Consiglio di Stato, Sez. 6, 27 marzo 2012, n. 1799 - Appalti e omessa dichiarazione di un reato direttamente incidente sull’affidabilità dell’impresa in relazione al rispetto delle norme di sicurezza dettate a tutela dei lavoratori
N. 01799/2012REG.PROV.COLL
N. 07422/2008 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7422 del 2008, proposto da
Consorzio Stabile Costruttori, in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dagli avvocati Valeria Pellegrino e Danilo D'Arpa, con domicilio eletto presso Valeria Pellegrino in Roma, corso del Rinascimento n. 11;
contro
Ministero per i beni e le attività culturali, Soprintendenza per i beni storici artistici ed etnoantropologici di Modena e Reggio Emilia, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria per legge presso la sede di Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti di
P. s.r.l. in proprio e quale capogruppo mandataria dell’Ati P. s.r.l.- Fima Elettromeccanica s.r.l.., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall'avv. Vincenzo Cerioni, con domicilio eletto presso l’avv. Vincenzo Greco in Roma, via Federico Cesi 21;
per la riforma della sentenza del t.a.r. emilia-romagna – bologna, sezione i, n. 01253/2008, resa tra le parti, concernente aggiudicazione dell’appalto per lavori di restauro
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero per i beni e le attivitaà culturali e della Soprintendenza a per i beni storici artistici ed etnoantropologici di Modena e Reggio Emilia;
Viste le memorie difensive delle parti;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli artt. 74 e 120, co. 10, cod. proc. amm.;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 febbraio 2012 il Cons. Gabriella De Michele e uditi per le parti l'avvocato dello Stato Titodore e l'avvocato Pellegrino;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FattoDiritto
Con atto di appello n. 7422/08, notificato il 15 settembre 2008, il Consorzio Stabile Costruttori, in persona del legale rappresentante ing. Angelo L., contesta la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia-Romagna, Bologna, I, 3 aprile 2008, n. 1253, con la quale è stato respinto il ricorso dal medesimo proposto avverso l’aggiudicazione all’ATI P. s.r.l. e FI-MA Elettro-Meccanica s.r.l. dell’appalto per lavori di restauro e adeguamento normativo e funzionale di una porzione del fabbricato sito in Modena,, denominato Palazzo Solmi, già Bellentani-Rangoni.
Le questioni qui sottoposte all’esame del Collegio riguardano le seguenti censure, respinte in primo grado e riproposte nella presente sede dal citato Consorzio, risultato secondo in graduatoria:
1) omessa dichiarazione di condanne penali, riportate da due amministratori, il primo dei quali, tuttavia, cessato dalla carica da più di tre anni (con preclusa rilevanza di tale condanna per la società, come in precedenza riconosciuto dalla stessa ricorrente), mentre per il secondo amministratore sarebbe stata (secondo l’appellante) illegittimamente esclusa la rilevanza di una condanna, benché patteggiata dieci anni prima della gara, non essendo automatica l’estinzione del reato e non risultando congrua la decisione della stazione appaltante di escludere l’incidenza della stessa sulla moralità professionale del concorrente, anche per l’autonoma rilevanza dell’omessa dichiarazione (pur richiedendo il bando di effettuare la dichiarazione di cui trattasi nei termini di cui all’art. 38 d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163);
2) omessa dichiarazione delle quote con cui ciascuna impresa partecipante all’ATI avrebbe effettuato i lavori, non essendo scontata la ripartizione successiva, avendo una delle imprese partecipanti tutte le qualifiche richieste per l’effettuazione dei lavori;
3) irregolarità della fideiussione, in quanto non sottoscritta da una delle imprese partecipanti e quindi non riferibile alla stessa, risultando insufficiente la mera indicazione, in allegato, dell’intenzione della società sottoscrittrice di effettuare le prestazioni richieste, in caso di aggiudicazione, in associazione temporanea;
4) irregolarità delle sedute successive alla prima, tramite mero annuncio nella bacheca della stazione appaltante e non con apposita comunicazione alle imprese partecipanti alla gara.
Il Collegio ritiene fondati e assorbenti i primi tre ordini di censure, mentre per il quarto - riferito alla pubblicità delle sedute - ritiene invece condivisibili le considerazioni della sentenza appellata, che ha ritenuto non invalidanti le modalità di comunicazione poste in essere dalla Commissione aggiudicatrice, in quanto non lesive della par condicio dei concorrenti.
