Cassazione Penale, Sez. 4, 13 dicembre 2012, n. 48231 - Operazioni di pulizia di un cilindro retrostampa e lesioni da schiacciamento
Responsabilità del legale rappresentante di una s.p.a. per infortunio occorso ad un lavoratore dipendente che, intento a lavorare sulla macchina denominata "tubiera ST3" per la produzione di sacchi di carta, si avvedeva che il prodotto stava uscendo sporco di inchiostro, sicchè eseguiva le operazioni di pulizia da una piattaforma sopraelevata ma durante tali operazioni il cilindro retrostampa gli trascinava la mano verso la convergenza del cilindro incastrandola tra i due rulli e - attesa la mancanza di protezione totale (anche laterale) dei cilindri - determinava varie lesioni da trauma da schiacciamento.
Condannato, ricorre in Cassazione - Rigetto.
La Corte afferma che pur avendo il lavoratore dichiarato, in sede d'indagini, d'esser salito sulla scala conducente alla macchina in movimento mettendo un piede sul parapetto al fine di raggiungerla, ha altresì aggiunto che questo modo di procedere è sempre stato da lui osservato - così come dagli altri colleghi - in conformità a una vera e propria consuetudine.
A tale specifico riguardo, il giudice d'appello ha espressamente sottolineato come detta consuetudine non era mai stata adeguatamente e risolutamente interdetta dal datore di lavoro mediante l'approntamento di un sistema di controllo e di vigilanza, e ha altresì sottolineato come il datore di lavoro avesse messo a disposizione dei lavoratori una macchina comunque pericolosa, siccome dotata di organi in movimento agevolmente raggiungibili con gli arti superiori.
Con riguardo dunque al preteso integrale adempimento sostenuto dall'imputato/datore di lavoro, di tutti gli obblighi indispensabili a scongiurare la verificazione di fatti lesivi della integrità dei lavoratori, già la corte distrettuale aveva specificamente sottolineato come l'odierno imputato abbia mancato di adottare tutte le cautele necessarie al fine di impedire che il lavoratore potesse avvicinare gli arti superiori agli organi in movimento della macchina su cui stava lavorando, omettendo altresì di predisporre i controlli necessari a impedire eventuali imprudenze, anche gravi (ma non assolutamente imprevedibili) del lavoratore. Ciò che esclude che lo stesso abbia in realtà esaurito il complesso degli obblighi precauzionali sullo stesso incombenti al fine di impedire la verificazione dell'evento in concreto occorso.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Presidente
Dott. BIANCHI Luisa - Consigliere
Dott. IZZO Fausto - Consigliere
Dott. BLAIOTTA Rocco Marco - Consigliere
Dott. DELL'UTRI Marco - rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) (Omissis) N. IL (Omissis);
avverso la sentenza n. 2158/2010 CORTE APPELLO di ANCONA, del 13/10/2011;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/11/2012 la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARCO DELL'UTRI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Geraci Vincenzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore avv. (Omissis) del foro di (Omissis) che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
Fatto
1. - Con sentenza resa in data 13.10.2011, la Corte d'appello di Ancona ha integralmente confermato la sentenza del Tribunale di Ancona, sezione distaccata di Senigallia, del 4.2.2010, con la quale (Omissis) è stato riconosciuto colpevole del reato previsto e punito dall'articolo 40 cpv. c.p., articolo 590 c.p., commi 1, 2 e 3, articolo 583 c.p., comma 1, nn. 1 e 2, dallo stesso commesso in (Omissis), per avere, in qualità di legale rappresentante della ditta (Omissis) s.p.a. corrente in (Omissis), e quindi quale datore di lavoro garante della incolumità fisica dei propri lavoratori dipendenti, per colpa consistita in negligenza, imprudenza imperizia, nonchè nella violazione della vigente normativa sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro (in particolare del Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 4, comma 5, lettera f) e articolo 35), cagionato, al lavoratore dipendente (Omissis), lesioni personali consistite nell'asportazione del pollice, delle ultime due falangi dell'indice, del mignolo, nonchè gravi deformità del medio e moderato deficit funzionale dell'anulare della mano destra, con una conseguente incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni lavorative per complessivi 292 giorni e con indebolimento permanente della funzionalità della mano destra con postumi invalidanti pari a 44%.
In particolare, mentre il (Omissis) era intento a lavorare sulla macchina denominata "tubiera ST3" per la produzione di sacchi di carta, si avvedeva che il prodotto stava uscendo sporco di inchiostro, sicchè eseguiva le operazioni di pulizia da una piattaforma sopraelevata ma durante tali operazioni il cilindro retrostampa gli trascinava la mano verso la convergenza del cilindro portactichè incastrandola tra i due rulli e - attesa la mancanza di protezione totale (anche laterale) dei cilindri - determinava le lesioni da trauma da schiacciamento sopra descritte. Con l'aggravante di aver cagionato alla parte offesa lesioni personali di tipo grave in violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Avverso la sentenza d'appello, il difensore dell'imputato ha proposto impugnazione per cassazione, affidato a quattro motivi di ricorso.
