Cassazione Penale, Sez. 4, 12 novembre 2012, n. 43805 - Infortunio mortale e omessa predisposizione di idonea messa a terra dell'impianto ed installazione dei dispositivi differenziali c.d. salvavita
- Contratti d'appalto, d'opera e di somministrazione
- Dispositivo di Protezione Individuale
- Impianti ed Apparecchiature Elettriche
Fatto
C. M. e C. M. F. erano tratti a giudizio dinanzi al Tribunale di Napoli - Sezione staccata di Afragola per rispondere del delitto p. e p. dagli artt. 113, 589, comma 2° cod.pen. perché, in cooperazione tra loro, nel le rispettive qualità di legale rappresentante della ditta datrice di lavoro e di direttore dello stabilimento " C. " di Calvario, cagionavano, per colpa generica e per la violazione della normativa antinfortunistica segnatamente dell'art. 7 D.l. vo n. 626 / 1994 - la morte di De S. A. che, incaricato di effettuare il 28 giugno 2000, lavori all'impianto elettrico all'interno del reparto di precernita dello stabilimento "C." di Calvano, era rimasto folgorato per essersi aggrappato alla struttura metallica dopo esser salito su di una scala portatile non dotata di idonei agganci, decedendo il giorno 30 giugno 2000 all'ospedale di Sessa Aurunca.
Al C. si ascriveva di aver omesso di dotare la scala usata dal dipendente di detto sistema di aggancio o comunque di un sistema di trattenuta all'estremità superiore della stessa nonché di aver omesso di coordinare l'attività dei propri dipendenti con quelli dell'imprenditore appaltante. Al C. risaliva l'omesso coordinamento, prescritto dall'art. 7 D.I,vo n. 626 del 1994, con il C. in relazione all'esecuzione delle lavorazioni all'interno del capannone industriale nonché la mancanza della messa a terra delle strutture metalliche del reparto dello stabilimento.
Con sentenza in data 3 maggio 2007, il Giudice di prime cure mandava assolti gli imputati dall'addebito loro ascritto, per insussistenza del fatto, in difetto di prova del nesso di causa tra l'evento letale e le omissioni agli stessi ascritte, non essendo stato possibile accertare se e come la vittima fosse venuta a contatto con l'energia elettrica, attesoché da nessun indizio poteva desumersi che la canalina passacavi fosse sotto tensione, in mancanza delta presenza di cavi elettrici scoperti o di verificate dispersioni di corrente.
La Corte d'appello di Napoli, con sentenza 21 ottobre 2010, accogliendo, in riforma della sentenza di primo grado, i gravami proposti dalla Pubblica Accusa e delle parti civili, giudicava gli imputati responsabili del delitto de quo, condannandoli alla pena di UN anno e mesi QUATTRO di reclusione, concesse le attenuanti generiche nonché al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili,da liquidarsi in separata sede. I Giudici d'appello hanno ritenuto, in applicazione della cd. prova logica, che la produzione dell'evento risalisse alte omissioni contestate agli imputati. Individuata la causa della morte nella folgorazione (come accertato in sede autoptica); attesa l'acclarata presenza di cavi elettrici ad alta tensione all'interno della apposita canalina sovrastante la postazione di lavoro della vittima ( che operava ad oltre tre metri di altezza dal suolo, privo di mezzi antinfortunistici individuali - come i guanti - e su di una scala priva del ganci di attacco o comunque di idonea impalcatura ) e posto il rilevato "marchio elettrico" tra il primo ed il secondo metacarpo della mano della vittima - a dimostrazione del passaggio della corrente elettrica necessariamente doveva ritenersi che la folgorazione avesse trovato causa nel contatto anche indiretto con un cavo di corrente non adeguatamente protetto da idonea messa a terra o dall'adozione di interruttori differenziali ed. salvavita. Non essendo quindi logicamente concepibile altra ricostruzione alternativa dell'incidente, le cause dell'evento letale dovevano esser individuate nelle omissioni colpose, rispettivamente contestate agli imputati nel capo d'accusa. Ricorrono per cassazione entrambi gli Imputati, per tramite del rispettivi difensori.
