Cassazione Civile, Sez. Lav., 27 novembre 2012, n. 21016 - Malattia (rachipatia professionale) derivante da mansioni di assistenza personale dei pazienti
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio - Presidente
Dott. BANDINI Gianfranco - Consigliere
Dott. MANNA Antonio - rel. Consigliere
Dott. TRIA Lucia - Consigliere
Dott. MANCINO Rossana - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 22524/2007 proposto da:
(Omissis), elettivamente domiciliata in (Omissis), presso lo studio dell'avvocato (Omissis), che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato (Omissis), giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
I.N.A.I.L - ISTITUTO NAZIONALE PER L'ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso lo studio degli avvocati (Omissis) e (Omissis), che lo rappresentano e difendono giusta procura notarile in atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 361/2007 della CORTE D'APPELLO di L'AQUILA, depositata il 12/04/2007 r.g.n. 560/06;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/10/2012 dal Consigliere Dott. ANTONIO MANNA;
udito l'Avvocato (Omissis);
udito l'Avvocato (Omissis) per delega (Omissis);
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
Con sentenza depositata il 12.4.07 la Corte d'appello di L'Aquila rigettava il gravame contro la sentenza n. 18/06 del Tribunale di Chieti che aveva rigettato la domanda di (Omissis) intesa ad ottenere la condanna dell'INAIL a corrisponderle una rendita nella misura del 16% per rachipatia professionale, malattia derivante dalle mansioni di assistenza personale dei pazienti da lei svolte come ausiliari a presso (Omissis).
Per la cassazione di tale sentenza ricorre la (Omissis) affidandosi a due motivi.
Resiste con controricorso l'INAIL.
Diritto
1- Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965, articolo 3, articoli 112, 420, 434, 437 c.p.c. e articolo 41 c.p. e vizi della motivazione laddove l'impugnata sentenza ha acriticamente recepito la c.t.u., che ha negato nesso causale fra mansioni e patologia ed esposizione a rischio della ricorrente, senza neppure ammettere prova testimoniale o nuova c.t.u. volta a dimostrare che nell'espletare le proprie mansioni la ricorrente doveva sollevare ammalati, con conseguente sforzo a carico del rachide, il che appartiene alla categoria del notorio, anche alla luce della circolare n. 25/2004 dello stesso INAIL; quanto al protrarsi delle mansioni de quibus (accertato in 20 mesi dalla Corte territoriale), obietta la ricorrente essere un tempo sufficiente ad indurre l'insorgere della malattia.
Il motivo è da disattendersi perchè, in sostanza, sollecita soltanto una nuova lettura delle risultanze probatorie e, in particolare, delle consulenze tecniche espletate nei due gradi di giudizio, operazione preclusa in sede di legittimità.
Infatti, per costante insegnamento di questa S.C., in materia di prestazioni previdenziali derivanti da patologie relative allo stato di salute dell'assicurato, il difetto di motivazione, denunciabile in cassazione, della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio è ravvisabile solo in caso di palese deviazione dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nell'omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non si può prescindere per la formulazione di una corretta diagnosi.
Al di fuori di tale ambito la censura anzidetta costituisce mero dissenso diagnostico non attinente a vizi del processo logico formale, che si traduce, quindi, in una inammissibile critica del convincimento del giudice (giurisprudenza consolidata: v. da ultimo Cass. n. 26558/11; Cass. 29.4.09 n. 9988 e 3.4.08 n. 8654).
Con il ricorso in esame non vengono dedotti vizi logico-formali che si concretino in deviazioni dalle nozioni della scienza medica o si sostanzino in affermazioni manifestamente illogiche o scientificamente errate, ma vengono effettuate solo osservazioni concernenti il merito di causa, non deducibili innanzi a questa S.C..
Quanto al diniego di nuova c.t.u., per ormai consolidata giurisprudenza (cfr., ex aliis, Cass. 17.12,2010 n. 25569), cui va data continuità, la decisione - anche solo implicita - di non disporre una nuova indagine non è sindacabile in sede di legittimità qualora gli elementi di convincimento per disattendere la richiesta di rinnovazione della consulenza formulata da una delle parti siano stati tratti dalle risultanze probatorie già acquisite e ritenute esaurienti dal giudice con valutazione immune da vizi logici e giuridici, come - appunto - avvenuto nel caso per cui è processo.
Infine, circa la mancata escussione dei testi indicati in ricorso, basti preliminarmente osservare che si tratta di censura nuova perchè non fatta valere nei motivi d'appello.
2- Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell'articolo 91 c.p.c. e articolo 152 disp att. c.p.c., nella parte in cui la gravata pronuncia ha condannato alle spese la ricorrente in base al nuovo disposto di tale ultima norma come modificato dal Decreto Legge 30 settembre 2003, n. 269, articolo 42, comma 11, convertito, con modificazioni, in Legge 24 novembre 2003, n. 326, nonostante che si trattasse di novella legislativa entrata in vigore soltanto pochi giorni prima del deposito dell'atto introduttivo di lite (8.10.03): a tal fine la (Omissis) allega al ricorso per cassazione, ora per allora, apposite dichiarazioni sostitutive di certificazione reddituale.
Il motivo è infondato: una volta entrata in vigore la nuova formulazione della norma era onere della parte provvedere al deposito della dichiarazione de qua, senza che al giudice siano consentiti margini per un'applicazione solo discrezionale della nuova disciplina.
Nè il deposito omesso nei gradi di merito può essere ora eseguito in sede di legittimità, noto essendo che ex articolo 372 c.p.c., innanzi a questa S.C. possono depositarsi atti o documenti non prodotti nei gradi precedenti solo se riguardanti (e non è questo il caso) la nullità della sentenza impugnata e l'inammissibilità del ricorso o del controricorso.
3- In conclusione, il ricorso è da rigettarsi.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
LA CORTE
rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 40,00 per esborsi ed euro 2.600,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge.