Cassazione Penale, Sez. 4, 09 maggio 2012, n. 17226 - Responsabilità di un procuratore designato quale responsabile della sicurezza per una macchina priva dei dispositivi di sicurezza


 


Responsabilità del procuratore di una srl, designato con delega notarile quale responsabile per la sicurezza dello stabilimento, per infortunio ad un lavoratore: in particolare veniva contestato all'imputato di aver consentito al lavoratore dipendente di eseguire una prestazione lavorativa con macchina incartucciatrice (di esplosivo) non adeguata perchè priva di dispositivi di sicurezza e in questo modo di aver causato lo schiacciamento delle dita della mano sinistra del lavoratore che, infilata la mano per rimuovere un pezzo inceppato, rimaneva colpito dall'improvvisa ripresa del funzionamento della stessa.

Condannato in primo e secondo grado, ricorre in Cassazione - Rigetto.

Le circostanze che la macchina fosse dotata di dispositivi di sicurezza, che il lavoratore avesse ricevuto adeguata e periodica formazione e che il (Omissis) vigilasse sulla sicurezza, a nulla valgono a fronte del ricorso alla manovra in questione resa possibile, secondo quanto riferito dall'Isp. dell'ASL, dalla mancata dotazione della macchina dei presidi di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 73 ed in particolare di quegli accorgimenti che prescrivevano che "il movimento della macchina doveva risultare segregato e perciò inaccessibile anche in modo accidentale all'operatore".

Non si può inoltre ritenere, come correttamente i giudici di merito hanno rilevato, che il lavoratore abbia tenuto un vero e proprio contegno abnorme, cioè come un fatto assolutamente eccezionale, del tutto al di fuori della normale prevedibilità.


L'eventuale colpa concorrente del lavoratore non può spiegare alcun effetto esimente per il datore di lavoro che si sia reso comunque responsabile di specifica violazione di prescrizioni in materia antinfortunistica, in quanto la normativa relativa è diretta a prevenire anche gli effetti della condotta colposa del lavoratore per la cui tutela è adottata. In altri termini, il nesso causale tra la condotta colposa del datore di lavoro per l'omessa predisposizione delle prescrizioni antinfortunistiche e l'evento lesivo non è interrotto dal comportamento imprudente del lavoratore, atteso che le norme antinfortunistiche sono dettate al fine di ottenere la sicurezza delle condizioni di lavoro e di evitare incidenti ai lavoratori in ogni caso e cioè anche quando essi stessi per imprudenza, disattenzione assuefazione al pericolo possono provocare l'evento.


Giova ancora rilevare, quanto alla penultima doglianza del ricorrente, che il Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 35, benchè abrogato dal Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 304, trova compiuta continuità negli articoli 17, 18 e 64 citato Decreto Legislativo.

Del pari il Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 73, benchè abrogato ancora dal Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 304, trova continuità normativa nelle corrispondenti e ancora più minuziose disposizioni del medesimo decreto (articoli 69 e segg.).


 



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MARZANO Francesco - Presidente

Dott. GALBIATI Ruggero - Consigliere

Dott. MASSAFRA Umber - rel. Consigliere

Dott. BLAIOTTA Rocco Marc - Consigliere

Dott. VITELLI CASELLA Luca - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA



sul ricorso proposto da:

1) (Omissis) N. IL (Omissis);

avverso la sentenza n. 3382/2009 CORTE APPELLO di GENOVA, del 18/02/2010;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 08/03/2012 la relazione fatta dal Consigliere Dott. UMBERTO MASSAFRA;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Geraci Vincenzo che ha concluso per il rigetto del ricorso;

Udito il difensore avv. (Omissis), del Foro di (Omissis), difensore di fiducia del ricorrente che si riporta ai motivi di ricorso e chiede che il provvidimento sia rimesso alla C.A. di Genova.

 

Fatto



Ricorre per cassazione il difensore di fiducia di (Omissis) avverso la sentenza emessa in data 18.2.2010 dalla Corte di appello di Genova che confermava quella del Tribunale di Massa - Sez. Dist. di Pontremoli in data 9.1.2009 con la quale il (Omissis) era stato riconosciuto colpevole del delitto di cui all'articolo 590 c.p., comma 3 in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 73 e Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 35, comma 1 e condannato alla pena di euro 1.000,00 di multa con il beneficio della non menzione.

Secondo l'imputazione, il (Omissis) aveva cagionato al lavoratore dipendente (Omissis) lo schiacciamento delle dita della mano sinistra con conseguente malattia nel corpo ed incapacità di attendere alle proprie occupazioni per oltre quaranta giorni, e ciò per colpa generica e specifica per violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro ed in particolare, perchè, quale procuratore della (Omissis) s.r.l., designato con delega notarile quale responsabile per la sicurezza dello stabilimento, consentiva alla persona offesa di eseguire la prestazione lavorativa con macchina incartucciatrice (di esplosivo) non adeguata perchè priva di dispositivi di sicurezza ed accessibile, cosicchè il (Omissis), infilata la mano per rimuovere un pezzo inceppato, rimaneva colpito dall'improvvisa ripresa del funzionamento della stessa (fatto dell'(Omissis)). Il ricorrente articola in sintesi le seguenti censure.

