Cassazione Civile, 22 giugno 2012, n. 10421 - Disattese indicazioni del capo cantiere e risarcimento per infortunio di un collega


 

 

Fatto



1. La Corte d'Appello di Venezia, con la sentenza n. 544/09, accoglieva l'impugnazione proposta dalla società (...) srl nei confronti dell' INAIL e, in riforma della sentenza n. 838/06 del Tribunale di Venezia, rigettava la domanda proposta con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, avente ad oggetto azione di regresso nei confronti della suddetta società in relazione all'infortunio sul lavoro occorso, in data 3 aprile 1998, a (...) dipendente della stessa.

Compensava tra le parti le spese del primo e del secondo grado di giudizio.

2. A seguito dell'azione intrapresa dall’INAIL, il Tribunale di Venezia aveva condannato la società (...), riconoscendo la responsabilità diretta della stessa, ex art. 2087 c.c., non ravvisando alcun elemento di abnormità nella condotta sia dell'infortunato (...), che aveva soltanto collaborato con il collega T. (...), sia di quest'ultimo, che aveva svolto il proprio lavoro, seppure con mezzi di fortuna.

3. La Corte d'Appello, nel riformare la suddetta pronuncia di primo grado, in particolare, affermava: che non era in discussione che nel cantiere di San Giuliano, nel quale lavorava, il (...) era estraneo, lavorando altrove, e che il capo cantiere era il (...).

Conseguentemente nessun rapporto di sovraordinazione (con conseguenti profili di responsabilità datoriale connessi), al momento del sinistro, sussisteva tra (...) e (...); che il (...), avvisato dal (...) che doveva operare uno scarico di una ruota di grandi dimensioni e peso notevole nel suo cantiere dichiara al giudice penale sul punto: "al (...) davo la disposizione di avvisarmi quando fosse in prossimità del cantiere perché avrei dato io le disposizioni operative" ... "per lo scarico della gomma, aiutato anche materialmente ad eseguire quella operazione... nel cantiere vi erano diverse macchine operatrici specificatamente idonee ed attrezzate per compiere operazioni di scarico, sollevamento pesi e oggetti"; che nessuno aveva mai contestato tale dichiarazione;

che quindi, si doveva concludere che quando il (...) arrivava al cantiere di San Giuliano con un collega (...) (figlio del titolare) non avvisava il capo cantiere e iniziava l’operazione con un escavatore perfettamente funzionante ma non adatto all'operazione di sollevamento di un peso; (...) presente in loco allontanava il giovane ed inesperto (...) e iniziava a collaborare con il T. nell'operazione che si sarebbe rivelata così negativa; (...) che non sussistevano elementi che potessero portare a ritenere abnorme il comportamento del (...), al quale non poteva essere mosso nessun addebito per il solo fatto di aver collaborato con un collega (per altro con esperienza ventennale rispetto alla sua decennale e già capo cantiere in altra sede) per una sua attività senza conoscere le indicazioni del (...) che, nella qualità di capo cantiere, aveva ordinato al (...) di essere avvisato per svolgere insieme le operazioni; (...) che al contrario nella condotta del (...) si rinvenivano elementi di responsabilità (infatti è l’unico soggetto condannato in sede penale) e di mancato rispetto degli ordini impartiti dal capo cantiere, che rappresentava in quel momento la ditta e che sovrintendeva alla sicurezza del cantiere stesso, tali da determinare l'esclusione del nesso causale tra il lavoro e l'infortunio; (...) che l'iniziava del T. che non rispettava l'ordine, utilizzava un mezzo non idoneo (altri mezzi idonei erano presenti in cantiere), con una manovra oggettivamente pericolosa (come ammesso dallo stesso (...) ), senza neppure coordinarsi con il collega (che gli avrebbe detto durante la manovra di non chiudere le valve che sono state invece chiuse dal (...) realizzando lo schiacciamento dell'avambraccio del (...) ) veniva ad interrompere il nesso causale tra l'ordinaria attività del (...) e l'infortunio e non perché l'aiuto fornito dal (...) al collega potesse considerarsi abnorme o eccezionale, ma perché nella condotta del (...) si rinvenivano elementi di colpa tali da interrompere quello che era l'ordinario svolgimento del lavoro del C.; che la manovra del (...) era estranea al lavoro perché svolta nel mancato rispetto degli ordini impartiti dal capo cantiere (...) (assolto in sede penale) e con mezzi evidentemente non idonei allo scopo.

