Cassazione Penale, Sez. 4, 16 aprile 2012, n. 14413 - Rampe di carico di un escavatore prive di dispositivi di sicurezza e infortunio mortale: responsabilità di un noleggiatore e di un datore di lavoro
Responsabilità per infortunio mortale di un lavoratore addetto alle pulizie, impegnato nei lavori di sistemazione delle aiuole. Quest'ultimo, rimasto solo per essersi allontanato il collega, dopo aver terminato il lavoro di pulizia, aveva cercato di ricollocare un miniescavatore preso in nolo da una srl sul furgone della sua ditta con cui era stato portato in loco, servendosi di due rampe metalliche. Queste, pure noleggiate presso la medesima ditta, erano state da lui solo poggiate sul bordo del cassone del furgone in quanto sprovviste di agganci, per cui, nel transito del piccolo escavatore, a seguito dello slittamento della rampa di sinistra con perdita dell'appoggio, egli era caduto insieme al mezzo che guidava restando schiacciato e riportando lesioni che ne cagionavano la morte.
Per il reato furono imputati sia il legale rappresentante della srl per aver dato in nolo un'attrezzatura inidonea ai fini della sicurezza, sia il datore di lavoro della vittima, per aver messo a disposizione del lavoratore un'attrezzatura non adeguata (le rampe di carico dell'escavatore erano prive di dispositivi di sicurezza per vincolarle al furgone) e per non aver reso edotto il suo dipendente, addetto alle pulizie, del rischio del carico/scarico dell'escavatore.
Ricorso in Cassazione - Rigetto.
Innazitutto, si ricorda che, nonostante il datore di lavoro abbia consentito da parte dei suoi dipendenti l'utilizzazione di un'attrezzatura presa a nolo e non rispondente alla normativa sulla sicurezza, sussiste la colpa del noleggiatore di un macchinario non conforme alle norme antinfortunistiche essendo egli tenuto a garantire la perfetta funzionalità del macchinario e che lo stesso sia dotato dei sistemi antinfortunistici, non potendo ritenere, in base al principio di affidamento, che il noleggiante debba operare un controllo prima dell'uso del macchinario stesso.
D'altra parte, la colpa del noleggiatore di un macchinario non conforme alle norme antinfortunistiche non esclude quella concorrente del datore di lavoro che di detto macchinario abbia fatto uso.
Già sulla base di quanto argomentato va ritenuto infondato il motivo, comune ai due ricorsi, riguardante il comportamento abnorme del lavoratore, così disancorandosi il nesso causale dal comportamento omissivo degli imputati facendo ricadere la causazione dell'evento unicamente sul comportamento della persona offesa, dimenticando che anche essa, nonostante il suo ruolo attivo, era la destinataria delle garanzie antinfortunistiche.
Con tranquillante uniformità questa Corte ha affermato che l'obbligo di prevenzione si estende agli incidenti che derivino da negligenza, imprudenza e imperizia dell'infortunato, essendo esclusa, la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell'obbligo, solo in presenza di comportamenti che presentino i caratteri dell'eccezionaiità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo, alle direttive organizzative ricevute e alla comune prudenza. Ed è significativo che in ogni caso, nell'ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o dall'inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale venga attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre, comunque, alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatto comportamento. Sul punto la motivazione della sentenza impugnata è più che congrua nel rilevare che dall'inadempimento relativo all'omessa dotazione delle rampe delle palette di aggancio sono derivate le gravi conseguenze, strettamente legate da nesso di causalità con l'infortunio.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARZANO Francesco - Presidente
Dott. ROMIS Vincenzo - Consigliere
Dott. FOTI Giacomo - Consigliere
Dott. D'ISA Claudio - rel. Consigliere
Dott. BIANCHI Luisa - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1. (Omissis) n. il (Omissis);
2. (Omissis), n. il (Omissis);
Avverso la sentenza n. 454/11 della Corte d'Appello di Milano del 23.03.2011.
Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
Udita in PUBBLICA UDIENZA del 24 gennaio 2012 la relazione fatta dal Consigliere Dott. CLAUDIO D'ISA
Udito il Procuratore Generale nella persona del Dott. Elisabetta Cesqui che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.
L'avv. (Omissis), difensore delle parti civili, conclude per il rigetto dei ricorsi.
L'avv. (Omissis), difensore del (Omissis), insiste nell'accoglimento del ricorso.
L'avv. (Omissis), difensore del (Omissis), insiste per l'accoglimento del ricorso.
Fatto
(Omissis) e (Omissis) ricorrono in cassazione avverso la sentenza, in data 9.02.2011, della Corte d'Appello di Milano che, in parziale riforma della sentenza di condanna emessa nei loro confronti il 19.11.2009 dal GUP del Tribunale di Busto Arsizio in ordine al delitto di cui all'articolo 589 cod. pen., aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche, previo riconoscimento del concorso di colpa della parte lesa, ha ridotto la pena ad essi inflitta in primo grado.
In breve il fatto per una migliore comprensione dei motivi posti a base dei ricorsi. In data (Omissis), (Omissis), dipendente della ditta " (Omissis)", addetto alle pulizie, insieme al collega (Omissis), escavatorista, erano impegnati in lavori di sistemazione di aiuole, con rimozione di piante morte, vicino al cimitero di (Omissis); rimasto solo per essersi allontanato il collega - chiamato via telefono a svolgere un lavoro presso altro cantiere - dopo aver terminato il lavoro di pulizia, aveva cercato di ricollocare il miniescavatore - preso in nolo presso la ditta (Omissis) - sul furgone della sua ditta con cui era stato portato in loco, servendosi di due rampe metalliche. Queste, pure noleggiate presso la medesima ditta, erano state da lui solo poggiate sul bordo del cassone del furgone in quanto sprovviste di agganci, per cui, nel transito del piccolo escavatore, a seguito dello slittamento della rampa di sinistra con perdita dell'appoggio, egli era caduto insieme al mezzo che guidava restando schiacciato e riportando lesioni che ne cagionavano la morte. Gli imputati, rispettivamente il (Omissis) quale legale rappresentante della (Omissis) s.r.l. che aveva noleggiato l'escavatore e le rampe ed il (Omissis), nella qualità di datore di lavoro, in quanto presidente del Cda della (Omissis), sono stati giudicati dal GUP, con il rito abbreviato, per il reato di cui all'articolo 589 cod., pen. comma 2, per colpa generica e violazione della normativa antinfortunistica: in particolare il (Omissis) aveva messo a disposizione del (Omissis) un'attrezzatura inidonea, perchè le rampe di carico dell'escavatore erano prive di dispositivi di sicurezza per vincolarle al furgone e non aveva reso edotto il suo dipendente, addetto alle pulizie, del rischio del carico/scarico dell'escavatore; il (Omissis), nella qualità, per aver dato in nolo quella attrezzatura inidonea ai fini della sicurezza.
La Corte d'Appello, nel fare proprio l'impianto motivazionale della sentenza di primo grado per quanto riguarda la ricostruzione del sinistro e l'accertamento in fatto della inidoneità delle rampe metalliche di cui trattasi, concordando anche nel ritenere provati i profili di colpa degli imputati come contestati, ha ritenuto infondati i motivi del gravame, riconoscendo un comportamento imprudente del dipendente per essersi messo alla guida dell'escavatore senza allacciare le cinture di sicurezza, il cui uso avrebbe potuto evitare almeno l'evento letale, in quanto avrebbero impedito la fuoriuscita della vittima dal mezzo e di rimanere quindi schiacciato dallo stesso.
Il (Omissis) con il primo motivo del ricorso denuncia violazione di legge e vizio di motivazione. Si argomenta che la Corte di Milano a base del giudizio di colpevolezza pone argomentazioni del tutto apodittiche allorchè ritiene che era ipotizzabile che il (Omissis), rimasto solo sul posto di lavoro, si mettesse alla guida dell'escavatore, sia perchè il suo lavoro era ultimato e bisognava caricare il mezzo sul furgone, sia perchè aveva comunque esperienza di guida di veicoli aziendali ed anche perchè non aveva ricevuto alcun esplicito divieto di usare l'escavatore.
Si rileva che la motivazione è illogica in quanto è del tutto evidente la diversità di competenze nell'uso di un mezzo piuttosto che degli altri, avuto riguardo alle specifiche caratteristiche degli stessi. Quanto alla seconda considerazione si eccepisce il travisamento delle risultanze istruttorie essendo emerso, diversamente da come ritiene la Corte, che, sulla scorta delle chiare ed inequivocabili dichiarazioni dei testi (Omissis) e (Omissis), il (Omissis) non doveva utilizzare quel mezzo ed era stato diffidato dall'usarlo essendo solo il (Omissis) abilitato alla guida.
Circa poi la consapevolezza da parte dell'imputato che il (Omissis) avrebbe potuto utilizzare il mezzo, altrettanto illogica è la motivazione della sentenza che supporta l'assunto evidenziando che per suo ordine era stato chiamato il (Omissis) e non il (Omissis) per attendere ad un lavoro in altro cantiere. Si oppone che le prove dichiarative danno conto di una telefonata indirizzata prima al (Omissis) e poi al (Omissis) circa una richiesta di intervento rapido a (Omissis).
Con il secondo e terzo motivo si deduce rispettivamente: a) violazione di legge in quanto la Corte d'Appello nel riconoscere il concorso di colpa della vittima, quantificandolo nel 20%, nel rideterminare la pena ha individuato la pena base su cui effettuare tale calcolo in misura superiore a quella individuata in primo grado così violando il principio della reformatio in pejus; b) vizio di motivazione in quanto la Corte d'Appello non ha motivato perchè ha irrogato una pena base maggiore rispetto a quella determinata dal primo giudice.
(Omissis) con il primo motivo denuncia vizio di motivazione circa la vantazione delle testimonianze rese da (Omissis) e (Omissis) e mancanza di prova idonea a dimostrare che il ricorrente mettesse a disposizione degli operai della (Omissis) le rampe prive di perni.
La Corte ha ritenuto che le rampe fossero prive delle alette per agganciarle al cassone del furgone sulla base delle testimonianze dei testi (Omissis) e (Omissis), dipendenti della (Omissis) che hanno escluso che le rampe fossero dotate di alette, e degli accertamenti tecnici dell'ASL. La Corte ha ritenuto altresì inattendibile la teste (Omissis), dipendente della (Omissis) s.r.l., che invece aveva affermato con sicurezza la presenza delle alette. Dichiarazione analoga viene resa dal teste (Omissis) colui che aveva avuto in precedenza a nolo le stesse rampe.
Con il secondo motivo si eccepisce violazione di legge, con erronea applicazione dell'articolo 40 cod. pen. deducendosi l'abnormità del comportamento del (Omissis) con la conseguente imprevedibilità dell'evento.
Con memoria depositata nei termini il (Omissis), nel ribadire i motivi già esposti, si chiede, per quale ragione, se le rampe di carico erano prive di agganci (c.d. palette) e di tanto se ne era accorto il (Omissis), dipendente della (Omissis), come da lui riferito in dibattimento, sono state utilizzate? è evidente, per il ricorrente, che si è trattata di una decisione autonoma, quella di apporre, comunque, le rampe, che integra una condotta che si discosta dalle consuete modalità operative, per cui nessuna colpa può essere addebitata al (Omissis). Il (Omissis) si era determinato ad utilizzare il miniescavatore privo di qualsivoglia autorizzazione alla sua conduzione ponendo, inoltre, altri comportamenti colposamente negligenti ed imprudenti, condotta da qualificarsi come fattore causale eccezionale ed anomalo che esclude la efficienza eziologia della condotta della mancanza degli agganci contestata al ricorrente. Infine, si evidenzia che la Corte ha ritenuto apprezzabili le conclusione del perito d'ufficio, ing. (Omissis), sulla mancata garanzia del principio di tutela della sicurezza del lavoro e per la violazione delle regole sui dispositivi di sicurezza, non tenendo conto delle osservazioni del consulente di parte, dr. (Omissis), che ha evidenziato che l'incidente non poteva essere avvenuto per uno spontaneo cedimento delle rampe sottoposte al carico dell'escavatare condotto dal (Omissis), ma esclusivamente a causa dell'errata manovra dell'operaio.
Diritto
I motivi esposti, alcuni dei quali inammissibili in quanto non consentiti in sede di legittimità, sono comunque infondati sicchè i ricorsi vanno rigettati.
Le condotte colpose addebitate rispettivamente agli imputati sono riferibili a due diverse posizioni di garanzia: quella del (Omissis) si ricollega alla responsabilità di aver dato in nolo una macchina da lavoro (il miniescavatore) unitamente alle rampe necessarie per poterla caricare su altro veicolo per il trasporto, prive di dispositivi di sicurezza, che comporta la mancata garanzia del principio di tutela della sicurezza del lavoro e la violazione delle regole sui dispositivi di sicurezza; quella del (Omissis) è riferibile alla sua qualità di datore di lavoro che ha messo a disposizione dei suoi dipendenti le rampe per caricare il miniescavatore prive delle alette di sicurezza, non operando in tal modo il dovuto controllo circa la idoneità ai fini della sicurezza sul lavoro sulle attrezzature utilizzate nell'attività lavorativa.
Orbene, i motivi posti a base dei ricorsi si discostano quanto all'evidenziata inidoneità delle rampe, contestata dal (Omissis), ma sono comuni nell'eccepire l'abnormità del comportamento della persona offesa tale da escludere l'efficienza eziologia delle condotte addebitate rispettivamente ai ricorrenti.
Quanto al primo aspetto, il motivo addotto dal (Omissis) è chiaramente inammissibile risolvendosi in una diversa valutazione delle risultanze probatorie e della ricostruzione della vicenda processuale, ben delineata in fatto ed in diritto dai giudici di merito e che, pertanto, non possono formare oggetto del sindacato di legittimità, dovendo escludersi, nella concreta fattispecie, la sussistenza dei denunciati vizi di motivazione e di violazione dei criteri legali di valutazione delle prova.
Si rammenta che la Cassazione non è giudice delle prove, non deve sovrapporre la propria valutazione a quella che delle stesse hanno fatto i giudici di merito, ma deve stabilire - nell'ambito di un controllo da condurre direttamente sul testo del provvedimento impugnato - se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano dato esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, se nell'interpretazione del materiale istruttorio abbiano esattamente applicato le regole della logica, le massime di comune esperienza e i criteri legali dettati in tema di valutazione delle prove; in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (confr. Cass. Sez. Un. 29 gennaio 1996, n. 930; Cass. Sez. 1, 4 novembre 1999, n. 12496): il vizio di motivazione denunciabile ex articolo 606, comma 1, lettera e) non può cioè consistere nella mera deduzione di una valutazione del contesto probatorio ritenuta dal ricorrente più adeguata (Cass. pen., sez. 5, 4 ottobre 2004, n. 45420), ma deve essere volto a censurare l'inesistenza di un plausibile e coerente apparato argomentativo a sostegno della scelta operata in dispositivo dal giudicante.
Il Tribunale, prima, e la Corte d'Appello, poi, hanno, invero, indicato con puntualità, chiarezza e completezza tutti gli elementi di fatto e di diritto posti a fondamento della decisione adottata, confutando, in maniera analitica, astrattamente persuasiva e scevra da vizi logici, la diversa valutazione delle risultanze istruttorie compiuta dalla difesa del (Omissis).
Che le rampe non fossero dotate di "alette" per l'aggancio al cassone del furgone la Corte del merito lo evidenzia da un dato obiettivo incontestabile: l'accertamento, di cui alla nota del 28.04.2006, operato immediatamente dopo l'infortunio da dipendenti della locale ASL, che ha anche effettuato rilievi fotografici, ove si attesta la mancanza di sistemi di aggancio delle rampe. Accertamento confermato con nota del dicembre 2006 con cui si ribadiscono gli esiti negativi dei rilievi eseguiti nell'immediato e della infruttuosa ricerca, effettuata nell'area dell'infortunio ed anche sul furgone, delle palette di fissaggio.
Il dato obiettivo, rileva la Corte, rende credibili le dichiarazioni, sul punto, dei testi (Omissis), (Omissis) e (Omissis) (tutti dipendenti della (Omissis) che potevano avere un qualche interesse ad affermare la carenza delle "palette" come adombra il ricorrente (Omissis)) e non rendono credibili, invece, sempre sul punto, le dichiarazioni dei testi (Omissis) e (Omissis), dipendenti del (Omissis). Per altro la Corte distrettuale, correttamente, rileva che le dichiarazioni di tali ultimi testimoni, non sono improntate a mala fede, in quanto, pur asserendo che normalmente le rampe vengano consegnate ai clienti munite di palette, entrambi hanno escluso di aver assistito alla consegna delle stesse ai dipendenti della (Omissis) ed anche affermano di non aver visto se le rampe da consegnare fossero dotate o meno delle palette di fissaggio. Diversamente, la Corte meneghina non ritiene attendibile la teste (Omissis), anch'essa dipendente del (Omissis), laddove ha affermato la regolare consegna del mezzo con le palette, affermazione questa contrastante con "altre numerosissime ed indiscutibili risultanze processuali, testimoniali, fotografiche, documentali e di pubblico accertamento". Dunque, la valutazione della prova testimoniale su tale dato di fatto da parte della Corte risponde ai criteri fissati dall'articolo 192 c.p.p. e la relativa motivazione, quindi, è immune da censure.
Analoga sorta di inammissibilità concerne il motivo, posto a base del ricorso del (Omissis), con cui si evidenzia di non avere, nè lui nè i suoi preposti, mai incaricato, nè autorizzato il (Omissis) ad utilizzare il miniescavatore, con la conseguenza che neppure potrebbe contestarsi la mancata informazione/formazione del lavoratore, in quanto anche tale deduzione involge un giudizio di questa Corte sulla rivalutazione delle risultanze istruttorie.
Corretta è la valutazione della Corte d'Appello delle risultanze istruttorie in merito, avendo rispettato i principi di completezza, di correttezza e logicità, circa la mancata acquisita prova di un divieto formale ed assoluto imposto al (Omissis) di utilizzare l'escavatore prospettato dal ricorrente (Omissis). In effetti, tale deduzione si basa su considerazioni di ordine logico contrarie a quelle ritenute dai giudici del merito, altrettanto plausibili e, sicuramente, più verosimili, con riferimento a massime di esperienza, per sostenere, invece, che era del tutto prevedibile che il (Omissis), lasciato da solo sul luogo di lavoro per portare a termine i lavori, senza la presenza del (Omissis) (chiamato telefonicamente dal responsabile dell'azienda (Omissis) sul suo telefono cellulare per eseguire un lavoro in altro luogo, il che smentisce l'assunto difensivo secondo cui per tale incombente sarebbe stato contattato per prima il (Omissis)) avrebbe caricato l'escavatore sul furgone, una volta terminato il lavoro; non poteva certo rimanere sul posto in attesa che ritornasse il (Omissis), circostanza questa neanche prospettata dalla difesa. Del resto, come è emerso, il (Omissis) anche quel giorno aveva guidato uno dei furgoni della (Omissis), con cui lui ed il (Omissis) erano giunti sul luogo di lavoro, per cui, rimasto solo con un furgone (l'altro era stato preso dal (Omissis) per recarsi in (Omissis)) era in grado di portar via dal luogo di lavoro l'escavatore. Altrettanto logica è la considerazione della Corte secondo cui, se anche fosse vero che a sbrigar il lavoro in (Omissis) dovesse essere il (Omissis) e non il collega, è certo che dopo poco l'arrivo in tale luogo del (Omissis), la società ben sapeva che a (Omissis) era rimasto il (Omissis) con i lavori ancora da ultimare, ciononostante nessuno ha avuto la diligenza di avvisarlo della pericoiosità di caricare l'escavatore sul furgone e/o di vietagliene espressamente l'uso.
