Cassazione Civile, Sez. Lav., 05 febbraio 2013, n. 2605 - Infortunio sul lavoro ad un lavoratore socialmente utile: configurazione di una responsabilità contrattuale del Comune
Fatto
Con sentenza del 14.7.2009, la Corte di Appello di Roma respingeva il gravame proposto da F.A. avverso la sentenza del 23.9.2005, con la quale il Tribunale di Cassino aveva rigettato la domanda proposta nei confronti del Comune di Castelliri, alle cui dipendenze il F. aveva lavorato quale addetto L.S.U., per il risarcimento del danno subito a seguito di infortunio sul lavoro del 23.8.1998 ed aveva condannato l'INAIL a costituire la rendita derivante da inabilità permanente, del 28% fino al 1.12.2000 e del 35% per il periodo successivo, con decorrenza 1.9.2001. Riteneva la Corte che era stato correttamente escluso, sulla base di precedente giurisprudenziale delle S. U. della Corte di Cassazione, che l'attività svolta da addetto ai lavori socialmente utili potesse configurarsi nell'ambito di rapporto subordinato con il Comune utilizzatore, trattandosi di rapporto previdenziale, con conseguente esclusione dì responsabilità contrattuale ex art. 2087 c.c. e della normativa di cui ai d. lgs. 626/1994, riferita ai datori di lavoro, rispetto alla cui applicabilità non era stato proposto specifico motivo di appello. Quanto alla responsabilità extracontrattuale del Comune, doveva escludersi che il F. avesse dimostrato un comportamento almeno colposo del Comune, che aveva predisposto un cartello con il quale si avvertiva che il decespugliatore - che aveva creato il danno all'appellante, facendo schizzare un sasso che lo aveva colpito all'occhio - era tenuto a mantenere una certa distanza da altre persone o da altri lavoratori e che ciò escludeva che i raccoglitori di erba, come il F., dovessero indossare la maschera prevista invece per il decespugliatore.
Con riguardo all'INAIL, rilevava che era rimasto sfornito di prova l'assunto che la denuncia del sinistro fosse pervenuta al Sindaco lo stesso giorno dell'infortunio e che, pertanto, doveva negarsi che la rendita potesse essere retrodatata.
Per la cassazione dì tale decisione ricorre il F., con due motivi.
Resistono, con distinti controricorsi, il Comune e l'INAIL, il quale ha depositato memoria illustrativa ai sensi dell'art. 378 c.p.c. Il Comune di Castelliri ha depositato comparsa di costituzione di nuovo difensore, a mezzo procura speciale alle liti, giusta Delibera della Giunta Comunale, entrambe in atti.
Diritto
Con il primo motivo, il F. denunzia violazione, mancata e/o errata applicazione dell'art. 2087 cc, dell'art. 2043 ce. e della legge 626/94, norme antinfortunistiche antecedenti e/o successive, nonché omessa insufficiente, illegittima, errata e contraddittoria motivazione in relazione all'art. 360 n. 5 cp.c, con riferimento a consolidata giurisprudenza interna e della CEDU in ordine ai presupposti e criteri risarcito riutilizzabili per il caso de quo. In particolare, in ordine alla ritenuta mancanza dì responsabilità dell'ente a seguito di violazione di norme generali di tutela e protezione dei lavoratori, accertata attraverso l'espletata istruttoria e sancita nella sentenza impugnata, assume che, a parte il mero dato materiale della provenienza del pagamento del corrispettivo, resta il fatto che i lavoratori l.s.u. sono in tutto e per tutto assimilabili ai lavoratori dipendenti, con cui condividono il medesimo concreto regime, e che era stata fornita prova in ordine alla responsabilità colposa del Comune in relazione al mancato adempimento dell'obbligo di protezione posto dalla legge a carico del datore/gestore del lavoro, sotto il duplice profilo della mancanza di vigilanza sull'operazione del decespugliatore, il quale non aveva rispettato la distanza di sicurezza, e della mancata predisposizione dei presidi di sicurezza (occhiali) per il raccoglitore.
Attraverso le testimonianze acquisite, il ricorrente deduce di avere provato il comportamento commissivo/omissivo dell'ente comunale in ordine alla tutela specifica della sicurezza sul posto di lavoro, non avendo il Comune mai fatto un valutazione dei rischi connessi alle lavorazioni comandate ai propri dipendenti ed impiegati (violazione dell'art. 3 d. lgs 626/94), mai proceduto ad una valutazione dei rischi (come prescritto dall'ai 4 del menzionato decreto legislativo), mai organizzato un servizio di prevenzione e protezione (art.8), mai fornito le informazioni necessarie e sufficienti anche agli L.S.U, (art. 21), né provveduto alla loro formazione (art. 4) ed a fornire agli stessi le necessarie attrezzature idonee a scongiurare rischi evidenti (artt. 35 e 41 del d.lgs. 626/94).
Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e la mancata e/o errata applicazione dell'art. 52 del D.P.R. 1124/1965 e ss. modificazioni, l'illegittima declaratoria dì decorrenza dell'indennità, nonché l'omessa, insufficiente, illegittima, errata e contraddittoria motivazione in relazione all' artt. 360 n. 5 c.p.c., con riferimento alla consolidata giurisprudenza interna e della Corte europea dei diritti dell'uomo, della convenzione europea, in ordine ai presupposti e criteri risarcitori utilizzabili per il caso in esame. Nello specifico, contesta l'errore di giudizio in ordine alla identificazione del legale rappresentante del Comune di Castellari, al quale era stato tempestivamente riferito dell'infortunio e che ha confermato la circostanza. Formula, all'esito della parte argomentativa, quesiti ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c.
Il ricorso è infondato.
Il primo motivo, anche a non volere considerare i profili di inammissibilità connessi alla genericità del richiamo a principi sanciti dalla giurisprudenza della CEDU, in dispregio da quanto prescritto dall'art. 366, I comma, n, 4, c.p.c. deve essere disatteso in forza dell'assorbente considerazione che non può qualificarsi come rapporto di lavoro subordinato l'occupazione temporanea di lavoratori socialmente utili alle dipendenze di un ente comunale per l'attuazione di un apposito progetto, realizzandosi con essa, alla stregua dell'apposita normativa in concreto applicabile, un rapporto di lavoro speciale di matrice essenzialmente assistenziale. Ne consegue che, in difetto della configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato, non può trovare applicazione la disciplina che regola quest'ultimo (v,, tra le altre, Cass. 7.22.2008 n. 1887). Da ciò discende che, come correttamente osservato dalla Corte territoriale, deve escludersi la responsabilità contrattuale dell'ente Comunale ex art. 2087 c.c., invocata dal ricorrente.
Deve, poi, rilevarsi che neppure viene precisato, se non implicitamente, il titolo della dedotta responsabilità ai sensi della richiamata norma civilistica, che, in tema di infortuni, trova applicazione, per eventi coperti da assicurazione obbligatoria, solo con riferimento ad eventi lesivi eccedenti la copertura dall'art. 10 del d.P.R. n.1124 che abbiano comunque a verificarsi in pregiudizio del lavoratore e siano casualmente ricollegabili alla nocività dell'ambiente di lavoro ed alla mancata predisposizione di tutele sul lavoro. L'art. 2087 c.c, invero, con riguardo alla sua natura di norma di chiusura del sistema antinfortunistico, impone al datore di lavoro, anche dove faccia difetto una specifica misura preventiva, di adottare comunque le misure generiche di prudenza e diligenza, nonché tutte le cautele necessarie, secondo le norme tecniche e di esperienza, a tutelare l'integrità fisica del lavoratore assicurato (cfr. Cass. 23.9.2010 n. 20142).
Considerato che è previsto dall'art. 8, comma 9, del d.lgs. 468/1997, che i soggetti utilizzatori attuino idonee forme assicurative presso l'INAIL, contro gli infortuni e le malattie professionali connesse allo svolgimento della attività lavorativa, nonché per la responsabilità civile verso terzi, ove rientrante la fattispecie nell'ambito del sistema assicurativo obbligatorio, sarebbe stato onere del ricorrente precisare in quali termini sia stata invocata la responsabilità contrattuale dell'ente comunale per il danno differenziale, il che non risulta affatto indicato.
Esclusa, per quanto detto, la responsabilità dell'ente comunale in forza del richiamo all'art. 2087 c.c., potrebbe ritenersi, tuttavia, che il titolo della responsabilità si ricolleghi alla mancata adozione, da parte del datore di lavoro, delle norme antinfortunistiche, in conseguenza della cui inosservanza la stessa potrebbe configurarsi in via extracontrattuale. è, infatti, conseguenza di quanto sopra detto che i lavoratori socialmente utili non possano beneficiare delle garanzie connesse alla sussistenza di un rapporto di lavoro con l'ente comunale, che genera in capo al datore di lavoro l'obbligo dì attenersi all'osservanza delle norme antinfortunistiche a tutela dei propri dipendenti, essendo evidente la diversità del rapporto che lega il lavoratore socialmente utile all'ente utilizzatore, inserito nel quadro di un programma specifico che utilizza i contributi pubblici.
Posto quanto sopra, ritiene la Corte che, pure essendo in linea di principio condivisibile che le norme antinfortunistiche trovino applicazione seppure in via indiretta anche a tutela dei lavoratori socialmente utili, risulta immune dalle censure formulate la decisione della Corte del merito che ha nella sostanza escluso ogni responsabilità del Comune utilizzatore, non ravvisando alcun comportamento colposo omissivo o commissivo dello stesso. È stato, invero, osservato che dall'istruttoria espletata è emerso che erano stati utilizzati accorgimenti per impedire l'evento dannoso, avendo il Comune, "tra l'altro predisposto un cartello, con il quale si avvertiva che il decespugliatore, che ha causato il danno all'appellante, facendo schizzare un sasso ..., doveva essere usato, mantenendo una certa distanza da altre persone o altri lavoratori e che ciò escludeva la necessità per i raccoglitori di erba di indossare la maschera, prevista per l'addetto decespugliatore".
