Tribunale di Bologna, Sez. Lav., 24 aprile 2012 - Risarcimento danno da infortunio sul lavoro; licenziamento per superamento del periodo di comporto


 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI BOLOGNA

SEZIONE LAVORO

 

Il Giudice Unico dott. Giovanni Benassi ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

Nella causa civile iscritta al n. 484 del Ruolo Generale Lavoro dell'anno 2008, posta in decisione all'udienza del 3 aprile 2012, promossa da:

 

G.G., rappresentato e difeso per mandato a margine del ricorso introduttivo di primo grado, dagli avvocati Guido Reni, Sara Passante e Bruno Laudi, presso il cui studio è pure elettivamente domiciliato, in Bologna, via San Felice n. 6

 

RICORRENTE

 

Contro

 

IRCE SPA, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, dott. Filippo Casadio, rappresentata e difesa per mandato posto a margine della memoria di costituzione e risposta, dall'avvocato Federico Diletti, presso il cui studio è pure elettivamente domiciliata, in Bologna, via Barberia n. 6

 

CONVENUTA

 

Avente ad oggetto: risarcimento danno da infortunio sul lavoro; licenziamento per superamento del periodo di comporto

 

 

Fatto

 

 

Con ricorso depositato il 6 febbraio 2008, G.G. ha esposto di essere stato dipendente della IRCE Spa, società produttrice di cavi elettrici, dal 2 settembre 1990 al 15 settembre 2005, con mansioni di operaio addetto, fino al 2003 circa, alla matassatura e, successivamente, assegnato alla macchina M8 di rottamazione dei cavi difettosi sempre nel medesimo reparto; di avere avvertito, il giorno 27 luglio 2004 verso le ore 17,30, mentre stava spostando una bobina contenente circa 30.000 metri di cavo, un forte dolore alla spalla sinistra e di essere rimasto bloccato; di essersi immediatamente recato presso il capoturno del reparto adiacente al suo per informarlo sull'accaduto e chiedere soccorso; di essere stato successivamente sottoposto ad un lungo ciclo di terapie e di accertamenti, nel corso del quale si era reso necessario anche un intervento chirurgico di riparazione artrotomica della lesione; e di essere rimasto ininterrottamente assente dal lavoro sino al 15 settembre 2005, data nella quale aveva ricevuto la lettera di licenziamento per superamento del periodo di comporto.

 

Ciò premesso, il G. ha convenuto in giudizio la IRCE Spa, chiedendone, in primo luogo, la condanna, previo accertamento della sua civile responsabilità per l'infortunio occorsogli il 27 luglio 2004, al risarcimento del danno, biologico permanente (Euro 18.489,97), morale (Euro 11.504,58), biologico temporaneo (Euro 4.519,20), alla capacità lavorativa specifica (Euro 19.581,60) e patrimoniale emergente (Euro 300,00 a titolo di rimborso spese per la consulenza tecnica di parte); e, in secondo luogo, la condanna, previa declaratoria di illegittimità del licenziamento, a reintegrarlo nel posto di lavoro ed al risarcimento del danno nella misura prevista dall'art. 18 della L. n. 300 del 1970 o, in via subordinata, dall'art. 8 della L. n. 604 del 1966.

 

Radicatosi il contraddittorio con la IRCE Spa, che ha chiesto il rigetto della domanda, ed espletata l'istruttoria, all'udienza del 3 aprile 2012, i procuratori delle parti hanno concluso come in epigrafe e la causa, dopo la discussione orale, è stata decisa come da dispositivo, di cui è stata data lettura.

 

 

Diritto

 

1. E' noto il principio, più volte affermato dalla suprema Corte (v., fra le tante, Cass. n. 16003/07, n. n. 21590/08, n. 15078/09, secondo cui il lavoratore che agisca nei confronti del datore di lavoro per il risarcimento integrale del danno patito a seguito di infortunio sul lavoro ha l'onere di provare il fatto costituente l'inadempimento e il nesso di causalità materiale tra l'inadempimento e il danno, ma non anche la colpa del datore di lavoro, nei cui confronti opera la presunzione posta dall'art. 1218 cod. civ., il superamento della quale comporta la prova di aver adottato tutte le cautele necessarie ad evitare il danno, in relazione alle specificità del caso ossia al tipo di operazione effettuata ed ai rischi intrinseci alla stessa, potendo al riguardo non risultare sufficiente la mera osservanza delle misure di protezione individuale imposte dalla legge.