Con il primo motivo di ricorso, la difesa del C. eccepisce la violazione degli artt. 589 cpv. e 157 cod.pen. per aver omesso la Corte distrettuale di far luogo alla declaratoria di intervenuta estinzione del reato per prescrizione, risalendo il fatto all'anno 2000, ormai risultando definitivamente compiuto il più favorevole termine massimo previgente, di anni 7 e mesi 6 di cui all'art. 157 comma 1° n.4 cod. pen. atteso il riconoscimento delle attenuanti generiche. Con il secondo motivo lamenta il ricorrente la violazione dell'art. 538, comma 3° cod. proc.pen. oltreché il difetto di motivazione per aver omesso la Corte d'appello di condannare il responsabile civile, regolarmente ammesso nel giudizio di primo grado, In solido con gli Imputati, al risarcimento del danni In favore delle parti civili.
Con la terza censura si duole il ricorrente dell'omessa motivazione in ordine alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena benché la richiesta non fosse stata per errore verbalizzata dal difensore, stante l'incensuratezza dell'imputato.
Il difensore del C., con il primo motivo di ricorso, denunzia la violazione dell'art. 40, comma 2 cod. pen. La Corte d'appello,in violazione del disposto dell'art. 192 cod. proc. pen. avrebbe attribuito, con motivazione apodittica e tautologica, la causa dell'evento alle omissioni ascritte all'imputato, alla stregua di un una non meglio specificata prova logica, quando invece erano rimaste ignote le circostanze fattuali di produzione dell'evento, in difetto dell'immediata verifica di eventuali dispersioni di corrente dalla canalina passacavi e della presenza o meno di dispositivi di protezione.
Con il secondo motivo, si duole il ricorrente della violazione dell'art. 69 cod. pen. oltreché de) vizio motivazionale sul punto. La Corte d'appello si sarebbe del tutto sottratta all'effettuazione dell'obbligatorio giudizio di comparazione tra le circostanze attenuanti generiche, riconosciute all'imputato e l'aggravante speciale del fatto commesso con violazione della normativa antinfortunistica pur inducendo l’applicata diminuzione della pena base di anni DUE di reclusione a ritenere che implicitamente si sia inteso dichiarare la prevalenza delle attenuanti sull'aggravante contestata.
Con la terza censura, denunzia il ricorrente la violazione dell'art. 157 cod. pen. per avere i Giudici d'appello omesso la declaratoria di estinzione del reato per maturata prescrizione,ormai compiutosi il più favorevole termine di anni 7 e mesi 6 di cui all'art. 157, comma 1 n. 4 cod, pen., nel testo previgente, riconosciute all'Imputato le attenuanti generiche prevalenti sull'aggravante contestata.
Con memoria difensiva depositata in cancelleria il 15 marzo 2012, le parti civili -confutate le tesi dedotte dagli imputati - hanno insistito per il rigetto dei ricorsi.
Diritto
I ricorsi sono, per quanto di ragione, fondati.
