erronea o mancata applicazione degli artt. 125, 546 e 606 c.p.p. e artt. 132 e 133 c.p., in quanto mancherebbe nella sentenza impugnata lo sviluppo di un esame dei singoli criteri elencati nell'art. 133 c.p. con riferimento al caso concreto.

6) Nullità dell'impugnata sentenza con riferimento agli artt. 62 bis e 69 c.p. per omessa motivazione con riguardo ai parametri di valutazione sul concorso di circostanze tra le attenuanti generiche e la contestata aggravante.

7) Nullità dell'impugnata sentenza con riferimento agli artt. 132 e 133 c.p., in relazione alla eccessività della pena inflitta rispetto al caso in esame.

8) Nullità dell'impugnata sentenza ai sensi degli artt. 603 e 606 c.p.p., in quanto il verbale di sopralluogo redatto dai Carabinieri nell'immediatezza del fatto, di cui il giudice di secondo grado ha disposto con ordinanza dibattimentale l'acquisizione, riporta circostanze di fatto diverse rispetto a quelle indicate nel verbale di sopralluogo redatto successivamente da personale U.S.L. LT, in particolare da tale primo verbale di sopralluogo si evince la presenza, il giorno del sinistro, e cioè il 4.07.2000, dei cavi di trattenuta in acciaio sul lato del capannone ove si è verificata la caduta del lavoratore.

 

Diritto

 

Il proposto ricorso non è fondato.

Per quanto attiene ai primi due motivi si osserva che la memoria ex art. 121 c.p.p. datata 4.06.2004 risulta acquisita agli atti del procedimento di primo grado, nè in atti risulta alcun provvedimento del giudice che abbia escluso la predetta acquisizione.

La memoria in questione riassume dettagliatamente tutti i temi oggetto delle tesi sostenute dalla difesa, mentre nulla induce a ritenere che il giudice di primo grado nel suo percorso argomentativo non abbia valutato, salvo poi non condividerle, le argomentazioni sostenute dalla difesa.

Anche il terzo motivo di ricorso non è meritevole di accoglimento.

Ai sensi dell'art. 82 c.p.p., comma 2, la costituzione di parte civile si intende revocata se la parte civile non presenta le conclusioni a norma dell'art. 523 c.p.p., ovvero se promuove l'azione davanti al giudice civile. Nella fattispecie che ci occupa, dall'esame degli atti, la parte civile risulta avere concluso nel giudizio di primo grado. Correttamente pertanto i giudici della Corte territoriale non hanno ritenuto fondata la richiesta di revoca della stessa proposta dalla difesa dell'imputato, altresì sulla base del fatto che il procedimento in corso davanti al giudice civile non risulta diretto al riconoscimento della responsabilità civile del B., bensì alla mera quantificazione del danno, a nulla rilevando il fatto che tale questione sia stata decisa direttamente in sentenza e non già con apposita ordinanza prima delle conclusioni, secondo l'assunto della difesa del ricorrente.

Passando all'esame del quarto motivo di ricorso si osserva che la sentenza impugnata ha dato congrua e del tutto logica contezza del percorso argomentativo seguito nel pervenire alla resa decisione e le argomentazioni del ricorrente si sostanziano, in definitiva, in una diversa prospettazione e valutazione delle circostanze tutte logicamente valutate dai giudici di merito. Ma, in tema di sindacato del vizio di motivazione, compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici del merito, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano correttamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (cfr. Cass., Sez. Un., 13.12.1995, n.930/1996; id Sez.Un., 31.05.2000, n.12). Inoltre, il vizio di motivazione deducibile in sede di legittimità deve, per espressa previsione normativa, risultare dal testo del provvedimento impugnato, o- a seguito della modifica apportata all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8 - da "altri atti del procedimento specificamente indicati nei motivi di gravame", il che vuoi dire- quanto al vizio di manifesta illogicità-, per un verso, che il ricorrente deve dimostrare in tale sede che l'iter argomentativo seguito dal giudice è assolutamente carente sul piano logico e che, per altro verso, questa dimostrazione non ha nulla a che fare con la prospettazione di un'altra interpretazione o di un altro iter, quand'anche in tesi egualmente corretti sul piano logico; ne consegue che, una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si prestavano ad una diversa lettura o interpretazione, ancorchè munite di eguale crisma di logicità (cfr. Cass., Sez.Un., 27.09.1995, n.30) .

Palesemente infondati sono poi il quinto,il sesto e il settimo motivo di ricorso. La sentenza impugnata ha infatti correttamente rilevato che la dosimetria della pena applicata dal primo giudice è proporzionata alla gravità dei fatti e che non poteva accedersi al riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche in considerazione della posizione di garanzia rivestita dall'imputato nell'ambito del cantiere. Il giudice di merito ha comminato pertanto una pena assolutamente congrua. D'altronde la dosimetria della pena è di competenza del giudice di merito ed è quindi sottratta alla valutazione di questa Corte.

Infondato è infine l'ottavo motivo di ricorso. I giudici della Corte territoriale hanno infatti correttamente rigettato la richiesta di rinnovazione del dibattimento avente ad oggetto l'acquisizione del verbale di sopralluogo relativo alla scena del fatto ricostruita nell'immediatezza dell'evento e l'assunzione del teste Maresciallo dei Carabinieri Ma.Am. in quanto hanno ritenuto che tali incombenti mancavano del requisito della decisività, dal momento che non esisteva motivo plausibile, nè interesse alcuno che potesse avere indotto chicchessia a rimuovere, dopo l'incidente, le misure di sicurezza eventualmente esistenti.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, (cfr. Cass., Sez. 6, Sent. n. 37173 dell'11.06.2008, Rv 241009), la mancata assunzione di una prova può essere dedotta in sede di legittimità, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), in quanto si tratti di una" prova decisiva", ossia di un elemento probatorio suscettibile di determinare una decisione del tutto diversa da quella assunta, ma non quando i risultati che la parte si propone di ottenere possono condurre, confrontati con le ragioni poste a sostegno della decisione, solo ad una diversa valutazione degli elementi legittimamente acquisiti nell'ambito dell'istruttoria dibattimentale.

Il ricorso deve essere pertanto rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese in favore delle parti civili che liquidano in complessivi Euro 2.900 oltre IVA, CPA e spese generali come per legge.




P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè in favore delle costituite parti civili delle spese di questo giudizio che liquida in Euro 2.900,00 oltre IVA, CPA e spese generali come per legge.