Cassazione Penale, Sez. 3, 04 luglio 2012, n. 25739 - Omessa valutazione dei rischi di un supermercato mancanza di misure di protezione adeguate
Responsabilità di un presidente del cda di un supermercato per non aver adeguatamente valutato i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori e le misure di prevenzione e protezione da adottarsi per la movimentazione, la caduta o l'investimento di materiali e per aver omesso di fornire ai lavoratori i necessari dispositivi di protezione individuale e, in particolare, scarpe antinfortunistiche al personale incaricato della movimentazione e dello stoccaggio delle merci (Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 4).
Responsabilità anche del gerente del punto vendita di un supermercato per aver omesso di difendere adeguatamente i posti di lavoro contro la caduta o l'investimento di materiale in dipendenza dell'attività lavorativa, perchè, in particolare, l'impilatura dei cartoni del latte dell'acqua minerale era eseguita in modo da non garantire un'adeguata stabilità contro la caduta o l'investimento dei lavoratori e degli utenti del supermercato (Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955).
Condannati in primo e secondo grado, ricorrono in Cassazione - Rigetto.
Trova applicazione, quanto alla responsabilità del primo imputato, il richiamato Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 4, comma 5, a norma del quale "Il datore di lavoro adotta le misure necessarie per la sicurezza e la salute dei lavoratori, e in particolare ... fornisce ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale, sentito il responsabile del servizio di prevenzione e protezione". Si tratta, con tutta evidenza di un precetto contravvenzionale "di pericolo" che prescinde dall'accertamento di sinistri verificatisi in conseguenza della sua violazione, perchè è legato ad una prognosi ex ante circa la necessità e idoneità dei dispositivi di protezione individuale forniti ai dipendenti.
Deve inoltre osservarsi, quanto al secondo imputato, che la fattispecie penale contenuta nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955 è ora rifluita, in termini sostanzialmente identici, nella previsione del vigente Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 63 il quale richiama il punto 1.8 dell'allegato 4 allo stesso decreto, con la conseguenza che il fatto è, senza soluzione di continuità, ancora previsto dalla legge come reato. Quanto, poi, alla pretesa inapplicabilità della disposizione al responsabile del punto vendita, è sufficiente rilevare che tale figura professionale rientra nella categoria dei dirigenti; categoria per la quale la disposizione sanzionatoria trova piena applicazione.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE MAIO Guido - Presidente
Dott. TERESI Alfredo - Consigliere
Dott. LOMBARDI Alfredo Maria - Consigliere
Dott. SARNO Giulio - Consigliere
Dott. ANDRONIO Alessandro - rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) (Omissis) N. IL (Omissis);
2) (Omissis) N. IL (Omissis);
avverso la sentenza n. 7/2010 CORTE APPELLO di TRENTO, del 22/06/2011;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/03/2012 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALESSANDRO MARIA ANDRONIO;
Udito il Procuratore Generale n persona del Dott. Tindari Baglione, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito il difensore Avv. (Omissis).
Fatto
1. - Con sentenza del 22 giugno 2011, la Corte d'appello di Trento ha confermato la sentenza del Tribunale di Trento del 21 luglio 2009, limitatamente alla condanna dell'imputato (Omissis) per il reato ascrittogli al capo 3 dell'imputazione e alla condanna dell'imputato (Omissis) per i reati ascrittigli ai capi 2 e 3.
Quanto a (Omissis), il reato per il quale è stata pronunciata condanna (del Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 11) consiste nell'avere, quale responsabile del punto vendita di un supermercato, omesso di difendere adeguatamente i posti di lavoro contro la caduta o l'investimento di materiale in dipendenza dell'attività lavorativa, perchè, in particolare, l'impilatura dei cartoni del latte dell'acqua minerale era eseguita in modo da non garantire un'adeguata stabilità contro la caduta o l'investimento dei lavoratori e degli utenti del supermercato.