Per quanto riguarda infatti, in primo luogo, l’omessa dichiarazione di condanne penali, richiesta ai sensi dell’art. 38 d.lgs. n. 163 del 2006, il Collegio ricorda che occorre distinguere – nell’ambito della disposizione – fra i requisiti il cui accertamento è oggettivo e non richiede alcuna valutazione (come il fallimento, o la pendenza di procedura di prevenzione) e i requisiti rimessi all’apprezzamento discrezionale della stazione appaltante, come appunto l’intervenuta condanna per reati “gravi” ed “incidenti sulla “moralità professionale”.
Per questi ultimi, la mera ripetizione, da parte del bando, della disposizione di legge, così come il rinvio alla stessa, appaiono di fatto costitutivi di una causa di legittimazione anche per il concorrente, che potrebbe ritenersi esonerato dal dichiarare infrazioni penalmente rilevanti, ma di lieve entità. L’omessa dichiarazione sarebbe senz’altro sanzionabile in sede di gara, pertanto, solo in presenza di un più stringente obbligo, imposto dal bando, di dichiarare qualsiasi condanna penale, spettando in via esclusiva all’amministrazione la predetta valutazione di gravità (Cons. Stato, VI, 4 agosto 2009, nn. 4905, 4906 e 4907).
Nella situazione in esame, il bando di gara prevedeva (punto 5, lettera h)) la dichiarazione di cui trattasi per reati che incidessero “sull’affidabilità morale e professionale”dei rappresentanti delle imprese, indicati al precedente punto e), “anche se cessati dalle cariche nel triennio antecedente alla data di pubblicazione del bando, fatta salva la dimostrazione da parte dell’impresa di avere adottato atti o misure di completa dissociazione dalla condotta penalmente sanzionata”.
Non rilevava quindi, in primo luogo (e la stessa attuale appellante aveva rinunciato a tale censura, con memoria prodotta in primo grado di giudizio), la condanna riportata dall’amministratore delegato di P. s.r.l. (C.I.), cessato dalla carica in data 11 febbraio 2002 (ovvero oltre tre anni prima della dichiarazione di cui trattasi): l’irrilevanza di tale condanna ai fini della partecipazione alla gara era infatti prevista dalla disposizione del bando sopra riportata, peraltro in conformità all’art. 75, comma 1, lettera c) d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, come successivamente integrato e assorbito dal d.lgs. n. 163 del 2006.
Per quanto riguarda, invece, la posizione del legale rappresentante della ditta FIMA (F.S.), il Collegio non ritiene ragionevole – in applicazione dell’indirizzo giurisprudenziale ricordato – un apprezzamento discrezionale di “non gravità”, compiuto dall’impresa partecipante alla gara in rapporto ad una condanna patteggiata per omicidio colposo commesso per “imprudenza, imperizia, negligenza e colpa specifica, consistente nella violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro”, punito ai sensi dell’art. 589, commi 1 e 2, Cod. pen. dalla Pretura circondariale di Terni con sentenza in data 13 ottobre 1995. Tale condanna riguardava infatti un delitto per detta qualificazione incidente su beni e interessi comunque rilevanti per quanto concerne l’affidabilità dell’impresa partecipante ad appalti pubblici, chiamata al sistematico rispetto delle condizioni di sicurezza dei lavoratori (cfr. Cons. Stato, sez. I, 23 gennaio 2008, n. 4436/07): il precedente in questione non poteva pertanto scendere al di sotto della soglia della “gravità”, ai fini della dichiarazione di cui trattasi.
Il fatto che la condanna fosse risalente nel tempo e la prospettata maturazione dei presupposti di estinzione del reato potevano essere (come sono stati) oggetto di specifica valutazione da parte della stazione appaltante: ma resta comunque fermo che quest’ultima doveva farsi carico della questione – comunque rilevante, – dell’omissione della dichiarazione, prescritta dal bando, circa l’esistenza di una tale condanna (cfr. sul punto artt. 75 e 76 d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445).
