Cassazione Civile, Sez. Lav., 22 novembre 2012, n. 20620 - Patologia asbestosica di un tappezziere
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CANEVARI MIANI Fabrizio - Presidente
Dott. BANDINI Gianfranco - rel. Consigliere
Dott. MANNA Antonio - Consigliere
Dott. TRIA Lucia - Consigliere
Dott. MANCINO Rossana - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 19840-2007 proposto da:
(Omissis) S.P.A., (già (Omissis) S.P.A.), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR 19, presso lo studio dell'avvocato (Omissis), che la rappresenta e difende giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
I.N.A.I.L - ISTITUTO NAZIONALE PER L'ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso lo studio degli avvocati (Omissis) e (Omissis), che lo rappresentano e difendono giusta delega in atti;
- controricorrente -
e contro
(Omissis);
- intimato -
sul ricorso 22679-2007 proposto da:
(Omissis), elettivamente domiciliato in (Omissis), presso lo studio dell'avvocato (Omissis), che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato (Omissis), giusta delega in atti;
- controricorrente e ricorrente incidentale -
contro
(Omissis) S.P.A., (già (Omissis) S.P.A.);
- intrigata -
avverso la sentenza n. 8201/2006 della CORTE D'APPELLO di NAPOLI, depositata il 22/12/2006 R.G.N. 5360/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/10/2012 dal Consigliere Dott. GIANFRANCO BANDINI;
udito l'Avvocato (Omissis) per delega (Omissis);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SERVELLO GIANFRANCO, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale, assorbito l'incidentale.
Fatto
(Omissis) convenne in giudizio la (Omissis) spa (oggi (Omissis) spa) e l'Inail e, premesso che:
- aveva lavorato alle dipendenze delle (Omissis) dal 1973 al 1996 ed, essendo stato adibito a mansioni di tappezziere presso l'Officina di (Omissis), era venuto in contatto con l'amianto, senza l'ausilio di alcun presidio all'infuori di una mascherina;
- aveva perciò contratto la patologia asbestosica, per la quale aveva ricevuto riconoscimento della rendita da malattia professionale da parte delle stesse (Omissis);
- si era però verificato un progressivo aggravamento della sua inabilità lavorativa;
- ciò premesso convenne in giudizio l'Inail, chiedendone la condanna al pagamento della rendita nella misura del 70%, e la parte datoriale, nei confronti della quale rivendicò il diritto al risarcimento del danno biologico e del danno morale.
All'esito della espletata CTU medico legale, il primo Giudice ritenne soltanto che l'infermità da cui era affetto il ricorrente comportava una riduzione della capacità lavorativa nella misura del 25% (maggiore di quella già in precedenza riconosciuta), respingendo le altre domande.
La Corte d'Appello di Napoli, con sentenza del 5 - 22.12.2006, in parziale accoglimento del gravame ed in parziale riforma dell'impugnata sentenza, condannò la (Omissis) spa al risarcimento del danno biologico e morale, per complessivi euro 83.092,00, oltre accessori, e rigettò il gravame proposto nei confronti dell'Inail.