Quanto a (Omissis); il reato di cui al capo 2 (del Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 4, comma 2) consiste nel non avere, quale presidente del Consiglio di amministrazione di una società di gestione di supermercati, adeguatamente valutato i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori e le misure di prevenzione e protezione da adottarsi per la movimentazione, la caduta o l'investimento di materiali e nell'avere omesso di difendere adeguatamente i posti di lavoro contro la caduta o l'investimento di materiali accatastati su apposite pedane, su scaffali e per terra, nonchè nell'avere omesso di valutare il pericolo di scivolamento e schiacciamento dei piedi durante la movimentazione dei carichi, con il conseguente obbligo di utilizzare calzature di protezione; il reato di cui al capo 3 dell'imputazione (del Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 4, comma 5, lettera d) consiste nell'avere omesso - sempre nella sua veste di presidente del consiglio di amministrazione della stessa società di gestione di supermercati - di fornire ai lavoratori i necessari dispositivi di protezione individuale e, in particolare, scarpe antinfortunistiche al personale incaricato della movimentazione e dello stoccaggio delle merci.
2. - Avverso la sentenza gli imputati hanno proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento.
2.1. - Con un primo motivo di impugnazione, si rileva l'erronea applicazione del Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 4, comma 5, lettera d). Rileva la difesa che le indagini hanno preso le mosse da un sinistro occorso al collo e al torace di una dipendente, per il quale, in mancanza di querela, la Corte d'appello aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti degli imputati. Non avendo tale sinistro alcuna relazione con i piedi della dipendente, nè con lo stoccaggio di merci o la movimentazione di blocchi di carne e contenitori metallici, mancherebbe una reale messa in pericolo del bene da tutelare; mancherebbe, in altri termini, l'aumento del rischio da porre a base dell'imputazione, con la conseguenza di una illegittima anticipazione della soglia punitiva.
2.2. - Si denuncia, in secondo luogo, l'erronea applicazione del Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 4, comma 5, lettera d), sul rilievo che il documento di valutazione del rischio elaborato dal datore di lavoro non sarebbe inadeguato, perchè, rispetto all'attività concretamente svolta dei dipendenti, la movimentazione, la caduta o l'investimento di materiali non costituirebbero un rischio specifico, ma solo un rischio generico "equivalente, praticamente, a quello del normale cliente". Tale conclusione emergerebbe dalle annotazioni del consulente tecnico di parte, il quale avrebbe, altresì, precisato che: "l'aver messo male o l'aver mal posizionato fa chiaramente parte dei rischi residui, che devono essere limitati, prima che con dispositivi di protezione individuale, con l'ordine, la pulizia e la vigilanza".
2.3. - Con un terzo motivo di impugnazione, si rilevano la violazione di legge e l'omessa motivazione in relazione all'imputazione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 11 a carico di (Omissis), nella sua qualità di gerente del punto vendita. Rileva la difesa che la disposizione in questione risulta abrogata dal Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81, articolo 304 e che, in ogni caso, la sentenza censurata non contiene alcuna specifica motivazione sul punto dell'assimilazione della posizione del gerente, soggetto privo di adeguati poteri di intervento, a quella del datore di lavoro, unico destinatario del precetto penale.
Diritto
3. - Il ricorso è infondato.
3.1. - Il primo motivo di impugnazione - con cui si denuncia l'erronea applicazione del Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 4, comma 5, lettera d) sul rilievo che le indagini hanno preso le mosse da un sinistro occorso a una dipendente privo di relazione causale con i piedi della dipendente stessa e con lo stoccaggio o la movimentazione di merci, con la conseguenza che mancherebbe l'aumento del rischio da porre a base dell'imputazione - è infondato.
Va, infatti, osservato che - contrariamente all'assunto dei ricorrenti - l'accertamento di eventuali nessi causali tra il sinistro occorso alla dipendente e le cautele da adottarsi relativamente allo stoccaggio e alla movimentazione delle merci è del tutto irrilevante.
Trova applicazione, nel caso di specie, il richiamato Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 4, comma 5, a norma del quale "Il datore di lavoro adotta le misure necessarie per la sicurezza e la salute dei lavoratori, e in particolare ... fornisce ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale, sentito il responsabile del servizio di prevenzione e protezione". Si tratta, con tutta evidenza di un precetto contravvenzionale "di pericolo" che prescinde dall'accertamento di sinistri verificatisi in conseguenza della sua violazione, perchè è legato ad una prognosi ex ante circa la necessità e idoneità dei dispositivi di protezione individuale forniti ai dipendenti. Tale prognosi costituisce una valutazione di merito, che deve essere effettuata caso per caso, tenendo conto delle peculiarità della fattispecie concreta, individuando i presidi e le cautele necessari a proteggere i dipendenti da eventuali infortuni. Ed è ciò che - con motivazione analitica e coerente - hanno fatto sia il giudice di primo grado sia la Corte d'appello, laddove hanno precisato che: a) sarebbe stato possibile ovviare alla situazione di rischio rappresentata dalla presenza di merci impilate impartendo prescrizioni in ordine alle modalità di impilamento, al numero massimo di confezioni per fila, al ricovero della merce entro strutture di contenimento; b) sarebbe stata necessaria l'adozione di scarpe antinfortunistiche per i lavoratori addetti alla movimentazione delle merci, in relazione ai rischi, specificamente presenti sul luogo di lavoro, di scivolamento e schiacciamento dei piedi; c) tali rischi sono diversi e maggiori rispetto a quelli corsi dai clienti e dal personale non addetto alla movimentazione di merci, perchè sono strettamente collegati: alla scivolosità dei pavimenti, al significativo peso da spostare e al conseguente pericolo di caduta, allo svolgimento dell'attività in aree anche diverse da quelle dedicate all'esposizione dei prodotti.
3.2. - Il secondo motivo di ricorso - con cui si lamenta l'erronea applicazione del Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 4, comma 2 sul rilievo che il documento di valutazione del rischio elaborato dal datore di lavoro non sarebbe inadeguato, perchè, rispetto all'attività concretamente svolta dei dipendenti, la movimentazione, la caduta o l'investimento di materiali non costituirebbero un rischio specifico, ma solo un rischio generico "equivalente, praticamente, a quello del normale cliente" - è manifestamente infondato.
E sufficiente rilevare, sul punto, che, attraverso le argomentate considerazioni sopra riportate sub 3.1., la Corte d'appello ha fornito, circa la valutazione della situazione di fatto e circa la portata delle dichiarazioni rese dal consulente tecnico dei ricorrenti, una motivazione pienamente sufficiente e logicamente coerente, a fronte della quale la censura mossa si risolve in un tentativo, inammissibile in sede di legittimità, di ottenere una rivalutazione del merito della responsabilità penale.
3.3. - Del pari manifestamente infondato è il terzo motivo di ricorso, con cui si rileva che il Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 11 risulta abrogato dal Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81, articolo 304 e che, in ogni caso, la sentenza censurata non contiene alcuna specifica motivazione sul punto dell'assimilazione della posizione del gerente (imputato (Omissis)), soggetto privo di adeguati poteri di intervento, a quella del datore di lavoro, unico destinatario del precetto penale.
Deve infatti osservarsi che la fattispecie penale in esso contenuta è ora rifluita, in termini sostanzialmente identici, nella previsione del vigente Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 63 il quale richiama il punto 1.8 dell'allegato 4 allo stesso decreto, con la conseguenza che il fatto è, senza soluzione di continuità, ancora previsto dalla legge come reato. Quanto, poi, alla pretesa inapplicabilità della disposizione al responsabile del punto vendita, è sufficiente rilevare che tale figura professionale rientra nella categoria dei dirigenti; categoria per la quale la disposizione sanzionatoria trova piena applicazione, ai sensi del richiamato Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 68 senza che sia necessario dimostrare l'esistenza di una specifica posizione di garanzia.
4. - Il ricorso, conseguentemente, deve essere rigettato, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.