Responsabilità di Datore di Lavoro e RSPP per infortunio occorso a lavoratore apprendista - Qualora una pluralità di soggetti, come nella fattispecie, siano costituiti garanti della sicurezza, sussiste la responsabilità di ognuno, tanto più che consolidata giurisprudenza di questa Corte afferma l'insufficienza della nomina del responsabile del servizio prevenzione e protezione per escludere la responsabilità del datore di lavoro, essendo detta figura obbligatoriamente prescritta dal D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 8 e difettando di un autonomo potere decisionale, sicchè detto soggetto risponderà insieme al datore di lavoro, qualora, agendo con imperizia, negligenza o imprudenza o inosservanza di leggi e discipline, abbia fornito un suggerimento sbagliato oppure abbia trascurato di segnalare, come nella fattispecie, una situazione di rischio poichè sussiste sempre nel datore di lavoro l'obbligo di vigilanza - Sussiste
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARINI Lionello - Presidente -
Dott. IACOPINO Silvana Giovan - Consigliere -
Dott. NOVARESE Francesco - Consigliere -
Dott. BIANCHI Luisa - Consigliere -
Dott. PICCIALLI Patrizia - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA/ORDINANZA
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARINI Lionello - Presidente -
Dott. IACOPINO Silvana Giovan - Consigliere -
Dott. NOVARESE Francesco - Consigliere -
Dott. BIANCHI Luisa - Consigliere -
Dott. PICCIALLI Patrizia - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA/ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
1) P.E., N. IL (OMISSIS);
2) R.M., N. IL (OMISSIS);
avverso ORDINANZA del 26/02/2004 CORTE APPELLO di VENEZIA e sentenza
del TRIBUNALE DI PADOVA in data 8 luglio 2003;
visti gli atti, la sentenza ed il procedimento;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott.
NOVARESE FRANCESCO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. IANNELLI Mario che
ha concluso per l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza impugnata
e, quel punto l'appello come ricorso per cassazione avverso la
sentenza del Tribunale di Padova, dichiara inammissibile il ricorso;
udito il difensore Avv. MARSON P. che ha chiesto l'accoglimento del
ricorso.
Fatto
P.E. e R.M. hanno proposto appello qualificato ricorso per Cassazione avverso la sentenza del Tribunale di Padova, emessa in data 8 luglio 2003, con la quale veniva applicata la pena, in seguito a precedente diniego, in dibattimento, per il reato di lesioni personali colpose aggravate dalla violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, e ricorso riguardo all'ordinanza della Corte di appello di Venezia, depositata il 24 febbraio 2004, con cui veniva dichiarato inammissibile detto appello, con condanna alle spese, deducendo quali motivi in ordine a detto ultimo provvedimento la violazione degli artt. 443, 448 e 593 c.p.p., poichè, in tema di patteggiamento, la sentenza che applichi la pena richiesta dall'imputato in seguito a dibattimento a causa del dissenso del P.M. o del primo giudice è appellabile e non ricorribile, e l'erronea applicazione dell'art. 568 c.p.p., comma 5, giacchè la Corte territoriale avrebbe dovuto convertire l'impugnazione in ricorso e trasmetterla al giudice di legittimità.
I predetti ricorrenti, poi, con motivi comuni si lamentavano nell'appello, qualificato ricorso, dell'inosservanza e dell'erronea applicazione dell'art. 521 c.p.p., poichè non vi è correlazione tra accusa contestata e fatto ritenuto in sentenza, in quanto il difetto di informazione e formazione era imputato agli odierni pervenuti nei confronti di M., parte offesa, mentre il giudice lo riferisce ad altro soggetto, S., preposto.
Inoltre deducevano l'illogicità manifesta della motivazione in tema di responsabilità da ascrivere al comportamento gravemente colposo della vittima, che ha svolto mansioni allo stesso non attribuite, ha effettuato operazioni incaute e su ordine del S., sicchè a nulla rileverebbe eziologicamente la violazione dell'obbligo di formazione ed informazione e la posizione, poco confacente, del pulsante di arresto automatico, in quanto l'evento è stato improvviso e si è realizzato fuori da ogni possibilità di previsione degli odierni imputati, la violazione degli artt. 40, 41, 590 e 43 c.p., poichè non erano stati considerati il comportamento del lavoratore del tutto anomalo ed imprevedibile, l'ordine impartito dal S. e le mansioni svolte dal lavoratore.
In particolare per il P. si eccepiva la carenza di responsabilità ai sensi del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 8, poichè era stato designato il responsabile del servizio di prevenzione.
I predetti ricorrenti, poi, con motivi comuni si lamentavano nell'appello, qualificato ricorso, dell'inosservanza e dell'erronea applicazione dell'art. 521 c.p.p., poichè non vi è correlazione tra accusa contestata e fatto ritenuto in sentenza, in quanto il difetto di informazione e formazione era imputato agli odierni pervenuti nei confronti di M., parte offesa, mentre il giudice lo riferisce ad altro soggetto, S., preposto.
Inoltre deducevano l'illogicità manifesta della motivazione in tema di responsabilità da ascrivere al comportamento gravemente colposo della vittima, che ha svolto mansioni allo stesso non attribuite, ha effettuato operazioni incaute e su ordine del S., sicchè a nulla rileverebbe eziologicamente la violazione dell'obbligo di formazione ed informazione e la posizione, poco confacente, del pulsante di arresto automatico, in quanto l'evento è stato improvviso e si è realizzato fuori da ogni possibilità di previsione degli odierni imputati, la violazione degli artt. 40, 41, 590 e 43 c.p., poichè non erano stati considerati il comportamento del lavoratore del tutto anomalo ed imprevedibile, l'ordine impartito dal S. e le mansioni svolte dal lavoratore.
In particolare per il P. si eccepiva la carenza di responsabilità ai sensi del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 8, poichè era stato designato il responsabile del servizio di prevenzione.
Diritto
Occorre preliminarmente trattare del ricorso avverso la sintetica ordinanza della Corte di appello di Venezia, giacchè, ove lo stesso fosse fondato in relazione al primo motivo, sarebbe inutile la trattazione di tutte le altre censure dei due atti d'impugnazione.
Tuttavia, il contrasto esistente circa l'appellabilità o meno della sentenza ex art. 444 c.p.p., emessa in seguito a dibattimento, è stato risolto con argomentazioni ampiamente condivisibili, fondate sul dato letterale (art. 448 c.p.p., comma 1 e 3) e da considerazioni sistematiche (identità di "ratio" e di effetti, diversità rispetto al giudizio abbreviato) da una decisione delle sezioni unite (Cass. sez. un. 6 ottobre 2005 n. 36084 rv. 231806), nel senso dell'inappellabilità pure delle stesse.
Pertanto la prima censura è infondata, mentre l'altra determina l'annullamento senza rinvio dell'impugnata ordinanza, dichiarativa dell'inammissibilità dell'appello, dovendosi qualificare l'impugnazione proposta come ricorso per Cassazione ai sensi dell'art. 568 c.p.p., comma 5.
Per quanto attiene a detto diverso atto impugnatorio appare opportuno riassumere i fatti quali risultano dall'impugnata sentenza del Tribunale patavino.
L'infortunio di M.M., apprendista operaio assunto il (OMISSIS), si è verificato il 12 luglio successivo ed ha procurato una malattia di durata superiore ai 40 giorni con indebolimento dell'organo della prensione per l'amputazione dell'ultima falange del primo dito in seguito allo schiacciamento della mano durante la pulizia dei rulli di una macchina spalmatrice di colla.