2.1. - Con il primo motivo d'impugnazione, il ricorrente si duole della contraddittorietà e manifesta illogicità della sentenza impugnata per travisamento della prova ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), nonchè violazione dell'articolo 192 c.p.p..
In particolare, lamenta l'impugnante l'omessa doverosa valutazione, ad opera della Corte territoriale, di un elemento di prova decisivo ai fini della diversa qualificazione della condotta dalla persona offesa, in quanto tale idonea ad elidere il nesso di causalità tra le omissioni addebitate all'imputato e l'evento lesivo in concreto verificatosi.
Nel caso di specie, la Corte distrettuale avrebbe omesso di considerare le dichiarazioni rese in sede d'indagine dal lavoratore infortunato, secondo le quali lo stesso, al fine di raggiungere i rulli in movimento allo scopo di compiere le operazioni di pulizia contestate, si fosse sporto oltre il parapetto della scaletta percorsa, salendo con i piedi sullo stesso, sì da poter eludere, allungando il braccio da questa posizione sopraelevata, i ripari esistenti.
Secondo la prospettazione del ricorrente, la Corte d'appello, trascurando la valutazione di tale circostanza, avrebbe tralasciato di considerare un elemento decisivo ai fini dell'esatta ricostruzione del nesso di causalità tra il comportamento contestato all'imputato e l'evento infortunistico verificatosi, viceversa dominato dall'anomalo, abnorme e imprevedibile comportamento nell'occasione tenuto dal lavoratore infortunato.
2.2. - Con il secondo motivo di ricorso, il difensore dell'imputato censura la violazione, da parte del giudice dell'appello, di norme extra penali contenenti precetti integranti le norme penali, con particolare riferimento all'erronea applicazione del Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articoli 4 e 35, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e).
In particolare, il ricorrente sottolinea l'avvenuto integrale adempimento, da parte del datore di lavoro, di tutte le disposizioni normative riguardanti la sicurezza sul lavoro, ivi compreso lo svolgimento di corsi di formazione e informazione per la prevenzione della sicurezza sul lavoro, la segnaletica contenente le prescrizioni sul corretto uso delle apparecchiature, l'uso di macchinali rispondenti alle normative in materia di protezione dei reparti mobili e la presenza di segnaletica di divieto di pericolo, evidenziando come nessuna attività precauzionale avrebbe potuto impedire l'assoluta abnormità del comportamento adottato dal lavoratore nel tentare l'operazione di pulizia che ebbe a condurre all'infortunio.
2.3. - Con il terzo motivo di impugnazione, il ricorrente si duole della violazione di legge e dell'erronea applicazione degli articoli 40 e 41 c.p. In relazione all'asserita sussistenza del nesso causale ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b.
Sul punto, il ricorrente torna a ribadire il carattere assolutamente imprevedibile e abnorme del comportamento nella specie tenuto dal lavoratore infortunato, tale da porsi come causa esclusiva dell'evento.
2.4. - Con il quarto e ultimo motivo di ricorso, l'impugnante si duole del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in favore dell'imputato e della mancata applicazione della sola pena pecuniaria in violazione delle norme di cui agli articoli 133 e 62 bis c.p., ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b).
Diritto
3.1. - Il primo motivo di ricorso è infondato.
Si duole il ricorrente dell'omessa considerazione, da parte della corte territoriale, delle dichiarazioni rese in sede d'indagini preliminari dal lavoratore infortunato, il cui rilievo avrebbe viceversa condotto a una differente ricostruzione del nesso di causalità tra il comportamento contestato all'imputato e l'evento infortunistico veri-ficatosi, in realtà integralmente ascrivibile all'abnorme comportamento del medesimo lavoratore.
Sul punto, occorre sottolineare, in contrasto con quanto dedotto dal ricorrente, come il lavoratore, pur avendo effettivamente dichiarato, in sede d'indagini, d'esser salito sulla scala conducente alla macchina in movimento mettendo un piede sul parapetto al fine di raggiungerla, ha altresì aggiunto che questo modo di procedere è sempre stato da lui osservato - così come dagli altri colleghi - in conformità a una vera e propria consuetudine.
A tale specifico riguardo, il giudice d'appello ha espressamente sottolineato come detta consuetudine non era mai stata adeguatamente e risolutamente interdetta dal datore di lavoro mediante l'approntamento di un sistema di controllo e di vigilanza, e ha altresì sottolineato come il datore di lavoro avesse messo a disposizione dei lavoratori una macchina comunque pericolosa, siccome dotata di organi in movimento agevolmente raggiungibili con gli arti superiori.