Quanto al rilievo del (Omissis) secondo cui l'evento si sarebbe verificato, comunque, anche se le rampe fossero state agganciate al pianale del furgone, in quanto l'errore di manovra del (Omissis) nel salire sulle rampe con l'escavatore è stato determinate nel provocare la caduta della macchina, la Corte ha dato esaustiva e corretta motivazione (V. pag. 18 della sentenza) delle ragioni che l'hanno indotta a ritenere condivisibili, dal punto di vista tecnico, le argomentazioni non solo del perito, ing. (Omissis), ma anche le considerazioni sul punto svolte dal personale della ASL: le palette di ancoraggio - la cui prescrizione è imposta dalla legge - sono indispensabili per la sicurezza del sistema e la loro mancanza è stata la causa determinante dell'infortunio de quo, in quanto, anche nel caso di imbocco errato delle rampe, da parte del (Omissis), ovvero di spostamento durante la salita in retromarcia, certamente le palette di fissaggio avrebbero tenuto bloccate le rampe, dando ad esse stabilità ed impedendone la caduta. A tal riguardo, la giurisprudenza costante di questa Corte ammette, in virtù del principio del libero convincimento del giudice e di insussistenza di una prova legale o di una graduazione delle prove la possibilità del giudice di scegliere fra varie tesi, prospettate da differenti periti, di ufficio e consulenti di parte, quella che ritiene condivisibile, purchè dia conto con motivazione accurata ed approfondita delle ragioni del suo dissenso o della scelta operata e dimostri di essersi soffermate sulle tesi che ha ritenuto di disattendere e confuti in modo specifico le deduzioni contrarie delle parti, sicchè, ove una simile valutazione sia stata effettuata in maniera congrua in sede di merito, è inibito al giudice di legittimità di procedere ad una differente valutazione, poichè si è in presenza di un accertamento in fatto come tale insindacabile dalla Corte di Cassazione, se non entro i limiti del vizio motivazionale (Cass. sez. 4 20 maggio 1989 n. 7591 rv. 181382).
Riguardo alle censure sollevate dal (Omissis) con le memorie difensive, si ricorda, nonostante il datore di lavoro abbia consentito da parte dei suoi dipendenti l'utilizzazione di un'attrezzatura presa a nolo e non rispondente alla normativa sulla sicurezza, sussiste la colpa del noleggiatore di un macchinario non conforme alle norme antinfortunistiche (Sez. 4, Sentenza n. 1613 del 04/12/1989 Rv. 183223) essendo egli tenuto a garantire la perfetta funzionalità del macchinario e che lo stesso sia dotato dei sistemi antinfortunistici, non potendo ritenere, in base al principio di affidamento, che il noleggiante debba operare un controllo prima dell'uso del macchinario stesso.
In altri termini, non può invocarsi legittimamente l'affidamento nel comportamento altrui quando colui che si affida sia (già) in colpa per avere violato determinate norme precauzionali o per avere omesso determinate condotte e, ciononostante, confidi che altri, che gli succede nella posizione di garanzia, elimini la violazione o ponga rimedio alla omissione (cfr., ex pluribus, Cass., Sez. 4, 6 novembre 2003, Guida; Sez. 4, 29 ottobre 2004, Rizzini ed altri; Sez. 4, 25 gennaio 2005, Barletta ed altri).
In questo caso, infatti, laddove, anche per l'omissione del successore, si produca l'evento che una certa azione avrebbe dovuto o potuto impedire, l'evento stesso avrà due antecedenti causali, non potendo il secondo configurarsi come fatto eccezionale, sopravvenuto, sufficiente da solo a produrre l'evento (ai fini e per gli effetti di quanto disposto, in tema di "interruzione del nesso causale", dall'alt. 41 c.p., comma 2) (in termini, di recente, Cassazione, Sezione 4, 26 gennaio 2005, Cloro ed altri).
Il principio di affidamento non è certamente invocabile sempre e comunque, dovendo contemperarsi con il concorrente principio della salvaguardia degli interessi del soggetto nei cui confronti opera la posizione di garanzia (qui, per esempio, del lavoratore, "garantito" dal rispetto della normativa antinfortunistica). Tale principio, infatti, per assunto pacifico, non è invocabile allorchè l'altrui condotta imprudente, ossia il non rispetto da parte di altri delle regole precauzionali imposte, si innesti sull'inosservanza di una regola precauzionale proprio da parte di chi invoca il principio: ossia allorchè l'altrui condotta imprudente abbia la sua causa proprio nel non rispetto delle norme di prudenza, o specifiche o comuni, da parte di chi vorrebbe che quel principio operasse. è in questa prospettiva ermeneutica che vanno apprezzate la correttezza e la logicità della decisione impugnata, la consapevole mancanza delle palette delle rampe e l'aver consegnato le stesse, unitamente all'escavatore, prevedendo l'uso che se ne doveva fare, consente di ritenere legittimo il giudizio di sussistenza dell'addebito, argomentato dai giudici di merito proprio su di una superficialità comportamentale del titolare della posizione di garanzia del noleggiatore.
