Cassazione Penale, Sez. 3, 20 febbraio 2012, n. 6643 - Produzione di pizza e mancata valutazione del rischio da movimenti frequenti e ripetitivi e da movimentazione manuale dei carichi
Responsabilità del Presidente del Consiglio di Ammistrazione di una s.p.a. avente ad oggetto la produzione di pizze fresche e surgelate per non aver valutato il rischio da movimenti frequenti e ripetitivi degli arti superiori ed il rischio da movimentazione manuale dei carichi per la mansione di addetta alla preparazione ingredienti, e conseguentemente per non aver individuato le opportune misure di prevenzione protezione.
Ricorso in Cassazione - Inammissibile.
Il tribunale ha accertato che si è trattato di malattia professionale riscontrata a due lavoratrici addette alla preparazione degli alimenti che però svolgevano anche attività di sollevamento manuale di carichi. In particolare il tribunale ha dato atto di una segnalazione di malattia professionale pervenuta all'ASL nella quale si evidenziava che due dipendenti della G. Italia S.p.A. lamentavano patologie agli arti superiori. I relativi accertamenti evidenziarono che la società, negli anni 2003 e 2006, aveva omesso di valutare il rischio specifico concernente tali movimentazioni. Da qui il verbale di prescrizione del 4 gennaio 2007.
Corretta è poi l'affermazione della sentenza impugnata secondo cui la valutazione dei rischi non è delegabile, come espressamente prevede il D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 17.
Corretta è anche l'ulteriore affermazione dell'irrilevanza dell'accertamento del nesso di causalità tra la condotta contestata all'imputato e le patologie lamentate dalle due lavoratrici. Infatti l'addebito consiste soltanto nella mancata valutazione - o meglio inadeguata valutazione - del rischio professionale.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETTI Ciro - Presidente
Dott. GENTILE Mario - Consigliere
Dott. AMOROSO Giovanni - Consigliere
Dott. ROSI Elisabetta - Consigliere
Dott. GAZZARA Santi - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
M.A.R. nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 30 settembre 2010 del tribunale di Udine;
Udita la relazione fatta in pubblica udienza dal Consigliere Dr. Giovanni Amoroso;
Udito il P.M., in persona del S. Procuratore Generale Dott. Cesqui Elisabetta che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.
Fatto
1. M.A.R. era imputato del reato previsto dal D.Lgs n. 626 del 1994, art. 4, comma 2 perchè, quale Presidente del Consiglio di Ammnistrazione della G. Italia s.p.a. avente ad oggetto la produzione di pizze fresche e surgelate, e quindi nella qualità di datore di lavoro, non valutava il rischio da movimenti frequenti e ripetitivi degli arti superiori ed il rischio da movimentazione manuale dei carichi per la mansione di addetta alla preparazione ingredienti, e conseguentemente non individuava le opportune misure di prevenzione protezione (acc. in (OMISSIS)).
Tratto a giudizio per rispondere di tale imputazione con decreto di citazione del 27 ottobre 2009 emesso a seguito di opposizione al decreto penale di condanna n. 191/08 del 22 febbraio 2008, M. A.R., non compariva al processo e, non ricorrendo le condizioni indicate nell'art. 420 c.p.p., comma 2, art. 420 bis c.p.p. e art. 420 ter c.p.p., commi 1 e 2, era dichiarato contumace.
Nell'udienza del 13 aprile 2010 erano ammesse le prove testimoniali e documentali indicate dalle parti, e in successive udienze si procedeva all'esame di T.L. e P.O.M., già dipendenti della G. Italia S.p.A. stabilimento di (OMISSIS), nonchè a quello del tecnico della prevenzione P. G., in servizio presso l'Azienda sanitaria n. (OMISSIS). Altresì era sentita la dottoressa A.B., medico del lavoro presso l'Azienda sanitaria Alto Friuli.
Di seguito, il pubblico ministero e il difensore formulavano e illustravano le rispettive conclusioni e il tribunale, dichiarato chiuso il dibattimento, procedeva alla deliberazione della sentenza in data 30 settembre 2010 con cui dichiarava l'imputato colpevole e lo condannava al pagamento di Euro 2000 di ammenda oltre che delle spese processuali.