Da ciò consegue che l'integrazione probatoria evidenziata dal ricorrente appare del tutto irrilevante ai fini della completezza del ragionamento seguito nella motivazione della corte territoriale, che, in modo logico e coerente, ha evidenziato come incomba sul datore di lavoro, oltre a un generico dovere di formazione e informazione, anche quello di operare i necessari controlli idonei a prevenire i rischi della lavorazione, e altresì sottolineato come il nesso causale tra l'evento e la condotta colposa del datore di lavoro, per l'omessa vigilanza sull'osservanza delle prescrizioni antinfortunistiche, non è interrotto dal comportamento imprudente del lavoratore, che non assurge a causa sopravvenuta idonea di per sè sola a produrre l'evento quando sia comunque riconducibile all'area di rischio proprio della lavorazione svolta, nè, come nel caso di specie, possa considerarsi del tutto imprevedibile, eccezionale e abnorme rispetto alle modalità di esecuzione del processo lavorativo.
3.2. - Anche il secondo e il terzo motivo di ricorso, congiuntamente esaminabili per l'intima connessione delle questioni affrontate, sono infondati.
Con riguardo al preteso integrale adempimento, da parte del datore di lavoro, di tutti gli obblighi indispensabili a scongiurare la verificazione di fatti lesivi della integrità dei lavoratori, la corte distrettuale ha specificamente sottolineato come l'odierno imputato abbia mancato di adottare tutte le cautele necessarie al fine di impedire che il lavoratore potesse avvicinare gli arti superiori agli organi in movimento della macchina su cui stava lavorando, omettendo altresì di predisporre i controlli necessari a impedire eventuali imprudenze, anche gravi (ma non assolutamente imprevedibili) del lavoratore. Ciò che esclude che lo stesso abbia in realtà esaurito il complesso degli obblighi precauzionali sullo stesso incombenti al fine di impedire la verificazione dell'evento in concreto occorso.
Pienamente corretta e immune dai vizi logici infondatamente denunciati dal ricorrente, deve infine ritenersi la qualificazione operata dalla corte territoriale in relazione al comportamento nella specie seguito dal lavoratore, i cui tratti caratteristici in nessun modo valgono a indurne la qualificazione in termini d'imprevedibilità, eccezionalità o abnormità, rispetto alle modalità di esecuzione del processo lavorativo.
3.3. Il quarto e ultimo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La doglianza genericamente avanzata dal ricorrente, con riguardo alla mancata concessione delle attenuanti generiche e all'entità della pena applicata a suo carico, non individua alcuna insufficienza o incongruità nello sviluppo logico della motivazione dettata nella sentenza impugnata, limitandosi a prospettare questioni di mero fatto o apprezzamenti di merito incensurabili in questa sede.
In thema, con riferimento al contestato diniego delle attenuanti generiche, è appena il caso di richiamare il consolidato (e qui condiviso) indirizzo interpretativo affermatosi nella giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale "la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell'articolo 62 bis c.p. è oggetto di un giudizio di fatto, e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, di talchè la stessa motivazione, purchè congrua e non contraddittoria, non può essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell'interesse dell'imputato" (in termini, ex multis, Cass., n. 7707/2003, Rv. 229768).
Quanto all'onere di motivazione sul punto imposto al giudice del merito, è stato altresì precisato come "ai fini dell'assolvimento dell'obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall'imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l'uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l'indicazione delle ragioni ostative alla concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo" (in tal senso, ex multis, v. Cass. n. 3772/94, Rv. 196880).
In particolare, "ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'articolo 133 c.p., quello che ritiene prevalente e atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicchè anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all'entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente in tal senso" (così Cass., n. 3609/2011, Rv. 249163).
Analoghe considerazioni valgono per quel che riguarda l'entità della pena, avendo la Corte distrettuale valutato come "congrua e adeguata ai concreti aspetti del fatto illecito" la pena determinata dal primo giudice in relazione alla gravità delle conseguenze dannose provocate dal comportamento contestato all'imputato e ai relativi precedenti penali, anche specifici.
Anche su tale punto è sufficiente il richiamo ai principi enunciati da questa Corte in materia, là dove, in tema di commisurazione della pena, quando questa (come nel caso di specie) non si discosti di molto dai minimi edittali ovvero venga compresa tra il minimo ed il medio edittale, il giudice ottempera all'obbligo motivazionale richiamandosi alla gravità del reato (cfr. Cass., n. 41702/2004, Rv. 230278); in particolare, nell'ipotesi in cui la determinazione della pena non si discosti eccessivamente dai minimi edittali, il giudice ottempera all'obbligo motivazionale di cui all'articolo 125 c.p., comma 3 anche ove adoperi espressioni come "pena congrua", "pena equa", "congnio aumento", ovvero si richiami alla gravità del reato o alla personalità del reo (v. Cass., n. 33773/2007, Rv. 237402).
Nel caso in esame, la Corte territoriale negato il ricorso di circostanze attenuanti generiche e valutato la congruità del complessivo trattamento sanzionatorio imposto al (Omissis) dal giudice di primo grado, correlando tale giudizio all'entità delle conseguenze concretamente determinate dal reato e alla personalità dell'imputato stesso, così radicando, il conclusivo giudizio espresso sul trattamento sanzionatorio, al ricorso di specifici presupposti di fatto, sulla base di una motivazione in sè dotata di intrinseca coerenza e logica linearità.
4. - Al riscontro dell'infondatezza dei motivi di doglianza avanzati dall'imputato segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.