In accoglimento del primo motivo del ricorso proposto dal C. e del secondo e terzo motivo del ricorso proposto dal C. ( da trattarsi congiuntamente concernendo l'applicazione della prescrizione ) deve dichiararsi estinto per maturata prescrizione, il reato ai predetti ascritto. Pur nel silenzio, sui punto, della motivazione della sentenza impugnata, deve ritenersi che la Corte d'appello abbia inteso concedere agli imputati le attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sull'aggravante contestata di cui all'art. 589 cpv. cod, pen.: fatto commesso con violazione della normativa antinfortunistica. Ai sensi dell'art, 69, comma 4° cod.pen. nel testo in vigore all'epoca del fatto, anteriormente alle modifiche introdotte dall'art. 3, comma 1° della legge 5 dicembre 2005 n. 251 ("Le disposizioni precedenti si applicano anche alle circostanze inerenti la persona del colpevole ed a qualsiasi altra circostanza per la quale la legge stabilisce una pena di specie diversa o determini la misura della pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato") deve ritenersi che la Corte d'appello fosse comunque tenuta ad effettuare il giudizio di comparazione tra circostanze di opposta valenza ( a nulla ovviamente rilevando che, con detta aggravante, la misura della pena risulti determinata in modo indipendente da quella ordinaria del reato) nel momento in cui aveva ritenuto di riconoscere ad entrambi gli imputati, le attenuanti generiche. La riduzione di un terzo apportata alta pena base di anni due di reclusione (sì da giungere a quantificare la pena finale in un anno e mesi quattro ) testimonia l'applicazione di fatto del disposto dati art. 69, comma 2° cod.pen.,benché non espressamente richiamato. E' altresì assai verosimile che,mancando una specifica motivazione ex art. 133 cod.pen, a supporto detta scelta dell'entità della pena base in misura superiore al minimo edittale, pari, all'epoca del fatto (30 giugno 2000), ad un anno di reclusione, per errore, la Corte distrettuale abbia considerato, quale pena base, quella di anni due di reclusione, introdotta, quale nuovo minimo edittale per il delitto di omicidio colposo come contestato, dall'art. 2 comma 1° della legge 21 febbraio 2006 n. 102. Anche in tal caso comunque non può escludersi il giudizio di prevalenza, implicitamente effettuato attesoché, alla pena base (determinata vuol in violazione di legge,vuol invece legalmente, siccome comunque compresa tra il minimo edittale di un anno ed il massimo di anni cinque di reclusione, come previsto alla data del fatto), è stata apportata una diminuzione di un terzo. Ciò detto, avuto riguardo agli artt. 2, comma 4° cod. pen. e 10, comma 2° della legge n. 251 del 2005, attesa la diversa disciplina dell'Istituto della prescrizione sopravvenuta dopo il fatto, più favorevole agii imputati risulta l'applicazione dei termine di prescrizione previsto dalle previgenti norme (artt. 157, commi 1 n. 4, 2 e 3°; 160, comma 3° cod. pen. ) pari, complessivamente ( ivi inclusa l'interruzione massima ) ad anni sette e mesi sei (a fronte del termine di anni quindici attualmente previsto a seguito delta novella); termine decorrente dalla data di consumazione del fatto: 30 giugno 2000 e quindi definitivamente compiutosi il 30 dicembre 2007 ovverosia anteriormente alla pronunzia della sentenza di condanna emessa in grado d'appello in data 21 ottobre 2010. Ne consegue che il delitto ascritto ad entrambi gli imputati deve esser dichiarato estinto per maturata prescrizione.
Né presentano i ricorsi ( peraltro accolti in parte qua ) profili di inammissibilità (tali da non consentire dì rilevare l'intervenuta prescrizione posto che si tratterebbe di causa originaria di inammissibilità) avuto riguardo alle altre censure come rispettivamente dedotte dagli imputati (riassuntivamente richiamate in narrativa) prospettando in particolare il C. questioni in punto responsabilità in riferimento all'accertamento del nesso di causalità. Per altro verso, non sussistono le condizioni di legge per la sussumibilità del caso nella previsione dell'art. 129, 2° comma cod. proc. pen., anche per quanto di seguito si dirà nell'esaminare la fattispecie al fini civilistici. E' noto, per un principio di ordine generate e sistematico, che in presenza di una causa estintiva del reato, è precluso alla Corte di Cassazione un riesame dei fatti finalizzato ad un eventuale annullamento della decisione per vizi attinenti alta sua motivazione (sia con riferimento alle valutazioni del compendio probatorio, sia con riferimento al vaglio delle altre deduzioni). Il sindacato di legittimità ai fini dell'eventuale applicazione dell'art. 129, secondo comma cod.proc.pen. deve essere circoscritto all'accertamento della ricorrenza delle condizioni per addivenire ad una pronuncia di proscioglimento nel merito con una delle formule prescritte: la conclusione può essere favorevole al giudicabile solo se la prova dell'Insussistenza del fatto o dell'estraneità ad esso dell'imputato risulti, ictu oculi, evidente sulla base degli stessi elementi e delle medesime valutazioni posti a fondamento della sentenza Impugnata, senza possibilità di nuove indagini ed ulteriori accertamenti che sarebbero incompatibili con il principio secondo cui l'operatività della causa estintiva, determinando il congelamento della situazione processuale esistente nel momento in cui è intervenuta, non può essere ritardata. Qualora il contenuto complessivo della sentenza non prospetti, nei limiti e con i caratteri richiesti dall'art. 129 cod.proc.pen., l'esistenza di una causa di non punibilità più favorevole all'imputato, prevale l'esigenza della definizione immediata del processo. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, nel caso in cui già risulti una causa di estinzione del reato, financo la sussistenza di una nullità (e pur se di ordine generale) non è rilevatane nel giudizio di cassazione, "in quanto l'inevitabile rinvio al giudice di merito è incompatibile con il principio dell'immediata applicabilità della causa estintiva" (in tal senso, ex plurimis: S. U. n. 1021/2001; S, U. n. 35490/2009). L'impugnata sentenza deve essere pertanto annullata senza rinvio, ai fini penali, perché il reato è estinto per prescrizione.