A sostegno del decisum, per quanto ancora qui rileva, la Corte territoriale osservò quanto segue:
- ai fini della configurabilità della responsabilità dei datore di lavoro per i danni subiti dal dipendente, grava su quest'ultimo l'onere di provare la sussistenza del rapporto di lavoro, la patologia (o l'infortunio) ed il nesso causale tra quest'ultima e l'evento dannoso, mentre grava sul datore di lavoro l'onere di dimostrare di aver rispettato le norme specificamente stabilite in relazione all'attività svolta, nonchè di aver adottato, ex articolo 2087 c.c., tutte le misure che - in considerazione della peculiarità dell'attività e tenuto conto dello stato della tecnica - siano necessarie per tutelare l'integrità dei lavoratori;
- stante la natura di norma di chiusura del sistema infortunistico che è da riconoscere all'articolo 2087 c.c., è imposto al datore di lavoro, anche ove manchi una specifica misura preventiva, il dovere di adottare le misure generiche di prudenza e diligenza, nonchè tutte le cautele necessarie, secondo le norme tecniche e di esperienza, a tutelare l'integrità fisica dei lavoratore;
- gli accertamenti contenuti in una ricordata sentenza penale della Pretura di Torre Annunziata, a cui aveva fatto riferimento il primo Giudice, si riferivano al periodo 1982-1993, mentre il ricorrente aveva prestato la propria attività lavorativa in qualità di tappezziere presso l'Officina di (Omissis) a far tempo dal 1973 e sino al 1985, allorchè era stato trasferito presso il deposito di (Omissis), ove era stato addetto alla meccanica dei carrelli sino al 1993, allorchè gli era stata diagnosticata l'affezione asbestosica e riconosciuta la relativa rendita dalla parte datoriale; i suddetti accertamenti - inerenti all'osservanza di tutte le norme di sicurezza previste dalla legge e delle cautele concretamente esigibili per assicurare la tutela dell'integrità psicofisica dei lavoratori - erano quindi attinenti ad epoca di circa un decennio successiva a quella in cui il ricorrente aveva iniziato ad espletare le proprie mansioni e, per di più, si riferivano essenzialmente alle attività espletate nella cosiddetta zona A, riservata alla decoibentazione dell'amianto, a cui era incontroverso che il ricorrente non era stato adibito;
- l'inconferenza dei predetti accertamenti effettuati in sede penale non consentiva pertanto di ritenere superata la presunzione di responsabilità gravante sul datore di lavoro per danni cagionati al dipendente in occasione dell'esecuzione della prestazione lavorativa sancita dalle disposizioni di cui agli articoli 2087 e 1218 c.c.;
- a tale scopo non apparivano idonei gli strumenti probatori formulati dalla Società, in quanto vertenti su circostanze incontroverse (periodo e contenuto delle prestazioni lavorative rese dal (Omissis), attinenti lo smantellamento di vetture scoibentate) o attinenti a circostanze che, per quanto già esposto, dovevano ritenersi irrilevanti (esecuzione di lavori di bonifica nella zona A, assistita dagli opportuni presidi antinfortunistici);
- per contro l'adempimento dell'onere probatorio posto a carico della parte datoriale avrebbe postulato l'indicazione di circostanze fattuali atte a dimostrare di aver adottato certamente non misure in astratto idonee a preservare i lavoratori da ogni evento pregiudizievole connesso all'espletamento delle mansioni lavorative, ma quelle in concreto suggerite dallo stato della tecnica e rapportate alla prestazione obiettivamente resa, che doveva essere assistita da minimali strumenti di sicurezza;
- doveva dunque ritenersi che il compendio di doveri gravanti sulla Società le avrebbero imposto l'adozione di un maggior rigore nell'esercizio della attività imprenditoriale;
- dovevano ritenersi certamente assolti gli oneri probatori a carico del lavoratore (sussistenza del rapporto di lavoro, patologia e nesso causale tra quest'ultima e l'evento dannoso) alla luce della produzione documentale raccolta in prime cure, attestante lo svolgimento per oltre un decennio di attività di tappezziere espletata mediante lo smantellamento di carrozze ferroviarie, sia pur già scoibentate, nonchè l'assunzione della patologia asbestosica ed il nesso eziologico fra esse, fonte di riconoscimento da parte datoriale di rendita da malattia professionale (in particolare il CTU aveva dato atto della natura delle prestazioni svolte dal ricorrente, consistenti nel rivestimento dei pavimenti e dei sedili delle carrozze, in contemporanea con quelle rese da altri artigiani e meccanici, che evidentemente comportava comunque una notevole dispersione di polveri e residui di amianto);
