Cassazione Civile, Sez. Lav., 05 marzo 2012, n. 3417 - Scheggia in un occhio e mancanza di occhiali protettivi: risarcimento del danno


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

 

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio - Presidente

 

Dott. MAISANO Giulio - rel. Consigliere

 

Dott. MANNA Felice - Consigliere

 

Dott. FILABOZZI Antonio - Consigliere

 

Dott. MANCINO Rossana - Consigliere

 

ha pronunciato la seguente:

sentenza

 

sul ricorso 12683/2010 proposto da:

 

G.A., già elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 34, presso lo studio dell'avvocato BOTTI ANDREA, rappresentato e difeso dall'avvocato MACCHIAGODENA Sergio, giusta delega in atti e da ultimo domiciliato presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;

 

- ricorrente -

 

contro

 

G.A.N. ITALIA S.P.A., R.D.B. S.P.A.;

 

- intimati -

 

nonchè da:

 

R.D.B. S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, già elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ARCHIMEDE 164, presso lo studio dell'avvocato GHIRON GIORGIO, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato MICHELE CELLA e da ultimo domiciliata presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;

 

- controricorrente e ricorrente incidentale -

 

contro

 

G.A., già elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 34, presso lo studio dell'avvocato BOTTI ANDREA, rappresentato e difeso dall'avvocato MACCHIAGODENA SERGIO, giusta delega in atti e da ultimo domiciliato presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;

 

- controricorrente al ricorso incidentale -

 

e contro

 

G.A.N. ITALIA S.P.A.;

 

- intimata -

 

avverso la sentenza n. 311/2009 della CORTE D'APPELLO di BOLOGNA, depositata il 05/11/2009 R.G.N. 111/2005;

 

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/01/2012 dal Consigliere Dott. GIULIO MAISANO;

 

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale, inammissibilità dell'incidentale.

 

 

 

Fatto

 

 

Con sentenza del 5 novembre 2009 la Corte d'Appello di Bologna ha confermato la sentenza del Tribunale di Piacenza del 21 gennaio 2004 con la quale la R.D.B. s.p.a. è stata condannata al pagamento in favore di G.A. della somma di Euro 61.277,37, oltre interessi e rivalutazione monetaria dalla data della sentenza al saldo, a titolo di risarcimento del danno per l'infortunio sul lavoro da lui patito il 29 novembre 1990, per il quale è stato riconosciuto il concorso di colpa del lavoratore nella misura del 30 per cento. La Corte territoriale ha motivato tale pronuncia considerando il dato inequivoco che il G., al momento dell'infortunio consistito nell'essere stato il lavoratore attinto all'occhio sinistro da una scheggia originata dal contatto tra parti metalliche mentre montava il contenitore di un'armatura di cemento armato, non indossava occhiali protettivi. La Corte ha ritenuto provata la responsabilità delle parti, nelle percentuali stabilite dal giudice di primo grado, considerando che il datore di lavoro ha provato a mezzo fatture di acquisto di epoca precedente all'infortunio, di essere dotato degli occhiali protettivi, ma di non avere vigilato sul loro utilizzo obbligatorio, mentre occhiali di plastica termo protettivi avrebbero avuto efficacia maggiore rispetto a quelli di vetro come accertato con la consulenza tecnica d'ufficio espletata. La Corte d'Appello di Bologna ha ritenuto corretta la quantificazione delle percentuali di colpa rispettivamente riconosciute al lavoratore ed al datore di lavoro dal giudice di primo grado. Inoltre la stessa Corte d'Appello ha ritenuto che il credito da risarcimento del danno non segue la disciplina dei crediti di lavoro, per cui, poichè il credito in questione è stato considerato credito di valuta, il danno da ritardato pagamento è disciplinato dall'art. 1224 cod. civ. che esclude il cumulo fra interessi e rivalutazione, e non dall'art. 429 cod. proc. civ., comma 3.

 

Il G. propone ricorso per cassazione avverso tale sentenza articolandolo su tre motivi.

 

Resiste con controricorso la R.D.B. s.p.a. che propone ricorso incidentale a cui resiste con controricorso il G..

 

 

Diritto

 

 

I ricorsi vanno riuniti essendo proposti avverso la medesima sentenza.

 

Con il primo motivo del ricorso principale si lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 1227, 2087 e 2729 cod. civ. in relazione all'art. 360 cod. proc. civ., n. 3, nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all'art. 360 cod. proc. civ., n. 5. In particolare si deduce che non sarebbe stata raggiunta la prova sufficiente della dotazione di occhiali protettivi al lavoratore non essendo all'uopo idonea la sola fattura di acquisto. Inoltre dalla consulenza espletata è emerso che gli occhiali acquistati dal datore di lavoro non sarebbero stati i più idonei a preservare il lavoratore dal pericolo di essere attinto da corpi estranei.

 

Con secondo motivo si lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 1227 e 2097 cod. civ. in relazione all'art. 360 cod. proc. civ., n. 3, ritenendo che, sulla base di quanto accertato e, in particolare, della mancata dotazione al lavoratore di strumenti idonei a prevenire l'infortunio, della mancata informazione del pericolo soprattutto in considerazione dello stato di apprendista del lavoratore, doveva essere riconosciuta l'esclusiva responsabilità del datore di lavoro nella determinazione dell'evento.

 

Con il terzo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1224 e 2056 cod. civ. in relazione all'art. 360 cod. proc. civ., n. 3, per l'erroneo calcolo della rivalutazione e degli interessi legali in quanto, anche sulla base della giurisprudenza della Corte di Cassazione, il debito da risarcimento del danno costituisce debito di valore assoggettato sia a rivalutazione monetaria che ad interessi legali dall'epoca del fatto illecito.

