Cassazione Penale, Sez. 3, 16 gennaio 2013, n. 2302 - Cantieri e violazioni in materia di sicurezza
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENTILE Mario - Presidente
Dott. GRILLO Renato - Consigliere
Dott. AMOROSO Giovanni - rel. Consigliere
Dott. AMORESANO Silvio - Consigliere
Dott. GAZZARA Santi - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(Omissis) nato a (Omissis);
avverso la sentenza del 21 dicembre 2011 del tribunale di Pisa;
Udita la relazione fatta in pubblica udienza dal Consigliere Giovanni Amoroso;
Udito il P.M., in persona del S. Procuratore Generale dott. POLICASTRO Aldo che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.
la Corte osserva:
Fatto
1. (Omissis), nato a (Omissis), era imputato: a) della contravvenzione di cui al Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 36 bis, comma 1, perchè, nella qualità di responsabile di cantiere, ometteva di adottare misure di tipo collettivo per proteggere, contro la caduta dall'alto, i lavoratori intenti a lavorare sopra il solaio del piano primo del costruendo edificio; b) della contravvenzione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 164 del 1956, articolo 12 perchè nella qualità suddetta, ometteva di proteggere gli scavi presenti nel cantiere; c) della contravvenzione di cui al Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 36 ter, comma 1 perchè ometteva di provvedere affinchè le scale metalliche portatili fossero ancorate a strutture fisse e sporgessero idoneamente rispetto al solaio di accesso; d) della contravvenzione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 68 perchè ometteva di dotare la macchina piegaferri utilizzata in cantiere di idoneo riparo a segregazione degli organi lavoratori; e) della contravvenzione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 282 perchè ometteva di provvedere affinchè i cavi elettrici utilizzati per l'alimentazione delle attrezzature di lavoro non fossero sottoposti a rischi di danneggiamenti meccanici; f) della contravvenzione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 164 del 1956, articolo 69 perchè ometteva di dotare le scale in muratura di parapetto provvisionale fino alla posa in opera delle ringhierete definitive; g) della contravvenzione di cui al Decreto Legislativo n. 494 del 1996, articolo 12, comma 3 perchè ometteva di rispettare le indicazioni e le misure di sicurezza previste nel piano di sicurezza e coordinamento relativamente alle precauzioni da adottarsi per eliminare i rischi di caduta dall'alto; h) della contravvenzione di cui al Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 4, comma 5 lettera T) perchè ometteva di richiedere da parte dei lavoratori l'impiego dei dispositivi di protezione individuale messi a loro disposizione (in (Omissis)).
2. Con decreto del 12 luglio 2011 il GIP - a seguito di opposizione a decreto penale di condanna - disponeva la citazione a giudizio di (Omissis), imputato dei reati descritti in epigrafe.
All'udienza, previa verifica della regolarità della notifica del decreto di citazione a giudizio, si dava atto della presenza dell'imputato. Si procedeva, poi, all'istruttoria dibattimentale mediante l'esame dell'imputato e dei testimoni indicati ex articolo 507 c.p.p.; non veniva ammessa la lista testi del PM in quanto presentata tardivamente, nè venivano ammessi i testi indicati dalla difesa ex articolo 468 c.p.p., comma 4 in quanto espressamente subordinati all'ammissione dei testi indicati dal PM. Indi, il PM delegato e il difensore di fiducia concludevano come da verbale.
All'esito, il Tribunale di Pisa con sentenza del 21 dicembre 2011 dichiarava (Omissis) colpevole dei reati ascritti e, concesse le circostanze attenuanti ex articolo 62 bis c.p., lo condannava alla pena di euro 2.000 di ammenda per ciascuna delle violazioni di cui ai punti 1), 2), 3) e 7); di euro 1.000 di ammenda per ciascuna delle violazioni di cui ai punti 4) e 8); di euro 300 di ammenda per la violazione del punto 6); di euro 500 di ammenda per la violazione del punto 5); oltre al pagamento delle spese processuali; concedeva i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna.
3. Avverso questa pronuncia l'imputato propone ricorso per cassazione con due motivi.
Diritto
1. Con il ricorso, articolato in due motivi, il ricorrente censura la quantificazione della pena irrogatagli, perchè superiore al limite massimo di legge, e deduce la inopportunità della concessione della sospensione condizionale della pena perchè in concreto pregiudizievole.
2. Il ricorso è inammissibile.
In relazione al primo profilo deve ribadirsi quanto già ritenuto da questa Corte (Cass., Sez. 3, 12 marzo 1998 - 14 maggio 1998, n. 5590) che ha affermato che il limite massimo del cumulo materiale di cui all'articolo 78 cod. pen., che per la pena dall'ammenda è attualmente di euro 10.000 (ex articolo 26 c.p. come modificato dalla Legge 15 luglio 2009, n. 94, articolo 3, comma 61), è inapplicabile alle sanzioni previste dalle leggi speciali (conf. Cass. n. 11751 del 1986, n. 9775 del 1995). In questa parte la censura è inammissibile per manifesta infondatezza.
Generica - e quindi inammissibile - è poi la censura riferita alla concessione del benefico della sospensione condizionale della pena ritenuta "inopportuna".
3. Pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile.
L'inammissibilità del ricorso, anche per manifesta infondatezza dei motivi, configura in ogni caso una causa originaria di inammissibilità dell'impugnazione, e non sopravvenuta, sicchè non si costituisce il rapporto di impugnazione e conseguentemente non è possibile invocare eventuali cause estintive dei reati (Cass., sez. un., 22 novembre - 21 dicembre 2000, n. 32, De Luca).
Tenuto poi conto della sentenza 13 giugno 2000 n. 186 della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'articolo 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento di una somma, in favore della cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 1.000,00.
P.Q.M.
la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di euro mille alla cassa delle ammende.