Cassazione Penale, Sez. 6, 23 agosto 2012, n. 33149 - Art. 572 c.p. e rapporto di supremazia-soggezione tra due soggetti
Nei rapporti tra un caposquadra e una addetta al servizio di spazzamento delle aree urbane non ricorre un nesso di supremazia-soggezione che esponga il soggetto più debole a situazioni assimilabili a quelle familiari, come invece potrebbe dirsi nei rapporti tra il collaboratore domestico e le persone della famiglia presso la quale il primo presta attività lavorativa o in quelli intercorrenti tra il maestro d'arte e l'apprendista. Nella specie non è dunque giuridicamente configurabile il reato di cui all'art. 572 cod. pen. .
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SESTA SEZIONE PENALE
Composta da
Antonio S. Agro - Presidente
Giovanni Conti - Relatore
Vincenzo Rotando
Domenico Carcano
Anna Petruzzellis
Ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Sul ricorso proposto da T. avverso la sentenza del 19/04/2011 della Corte d’Appello di Trieste
visti gli atti, la sentenza denunziata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Giovanni Conti;
udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Vincenzo Geraci, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per il ricorrente l'avv. Paolo Bevilacqua, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
Fatto
1. Con sentenza in data 21 ottobre 2009, il Tribunale di Udine, dichiarava T. colpevole del delitto di cui all'art. 572 cod. pen., per avere, in qualità di coordinatore dei lavoratori addetti al servizio di pulizia urbana gestito dalla N. s.p.a., avendo alle proprie dirette dipendenze F., assunta tramite collocamento obbligatorio in quanto affetta da una grave malattia, operaia addetta alla raccolta-spazzamento in area urbana, in numerose occasioni, nel contestarle presunte inadempienze, si rivolgeva alla medesima con frasi gravemente ingiuriose e con tono minaccioso, tanto da cagionare alla stessa un peggioramento delle sue condizioni di salute (in Udine, fino al 29 giugno 2006).
Con detta sentenza, riconosciute le attenuanti generiche, il T. veniva condannato alla pena di otto mesi di reclusione, condizionalmente sospesa, oltre al risarcimento dei danni in favore della F. , costituitasi parte civile, con fissazione di una provvisionale pari a euro 5.000.
2. A seguito di impugnazione da parte dell'imputato, la Corte di appello di Trieste, con la sentenza in epigrafe, sostituiva la pena inflitta con quella di un anno e quattro mesi di libertà controllata e, stante la intervenuta revoca di costituzione di parte civile, revocava la condanna al risarcimento dei danni e la statuizione del pagamento di una provvisionale, confermando nel resto la sentenza impugnata.
La Corte di appello, al pari del primo giudice, riteneva raggiunta la prova della responsabilità dell'imputato sulla base non solo della testimonianza della persona offesa ma anche delle dichiarazioni di colleghi di lavoro o di sanitari, che avevano raccolto le dichiarazioni della F. e accertato le conseguenze sulle sue condizioni psico-fìsiche, in soggetto affetto da sclerosi multipla, delle continue e gravi ingiurie rivoltele dal T.
3. Ricorre per cassazione il T., a mezzo del difensore avv. PB, che, con un primo motivo, denuncia la erronea applicazione dell'art. 572 cod. pen. e il vizio di motivazione in punto di affermazione della responsabilità penale, osservando, da un lato, che la sentenza impugnata aveva privilegiato le fonti probatorie a carico, svalutando quelle più numerose a difesa, in un contesto che comunque inquadrava i rimproveri fatti alla dipendente in relazione a inosservanze delle regole del servizio ammesse dalla stessa persona offesa; dall'altro, sotto il profilo dell'elemento soggettivo, non aveva considerato che le “ramanzine” rivolte dall’imputato alla F. erano mosse non da una volontà persecutoria ma di reazione contro il mancato rispetto delle regole del servizio, al più integrante il reato di ingiuria non perseguibile stante la intervenuta rimessione della querela, il tutto al di fuori della nozione di abitualità che contraddistingue il reato di cui all'art. 572 cod. pen.
Con un secondo motivo, censura la determinazione del trattamento sanzionatorio, specie in relazione alla condizione di incensurato dell'imputato.
4. I! difensore ha poi depositato memoria, con la quale si ribadiscono e si illustrano ulteriormente le censure dedotte.
Diritto
1. Il ricorso è fondato.
2. Va infatti osservato che nella specie non è giuridicamente configurabile il reato di cui all'art. 572 cod. pen. contestato.
Perché ricorra tale reato, occorre un rapporto tra soggetto agente e soggetti passivi caratterizzato da un potere autoritativo esercitato, di fatto o di diritto, dal primo sui secondi, i quali, specularmente, versano in una condizione di soggezione; situazione tradizionalmente confinata nell'ambito familiare, specie in relazione alla posizione preminente del marito rispetto alla moglie o dei genitori rispetto ai figli (art. 391 cod. pen. del 1889), e successivamente estesa, dal vigente codice del 1930, a rapporti educativi, di istruzione, di cura, di vigilanza, di custodia o a quelli che si instaurano nell'ambito di un rapporto di lavoro.
Con particolare riferimento ai rapporti di lavoro, occorre che il soggetto agente versi, appunto, in una posizione di supremazia, che si traduca nell'esercizio di un potere direttivo o disciplinare, tale da rendere specularmente ipotizzabile una soggezione, anche di natura meramente psicologica, del soggetto passivo, riconducibile a un rapporto di natura para-familiare (v. Sez. 6, n. 16164 del 07/04/2011, L.M.; Sez. 6, n. 685 del 22/09/2010, dep. 13/01/2011, C; Sez. 6, n. 32366 del 20/05/2009, Tomeo; Sez. 6, n. 26594 del 06/02/2009, P.; Sez. 3, n. 27469 del 05/06/2008, Di Venti; Sez. 6, n. 10090 del 22/01/2001, Erba; nonché, da ultimo, Sez. 6, 10 ottobre 2011, Pizzicara).
Al di fuori di queste particolari situazioni di fatto o di diritto, nell'ambito di rapporti di natura professionale o di lavoro non è configurabile il reato in esame, tanto che da tempo, per l'avvertita esigenza di dare una risposta penale a condotte persecutorie in tale ambito (cd. mobbing), sono state avviate iniziative legislative, non giunte però ancora a definizione.
Nella situazione in esame, relativa ai rapporti tra un caposquadra e una addetta al servizio di spazzamento delle aree urbane, non ricorre un nesso di supremazia-soggezione che esponga il soggetto più debole a situazioni assimilabili a quelle familiari, come invece potrebbe dirsi nei rapporti tra il collaboratore domestico e le persone della famiglia presso la quale il primo presta attività lavorativa o in quelli intercorrenti tra il maestro d'arte e l'apprendista.
3. Salva pertanto l'eventuale configurabilità di altri reati, rimessi alla valutazione del Pubblico ministero, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste. Così deciso il 29/05/2012. Depositata il 23 agosto 2012