Ogni altro profilo di colpa non risulta essere stato prospettato in sede di gravame e, del resto, proprio le considerazioni svolte nella sentenza impugnata appena richiamate rendono palese la correttezza della stessa laddove, con motivazione congrua e priva di salti logici, oltre che conforme ai principi di diritto enunciati, ha ritenuto che una valutazione dei rischi connessi alle lavorazioni comandate, ai sensi dell'art. 3 d. lgs 626/94, fosse stata effettuata e che fossero state fornite adeguate informazioni, necessarie a prevenire eventi dannosi, ai sensi dell'art. 21, con dotazione dei lavoratori esposti ai rischi delle necessarie attrezzature idonee a scongiurare gli stessi (artt. 35 e 41 del d.lgs. 626/94).
Anche il secondo motivo di ricorso deve ritenersi non condivisibile. La norma di cui all'art. 52 D.P. 1124/1965. invocata e della quale sì assume la violazione e falsa applicazione dispone che "L'assicurato è obbligato a dare immediata notizia di qualsiasi infortunio che gi accada, anche se dì lieve entità, al proprio datore di lavoro. Quando l'assicurato abbia trascurato di ottemperare all'obbligo predetto ed il datore di lavoro, non essendo venuto altrimenti a conoscenza dell'infortunio, non abbia fatto la denuncia ai termini dell'articolo successivo, non è corrisposta l'indennità per i giorni antecedenti a quello in cui il datore di lavoro ha avuto notizia dell'infortunio". Deve ritenersi che correttamente il giudice del merito abbia applicato la stessa con riferimento al contesto fattuale emerso dall'istruttoria in relazione alla denuncia dell'infortunio ricevuta dal Sindaco solo successivamente al verificarsi dello stesso. Peraltro, le critiche rivolte alla sentenza sotto il profilo del vizio dì motivazione, senza indicare il carattere di decisività dell'elemento di fatto di cui si sostiene l'erroneità della valutazione, mirano nella sostanza a sollecitare una rivisitazione del merito, non consentita nella presente sede di legittimità, posto che il ricorso per cassazione, con il quale si facciano valere vizi di motivazione della sentenza, impugnata a norma dell'art. 360 n, 5 cod. proc. civ. deve contenere - in ossequio al disposto dell'art. 366 n.4 cod. proc. civ., che per ogni tipo di motivo pone il requisito della specificità sanzionandone il difetto - la precisa indicazione di carenze o lacune nelle argomentazioni sulle quali si basano la decisione o il capo di essa censurato, ovvero la specificazione d'illogicità, consistenti nell'attribuire agli elementi di giudizio considerati un significato fuori dal senso comune, od ancora la mancanza di coerenza fra le varie ragioni esposte, quindi l'assoluta incompatibilità razionale degli argomenti e l'insanabile contrasto degli stessi.
Ond'è che risulta inidoneo allo scopo il far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito all'opinione che di essi abbia la parte ed, in particolare, il prospettare un soggettivo preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all'ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi dì prova e dell'apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’"iter" formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della norma in esame. Diversamente, si risolverebbe il motivo di ricorso per cassazione ex art. 360 n.5 cod. proc. civ. in un'inammissibile istanza dì revisione delle valutazioni effettuate ed, in base ad esse, delle conclusioni raggiunte dal giudice del merito; cui, per le medesime considerazioni, neppure può imputarsi d'aver omesso l'esplicita confutazione delle tesi non accolte e/o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio ritenuti non significativi, giacché ne l'una né l'altra gli sono richieste, mentre soddisfa l'esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento risulti da un esame logico e coerente di quelle, tra le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, che siano state ritenute di per sé sole idonee e sufficienti a giustificarlo (in tali termini, cfr. Cass. 23 maggio 2007 n. 120520), Nella specie non risulta che la doglianza abbia evidenziato i profili di omissione, insufficienza o contradittorietà della motivazione nei termini consentiti in sede di legittimità, indicati dalla pronunzia di legittimità richiamata.
Le svolte considerazioni conducono al rigetto del ricorso del F..
Le spese di lite del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e sono liquidate, nei confronti del Comune, nella misura di cui in dispositivo, Non vi è luogo a condanna del soccombente al pagamento delle spese nei confronti dell'INAIL, ai sensi dell'art. 152 disp. art. c.p.c, nel testo anteriore alle modifiche apportate dal D.L. n. 269 del 2003 (conv. in L. n. 326 del 2003), nella specie inapplicabile ratione temporis.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del Comune di Castelliri, delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 40,00 per esborsi ed euro 2500,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge. Nulla per le spese nei confronti dell’Inail.