1. La mancanza di motivazione, laddove, qualificando la manovra posta in essere dal (Omissis) come prevedibile in quanto più pratica e più comoda, non venivano indicati gli elementi di fatto posti a fondamento della stessa: infatti non si spiegava quale fosse stata la manovra effettivamente eseguita dalla persona offesa e non si fornivano elementi in virtù dei quali la stessa potesse essere definita più pratica e più comoda.

2. Il travisamento della prova e la conseguente illogicità della motivazione in ordine alla maggiore comodità della manovra, tale ritenuta solo dalla Corte territoriale e non già dal giudice di primo grado che non vi accennava.

3. Assume che, sulla scorta delle deposizioni dello stesso (Omissis) e dei testi (Omissis) e (Omissis) (taluni brani delle quali vengono testualmente riportati in ricorso), la manovra in questione era ritenuta proibita e scomoda e che a fronte di essa ne era prevista altra ben più agevole e comoda sempre seguita dal (Omissis) in ogni altra occasione. Ne derivava il travisamento della prova.

4. Evidenzia, sulla scorta di varie deposizioni, come la macchina in questione fosse dotata di adeguati dispositivi di sicurezza e prevenzione (sportelli di plexiglass la cui apertura azionava un microinterruttore che bloccava la macchina), che il (Omissis), particolarmente esperto, aveva ricevuto adeguata formazione (che veniva effettuata ogni 3-4 mesi) circa il funzionamento della macchina, che la società aveva specificamente affrontato i rischi derivanti dalla macchina incartucciatrice e che il (Omissis) vigilava quasi giornalmente sulla sicurezza.

Rimarca che le suddette osservazioni erano già state portate all'attenzione del Giudice di appello il quale avrebbe dovuto esaminarle puntualmente, sicchè la sentenza impugnata era palesemente viziata e concludeva che nulla poteva far prevedere che il (Omissis) avrebbe violato le disposizioni in materia di sicurezza con un movimento assolutamente anomalo, non prevedibile e scomodo, con esclusione della responsabilità del datore di lavoro.

5. Denunzia la violazione di legge rilevando che il Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 73, era stato abrogato dal Decreto Legislativo n. 81 del 2008 come anche dal 2008 non era più in vigore il Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 35, sicchè difettava l'elemento psicologico, colposo, del reato contestato.

6. Deduce, ancora, l'erronea applicazione del il Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 73, poichè tale norma imponeva solo che le macchine fossero provviste di idonei ripari costituiti da parapetti, tramogge e coperture in grado di impedire il contatto tra le parti del corpo del lavoratore e le parti eventualmente pericolose della macchina non già l'adozione di ripari in grado di evitare lesioni dovute a comportamenti assolutamente imprevedibili ed anomali da parte del lavoratore derivanti da manovre di per sè innaturali e scomode.

Sono stati depositati "motivi aggiunti", con allegata documentazione fotografica, con i quali si evidenzia la non percepibilità dei difetti della macchina poichè il corpo centrale era racchiuso protetto da due sportelli di plexiglass e quindi la marchiatura CE apposta su di essa doveva valere ad esonerare da responsabilità il datore di lavoro acquirente e si ribadisce che la manovra fatta dal (Omissis) era scomoda e disagevole e, quindi, imprevedibile.

Diritto



Il ricorso è infondato e va respinto.

Corretta ed esaustiva è la motivazione addotta dalla Corte territoriale a supporto dell'infondatezza delle doglianze addotte in sede di appello, laddove ha richiamato e condiviso la motivazione del giudice di primo grado. Infatti, questa Suprema Corte ha affermato che, in tema di motivazione della sentenza di appello, si deve ritenere consentita quella "per relationem" con riferimento alla pronuncia di primo grado, nel caso in cui le censure formulate contro quest'ultima non contengano (come nel caso di specie) elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi; il giudice di appello non è infatti nemmeno tenuto a riesaminare dettagliatamente questioni riferite solo sommariamente dall'appellante nei motivi di gravame, questioni sulle quali si sia già soffermato il primo giudice con argomentazioni ritenute esatte ed esenti da vizi logici dal giudice di appello e non apparendo il richiamo alla motivazione di primo grado effettuata in termini apodittici (cfr. Cass. pen. Sez. 4, 17.9.2008, n. 38824, Rv. 241062; Sez. 5, 22.4.1999, n. 7572, Rv. 213643).

Peraltro, quanto alla doglianza sub 4, "nella motivazione della sentenza il giudice di merito non è tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo; nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata e ravvisare, quindi, la superfluità delle deduzioni suddette". Sez. 4, 24 ottobre 2005, n. 1149, Rv. 233187).