L’apprezzamento di “non gravità”, che può ritenersi rimesso alla valutazione del concorrente, non è in effetti speculare a quello esercitabile dalla stazione appaltante: al primo (in presenza di un rinvio generico, o di una testuale reiterazione della disposizione di legge nel bando di gara) compete solo un apprezzamento limitato al possibile superamento della soglia di interesse della valutazione; ma la valutazione concreta spetta poi alla stazione appaltante, in ragione degli interessi tutelati dalla legge.
In altre parole, nel caso in cui il bando non ponga un obbligo incondizionato di dichiarare qualsiasi condanna riportata, si potrebbe non ritenere “falsa” la dichiarazione di un concorrente che ometta di menzionare la condanna penale di un amministratore, qualora fosse ragionevolmente giustificabile – in riferimento agli interessi perseguiti dalla normativa sui contratti pubblici - il suo giudizio di irrilevanza di condanne per fatti da lui stesso ritenuti scarsamente offensivi, ovvero non attinenti agli interessi che presiedono ai requisiti richiesti per la partecipazione.
Una tale evenienza non ricorre però nel caso di specie, in cui la questione si pone con riferimento ad un reato che, per le dette ragioni, è da considerare oggettivamente “grave” e perciò direttamente incidente sull’affidabilità dell’impresa in relazione al rispetto delle norme di sicurezza dettate a tutela dei lavoratori.
In tale contesto – essendo incontestabile la gravità” (indifferente – per quanto concerne il dovere di presentare le dichiarazioni di cui si verte - rispetto all’ulteriore questione dell’avvenuta successiva estinzione, o meno, del reato) spettava alla sola Amministrazione la responsabile scelta, in ordine all’eventuale superamento della presunzione relativa di inaffidabilità, conseguente alla condanna stessa. Risultava inammissibile, invece, che il concorrente potesse ritenersi non tenuto all’obbligo di dichiarazione imposto dall’art. 38 d.lgs. n. 163 del 2006 e dal bando di gara, in quanto tale obbligo, legato esclusivamente alla natura della condotta penalmente sanzionata, prescindeva dalle ulteriori – non pacifiche – valutazioni in ordine all’eventuale riabilitazione del condannato o all’estinzione del reato, Il bando richiedeva, d’altra parte, un’attestazione circa l’oggettiva insussistenza di condanne, che potessero in astratto essere incidenti sull’affidabilità morale e professionale dei rappresentanti delle imprese concorrenti, e non rimetteva loro una valutazione di attenuazione per fatti estrinseci e successivi come quelli addotti.
Quanto all’ordine di censure, riferito alla omessa indicazione – in sede di offerta – della ripartizione percentuale dei lavori fra mandante e mandataria, il Collegio ritiene ugualmente non fondate le conclusioni della sentenza appellata secondo cui, in tema di appalti pubblici, detta indicazione sarebbe “funzionale all’esecuzione della prestazione complessivamente richiesta”, con conseguente inidoneità dell’omissione a costituire causa di esclusione dalla gara quando le imprese associate fossero tra loro fungibili, ovvero in grado di assolvere ciascuna all’intera prestazione, ovvero quando fossero specializzate in relazione alle specifiche categorie richieste dal disciplinare di gara.
Nella fattispecie, la mandataria P. s.r.l. possedeva le attestazioni richieste per effettuare l’intera prestazione, mentre la mandante – essendo specializzata per la sola categoria OG11 – classifica IV, non avrebbe potuto eseguire altre prestazioni, di modo che la ripartizione sarebbe stata desumibile dalle stesse qualificazioni possedute.