3. Per la cassazione della suddetta sentenza d'appello ricorre l'INAIL prospettando un motivo d'impugnazione.

4. La società (...) resiste con controricorso e ricorso incidentale condizionato, articolato in dieci motivi.

5. L'INAIL ha dedotto con controricorso al ricorso incidentale.

6. Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell'art. 378 cpc.


Diritto




1. Con l'unico motivo d'impugnazione, l'INPS ha dedotto la violazione degli artt. 10 ed 11 del d.P.R. n. 1124/65, e dell'art. 2049 c.c., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3.

Ad avviso dell'Istituto ricorrente, la Corte di Appello, affermando che la manovra del (...) era estranea al lavoro perché svolta nel mancato rispetto degli ordini impartiti dal capo cantiere (...) (assolto in sede penale) e con mezzi evidentemente non idonei allo scopo, erroneamente ha ravvisato nella condotta del T. elementi di responsabilità e di mancato rispetto degli ordini impartiti dal capo cantiere (...), tali da determinare l'esclusione del nesso causale tra l'attività lavorativa e l'infortunio, e, quindi, la responsabilità del datore di lavoro ex art, 2049 c.c..

Tale statuizione sarebbe in contrasto con la giurisprudenza di legittimità, oramai consolidata in materia, che ravvisa la responsabilità del datore di lavoro per un fatto illecito commesso da un suo dipendente in presenza di un nesso di occasionalità necessaria.

Ed infatti, per configurarsi la responsabilità del datore di lavoro è sufficiente che il fatto illecito sia stato commesso nell'adempimento delle mansioni che abbiano reso possibile od agevolato il comportamento produttivo di danno; né rileva che tale comportamento abbia superato il limite delle mansioni stesse.

Pertanto, non sarebbe corretto affermare, come fatto dalla Corte d'Appello di Venezia, che la manovra del (...) era estranea al lavoro perché svolta nel mancato rispetto degli ordini impartiti dal capo cantiere e con mezzi evidentemente non idonei allo scopo, giacché eseguita nell'adempimento delle mansioni affidate (trasporto e scarico della pesante ruota al cantiere di Parco di San Giuliano); né può assumere alcun rilievo, esimente della responsabilità della (...), la circostanza che il (...) non abbia atteso l'intervento del (...).

1.1. Il Motivo non è fondato e deve essere rigettato. Il ricorrente, nel prospettare la fondatezza della domanda di rivalsa ex artt. 10 e 11 del d.P.R. a 1124/65, assume quale disposizione regolatrice della fattispecie, che ritiene violata, l'art. 2049 c.c..

A tale norma, la Corte d'Appello riconduce la fattispecie in esame, come si evince dal complessivo percorso motivazionale.

1.2. Tale disposizione prevede che i padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell'esercizio delle incombenze a cui sono adibiti.

La giurisprudenza di legittimità, nel fare applicazione della suddetta previsione codicistica, ha affermato, così come richiamato dal ricorrente, che la responsabilità indiretta ex art. 2049 cod. civ. del datore di lavoro per il fatto dannoso commesso dal dipendente non richiede che tra le mansioni affidate all'autore dell'illecito e l'evento sussista un nesso di causalità, essendo sufficiente che ricorra un rapporto di occasionalità necessaria tale per cui le funzioni esercitate abbiano determinato o anche soltanto agevolato la realizzazione del fatto lesivo. È irrilevante, pertanto, che il dipendente abbia superato i limiti delle mansioni affidategli, od abbia agito con dolo e per finalità strettamente personali (Cass., n. 6632 del 2008, n. 17836 del 2007); in caso di distacco del dipendente presso altra organizzazione aziendale, il datore di lavoro distaccante, in capo al quale permane la titolarità del rapporto di lavoro, è responsabile, ai sensi dell'art. 2049 cod. civ., dei fatti illeciti commessi dal dipendente distaccato, atteso che il distacco presuppone uno specifico interesse del datore di lavoro all'esecuzione della prestazione presso il terzo, con conseguente permanenza della responsabilità, secondo il principio del rischio di impresa, per i fatti illeciti derivati dallo svolgimento della prestazione stessa (Cass., n. 215 del 2010).