2. Avverso questa pronuncia l'imputato propone ricorso per cassazione.
Diritto
1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la nullità della sentenza per mancanza di adeguata motivazione circa la prova della ritenuta responsabilità penale. In particolare l'impugnata sentenza non avrebbe tenuto conto della delega delle funzioni in materia di prevenzione degli infortuni.
Con il secondo motivo deduce erronea applicazione della legge penale.
Censura in particolare l'affermazione del tribunale secondo cui è irrilevante l'accertamento del nesso di causalità tra la condotta incriminata e le patologie lamentate dalle due lavoratrici. La difesa dell'imputato deduce che le infermità lamentate dalle due lavoratrici della società non avevano origine dell'attività lavorativa e quindi non si trattava di malattia professionale.
2. Il ricorso è inammissibile.
3. Il tribunale di Udine nell'impugnata sentenza ha attentamente esaminato le risultanze del processo con valutazione di merito che non è censurabile in sede di legittimità in quanto assistita da motivazione sufficiente e non contraddittoria. Il tribunale ha accertato che si è trattato di malattia professionale riscontrata a due lavoratrici addette alla preparazione degli alimenti che però svolgevano anche attività di sollevamento manuale di carichi.
In particolare il tribunale ha dato atto di una segnalazione di malattia professionale pervenuta all'Azienda Sanitaria n. (OMISSIS) nell'aprile 2006: nella comunicazione si evidenziava che due dipendenti della G. Italia S.p.A., società operante nel settore della produzione di prodotti alimentari, lamentavano patologie agli arti superiori. Le lavoratrici in questione erano T.L. e P.M., due operaie addette alla preparazione degli ingredienti nello stabilimento di (OMISSIS). Detta attività, come dalle stesse dichiarato nel contraddittorio dibattimentale, comportava anche la movimentazione e il sollevamento manuale di carichi con particolare frequenza nell'arco della giornata lavorativa. I relativi accertamenti, condotti nell'autunno 2006 da personale della competente Azienda sanitaria, evidenziarono che la società, negli anni 2003 e 2006, aveva omesso di valutare il rischio specifico concernente tali movimentazioni. Da qui il verbale di prescrizione del 4 gennaio 2007, in cui ad M.A. R., nella sua qualità di datore di lavoro - presidente del consiglio di amministrazione della G. - si contestava la violazione della L. n. 626 del 1994, art. 4, comma 2, per non aver valutato il rischio di movimenti frequenti e ripetitivi degli arti superiori ed il rischio da movimentazione manuale dei carichi e di non aver individuato le relative misure di prevenzione e protezione, con la prescrizione di valutare le condizioni di salute connesse alla mansione di addetta alla preparazione ingredienti, comportante il rischio suddetto.
4. Corretta è poi l'affermazione della sentenza impugnata secondo cui la valutazione dei rischi non è delegabile, come espressamente prevede il D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 17. (Cfr. Cass., Sez. 4, 10 dicembre 2008 - 28 gennaio 2009, n. 4123, che ha affermato che in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai sensi del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 17 il datore di lavoro non può delegare, neanche nell'ambito d'imprese di grandi dimensioni, l'attività di valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza del lavoratore e la designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dei rischi. Cfr. anche Cass., Sez. 4, 31 gennaio 2008 - 27 febbraio 2008, n. 8620, che ha ribadito che l'eventuale delega rilasciata dal datore di lavoro con cui vengono conferite anche funzioni non delegabili per espressa volontà della legge, come quelle relative alla valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori nell'ambito della scelta delle attrezzature di lavoro, non diviene solo per questo integralmente invalida, ma continua a spiegare i propri effetti per la parte relativa alle funzioni invece delegabili.
Corretta è anche l'ulteriore affermazione dell'irrilevanza dell'accertamento del nesso di causalità tra la condotta contestata all'imputato e le patologie lamentate dalle due lavoratrici. Infatti l'addebito consiste soltanto nella mancata valutazione - o meglio inadeguata valutazione - del rischio professionale.
5. Pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile.
Tenuto poi conto della sentenza 13 giugno 2000 n. 186 della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 1.000,00.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di Euro mille alla Cassa delle ammende.