Le mansioni della vittima consistevano nell'apporre i rivestimenti su supporti in truciolare, una volta che questi erano passati attraverso la spalmatrice, in posizione che non comportava alcuno specifico rischio, ma il giorno dell'infortunio il M., rimasto per effettuare lavoro straordinario per completare la rifinitura manuale dei pannelli, è stato richiesto dal responsabile della linea produttiva, S.D., di aiutarlo a pulire le rulliere della macchina spalmatrice, ma dopo pochi minuti quest'ultimo lasciava solo l'apprendista ad effettuare le due operazioni di bagnatura e spazzolatura dei rulli, necessarie per eliminare la colla, in quanto occorreva prima bagnare i rulli e, poi, spazzolarli con una leggera pressione.
Le operazioni eseguite non erano state mai compiute prima d'allora dalla vittima e nell'effettuarle da solo, poichè era scivolata la spazzola, nel tentativo di recuperarla tra i rulli in movimento, ha inavvertitamente infilato il guanto tra i rulli, schiacciandosi la mano e procurandosi le lesioni indicate, nonostante il S., alle urla del malcapitato, avesse proceduto a fermare la macchina.
Il giudice del Tribunale patavino ritiene insussistenti due delle violazioni infortunistiche contestate, perchè per pulire i rulli era necessario che la macchina fosse in movimento e non esistesse una griglia di segregazione dei rulli, giacchè, altrimenti, la pulitura sarebbe stata impossibile, ma configura la violazione contestata di altre due disposizioni cioè quella relativa alla mancata messa a disposizione dei lavoratori di una spazzola, per dimensioni e manico, tale da impedire durante lo strofinamento dei rulli il contatto tra la mano del lavoratore e la macchina in movimento, sicchè venisse esclusa ogni situazione di rischio, e l'errata posizione del dispositivo di arresto, distanziato rispetto a chi è addetto alla macchina e non accessibile direttamente da un lavoratore con la mano bloccata tra i rulli in modo da rendere più lento opti intervento di soccorso.
Dette violazioni sono causalmente connesse con il fatto verificatisi e strutturali, sicchè sono ascrivibili al datore di lavoro, P., per la sua autonomia decisionale, per i poteri di spesa e per la sua discrezionalità gestionale, ed al responsabile di produzione e del servizio di prevenzione e protezione, R., in quanto non ha individuato i fattori di rischio e le misure per la sicurezza e non le ha rese note al datore di lavoro e non ha fornito ai lavoratori le informazioni e la formazione sui rischi e pericoli connessi alle operazioni cui erano addetti, onere quest'ultimo gravante su entrambi.
Non rileva, ad avviso del giudice di merito, che la condotta colposa del S. abbia reso possibile l'aggravarsi dell'evento, poichè non era vicino al lavoratore che stava eseguendo la pulizia e non è intervenuto immediatamente, ed è concorsa a determinare l'infortunio, in quanto ha incaricato di effettuare detta operazione di pulizia un lavoratore inesperto e non informato, giacchè le omissioni su evidenziate determinano la corresponsabilità degli odierni ricorrenti.
Ricostruito in tal modo il fatto e riassunti i passaggi motivazionali dell'impugnata sentenza, appare evidente come molte delle argomentazioni svolte dai ricorrenti non siano deducibili in sede di legittimità e scontano il mezzo di impugnazione proposto, in quanto sono attinenti ad allegazioni in fatto o a differente apprezzamento di risultanze processuali, anche se altre possono essere esaminate da questa Corte sotto il profilo della violazione di legge processuale e sostanziale e dell'illogicità della motivazione nei limiti propri del sindacato di questo vizio.
A tal proposito, secondo uniforme giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. sez. un. 22 ottobre 1996 n. 16 rv. 205619), con riferimento al principio di correlazione fra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume la ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire ad un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perchè, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'"iter" del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione.