1.3. Occorre rilevare che in tema di responsabilità civile, il nesso causale è regolato dal principio di cui agli artt. 40 e 41 cp, per il quale un evento è da considerare causato da un altro, se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, nonché dal criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla base del quale, all'interno della serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiano - ad una valutazione "ex ante" - del tutto inverosimili, ferma restando, peraltro, la diversità del regime probatorio applicabile, in ragione dei differenti valori sottesi ai due processi: nel senso che, nell'accertamento del nesso causale in materia civile, vige la regola della preponderanza dell'evidenza o del "più probabile che non", mentre nel processo penale vige la regola della prova "oltre il ragionevole dubbio" (Cass., n. 6337 del 2012, n. 16123 del 2010, n. 10741 del 2009, Cass., S.U., n. 576 del 2008).

1.4. Tanto premesso, ritiene questa Corte che la Corte d'Appello abbia correttamente escluso la responsabilità della società ex art. 2049 c.c. e dunque abbia ritenuto non fondata la domanda di rivalsa proposta dall'INAIL.

Ed infatti, la giurisprudenza di legittimità secondo cui per la sussistenza della responsabilità dell'imprenditore ai sensi dell'art. 2049 c.c., non è necessario che le persone che si sono rese responsabili dell'illecito siano legate all'imprenditore da uno stabile rapporto di lavoro subordinato, ma è sufficiente che le stesse siano inserite, anche se temporaneamente od occasionalmente, nell'organizzazione aziendale, a prescindere dalla colpa del preponente e dal superamento del limite delle mansioni (Cass., n. 6325 del 2010, e n. 5370 del 2009, richiamate dal ricorrente) va letta in uno all'affermazione della necessità che le stesse abbiano agito, nel suddetto contesto, per conto e sotto la vigilanza dell'imprenditore (Cass., n. 6528 del 2011, che richiama Cass. n. 21685 del 2005).

Dunque, il nesso di occasionalità necessaria, va inteso nel senso che il comportamento dell'addetto si deve svolgere all'interno della sfera di sorveglianza del datore di lavoro e in occasione dello svolgimento dei compiti a lui assegnati (cfr., Cass.,n. 18184 del 2007).

A tali principi si è attenuta la Corte d'Appello, rilevando che il (...), una volta arrivato al cantiere di San Giuliano, ove lavorava il (...), non avvisava il capo cantiere, che rappresentava la ditta e che sovrintendeva alla sicurezza del cantiere, come espressamente richiestogli al fine di consentire a quest'ultimo di dare le disposizioni operative per lo svolgimento dell'operazione di scarico, e dava, invece, inizio alla suddetta operazione, così determinando l'esclusione del nesso causale tra il lavoro e l'infortunio che si verificava, e, quindi, della responsabilità del datore di lavoro.

2. Il ricorso principale, pertanto, deve essere rigettato.

3. Al rigetto del ricorso principale segue l'assorbimento del ricorso incidentale in quanto proposto in modo condizionato all'eventuale accoglimento del ricorso principale.

4. Ai sensi dell'art. 92, secondo comma, cpc, in ragione della complessità delle questioni trattate, sussistono gravi ed eccezionali ragioni per compensare tra le parti le spese di giudizio.


P.Q.M.




Rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale. Compensa tra le parti le spese di giudizio.