Questa situazione, tuttavia, non poteva precostituire alcuna certezza in ordine alle effettive quote di partecipazione di ciascuna impresa al raggruppamento temporaneo, potendo la mandataria eseguire anche opere, appartenenti alla categoria di specializzazione della mandante. La definizione delle quote di partecipazione ad un’ATI, del resto, è pacificamente ritenuta attinente non solo alla fase esecutiva, ma anche al momento genetico del rapporto contrattuale, benchè non specificamente richiesto dal bando. Il bando è infatti, all’occorrenza, da ritenere integrato dalle prescrizioni di cui all’art. 13, comma 5, della legge 11 febbraio 1994, n. 109, in base al quale l’affidamento della realizzazione di opere pubbliche ad associazioni temporanee è subordinato alla condizione che la mandataria e le altre imprese associate siano già in possesso di qualificazione per la rispettiva quota percentuale, cui deve poi corrispondere l’esecuzione dei lavori, ex art. 93, comma 4 d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554: quanto sopra, dovendosi tenere conto dell’esigenza di evitare partecipazioni fittizie o di comodo ed in corrispondenza alle caratteristiche di trasparenza e affidabilità, che debbono contraddistinguere le procedure di gara, in base ai principi recepiti anche dall’art. 37, comma 13, d.lgs. 14 aprile 1996, n. 163 (cfr. in tal senso, fra le tante, Cons. Stato,. IV, 27 novembre 2010, n. 8253, 27 gennaio 2011, n. 606; Cons. Stato, V, 7 maggio 2008, n. 2079, 20 agosto 2008, n. 3972, 22 dicembre 2008, n. 6493, 12 febbraio 2010, n. 744, 28 settembre 2009, n. 5817, 22 febbraio 2010, n. 1038, 8 settembre 2010, n. 6490, 12 ottobre 2004, n. 6586, 6 maggio 2011, n. 2715, 27 ottobre 2011, n. 5736; VI, 8 febbraio 2008, n. 416).
Anche sotto tale profilo, quindi, le argomentazioni dell’appellante debbono essere accolte.
Restano da esaminare le argomentazioni difensive, riferite a violazione dell’art. 108 d.P.R. n. 554 del 1999, per avere l’associazione aggiudicataria prodotto una polizza fideiussoria intestata e sottoscritta soltanto dalla società capogruppo.
Tali argomentazioni erano respinte dalla sentenza appellata, in quanto “dal contenuto di un allegato alla polizza fideiussoria “ risulterebbe che “l’atto comprende entrambi i soggetti della costituenda associazione”, con conseguente estensione della garanzia all’eventuale inadempimento di tutte le imprese associate.
Dette conclusioni non appaiono condivisibili. È vero, infatti, che la garanzia fideiussoria non richiede necessariamente la sottoscrizione delle imprese associate, in caso di raggruppamento, essendo la stessa operante fra garante e beneficiario (quest’ultimo, nel caso di specie, identificabile nella stazione appaltante), con piena efficacia anche se uno dei soggetti garantiti non è a conoscenza del contratto; la medesima garanzia deve però coprire non solo la mancata sottoscrizione del contratto, ma anche ogni altro obbligo derivante dalla partecipazione alla gara, con puntuale specificazione dell’obbligazione garantita e di ogni eventuale condizione o limitazione (Cons. Stato, VI, 28 febbraio 2006, n. 893; Cons. giust. amm. Reg. Sic. 29 settembre 2005, n. 630). La mera enunciazione dell’intento di P. s.r.l., in caso di aggiudicazione, di “costituire ATI con la ditta mandante FI.MA. Elettromeccanica s.r.l.” non appare invece accompagnata da adeguate specificazioni, in particolare circa la copertura assicurativa inerente alla veridicità delle dichiarazioni della mandante FI.MA., in ordine al possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa prescritti. Anche sotto quest’ultimo profilo, pertanto, le prospettazioni difensive dell’appellante risultano fondate.
Per le ragioni esposte, in conclusione, il Collegio ritiene che l’appello debba essere accolto, con gli effetti precisati in motivazione.
Le spese giudiziali da rifondere all’appellante vengono liquidate – per i due gradi di giudizio – nella misura di €. 5.000,00 a carico del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e di €. 5.000,00 a carico dell’ATI P. s.r.l. e FI.MA. Elettromeccanica.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando , accoglie l’appello e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, annulla l’aggiudicazione dei lavori di restauro e adeguamento normativo e funzionale di porzione del fabbricato, denominato Palazzo Solmi, già Bellentani –Rangoni, all’ATI P. s.r.l. – FI.MA. Elettromeccanica s.r.l.; condanna le predette società e il Ministero per i Beni e le Attività Culturali al pagamento delle spese giudiziali, nella misura di €. 5.000,00 (cinquemila/00) ciascuna, come specificato in motivazione.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 febbraio 2012 con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini, Presidente
Roberto Giovagnoli, Consigliere
Gabriella De Michele, Consigliere, Estensore
Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere
Bernhard Lageder, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 27/03/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)