Orbene, nella fattispecie, non solo il difetto di informazione e formazione è contestato sia pure in riferimento ad un solo lavoratore, ma anche lo stesso rientra in un concetto di colpa generica, insita nella imputazione, in quanto, in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, informare è già prevenire e, comunque, attraverso l'"iter" processuale i ricorrenti si sono potuti difendere.
Pertanto detta censura è manifestamente infondata.
Per quel che concerne, poi, le violazioni della normativa antinfortunistica e la responsabilità dei ricorrenti occorre tener presente che, secondo giurisprudenza uniforme di questa Corte, invano richiamata dall'impugnata sentenza, (Cass, sez. 6^, 4 aprile 1979 n. 3431, rv. 141704 cui adde Cass. sez. 4^, 24 novembre 1999 n. 13377, rv. 215537), l'art. 2087 c.c. configura una violazione di norme infortunistiche ed ha carattere generale e sussidiario di integrazione della specifica normativa con riferimento all'interesse della sicurezza e dell'igiene del lavoro e della salute del lavoratore.
A tal riguardo si deve richiamare la pacifica giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, poichè le norme di prevenzione antinfortunistica mirano a tutelare il lavoratore anche in ordine ad incidenti che possano derivare da sua negligenza, imprudenza ed imperizia, la responsabilità del destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in presenza del comportamento del lavoratore che presenti i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e sia del tutto imprevedibile o inopinabile (Cass. sez. 4^, 13 luglio 2000, Cirimbilli ed altro cui adde Cass. sez. 4^, 1 dicembre 2004 n. 46557, Albrizzi, che la riferisce).
Si deve trattare, quindi, di un comportamento del lavoratore che sia o del tutto autonomo ed estraneo alle mansioni affidategli e, pertanto, fuori da ogni prevedibilità o rientrante in queste sue proprie, ma consistente in qualcosa di radicalmente ed ontologicamente lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili scelte del lavoratore (Cass. sez. 4^ 5 luglio 2004, Grandi).
Peraltro, nell'ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall'inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale può essere attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo, come nella fattispecie, sia da ricondurre all'insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare il rischio di siffatto comportamento (cfr. fra tante Cass. sez. 4^, 4 dicembre 2001, Fabbian cui adde Cass. sez. 4^, 4 febbraio 2004, Calabrese citate in Cass. n. 46557 del 2004 cit.).
Inoltre è noto che i poteri ed i doveri dei preposti si collocano ad un livello radicalmente diverso da quello dei poteri dei soggetti al vertice dell'azienda e sono in un certo senso subordinati e limitati dal settore e dal luogo in cui esercitano le loro attività, sicchè il vertice della struttura piramidale è garante di tutti gli adempimenti legislativi, contrattuali e ritenuti solo opportuni o necessari per attuare la disciplina della sicurezza, protezione e prevenzione degli incidenti per i lavoratori.
I compiti meramente consultivi e non operativi del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dei rischi, di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 8 (Cass. sez. 3^, 23 maggio 2001 n. 20904, non massimata sul punto), e la mancanza di un'espressa sanzione circa gli inadempimenti dei suoi obblighi, risultanti dall'art. 9 D.Lgs. cit., assumono rilievo, ove tale "consulente" non assuma il ruolo di delegato con procura scritta dell'imprenditore in tutta la materia prevenzionale, nella fattispecie neppure allegata, e non esista alcuna ingerenza o posizione dominante del datore di lavoro (Cass. sez. 4^, 31 marzo 2003 n. 14851 non massimata), mentre un altro orientamento giurisprudenziale (Cass. 9 gennaio 2004 n. 1978 e Cass. sez. 4^, 1 dicembre 2004 n. 46557), che si ispira ad una risalente pronuncia (Cass. sez. 4^, 15 febbraio 1993 n. 1345 rv. 193034), rinviene profili di responsabilità, qualora esistano inadempimenti dei doveri di adeguata consulenza tecnica.