- doveva dunque ritenersi meritevole di accoglimento la domanda intesa a conseguire il risarcimento del danno biologico conseguente alla tecnopatia contratta;
- in ordine al quantum (con riferimento al danno biologico derivante da malattia professionale in epoca anteriore all'entrata in vigore del Decreto Legislativo 23 febbraio 2000, n. 38, articolo 13), costituiva circostanza incontroversa fra le parti l'entità del pregiudizio risentito dal lavoratore alla propria integrità psicofisica, commisurato al 25%;
- fermo il criterio equitativo, appariva opportuno il ricorso alle tabelle di risarcimento del danno biologico elaborate dal Tribunale di Milano, richiamate peraltro nelle proprie difese dallo stesso appellante, apparendo l'importo risultante del tutto proporzionato alla gravità delle lesioni subite, alle capacità di recupero dei soggetto, alla prognosi di vita del danneggiato (colpito in giovane età dall'evento pregiudizievole) ed alle sue condizioni socio-economiche, rapportate all'ambiente in cui egli proiettava le proprie aspirazioni di vita;
- quanto al danno morale, poichè l'ampia locuzione usata dall'articolo 2087 c.c. (tutela dell'integrità fisica e della personalità morale dei lavoratore) assicura il diretto accesso alla tutela di tutti i danni non patrimoniali, non era necessario, per superare le limitazioni imposte dall'articolo 2059 c.c., verificare se l'interesse leso dalla condotta datoriale fosse meritevole di tutela in quanto protetto a livello costituzionale, perchè la protezione era già chiaramente accordata da una disposizione del codice civile;
- al riguardo, il lavoratore aveva correttamente allegato quanto la perdita del benessere psicofisico, derivante dalla contrazione della tecnopatia ascrivibile alla illecita condotta di parte datoriale, avesse arrecato turbamento al proprio stato d'animo, menomando la serenità della sua condizione, cosicchè doveva essere accolta la domanda di risarcimento del pregiudizio subito per il suddetto titolo, da liquidarsi, con valutazione equitativa, in misura pari ad un terzo di quella del danno biologico.
Avverso l'anzidetta sentenza della Corte territoriale la (Omissis) spa ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi.
L'intimato (Omissis) ha resistito con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale condizionato relativamente all'ammissione dei mezzi di prova articolati nel ricorso d'appello.
L'Inail ha resistito con controricorso.
Diritto
1. Con il primo motivo, denunciando violazione di norme di legge (articoli 1218 e 2087 c.c.), la Società ricorrente si duole che sia stata ritenuta la propria responsabilità senza che il lavoratore avesse indicato specificamente le norme di legge e/o le misure tecniche che, nell'esercizio dell'impresa, devono essere adottate dal datore di lavoro a tutela dell'integrità fisica e della personalità morale del lavoratore.
1.1 Pur in disparte dal rilievo che, come dedotto dal controricorrente, quest'ultimo aveva indicato nei gradi di merito anche la normativa concernente le misure antinfortunistiche, deve rilevarsi che la Corte territoriale si è attenuta al condiviso principio, reiteratamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui al fine dell'accertamento della responsabilità, di natura contrattuale, del datore di lavoro di cui all'ari. 2087 c.c., incombe sul lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare l'esistenza di tale danno, come pure la nocività dell'ambiente di lavoro, nonchè il nesso tra l'uno e l'altro elemento, mentre grava sul datore di lavoro - una volta che il lavoratore abbia provato le predette circostanze - l'onere di provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ovvero di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno medesimo (cfr, ex plurimis, Cass., n. 4840/2006). Quanto agli oneri probatori incombenti su lavoratore, la sentenza impugnata ha correttamente fatto riferimento all'avvenuto riconoscimento, da parte delle (Omissis), della rendita da malattia professionale dipendente dalla medesima patologia per cui è causa; le differenze esistenti fra il danno indennizzabile in base alla legislazione previdenziale e quello civile risarcibile sotto il profilo della lesione della integrità psico-fisica hanno infatti in comune, quale presupposto necessario, che la patologia abbia tratto origine dall'attività lavorativa svolta, sicchè il ricordato riconoscimento, da parte delle (Omissis), della rendita per malattia professionale contiene un'evidente valenza confessoria dell'esistenza della malattia e del nesso eziologico tra la stessa e l'attività lavorativa espletata.
