Cassazione Penale, Sez. 6, 20 luglio 2012, n. 29861 - Responsabilità di un Ufficiale del Servizio Prevenzioni Infortuni sul Lavoro dell'ASL
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MILO Nicola - Presidente -
Dott. CORTESE Arturo - Consigliere -
Dott. LANZA Luigi - rel. Consigliere -
Dott. PETRUZZELLIS Anna - Consigliere -
Dott. DI STEFANO Pierluigi - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
parte civile "B., T., P. costruzioni generali s.p.a." in persona del liquidatore giudiziale;
avverso la decisione 21 settembre 2011 del G.U.P. di Firenze che, decidendo ex art. 425 cod. proc. pen., ha assolto C.L. C.M., nato a (OMISSIS);
FattoDiritto
1.) l'accusa.
C.L.C.M., nato a (OMISSIS);
è accusato del delitto ex art. 323 c.p. perchè, in qualità di Ufficiale del Servizio Prevenzioni Infortuni sul Lavoro dell'ASL (OMISSIS), addetto all'Unità Operativa TAV & GRANDI OPERE, nello svolgimento delle funzioni di vigilanza sul cantiere della costruenda 30 corsia dell'"A 1", a fronte delle difficoltà organizzative della B. T.P. s.p.a. (ditta titolare del cantiere) nell'adibire il proprio dipendente S.S. alla specifica mansione di operatore di mezzi meccanici, per la quale era stato assunto, nel rispetto delle prescrizioni imposte dal medico legale aziendale in ragione delle sue delicate condizioni di salute (ed in particolare del divieto di carichi superiori a 9 kg, di lavorazioni in ambienti chiusi o in altezza, e in macchine non climatizzate):
prima rilasciava in favore del S. n. 3 certificazioni mediche di malattia professionale attestanti un non precisato "disturbo da lavoro", poi ometteva di astenersi dal valutare, come membro della Commissione USL, l'istanza di riesame presentata dal S. avverso l'attestazione di idoneità alla diversa mansione di addetto al controllo accessi in galleria, rilasciata dal medico L., astensione da ritenersi doverosa in quanto detta certificazione contrastava sostanzialmente con le diagnosi precedentemente svolte dallo stesso C. per giustificare l'assenza dal lavoro del dipendente, e dunque coinvolgente un interesse, quantomeno scientifico-professionale, proprio dello stesso, ed infine trasmetteva alla Procura della Repubblica, in qualità di Ufficiale di PG, denuncia a carico di E.C., quale datore di lavoro del S. per asserita violazione del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 18, comma 1, lett. c) e ciò in contrasto con il contenuto della norma che, anche secondo le indicazioni del direttore dell'Ufficio TAV & GRANDI OPERE, e superiore diretto del C., ing. M.A., e l'orientamento espresso dall'Ufficio della Procura, in apposito incontro seguito all'archiviazione di altro procedimento scaturito da identica denuncia del C., non può ricomprendere il semplice "demansionamento", in tal modo intenzionalmente arrecando al datore di lavoro del S., E.C., un danno ingiusto consistente nell'impossibilità di impiegare il proprio dipendente nel modo più rispondente alle esigenze organizzative dell'azienda e nel rispetto del dovere di proteggere la sicurezza di tutti i lavoratori.
In (OMISSIS).
2) la sentenza di non luogo a procedere ex art. 425 c.p.p..
La sentenza di non luogo a procedere, ex art. 425 c.p.p., ha premesso, nella sua motivazione di assoluzione (perchè il fatto non costituisce reato), che l'illecito de quo presuppone l'intenzione nel reo di procurare a sè o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale o ad altri un danno ingiusto. Osserva il G.U.P. che lo stesso capo d'imputazione evita di prendere in considerazione il dolo, diretto a conseguire per sè o per altri un vantaggio patrimoniale concentrandosi sulla volontà ipotizzata a carico dell'imputato di arrecare un ingiusto danno al datore di lavoro del S., C. E..