A siffatta statuizione non appare ostativa la mancata pronunzia della declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, benché maturata anteriormente alla data della sentenza emessa in grado d'appello il 21 ottobre 2010. La Corte d'appello, in riforma della sentenza di assoluzione di primo grado ed in accoglimento dell'appello proposto dalle parti civili e dalla Pubblica Accusa, ad effetti penali, ha invero dichiarato gli imputati colpevoli del delitto loro ascritto, condannandoli, oltreché alla pena dì giustizia, anche al risarcimento del danno. Ciò posto, il Collegio non intende discostarsi da quanto statuito sulla questione, da questa stessa Sezione con sentenza n. 27727 del 2011 rv. 250696 sul rilievo che l'art. 576 cod. proc, pen. "conferisce ai Giudice dell'impugnazione il potere di decidere sul capo della sentenza concernente gli interessi civili, anche in mancanza di una predente statuizione sui punto" giacché la Corte d'appello risulta titolare, nei limiti del devoluto, dei "poteri che il Giudice di primo grado avrebbe dovuto esercitare" . Posta la differente portata precettiva dell'art. 576 rispetto all'art. 578 cod. proc. pen., nel senso che il primo attribuisce al giudice dell'Impugnazione "Il potere di decidere sulla domanda di risarcimento e delle restituzioni, pur in mancanza di una precedente statuizione sul punto"; mentre il secondo "mira a mantenere, nonostante la declaratoria di prescrizione ed in assenza di un'impugnazione della parte civile, la cognizione dei Giudice dell'impugnazione sulle disposizioni e sul capi della sentenza dei precedente grado che concernono gli interessi civili già adottati", al Giudice di legittimità è consentito rilevare la già intervenuta estinzione del reato per prescrizione e pronunziare in ordine alle statuizioni civili. La declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione comporta la necessità di esaminare le doglianze dedotte, ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili (art. 578 cod. proc. pen.). A tali fini civili i ricorsi devono essere rigettati, per l'infondatezza delle censure addotte a suo sostegno, come peraltro eccepito dalle parti civili con la memoria in atti.
Con il ricorso proposto nell'interesse del C., il difensore non ha dedotto censure in punto responsabilità lamentando unicamente con il primo motivo dedotto (come già osservato) la mancata declaratoria di estinzione del reato per maturata prescrizione, neppure facendo cenno ai disposto dell'art. 129 cpv. cod. proc. pen. il che, in applicazione del principio devolutivo e di quello delta formazione progressiva del giudicato, consente di concludere che sia ormai precluso metter In discussione le statuizioni della sentenza impugnata quanto alla responsabilità dell'imputato C..
Quanto al secondo motivo, deve rilevarsi che l'imputato non ha che un mero interesse di fatto a dolersi della mancata condanna in solido del responsabile civile ex art. 538 comma 2° cod. proc. pen.