 

Nel caso di specie il ricorrente, che è onerato dalla prova dell'esistenza del fatto costituente l'inadempimento datoriale e del danno, sostiene, in primo luogo, di avere subito l'infortunio sul lavoro verso le ore 17,30 del giorno 27 luglio 2004, allorchè, mentre stava spostando una bobina contenente circa 30.000 metri di cavo, aveva avvertito un forte dolore alla spalla sinistra ed era rimasto bloccato.

 

Sebbene l'evento risulti essere stato denunciato all'INAIL (v. doc. 2 parte convenuta), sussistono forti dubbi sia in ordine all'effettiva verificazione del sinistro, sia in ordine alla idoneità delle mansioni svolte a determinare le denunciate conseguenze lesive.

 

Quanto al primo aspetto, va, subito, evidenziato come lo stesso ricorrente, nell'atto introduttivo del giudizio, non abbia fatto cenno alla presenza di eventuali testimoni nel reparto, che potessero confermare l'effettivo verificarsi del sinistro e la dinamica esposta.

 

L'unico riferimento, indiretto, può essere tratto dalla deposizione del teste C.A., il capo turno al quale si era rivolto il G. subito dopo l'evento lesivo, il quale ha così riferito: "quella sera fui informato dal sig. G. che si era fatto male poco prima spostando una bobina. Nella mia qualità di capoturno ho redatto il documento" (cfr. doc. 2 parte convenuta) "riportando i dati che mi erano stati forniti dallo stesso G.. Non ho assistito direttamente all'infortunio. Prendo atto che dal documento risulta che G. non fu accompagnato al Pronto Soccorso. Non ricordo con precisione ma credo che il G. sia rimasto a lavorare sino alla fine del turno". Anche la deposizione del responsabile della produzione, C.D., sostanzialmente confermato le dichiarazioni del capoturno e, cioè, che non era presente alcun testimone al momento del verificarsi dell'infortunio sul lavoro e che la descrizione della dinamica dell'evento lesivo è ascrivibile soltanto a quanto riferito dal lavoratore diretto interessato.

 

A ciò si aggiunga un ulteriore elemento e, cioè, che la dinamica del sinistro risultante dalla certificazione del Pronto Soccorso (doc. 3 parte ricorrente) - cui per altro l'infortunato si era rivolto soltanto nella tarda mattinata del giorno successivo 28 luglio 2004 -, descritta come "dopo avere spostato un peso dolore e impotenza funzionale alla spalla sinistra", è talmente generica da essere compatibile con una pluralità di eventi lesivi non necessariamente di natura ed origine lavorativa.

 

2. Inoltre, nella specie, risultano essere fortemente contestate le modalità di esecuzione delle mansioni assegnate al ricorrente.

 

Il G. addebita l'infortunio alle mansioni svolte dopo l'assegnazione alla macchina M8 di rottamazione dei cavi difettosi, sostenendo che doveva movimentare manualmente da 15 a 30 bobine piene al giorno, dal peso oscillante da 400 a 1.300 kg a seconda della lunghezza del cavo; che, una volta alla settimana, ordinava il carico delle bobine vuote che arrivavano in azienda da Termoli; che la movimentazione era eseguita sia facendo rotolare le bobine sia spostandole di lato, con evidente profusione di energia fisica, soprattutto a carico della schiena, degli arti superiori e della articolazione della spalla; e che era prassi ordinaria di accatastare in modo disordinato le bobine, cosicchè, per poter consentire al muletto di agganciarle e sollevarle, era prima necessario provvedere al loro spostamento manuale in posizione utile.