Del resto, il nuovo testo dell'articolo 606 cod. proc. pen., comma 1, lettera e) come modificato dalla Legge 20 febbraio 2006, n. 46, con la ivi prevista possibilità per la Cassazione di apprezzare i vizi della motivazione anche attraverso gli "atti del processo", non ha alterato la fisionomia del giudizio di cassazione, che rimane giudizio di legittimità e non si trasforma in un ennesimo giudizio di merito sul fatto. In questa prospettiva, non è tuttora consentito alla Corte di Cassazione di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.

Nè, comunque, è stata adeguatamente rappresentata la decisività delle censure dedotte.

Invero, le circostanze che la macchina fosse dotata di dispositivi di sicurezza, che il (Omissis) avesse ricevuto adeguata e periodica formazione (che veniva effettuata ogni 3-4 mesi) e che il (Omissis) vigilasse sulla sicurezza, a nulla valgono a fronte del ricorso alla manovra in questione resa possibile, secondo quanto riferito dall'Isp. dell'ASL (Omissis) (in una alle deposizioni dei testi (Omissis) e (Omissis)) dalla mancata dotazione della macchina dei presidi di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 73 ed in particolare di quegli accorgimenti che prescrivevano che "il movimento della macchina doveva risultare segregato e perciò inaccessibile anche in modo accidentale all'operatore". La tesi, poi, secondo cui la protezione della parte del macchinario in cui fu introdotta la mano si sarebbe potuta attuare, secondo l'Isp. (Omissis), con il prolungamento dell'ultimo sportello in plexiglass, a cavallo dello scivolo ivi presente, corrisponde ad una pregevole valutazione tecnica del teste medesimo, ma non altera la constatazione dello stato di deficienza, sotto il profilo della sicurezza e della prevenzione infortunistica, in cui versava il macchinario.

Sicchè è del tutto irrilevante il dovere del giudice a quo, prospettato con i motivi aggiunti, di provvedere ad accertare se sarebbe stato possibile raggiungere, dal basso, il punto di inceppamento.

Peraltro, le argomentazioni della Corte in ordine alla maggior praticità e comodità della manovra posta in essere dal (Omissis) sono conseguenza di un ragionamento logico originato pur sempre dalle puntuali osservazioni della richiamata sentenza di primo grado laddove è stata evidenziata, tra l'altro, la prevedibilità della stessa, "poichè finalizzata a ristabilire la funzionalità del macchinario utilizzando uno dei numerosi varchi che quest'ultimo presentava, nel tentativo di raggiungere gli organi interni". Infatti, non si può ritenere, come correttamente ancora i giudici di merito hanno rilevato, che il (Omissis) abbia tenuto un vero e proprio contegno abnorme, cioè come un fatto assolutamente eccezionale, del tutto al di fuori della normale prevedibilità (v. ex plurimis: Cass. pen. Sez. 4, n. 952 del 27.11.1996, Rv. 206990) dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che o sia stato posto in essere da quest'ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli -e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro- o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro.

Giova ancora rilevare, quanto alla penultima doglianza del ricorrente, che il Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 35, benchè abrogato dal Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 304, trova compiuta continuità negli articoli 17, 18 e 64 citato Decreto Legislativo.

Del pari il Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 73, benchè abrogato ancora dal Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 304, trova continuità normativa nelle corrispondenti e ancora più minuziose disposizioni del medesimo decreto (articoli 69 e segg.).

E' incontestabile, infine, l'integrata violazione, nel caso in esame, del il Decreto Legislativo n. 547 del 1955, articolo 73, sopra citato che, dopo aver prescritto che "Le aperture di alimentazione e di scarico delle macchine devono essere provviste di idonei ripari costituiti, a secondo delle varie esigenze tecniche, da parapetti, griglie, tramoggie e coperture atti per forma, dimensioni e resistenza, ad evitare che il lavoratore od altre persone possano venire in contatto con tutto o parte del corpo con gli organi lavoratori, introduttori o scaricatori pericolosi" soggiunge al comma 2 "La disposizione del presente articolo deve essere osservata anche quando la macchina è provvista di dispositivi di alimentazione e di scarico automatici ogni qualvolta gli organi lavoratori, introduttori o scaricatori pericolosi risultino ugualmente accessibili durante il lavoro.": insomma il macchinario dev'essere conformato in modo tale da inibire in ogni caso al lavoratore l'accessibilità all'interno di esso, a prescindere dall'accidentalità o meno della sua introduzione. Invero, l'eventuale colpa concorrente del lavoratore non può spiegare alcun effetto esimente per il datore di lavoro che si sia reso comunque responsabile di specifica violazione di prescrizioni in materia antinfortunistica, in quanto la normativa relativa è diretta a prevenire anche gli effetti della condotta colposa del lavoratore per la cui tutela è adottata. In altri termini, il nesso causale tra la condotta colposa del datore di lavoro per l'omessa predisposizione delle prescrizioni antinfortunistiche e l'evento lesivo non è interrotto dal comportamento imprudente del lavoratore, atteso che le norme antinfortunistiche sono dettate al fine di ottenere la sicurezza delle condizioni di lavoro e di evitare incidenti ai lavoratori in ogni caso e cioè anche quando essi stessi per imprudenza, disattenzione assuefazione al pericolo possono provocare l'evento.

Consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.