 

Con il ricorso incidentale si lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 414 cod. proc. civ., nn. 3 e 4 e art. 2087 cod. civ., in relazione all'art. 360 cod. proc. civ., n. 3; omessa contestazione in sede di ricorso dell'omessa vigilanza; pronuncia di primo grado fondata su altri elementi di responsabilità, e omessa doglianza in sede di appello riguardo all'aspetto della responsabilità del datore di lavoro consistente nel non avere imposto al lavoratore l'utilizzo degli occhiali protettivi.

 

Il primo motivo di ricorso è infondato. Con esso si censura sostanzialmente la valutazione di una prova, giudizio riservato al giudice del merito. Nel caso in esame la Corte territoriale ha attentamente valutato la prova costituita dalla fattura relativa all'acquisto degli occhiali protettivi in questione e l'ha logicamente ritenuta prova della dotazione al lavoratore della misura antinfortunistica in questione, la stessa Corte ha pure considerato l'idoneità degli occhiali stessi sulla base della espletata CTU. Le motivate e logiche considerazioni della Corte territoriale sfuggono ad ogni censura di legittimità.

 

Il secondo motivo di ricorso è parimente infondato.

 

La giurisprudenza di questa Corte ha più volte affermato che le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire l'insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso, con la conseguenza che il datore di lavoro è sempre responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente, per l'imprenditore, all'eventuale concorso di colpa del lavoratore, la cui condotta può comportare, invece, l'esonero totale del medesimo imprenditore da ogni responsabilità solo quando presenti i caratteri dell'abnormità, inopinabilità ed esorbitanza, necessariamente riferiti al procedimento lavorativo "tipico" ed alle direttive ricevute, cosi da porsi come causa esclusiva dell'evento (per tutte Cass. 23 aprile 2009 n. 9689; 25 febbraio 2011 n. 4656). Nel caso in esame i giudici di merito hanno determinato la percentuale del concorso del lavoratore nella determinazione dell'evento, nella misura del 30%. La Corte d'Appello territoriale, nella sentenza impugnata in questa sede, ha puntualizzato le colpe delle parti con argomentazioni supportate da precisi elementi probatori, e logiche. In particolare, la responsabilità del datore di lavoro nell'avere omesso la sorveglianza sull'effettivo utilizzo degli occhiali protettivi, e nell'avere omesso di impartire al lavoratore le necessarie istruzioni sulla pericolosità delle mansioni affidategli, e quella del lavoratore che si è espressamente rifiutato di indossare gli occhiali protettivi, come indicato nella stessa sentenza, sono state quantificate nella misura, rispettivamente del 70 per cento e del 30 per cento, con giudizio, quindi, logico e motivato, incensurabile in sede di legittimità.

 

E' invece fondato il terzo motivo di ricorso. Invero, questa Corte ha già avuto modo di statuire (Cass. sez. lav. n. 3213 del 18/2/2004) che "la domanda proposta dal lavoratore contro il datore di lavoro volta a conseguire il risarcimento del danno sofferto per la mancata adozione, da parte dello stesso datore, delle misure previste dall'art. 2087 c.c., non ha natura previdenziale perchè non si fonda sul rapporto assicurativo configurato dalla normativa in materia, ma si ricollega direttamente al rapporto di lavoro, dando luogo ad una controversia di lavoro disciplinata quanto agli accessori dei credito dall'art. 429 c.p.c., comma 2; ne consegue che non opera il divieto di cumulo di interessi e rivalutazione stabilito per i crediti previdenziali dalla L. n. 412 del 1991, art. 16, comma 6. Tra l'altro, già in precedenza si era affermato (Cass., sez. lav., 8 aprile 2002, n. 5024) che nell'ampia accezione di credito di lavoro, cui è applicabile l'art. 429 c.p.c., in tema di rivalutazione monetaria e interessi, è compreso anche il risarcimento del danno subito dal lavoratore per l'infortunio dipendente dalla mancata predisposizione, da parte del datore di lavoro, delle misure necessarie a tutelare l'integrità fisica dei dipendenti (art. 2087 c.c.), essendo tale danno di origine anche contrattuale e strettamente connesso con lo svolgimento del rapporto di lavoro (Cass. 1 luglio 2011 n. 14507). Illegittimamente, quindi, la Corte territoriale ha considerato il credito del lavoratore per risarcimento del danno da infortunio sul lavoro quale credito di valuta disciplinato dall'art. 1224 cod. civ. anzichè dall'art. 429 cod. proc. civ..

 

Il ricorso incidentale è inammissibile. Con tale ricorso si chiede in modo contraddittorio di rivisitare la pronuncia sulla responsabilità del datore di lavoro pur accettandosi non impugnandosi e non criticandosi la pronuncia stessa. Evidentemente il riesame richiesto appare quanto meno inutile in presenza dell'accettazione della pronuncia impugnata.

 

La sentenza impugnata deve dunque essere cassata con riferimento a tale profilo, con rinvio alla Corte d'Appello di Firenze che si adeguerà al principio di diritto sopra enunciato applicando al credito in questione, la disciplina di cui all'art. 429 cod. proc. civ., pronunciandosi anche sulle spese di giudizio.

 

 

P.Q.M.

 

 

La Corte di Cassazione riunisce i ricorsi;

 

Accoglie il terzo motivo del ricorso principale e rigetta gli altri;

 

Dichiara inammissibile il ricorso incidentale;

 

Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'Appello di Firenze.