 

In senso contrario, la società convenuta, dopo avere evidenziato l'idoneità del lavoratore alla mansione specifica (doc. 1 parte convenuta) e la sua adibizione a tutti i ruoli previsti nel reparto, tra cui anche quello alla macchina M8, cavi difettosi e/o scartati, ha, in primo luogo, negato che l'accatastamento delle bobine avvenisse in modo disordinato; e, quindi, ha escluso che fosse richiesto un ingente sforzo fisico perché lo spostamento manuale delle bobine era richiesto solo per pochi metri e con una minima spinta. Secondo la società convenuta, poi, non rispondeva al vero neppure l'ulteriore circostanza dedotta dal G., secondo cui dopo l'infortunio sarebbero mutate le modalità operative, posto che, a seguito della dismissione di alcune macchine matassatrici obsolete, erano migliorati gli spazi di manovra delle matasse senza alcuna eliminazione delle operazioni manuali descritte.

 

Ripercorrendo le numerose deposizione rilasciate dai testimoni ascoltati in corso di causa riesce molto difficile fare chiarezza in ordine alle modalità esecutive delle mansioni svolte dal G..

 

Ad esempio, il già citato C.D., dopo aver ribadito che il ricorrente aveva lavorato in tutti i ruoli del reparto matassatura ivi compresa la macchina M8, ha riferito che "per (le) matasse che escono dalla macchina M8 l'operatore ha solo il compito di tiare verso di sé la matassa già confezionata e di farla scivolare in un apposito contenitore di raccolta posto più in basso rispetto alla macchina...altre macchine invece erano robotizzate e quindi provvedevano automaticamente a collocare le matasse su appositi pallets, dove venivano prelevate con il muletto...per altre macchine ancora la matassa veniva prelevata manualmente dall'operatore e collocata sul pallet. Il peso della matassa oscillava da un minimo di 3 kg ad un massimo di 10 kg".

 

Il teste ha, poi, affermato che l'accatastamento avveniva in modo ordinato; che lo spostamento richiesto all'operatore era di un metro o due al massimo; e che, tra il 2002 ed il 2005, vi era stata una razionalizzazione della produzione, che aveva comportato sia lo spostamento di alcune lavorazioni nello stabilimento di Termoli, con eliminazione di alcune macchine, sia perché obsolete sia perché non più necessarie per le lavorazioni che si continuavano a svolgere a Imola; sia una diversa collocazione delle macchine per la razionalizzazione degli spazi.

 

Quanto alla movimentazione delle bobine, il C. si è espresso nei seguenti termini: "preciso che la movimentazione di tali bobine avviene mediante il muletto o il transpallet. All'operatore si richiede soltanto una leggera spinta nella fase finale in modo da posizionare la bobina nel modo più conveniente per occupare meno spazio...si tratta di spostamenti delle bobine di mezzo metro o poco più. Allo stesso modo si procede per le bobine piene che vengono posizionate...in modo da procedere alle operazioni di matassatura. Anche in questo caso all'operatore è richiesto uno sforzo minimo che serve esclusivamente per posizionare la bobina nel modo giusto in modo da poter essere inforcata dal muletto. Si tratta in sostanza di far rotolare la bobina...la bobina vuota pesa da 200 kg a 300 kg. La bobina piena può pesare 400 hg fino a 1.300 kg...il diametro della bobina è di 1 metro e 25 cm; la bobina è larga 80-85 cm".

 

Di diverso tenore sono, invece, le dichiarazioni di F.S., per dieci anni circa dipendente di IRCE Spa nonché delegato sindacale del reparto matasseria e, infine, cugino del ricorrente.

 

Questo testimone ha, in primo luogo, riferito che il G., presso il reparto matasseria, aveva operato su tutte le macchine, anche se, in particolare nell'ultimo periodo, era stato specificamente addetto alla macchina M8; ha, quindi, sostenuto che "le bobine erano sistemate in modo disordinato in un angolo dello stabilimento, tanto che era necessario spostarle manualmente in modo da posizionarle nel modo giusto per essere prese dal muletto. In sostanza l'operatore doveva fare rotolare la bobina e spesso doveva spostarla sia pure di pochi centimetri in modo da collocare la bobina in asse con i bracci del muletto"; ha, poi, confermato che la movimentazione delle bobine avveniva con il muletto o con il transpallet elettrico e che il G. aveva movimentato circa 15/20 bobine al giorno, quando era addetto alla macchina M8; ha, altresì, dichiarato che, dopo l'infortunio sul lavoro, la macchina M8 era stata collocata in altro punto dello stabilimento in modo che l'operatore "poteva far rotolare le bobine senza essere costretto a fare spostamenti laterali che naturalmente erano molto più difficoltosi"; ha, infine, dedotto che il G. si sarebbe in più occasioni lamentato con il suo capo squadra per il modo disordinato in cui erano collocate le bobine che lo obbligava a compiere sforzi fisici che potevano essere evitati.

