Cassazione Penale, Sez. 4, 31 gennaio 2012, n. 3947 - Atteggiamento passivo di un dirigente del punto vendita e responsabilità per infortunio occorso ad una dipendente a causa del mal funzionamento di un cancello
Responsabilità del dirigente di un punto vendita (C.) per lesioni personali gravissime occorse alla dipendente L.M. che, nell'aprire il cancello di accesso carrabile, ne era rimasta travolta poichè, a causa della mancanza del fermo di fine corsa, detto cancello era uscito dalla sua guida, si era ribaltato ed era precipitato per terra.
Condannato, ricorre in Cassazione - Rigetto.
Si sostiene nel ricorso che al C. non poteva riconoscersi alcuna posizione di garanzia, poichè lo stesso era privo di poteri di gestione e di spesa e non era emerso che fosse stato destinatario di deleghe che lo autorizzassero ad intervenire.
La Corte afferma invece che i giudici del merito non hanno neanche posto il tema della titolarità, in capo all'imputato, di una formale posizione di garanzia a tutela della sicurezza del luogo di lavoro e della salute dei lavoratori, nè al riconoscimento di tale posizione gli stessi giudici hanno fatto riferimento per affermare la responsabilità dell'imputato. Al contrario, essi hanno dato atto del fatto che l'imputato non era mai stato destinatario di deleghe o incarichi in materia di sicurezza, essendo certamente altra la persona a ciò deputata. Ciò che invece quei giudici hanno considerato e ritenuto significativo - ed è questo che li ha determinati a riconoscere la responsabilità del C. - è che l'assenza di specifica delega non poteva giustificare l'atteggiamento passivo assunto dall'imputato davanti al ripetersi di incidenti che mettevano a rischio la sicurezza di quanti, dipendenti e non, si fossero trovati a transitare nei pressi del cancello durante le operazioni di apertura dello stesso.
In realtà, hanno sostenuto gli stessi giudici, l'accertata e non contestata posizione di responsabile dell'esercizio commerciale, sia pure solo con riguardo all'organizzazione interna del lavoro ed alla commercializzazione dei prodotti, poneva l'imputato certamente in una posizione sovra ordinata rispetto agli altri dipendenti, che a lui facevano riferimento, e quindi di responsabilità nei confronti degli stessi.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARZANO Francesco - Presidente
Dott. FOTI Giacomo - rel. Consigliere
Dott. BIANCHI Luisa - Consigliere
Dott. MARINELLI Felicetta - Consigliere
Dott. BLAIOTTA Rocco Marco - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1) C.V., N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 935/2009 CORTE APPELLO di MILANO, del 22/10/2009;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/10/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO FOTI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Salvi Giovanni, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore avv. Riva che si è riportato ai motivi del ricorso.
Fatto
1 - Con sentenza del 9 luglio 2008, il Tribunale di Sondrio, sezione distaccata di Morbegno, ha ritenuto C.V. colpevole del reato di cui al D.P.R. n. 547 del 1955, art. 374 perchè, nella qualità di dirigente del punto vendita "(OMISSIS)" corrente in (OMISSIS) non aveva segnalato alla ditta "L.s.r.l.", con sede in Como, le precarie condizioni di sicurezza del cancello di accesso carrabile al piazzale del punto vendita a causa del distacco, dalla guida di scorrimento, del dispositivo di arresto a fine corsa, non si era adoperato per il ripristino dello stesso e non aveva impedito l'uso del cancello - capo A) della rubrica -, nonchè del reato di cui all'art. 590 c.p., commi 1, 2 e 3 perchè per colpa, consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia e nella violazione di norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro, in cooperazione colposa con persona separatamente giudicata, nella indicata qualità aveva contribuito a cagionare lesioni personali gravissime alla dipendente L.M. che, nell'aprire il cancello di accesso carrabile, ne era rimasta travolta poichè, a causa della mancanza del fermo di fine corsa, detto cancello era uscito dalla sua guida, si era ribaltato ed era precipitato per terra.
All'affermazione di responsabilità è seguita la condanna dell'imputato, riconosciute le circostanze attenuanti generiche e ritenuta la continuazione tra i reati contestati, alla pena (condonata) di un anno ed otto mesi di reclusione, nonchè al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita.
2- Su appello proposto dal C., la Corte d'Appello di Milano, con sentenza del 22 ottobre 2009, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'imputato, quanto al reato di cui al capo A), essendo lo stesso estinto per prescrizione, ha rideterminato e ridotto a mesi tre di reclusione la pena inflitta dal primo giudice per il delitto di lesioni colpose ed ha confermato, nel resto, la sentenza di primo grado.
3- Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione, per il tramite del difensore, l'imputato, che deduce:
a) Violazione dell'art. 40 c.p., comma 2 in relazione all'art. 590.
Si sostiene nel ricorso che al C. non poteva riconoscersi alcuna posizione di garanzia, poichè lo stesso era privo di poteri di gestione e di spesa e non era emerso che fosse stato destinatario di deleghe che lo autorizzassero ad intervenire;
b) Vizio di motivazione della sentenza impugnata in ordine all'affermata sussistenza della posizione di garanzia dell'imputato, in realtà inesistente anche in vista di quanto sostenuto dalla stessa persona offesa, che ha indicato quale referente del datore di lavoro il rag. Cu.; a conferma dei compiti di natura esclusivamente commerciale, non gestionale, attribuiti all'imputato che non aveva posizioni sovraordinate rispetto agli altri dipendenti;
c) Violazione degli artt. 2087, 2095 e 2203 c.c., D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4 e successive integrazioni. Ribadisce il ricorrente, dopo avere delineato i tratti salienti delle figure del dirigente e del preposto, che nessuna posizione di garanzia avrebbe potuto essere riconosciuta all'imputato, privo di poteri di gestione e dunque non destinatario delle norme di prevenzione e sicurezza sul lavoro.