Data questa premessa, logicamente sostenibile, e quindi qui non sindacabile, è il conseguente giudizio di sussistenza della colpa e del nesso causale posto alla base della decisione di condanna del (Omissis), avendo il giudicante fornito una motivazione immune da censure, siccome del resto basata su una considerazione fattuale incontrovertibile. Trattasi di un giudizio positivo sulla sussistenza della condotta colposa del prevenuto che non si appalesa affatto illogico.
Parimenti questa corte con la stessa sentenza (Rv. 183223) ha affermato il principio secondo cui la colpa del noleggiatore di un macchinario non conforme alle norme antinfortunistiche non esclude quella concorrente del datore di lavoro che di detto macchinario abbia fatto uso, conseguentemente, l'affermazione di responsabilità del (Omissis), con riferimento alla condotta colposa contestata, è supportata da adeguata e corretta motivazione.
Già sulla base di quanto argomentato va ritenuto infondato il motivo, comune ai due ricorsi, riguardante il comportamento abnorme del (Omissis), così disancorandosi il nesso causale dal comportamento omissivo degli imputati facendo ricadere la causazione dell'evento unicamente sul comportamento della persona offesa, dimenticando che anche essa, nonostante il suo ruolo attivo, era la destinataria delle garanzie antinfortunistiche.
Con tranquillante uniformità questa Corte ha affermato che l'obbligo di prevenzione si estende agli incidenti che derivino da negligenza, imprudenza e imperizia dell'infortunato, essendo esclusa, la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell'obbligo, solo in presenza di comportamenti che presentino i caratteri dell'eccezionaiità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo, alle direttive organizzative ricevute e alla comune prudenza. Ed è significativo che in ogni caso, nell'ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o dall'inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale venga attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre, comunque, alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatto comportamento (confr. Cass. pen. n. 31303 del 2004 cit.).
Sul punto la motivazione della sentenza impugnata è più che congrua nel rilevare che dall'inadempimento relativo all'omessa dotazione delle rampe delle palette di aggancio sono derivate le gravi conseguenze, strettamente legate da nesso di causalità con l'infortunio occorso al (Omissis).
Il fatto che la Corte abbia riconosciuto un concorso di colpa, nella misura del 20%, del lavoratore serve unicamente a mitigare la sanzione penale ma certamente non ad escludere la responsabilità degli imputati.
Da ultimo, sono infondati il terzo ed il quarto motivo del ricorso del (Omissis).
Invero, il GUP, avendo condannato l'imputato alla pena di otto mesi di reclusione, ed applicando la riduzione della pena di un terzo in ragione del rito, ha fissato la pena base in un anno. La Corte d'Appello ha determinato la pena finale in sette mesi partendo da quella base di dieci mesi e quindici giorni di reclusione, dunque, non risponde al vero che abbia violato il principio della reformatio in pejus. Se poi il ricorrente ritiene che la Corte distrettuale avrebbe prima dovuto applicare alla pena base la diminuzione del 20%, in ragione del riconosciuto concorso di colpa della vittima, e poi la diminuzione per il rito, incorre in un palese errore di diritto. Ed invero, qualora il giudice del gravame di merito riconosca un concorso di colpa della vittima nella causazione dell'evento, la relativa diminuzione della pena inflitta in primo grado, non va attuata con un criterio matematico. è stato infatti affermato (V. Sez. 4, Sentenza n. 20580 del 17/03/2005 Ud. Rv. 231364) che in tema di reato colposo, il giudice penale è tenuto ad accertare la colpa concorrente del terzo, rimasto estraneo al giudizio, al solo fine di verificare la rilevanza della sua condotta sull'efficienza causale del comportamento dell'imputato e di assicurare la correlazione tra gravità del reato e determinazione della pena, ai sensi dell'articolo 133 cod. pen., comma 1, n. 3), dovendosi escludere, in via generale, l'esistenza di un obbligo di quantificazione percentualistica dei diversi fattori causali dell'evento, a meno che egli non sia chiamato a pronunciare statuizioni civilistiche e ricorra il fatto colposo della parte civile.
Al rigetto dei ricorsi segue la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali ed, in solido, alla rifusione in favore delle costituite parti civili delle spese di questo giudizio che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonchè alla rifusione, in solido, fra loro, in favore della costituita parte civile delle spese di questo giudizio, che liquida in euro 2.350,00, oltre I.V.A. e C.P.A. e spese come per legge.