A ciò aggiungasi che la Corte territoriale, con valutazione di merito non censurabile in questa sede di legittimità, ha tenuto conto della documentazione offerta dal lavoratore e delle risultanze evincibili dalla espletata CTU medico legale.
Quanto agli oneri gravanti sulla parte datoriale, del tutto coerentemente la Corte territoriale, esprimendo al riguardo una valutazione di merito neppure censurata sotto il profilo dell'eventuale vizio di motivazione, ha rilevato, nei termini già diffusamente esposti nello storico di lite, la non idoneità dei mezzi istruttori formulati dalla Società e, per contro, la mancata indicazione delle circostanze fattuali dimostrative dell'intervenuta adozione di misure protettive concretamente suggerite dallo stato della tecnica e rapportate alla prestazione obiettivamente resa, che avrebbe dovuto essere assistita da minimali strumenti di sicurezza.
Il motivo all'esame va pertanto disatteso.
2. Con il secondo motivo la Società ricorrente, denunciando violazione di norme di diritto (articoli 2059 e 2087 c.c), lamenta che la Corte territoriale abbia riconosciuto e liquidato il danno morale in assenza dell'accertamento dei requisiti di un'astratta figura di reato.
2.1 Secondo quanto già esposto nello storico di lite, la Corte territoriale ha fondato al riguardo la propria decisione sul rilievo che l'ampia locuzione usata dall'articolo 2087 c.c. assicura il diretto accesso alla tutela di tutti i danni non patrimoniali, cosicchè non è necessario, per superare le limitazioni imposte dall'articolo 2059 c.c., verificare se l'interesse leso dalla condotta datoriale sia meritevole di tutela in quanto protetto a livello costituzionale, perchè la protezione è già chiaramente accordata da una disposizione del codice civile.
Il motivo all'esame, laddove sostanzialmente presuppone che la Corte territoriale abbia inteso risarcire il danno morale soggettivo in quanto ancorato alla nozione di reato di cui all'articolo 185 c.p., non appare quindi coerente con l'impostazione invece seguita nella sentenza impugnata.
Peraltro, e con valenza assorbente, deve rilevarsi che l'avvenuto accertamento sia di un danno all'integrità fisica del lavoratore, sia dell'addebilità di tale danno all'insufficiente predisposizione di strumenti di sicurezza in violazione di un obbligo di legge (e, quindi, dell'attribuibilità al datore di lavoro di tale condotta omissiva), costituiscono implicita - ma assolutamente inequivoca - valutazione della ricorrenza nel caso all'esame dei presupposti astrattamente contemplati per la fattispecie penale del reato di lesioni (quanto meno) colpose.
Anche il motivo all'esame va dunque disatteso.
3. In definitiva il ricorso principale va rigettato, con assorbimento di quello incidentale condizionato.
La ricorrente va condannata alla rifusione delle spese in favore del lavoratore intimato, da distrarsi a favore dei difensori dichiaratisi antistatari.
Vanno invece compensate le spese fra la ricorrente e l'Inail, posto che i motivi di ricorso, come del resto sostanzialmente riconosciuto dallo stesso Istituto controricorrente, non contengono doglianze il cui accoglimento avrebbe potuto ridondare a danno dell'Ente previdenziale.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale; condanna la ricorrente principale alla rifusione delle spese, da distrarsi a favore degli avv. (Omissis) e (Omissis), in favore del lavoratore controricorrente, che liquida in euro 5.040,00 (cinquemilaquaranta), di cui euro 5.000,00 (cinquemila) per compenso, oltre accessori come per legge; compensa le spese fra la ricorrente principale e l'Inail.