Con memoria prodotta in cancelleria, l'imputato, per mezzo del difensore, ribadisce le censure proposte con l'atto d'impugnazione.
Diritto
1 - Il ricorso, pur articolato in diversi motivi, sostanzialmente censura, sotto i profili della violazione di legge e del vizio motivazionale, la decisione della corte territoriale di ritenere sussistente nell'imputato una posizione di garanzia nei confronti dei dipendenti dell'esercizio commerciale da lui diretto e quindi di riconoscergli la titolarità dei poteri di gestione e di spesa occorrenti per eliminare la situazione di rischio venutasi a creare per il cattivo funzionamento del cancello; posizione viceversa ad altri attribuibile.
Orbene, sembra alla Corte che i giudici del merito non abbiano neanche posto il tema della titolarità, in capo all'imputato, di una formale posizione di garanzia a tutela della sicurezza del luogo di lavoro e della salute dei lavoratori, nè che al riconoscimento di tale posizione gli stessi giudici abbiano fatto riferimento per affermare la responsabilità dell'imputato. Al contrario, essi hanno dato atto del fatto che l'imputato non era mai stato destinatario di deleghe o incarichi in materia di sicurezza, essendo certamente altra la persona a ciò deputata. Ciò che invece quei giudici hanno considerato e ritenuto significativo - ed è questo che li ha determinati a riconoscere la responsabilità del C. - è che l'assenza di specifica delega non poteva giustificare l'atteggiamento passivo assunto dall'imputato davanti al ripetersi di incidenti che mettevano a rischio la sicurezza di quanti, dipendenti e non, si fossero trovati a transitare nei pressi del cancello durante le operazioni di apertura dello stesso.
In realtà, hanno sostenuto gli stessi giudici, l'accertata e non contestata posizione di responsabile dell'esercizio commerciale, sia pure solo con riguardo all'organizzazione interna del lavoro ed alla commercializzazione dei prodotti, poneva l'imputato certamente in una posizione sovra ordinata rispetto agli altri dipendenti, che a lui facevano riferimento, e quindi di responsabilità nei confronti degli stessi. Proprio tale posizione imponeva all'odierno ricorrente, secondo il coerente argomentare della corte territoriale, di prendersi carico del problema del malfunzionamento del cancello e dei rischi che esso rappresentava per l'incolumità delle persone a lui sottoposte.
L'iniziativa richiestagli, peraltro - accertato e non contestato che l'imputato era ben a conoscenza delle condizioni del cancello e del pericolo connesso all'uso dello stesso - non presentava difficoltà di sorta, non esigeva la titolarità di particolari deleghe, non presumeva la disponibilità di mezzi, non richiedeva tempi lunghi.
Ciò che si attendeva da lui era solo che segnalasse a chi di competenza il guasto del cancello ed il pericolo che esso rappresentava e che ne disponesse la chiusura fino a riparazione avvenuta.
Interventi di estrema semplicità e di puro e semplice buon senso, assolutamente indispensabili e certo idonei a prevenire incidenti, che tuttavia, inspiegabilmente, secondo quanto sostenuto nella sentenza impugnata, non smentita sul punto dal ricorrente, il C. non ha mai posto in essere, non essendo emerso che egli abbia mai informato qualcuno della situazione, pur avendo in tal senso assicurato i dipendenti. Mentre, con riguardo all'uso del cancello, è stato rilevato, a conferma della superficialità con cui l'imputato ha affrontato il problema e della negligenza che ne ha caratterizzato i comportamenti, che era stato proprio lui a consegnare alla dipendente L.M. la chiave del cancello e ad incaricarla di provvedere all'apertura dello stesso.
Non solo, quindi, nulla ha fatto il C. per segnalare ai responsabili centrali dell'azienda la situazione di pericolo e la necessità di intervenire urgentemente per eliminarne la causa, non solo non ha disposto di tenere chiuso il cancello finche non fosse stato riparato, ma ha addirittura incaricato la dipendente di aprire il malfermo cancello, incurante del rischio che alla stessa faceva correre e creando le premesse per l'incidente poi verificatosi.
Ciò di per sè certamente basta per ritenere il C. responsabile dell'infortunio e per ritenere, altresì, corretto il riferimento della corte territoriale ad una posizione di garanzia di fatto assunta dall'imputato in considerazione della qualifica superiore, dirigenziale, dallo stesso ricoperta all'interno del centro commerciale, che gli attribuiva, di fatto, poteri di sovra ordinazione sugli altri dipendenti, che a lui rispondevano, che a lui facevano riferimento e che alle sue disposizioni si attenevano.
2 - La sentenza impugnata non presenta, in conclusione, alcuno dei vizi denunciati, rappresentando la stessa precisa e coerente applicazione della legge e dei principi di diritto affermati da questa Corte in materia di responsabilità per infortuni sul lavoro, di guisa che il ricorso proposto deve essere rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.