Tale esito, che il provvedimento definisce "velleità", apparirebbe non solo difficilmente dimostrabile, ma addirittura improbabile: le certificazioni di inabilità temporanea assoluta per "costrittività dell'organizzazione del lavoro" sono sì scarsamente precise, ma suggeriscono "problematiche di ordine interrelazionale" legate all'ambiente di lavoro, che lo stesso imputato ha precisato nel corso dell'interrogatorio reso il 17.01.2011 e che rinviano ad un "disturbo dell'adattamento" derivante da situazioni lavorative che presentano costrittivi nell'organizzazione del lavoro stesso.
Rileva in proposito il G.U.P.:
1) che tali problematiche hanno permesso di fondare una certificazione di inabilità assoluta protratta per mesi, e che la certificazione in tal senso è stata rilasciata, non solo dal Dott. C., ma anche la Dott.sa S. (il giorno 1 settembre 2009);
2) che la circostanza che l'imputato non si sia astenuto dal partecipare alla commissione, che il 07.04.2010 ha deciso il riesame proposto dal S., sottolinea indubbiamente insensibilità ed inopportunità nel suo comportamento ma, se da un lato non sono state evidenziate norme che avrebbero impedito il prender parte alla decisione, dall'altro tale criticabile condotta appare più facilmente riconducibile ad un irrigidimento comportamentale, all'interpretazione di tutta la vicenda quale "questione di principio" irrinunciabile, piuttosto che ad una volontà di arrecare danno ingiusto al datore di lavoro;
3) che la presentazione di ulteriori denunce, dopo l'archiviazione del procedimento scaturito dalla prima, costituisce una mera "divergenza di vedute" rispetto alla ricostruzione giuridica della vicenda denunciata, quale avvalorata dalla Procura e dall'Ufficio G.I.P., agevolmente interpretabile nell'ambito delle coerenti convinzioni del Dott. C. e nel suo verosimile auspicio che tale orientamento giurisprudenziale potesse essere rivisto;
4) che la condotta dell'imputato, "rigida" e in alcune sue manifestazioni addirittura "inopportuna", non integra sotto alcun profilo l'elemento soggettivo chiesto dalla fattispecie ipotizzata dal Pubblico Ministero, con la conseguenza che deve essere pronunciata sentenza di non luogo a procedere perchè il fatto non costituisce reato.
3) i motivi di Impugnazione, la memoria dell'imputato e le ragioni della decisione della Corte di legittimità.
La parte civile costituita "B., T., P. costruzioni generali s.p.a." propone rituale impugnazione avverso la decisione del G.U.P., rilevando con un primo motivo inosservanza ed erronea applicazione della legge, in relazione al giudizio di inidoneità degli elementi acquisiti a sostenere l'accusa in giudizio, ex art. 425 cod. proc. pen., comma 3.
In particolare si lamenta che l'assenza del dolo del delitto sia stata affermata dal G.U.P. mediante una scelta tra due opzioni equipollenti e alternative, che avrebbe invece imposto l'obbligo di disporre il rinvio a giudizio, lasciando alle dinamiche del dibattimento l'accertamento della responsabilità al di là di ogni ragionevole dubbio.
Con un secondo motivo si lamenta vizio di motivazione per manifesta contraddittorietà e carenza con un vizio logico di incompatibilità tra le premesse in fatto, tutte nel senso di una condotta intenzionalmente contra legem, ed una conclusione che sposa la tesi della buona fede dell'imputato il quale nella specie si sarebbe solamente "impuntato".