 

Circostanza quest'ultima che non è stata confermata dal diretto interessato, il responsabile del reparto matassatura M.L., citato dallo S. nella sua deposizione.

 

Il M., premesso che il G. era stato chiamato ad operare presso tutte le macchine presenti in reparto, ha riferito che "la movimentazione delle bobine sia sia che piene avveniva mediante il muletto elettrico ovvero transpallets a mano. All'operatore era richiesto un minimo sforzo e cioè quello di far rotolare la bobina in modo da posizionarla in modo giusto per essere inforcata dai bracci del muletto. Si trattava di spostamenti di un metro o due al massimo. Naturalmente mi riferisco alle bobine vuote. Per le bobine piene all'operatore non era richiesto alcun sforzo in quanto era impossibile spostarle manualmente dato il loro peso. A volte era necessario effettuare qualche piccolo spostamento laterale di pochi centimetri per meglio posizionare le bobine vuote. Preciso che gli ausili meccanici erano dappertutto nel reparto".

 

Analoghe sono le dichiarazioni rilasciate dal già citato capo turno C.A., il quale, premesso che il G. aveva ruotato su tutte le macchine del raparto, ha confermato che la movimentazione delle bobine avveniva con l'uso del muletto o del trans pallet; che l'operatore, senza un eccessivo sforzo fisico, spostava per un piccolo spazio solo le bobine vuote facendole rotolare per posizionarle in modo giusto davanti ai bracci del muletto,; e che tale operazione non era compiuta con le bobine piene, che, trasportate in modo meccanico, erano sistemate, sempre con l'uso del muletto, in modo ordinato per poter essere riprese con facilità in un momento successivo.

 

Successivamente sono stati ascoltati i testi C.P. e B.D..

 

Quanto alla prima deposizione, la teste si è limitata a rilasciare delle dichiarazioni alquanto generiche, utili solo per confermare l'assegnazione del G. alle mansioni indicate nel capitolo di prova di parte ricorrente n. 1 all'atto dell'assunzione, comunque diverse da quelle svolte il giorno dell'infortunio sul lavoro e sulle quali la C. nulla ha potuto riferire di realmente rilevante.

 

Più interessante è la deposizione del B., compagno di lavoro del G., il quale, pur confermando quasi tutti i capitoli di prova formulati dal ricorrente, e, quindi, anche lo spostamento manuale di 15/20 bobine per caricarle sul muletto, ha sostenuto che la movimentazione avveniva sempre in posizione di rotolamento; che, dopo l'infortunio, probabilmente per il diverso posizionamento delle macchine, la situazione era migliorata, anche se era comunque ancora necessario provvedere, a volte, alla movimentazione manuale delle bobine; e che, infine, il G., a differenza di lui, aveva chiesto di modificare il processo produttivo in modo da non poter più movimentare in modo manuale le bobine.

 

3. L'insieme delle esposte risultanze istruttorie presenta degli esiti così contrastanti da non poter consentire di considerare come provate le principali deduzioni poste dal ricorrente a fondamento della sua pretesa risarcitoria.

 

In primo luogo, è emerso che, contrariamente a quanto esposto in ricorso, il G. era stato adibito a tutte le macchine presenti nel reparto matassatura mentre non ha trovato conferma l'affermazione del ricorrente che, a fare tempo dal 2003, era stato assegnato solo alla macchina M8. Dai dati istruttori è possibile solo ricavare che il G. aveva lavorato anche alla macchina M8, ma nulla può essere desunto in merito alla frequenza di tale adibizione tanto che non può neppure essere formulato un giudizio di prevalenza di tale mansione rispetto ad altre.