Peraltro, qualora una pluralità di soggetti, come nella fattispecie, siano costituiti garanti della sicurezza, sussiste la responsabilità di ognuno (Cass. sez. 4^, 21 ottobre 2005 n. 38810 rv. 232415), tanto più che consolidata giurisprudenza di questa Corte afferma l'insufficienza della nomina del responsabile del servizio prevenzione e protezione per escludere la responsabilità del datore di lavoro (Cass. sez. 4^, 30 dicembre 2005 n. 47363 rv. 233181), essendo detta figura obbligatoriamente prescritta dal D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 8 e difettando di un autonomo potere decisionale, sicchè detto soggetto risponderà insieme al datore di lavoro, qualora, agendo con imperizia, negligenza o imprudenza o inosservanza di leggi e discipline, abbia fornito un suggerimento sbagliato oppure abbia trascurato di segnalare, come nella fattispecie, una situazione di rischio (Cass. sez. 4^, 31 marzo 2006 n. 11351 rv. 233657), poichè sussiste sempre nel datore di lavoro l'obbligo di vigilanza.
Pertanto il ricorso deve essere rigettato con la condanna dei ricorrenti in solido, al pagamento delle spese processuali.
Tuttavia, il contrasto esistente circa l'appellabilità o meno della sentenza ex art. 444 c.p.p., emessa in seguito a dibattimento, è stato risolto con argomentazioni ampiamente condivisibili, fondate sul dato letterale (art. 448 c.p.p., comma 1 e 3) e da considerazioni sistematiche (identità di "ratio" e di effetti, diversità rispetto al giudizio abbreviato) da una decisione delle sezioni unite (Cass. sez. un. 6 ottobre 2005 n. 36084 rv. 231806), nel senso dell'inappellabilità pure delle stesse.
Pertanto la prima censura è infondata, mentre l'altra determina l'annullamento senza rinvio dell'impugnata ordinanza, dichiarativa dell'inammissibilità dell'appello, dovendosi qualificare l'impugnazione proposta come ricorso per Cassazione ai sensi dell'art. 568 c.p.p., comma 5.
Per quanto attiene a detto diverso atto impugnatorio appare opportuno riassumere i fatti quali risultano dall'impugnata sentenza del Tribunale patavino.
L'infortunio di M.M., apprendista operaio assunto il (OMISSIS), si è verificato il 12 luglio successivo ed ha procurato una malattia di durata superiore ai 40 giorni con indebolimento dell'organo della prensione per l'amputazione dell'ultima falange del primo dito in seguito allo schiacciamento della mano durante la pulizia dei rulli di una macchina spalmatrice di colla.
Le mansioni della vittima consistevano nell'apporre i rivestimenti su supporti in truciolare, una volta che questi erano passati attraverso la spalmatrice, in posizione che non comportava alcuno specifico rischio, ma il giorno dell'infortunio il M., rimasto per effettuare lavoro straordinario per completare la rifinitura manuale dei pannelli, è stato richiesto dal responsabile della linea produttiva, S.D., di aiutarlo a pulire le rulliere della macchina spalmatrice, ma dopo pochi minuti quest'ultimo lasciava solo l'apprendista ad effettuare le due operazioni di bagnatura e spazzolatura dei rulli, necessarie per eliminare la colla, in quanto occorreva prima bagnare i rulli e, poi, spazzolarli con una leggera pressione.
Le operazioni eseguite non erano state mai compiute prima d'allora dalla vittima e nell'effettuarle da solo, poichè era scivolata la spazzola, nel tentativo di recuperarla tra i rulli in movimento, ha inavvertitamente infilato il guanto tra i rulli, schiacciandosi la mano e procurandosi le lesioni indicate, nonostante il S., alle urla del malcapitato, avesse proceduto a fermare la macchina.