Legittimata a proporre ricorso sarebbe stata eventualmente la parte civile che, con le conclusione dell'atto d'appello, aveva richiesto la condanna al risarcimento dei danni, anche del responsabile civile in solido con gli imputati che potranno tutelarsi in sede civile, sempreché il responsabile civile sia stato citato ovvero sia intervenuto nel processo penale (art. 651 cod. proc. pen. ), come peraltro sostiene il ricorrente, in difetto di qualsivoglia accenno a tale parte in entrambe le sentenze di merito.
Il terzo motivo resta ovviamente assorbito nella declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, in difetto di statuizioni sulla pena.
Il primo motivo di ricorso dedotto dalla difesa dei C. è infondato. La Corte distrettuale, facendo corretta applicazione della normativa in materia di nesso di causalità nei reati omissivi d'evento ( art. 40 cpv, cod. pen. ) come interpretata ormai univocamente da questa Corte, ha affermato, in riforma della sentenza di assoluzione di primo grado ( della cui motivazione si duole il ricorrente), che l'evento mortale occorso all'operaio De S. ebbe causa indipendente anche nelle omissioni colposamente risalenti all'imputato C. (quale direttore dello stabilimento "C.") in dipendenza della mancata predisposizione di "un'adeguata messa a terra del luogo di lavoro" e dell'"installazione di interruttori differenziati, vale a dire i cc.dd. salvavita " .
La stessa Corte, mediante la perspicua applicazione delle regole di valutazione della prova indiziaria sancite dall'art. 192 cod. proc. pen. (di cui ha dato poi adeguata contezza nella motivazione della sentenza impugnata in coerenza con le risultanze di fatto) ha invero logicamente riaffermato che l'unica fonte del contatto elettrico causa della folgorazione (che provocò la morte dell'operaio, come dimostrato dalla rilevata presenza del c.d. marchio elettrico sulla mano, cui si è fatto cenno in narrativa) era costituita dal cavi elettrici che passavano all'interno della canalina "sovrastante la sua posizione di lavoro e che era a portata di mano dell'operaio" privo di guanti da lavoro. Sicché, una volta escluso, come testimoniato dall'A., compagno di lavoro della vittima, che la folgorazione potesse derivare dal malfunzionamento di attrezzature a funzionamento elettrico, che il De S. non stava adoperando al momento dell'infortunio, il contatto con cavi di corrente elettrica in tensione non poteva aver avuto luogo o per diretto contatto della mano con cui la vittima si era aggrappata alla canalina passacavi (lavorando ad altezza dal suolo superiore a tre metri dal suolo, su di una scala priva di ganci di attacco, in assenza di impalcatura di protezione e calzando scarpe antinfortunistiche, notoriamente dotate di suole in gomma tali da impedire la fuoriuscita della scarica elettrica ) ovvero anche indirettamente per elettrocuzione tra "un'altra parte del corpo della vittima ed una superficie conduttrice di corrente " non adeguatamente isolata. Dalla ricostruzione dell'incidente in conformità a quanto descritto nel capo di imputazione consegue pacificamente la ritenuta sussistenza del nesso di causalità, come desumibile dal giudizio c.d. controfattuale, da effettuarsi nella concreta fattispecie. Ove il C. avesse posto in essere le condotte positive colposamente omesse (predisposizione di idonea messa a terra dell'impianto ed installazione dei dispositivi differenziali c.d. salvavita) non vi sarebbe stata dispersione di corrente e quindi si sarebbe impedito l'evento. In applicazione del principio della soccombenza, gli imputati vanno condannati a rifondere in solido le spese sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, che, complessivamente ed unitariamente, si liquidano in euro 2,800,00 oltre IVA,CPA e spese generali, come per legge.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali, nei confronti di C. M. e di C. M. F. perché estinto il reato per prescrizione.
Rigetta i ricorsi agli effetti civili e condanna i ricorrenti in solido fra loro alla rifusione, in favore delle costituite parti civili, delle spese di questo giudizio che, complessivamente ed unitariamente, liquida in euro 2.800,00 oltre IVA,CPA e spese generali, come per legge.