 

E', poi, ulteriormente, contrastata la circostanza della movimentazione manuale delle bobine che, secondo alcuni testi, era effettuata solo con quelle vuote, dal peso notevolmente inferiore, mentre per altri, poteva concernere anche quelle piene; inoltre, i detti spostamenti erano eseguiti, secondo alcune deposizioni, per uno o al massimo due metri facendo rotolare le bobine, mentre, solo per il teste S., ne era richiesto anche lo spostamento laterale comportante un maggiore impegno fisico. Se è, poi, certo che la parte più consistente della movimentazione delle bobine era effettuata in modo meccanico, non risulta adeguatamente dimostrato né l'intensità né la frequenza con la quale il ricorrente avrebbe svolto tale mansione.

 

Infine, quanto al periodo successivo all'infortunio sul lavoro, è certo soltanto che vi fu una riorganizzazione dell'attività del reparto, che la maggior parte dei testimoni ascoltati sul punto hanno attribuito a scelte produttive autonome, non dipendenti dalla vicenda denunciata dal G..

 

In questo complesso quadro istruttorio, non è possibile neppure ipotizzare che le mansioni assegnate al G. abbiano potuto determinare le descritte conseguenze lesive, sia perché non è certa l'assegnazione in via esclusiva del ricorrente alla macchina M8, sia perché non è stata chiarita l'entità dell'impegno fisico necessario per la movimentazione manuale delle bobine, che, ad avviso di alcuni testimoni, dovrebbe essere considerato del tutto leggero, mentre non è stato provato lo spostamento laterale delle bobine, certamente comportante uno sforzo molto più intenso; sia perché, infine, non è chiara la frequenza e l'intensità dell'assegnazione del G. alla mansione asseritamente pericolosa.

 

In tale contesto istruttorio, non si ravvisa l'esistenza di elementi idonei per supportare le violazioni, prospettate dalla difesa del ricorrente da parte della società IRGE Spa, delle disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 626 del 1994 in tema di movimentazione di carichi e dell'art. 2087 cod. civ. nella parte in cui impone al datore di lavoro il dovere della massima sicurezza esigibile.

 

Conclusione questa che trova conferma anche nell'ulteriore circostanza che l'INAIL non ha riconosciuto l'evento del 27 luglio 2004 come infortunio sul lavoro e non ha, di conseguenza, indennizzato il lungo periodo di inabilità assoluta e liquidato le prestazioni di legge previste per l'ipotesi di danno biologico permanente. Il caso è stato trasmesso all'INPS il quale lo ha assunto in carico, sull'evidente presupposto della indennizzabilità del periodo di assenza dal lavoro come malattia comune (v. doc. 3 parte convenuta).

 

Da ciò discende sia il rigetto della domanda volta ad ottenere il risarcimento del danno sia, quale ulteriore corollario, anche dell'impugnazione del licenziamento per superamento del periodo di comporto.

 

Il lavoratore, infatti, non ha contestato né il periodo di assenza dal lavoro per malattia protrattosi dal 27 luglio 2004 al 14 settembre 2005, né l'applicabilità, al suo caso, della previsione dell'art. 40, comma 7, lettera c) del c.c.n.l. applicato in azienda, che riconoscere a favore del dipendente con un'anzianità di servizio di oltre 6 anni un periodo di conservazione del posto di lavoro per malattia di 12 mesi.

 

Nella specie, dunque, non può che essere confermata la legittimità del licenziamento per superamento del periodo di comporto intimato dalla IRGE Spa al G. con lettera ricevuta il 15 settembre 2005, pure dovendosi osservare che la lunga assenza del lavoro è stata determinata da malattia comune e non da malattia professionale o da inabilità temporanea assoluta derivante da infortunio sul lavoro ascrivibili a responsabilità datoriale per violazione dell'art. 2087 cod. civ. o di altre norme antinfortunistiche.

 

 

Va, quindi, rigettata la domanda proposta da G.D. con ricorso depositato il 6 febbraio 2008.

 

Si stima equo, stante la complessità in fatto della questione trattata e i contrastanti esiti dell'istruttoria, disporre l'integrale compensazione delle spese di causa.

 

P.Q.M.

Ogni contraria istanza disattesa e respinta, definitivamente decidendo, rigetta la domanda proposta da G.D. con ricorso depositato il 6 febbraio 2008; compensa fra le parti le spese processuali.