Il giudice del Tribunale patavino ritiene insussistenti due delle violazioni infortunistiche contestate, perchè per pulire i rulli era necessario che la macchina fosse in movimento e non esistesse una griglia di segregazione dei rulli, giacchè, altrimenti, la pulitura sarebbe stata impossibile, ma configura la violazione contestata di altre due disposizioni cioè quella relativa alla mancata messa a disposizione dei lavoratori di una spazzola, per dimensioni e manico, tale da impedire durante lo strofinamento dei rulli il contatto tra la mano del lavoratore e la macchina in movimento, sicchè venisse esclusa ogni situazione di rischio, e l'errata posizione del dispositivo di arresto, distanziato rispetto a chi è addetto alla macchina e non accessibile direttamente da un lavoratore con la mano bloccata tra i rulli in modo da rendere più lento opti intervento di soccorso.
Dette violazioni sono causalmente connesse con il fatto verificatisi e strutturali, sicchè sono ascrivibili al datore di lavoro, P., per la sua autonomia decisionale, per i poteri di spesa e per la sua discrezionalità gestionale, ed al responsabile di produzione e del servizio di prevenzione e protezione, R., in quanto non ha individuato i fattori di rischio e le misure per la sicurezza e non le ha rese note al datore di lavoro e non ha fornito ai lavoratori le informazioni e la formazione sui rischi e pericoli connessi alle operazioni cui erano addetti, onere quest'ultimo gravante su entrambi.
Non rileva, ad avviso del giudice di merito, che la condotta colposa del S. abbia reso possibile l'aggravarsi dell'evento, poichè non era vicino al lavoratore che stava eseguendo la pulizia e non è intervenuto immediatamente, ed è concorsa a determinare l'infortunio, in quanto ha incaricato di effettuare detta operazione di pulizia un lavoratore inesperto e non informato, giacchè le omissioni su evidenziate determinano la corresponsabilità degli odierni ricorrenti.
Ricostruito in tal modo il fatto e riassunti i passaggi motivazionali dell'impugnata sentenza, appare evidente come molte delle argomentazioni svolte dai ricorrenti non siano deducibili in sede di legittimità e scontano il mezzo di impugnazione proposto, in quanto sono attinenti ad allegazioni in fatto o a differente apprezzamento di risultanze processuali, anche se altre possono essere esaminate da questa Corte sotto il profilo della violazione di legge processuale e sostanziale e dell'illogicità della motivazione nei limiti propri del sindacato di questo vizio.
A tal proposito, secondo uniforme giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. sez. un. 22 ottobre 1996 n. 16 rv. 205619), con riferimento al principio di correlazione fra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume la ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire ad un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perchè, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'"iter" del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione.
Orbene, nella fattispecie, non solo il difetto di informazione e formazione è contestato sia pure in riferimento ad un solo lavoratore, ma anche lo stesso rientra in un concetto di colpa generica, insita nella imputazione, in quanto, in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, informare è già prevenire e, comunque, attraverso l'"iter" processuale i ricorrenti si sono potuti difendere.
Pertanto detta censura è manifestamente infondata.
Per quel che concerne, poi, le violazioni della normativa antinfortunistica e la responsabilità dei ricorrenti occorre tener presente che, secondo giurisprudenza uniforme di questa Corte, invano richiamata dall'impugnata sentenza, (Cass, sez. 6^, 4 aprile 1979 n. 3431, rv. 141704 cui adde Cass. sez. 4^, 24 novembre 1999 n. 13377, rv. 215537), l'art. 2087 c.c. configura una violazione di norme infortunistiche ed ha carattere generale e sussidiario di integrazione della specifica normativa con riferimento all'interesse della sicurezza e dell'igiene del lavoro e della salute del lavoratore.
A tal riguardo si deve richiamare la pacifica giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, poichè le norme di prevenzione antinfortunistica mirano a tutelare il lavoratore anche in ordine ad incidenti che possano derivare da sua negligenza, imprudenza ed imperizia, la responsabilità del destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in presenza del comportamento del lavoratore che presenti i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e sia del tutto imprevedibile o inopinabile (Cass. sez. 4^, 13 luglio 2000, Cirimbilli ed altro cui adde Cass. sez. 4^, 1 dicembre 2004 n. 46557, Albrizzi, che la riferisce).