La difesa dell'imputato C. con memoria depositata il 28 giugno u.s. rileva invece l'inammissibilità del ricorso delle parti civili per "nullità della procura" essendo stato l'atto di ricorso sottoscritto da liquidatore giudiziale di una società per il quale non è stata rilasciata procura ad hoc per impugnare. In proposito si sostiene che nella procura in calce al ricorso non sia stata precisata la delibera societaria che avrebbe autorizzato il liquidatore giudiziale a proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza del GIP del Tribunale di Firenze; nè sarebbe sufficiente, per ovviare a tale carenza, il generico riferimento ai poteri di cui al verbale del 27.06 2011 nel quale non si rinviene alcun richiamo a procure rilasciate per impugnare la sentenza avanti alla Suprema Corte di Cassazione. In altri termini, secondo (Imputato, vi sarebbe carenza di procura speciale nelle forme prescritte dagli artt. 100 e 122 c.p.p..
Inoltre, con ulteriori censure, la difesa dell'imputato lamenta la genericità del ricorso e conseguente sua inammissibilità non avendo la ricorrente indicato il motivo dell'impugnazione avanti al giudice di legittimità, limitandosi a lamentare la presunta violazione dell'art. 425 c.p.p., comma 1, per erronea applicazione della legge processuale penale.
Le doglianze dell'imputato, per il loro valore pregiudiziale, vanno preliminarmente esaminate con la conclusione che, irrilevanti i richiami ai disposti normativi di cui agli artt. 100 e 122 cod. proc. pen., dettati in tema di procura speciale, appare pacifico che nella specie non è contestabile la legittimazione del ricorrente, attesa la latitudine e l'ampiezza dei poteri a lui conferiti e, del pari ammissibile risulta l'impugnazione proposta, in quanto essa appare rispettosa del canone della specificità il quale non esige affatto il "richiamo numerico" delle norme che si pretendono violate e la corrispondente categoria del vizio.
Tanto premesso va ora valutato il merito dell'impugnazione.
L'impugnazione non può essere accolta.
Premesso che la sentenza di non luogo a procedere ha un carattere prevalentemente processuale e non di merito, è pacifico che il giudice dell'udienza preliminare abbia il potere di pronunziare la sentenza di non luogo a procedere ex art 425 c.p.p., in tutti quei casi nei quali non esista una prevedibile possibilità che il dibattimento possa approdare ad una soluzione conforme alla prospettazione accusatoria.
In tale quadro occorre peraltro precisare:
a) che la sentenza di non luogo a procedere esprime una valutazione prognostica negativa circa l'eventuale condanna in giudizio e non un convincimento intorno ad un accertamento svolto ai fini di una possibile condanna (Cass. pen. sez. 2, 28743/2010 Rv. 247860; cass. pen. sezione. 4,39271/2011);
b) che il vaglio di sufficienza od insufficienza delle prove, in un contesto temporale che precede la dialettica dibattimentale, secondo un modulo prognostico, impone al giudice di rappresentarsi se ed in quale misura il compendio probatorio, in quel momento disponibile in ordine alla posizione di un determinato imputato, possa o meno mutare nella successiva fase processuale sino ad arricchirsi di quei dati, valutazione complessa, dunque, che racchiude in sè la delibazione imposta dal parametro della sostenibilità o insostenibilità dell'accusa in giudizio (cass. pen. sez. 6, 3 maggio 2012, n. 16362).
c) che soltanto una prognosi di inutilità del dibattimento relativa alla evoluzione, in senso favorevole all'accusa, del materiale probatorio raccolto - e non un giudizio prognostico in esito al quale il giudice pervenga ad una valutazione di innocenza dell'imputato - può condurre ad una sentenza di non luogo a procedere (Cass. pen. sez. 5, 22864/2009 Rv. 244202);
d) che l'insufficienza e la contraddittorietà degli elementi per sostenere l'accusa in giudizio e che legittimano la pronuncia della sentenza di non luogo a procedere, devono avere caratteristiche tali di evidenza da non poter essere ragionevolmente considerate superabili nei giudizio stesso (cfr. in termini: Cass. Pen. sez. 4, 26410/2007, Rv. 236800);
e) che la decisione de qua deve proporre una motivazione "congruente" con l'ipotesi di accusa formulata a carico dell'imputato, attraverso l'analisi delle emergenze delle indagini preliminari con specifico riguardo alla tesi di accusa che il P.M. chiede di sostenere nel dibattimento: dall'assenza di tale congruenza consegue l'illegittimità della sentenza di non luogo a procedere ed il suo annullamento con rinvio (Cass. pen. sez. 5, 46307/2008 Rv. 242606);
f) che il controllo della Corte di cassazione sul vizio di motivazione della sentenza di non luogo a procedere deve essere riferito alla prognosi sull'eventuale accertamento di responsabilità alla stregua dei risultati provvisoriamente offerti dagli atti di indagine, nonchè delle prove irripetibili o assunte in incidente probatorio (Cass. pen. sez. 5, 10811/2010 Rv. 246366);
g) che l'individuazione del "discrimen" tra il concetto di sostenibilità o non sostenibilità in giudizio dell'accusa, categoria giuridica fissata dall'art. 425 c.p.p., comma 3, come novellato nel 1999, e che costituisce il filtro valutativo di riferimento del giudice, a fronte di situazioni probatorie non dotate di una significante efficacia probatoria, è valutazione del giudice di merito il quale, nella scelta dell'opzione selettiva, come avvenuto nella specie, si sottrae a censure in sede di legittimità, salvo il caso di incoerenze, illogicità od incongruenze della giustificazione proposta;
h) che, comunque, "in caso di dubbio sul dubbio", cioè sulla sufficienza o non contraddittorietà delle prove proponibili nel giudizio dibattimentale, il giudice dell'udienza preliminare non deve sempre e soltanto optare per l'ipotesi della potenziale sostenibilità dell'accusa e il rinvio a giudizio dell'imputato, in quanto tale evenienza frustrerebbe le esigenze deflative che informano il disposto dell'art. 425 c.p.p., comma 3 (cfr. in termini cass. pen. sezione, 6, 3 maggio 2012, n. 16362 già citata).
Nella specie tale protocollo valutativo, ed in particolare i parametri di cui ai punti sub g) e sub h) che precedono, è stato ampiamente rispettato dal G.U.P. e pertanto, bene nella vicenda, è stata pronunciata la decisione di non luogo a procedere, attesa la presenza di elementi palesemente insufficienti per sostenere l'accusa in giudizio, a causa della manifesta inconsistenza delle prove di colpevolezza e considerato altresì che il controllo del giudice di legittimità, sulla motivazione della sentenza di non luogo a procedere, non può avere per oggetto gli elementi acquisiti dal Pubblico Ministero ma solo la giustificazione adottata dal giudice nel valutarli e quindi, la riconoscibilità del criterio prognostico adottato nella valutazione d'insieme degli elementi acquisiti, inidonei a sostenere l'accusa in giudizio (Cass. Pen. sez. 4, 2652 /2009 Rv. 242500 Sorbello. Massime precedenti Conformi: N. 14253 del 2008 Rv. 239493).
Per concludere, la valutazione prognostica negativa, circa l'eventuale condanna in giudizio è stata dal G.U.P. correttamente formulata mediante una motivazione "congruente" con l'ipotesi di accusa formulata (nei termini ripresi al p. 2), e si è fondata sulla ragionevole constatazione della impossibilità di un arricchimento dei dati processuali nella successiva fase processuale.
Da ciò la derivata evidente inutilità del dibattimento, espressa come già detto, con una giustificazione priva di vizi, incoerenze, illogicità od congruenze nella giustificazione proposta la quale ha dato conto della condotta dell'imputato e della sua irrilevanza penale, argomentando in proposito con una lineare ed insindacabile motivazione.
Il ricorso pertanto risulta infondato, valutata la conformità del provvedimento alle norme stabilite, nonchè apprezzata la tenuta logica e coerenza strutturale della giustificazione che è stata formulata.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.