Si deve trattare, quindi, di un comportamento del lavoratore che sia o del tutto autonomo ed estraneo alle mansioni affidategli e, pertanto, fuori da ogni prevedibilità o rientrante in queste sue proprie, ma consistente in qualcosa di radicalmente ed ontologicamente lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili scelte del lavoratore (Cass. sez. 4^ 5 luglio 2004, Grandi).
Peraltro, nell'ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall'inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale può essere attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo, come nella fattispecie, sia da ricondurre all'insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare il rischio di siffatto comportamento (cfr. fra tante Cass. sez. 4^, 4 dicembre 2001, Fabbian cui adde Cass. sez. 4^, 4 febbraio 2004, Calabrese citate in Cass. n. 46557 del 2004 cit.).
Inoltre è noto che i poteri ed i doveri dei preposti si collocano ad un livello radicalmente diverso da quello dei poteri dei soggetti al vertice dell'azienda e sono in un certo senso subordinati e limitati dal settore e dal luogo in cui esercitano le loro attività, sicchè il vertice della struttura piramidale è garante di tutti gli adempimenti legislativi, contrattuali e ritenuti solo opportuni o necessari per attuare la disciplina della sicurezza, protezione e prevenzione degli incidenti per i lavoratori.
I compiti meramente consultivi e non operativi del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dei rischi, di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 8 (Cass. sez. 3^, 23 maggio 2001 n. 20904, non massimata sul punto), e la mancanza di un'espressa sanzione circa gli inadempimenti dei suoi obblighi, risultanti dall'art. 9 D.Lgs. cit., assumono rilievo, ove tale "consulente" non assuma il ruolo di delegato con procura scritta dell'imprenditore in tutta la materia prevenzionale, nella fattispecie neppure allegata, e non esista alcuna ingerenza o posizione dominante del datore di lavoro (Cass. sez. 4^, 31 marzo 2003 n. 14851 non massimata), mentre un altro orientamento giurisprudenziale (Cass. 9 gennaio 2004 n. 1978 e Cass. sez. 4^, 1 dicembre 2004 n. 46557), che si ispira ad una risalente pronuncia (Cass. sez. 4^, 15 febbraio 1993 n. 1345 rv. 193034), rinviene profili di responsabilità, qualora esistano inadempimenti dei doveri di adeguata consulenza tecnica.
Peraltro, qualora una pluralità di soggetti, come nella fattispecie, siano costituiti garanti della sicurezza, sussiste la responsabilità di ognuno (Cass. sez. 4^, 21 ottobre 2005 n. 38810 rv. 232415), tanto più che consolidata giurisprudenza di questa Corte afferma l'insufficienza della nomina del responsabile del servizio prevenzione e protezione per escludere la responsabilità del datore di lavoro (Cass. sez. 4^, 30 dicembre 2005 n. 47363 rv. 233181), essendo detta figura obbligatoriamente prescritta dal D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 8 e difettando di un autonomo potere decisionale, sicchè detto soggetto risponderà insieme al datore di lavoro, qualora, agendo con imperizia, negligenza o imprudenza o inosservanza di leggi e discipline, abbia fornito un suggerimento sbagliato oppure abbia trascurato di segnalare, come nella fattispecie, una situazione di rischio (Cass. sez. 4^, 31 marzo 2006 n. 11351 rv. 233657), poichè sussiste sempre nel datore di lavoro l'obbligo di vigilanza.
Pertanto il ricorso deve essere rigettato con la condanna dei ricorrenti in solido, al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata e, qualificato l'appello come ricorso, lo rigetta e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 6 novembre 2006.
Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2006
Così deciso in Roma, il 6 novembre 2006.
Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2006