Cassazione Penale, Sez. 4, 01 febbraio 2013, n. 5465 - Infortunio mortale e responsabilità di un preposto: omessa messa in sicurezza dei lucernai
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCO Carlo G - Presidente -
Dott. FOTI G. - rel. Consigliere -
Dott. MASSAFRA Umberto - Consigliere -
Dott. CIAMPI Francesco Maria - Consigliere -
Dott. VITELLI CASELLA Luca - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
A.S. N. IL (Omissis);
avverso la sentenza n. 972/2006 CORTE APPELLO di GENOVA, del 11/03/2011;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 22/05/2012 la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO FOTI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.ssa Fodaroni che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito, per la parte civile, l'Avv. Bonifai che si riporta alle note depositate in udienza.
Fatto
1 - Con sentenza del 22 dicembre 2005, il Tribunale di Massa, sezione distaccata di Carrara, ha dichiarato A.S. colpevole del delitto di omicidio colposo commesso, con violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, in pregiudizio di M.M. e con il concorso della stessa vittima.
All'affermazione di responsabilità è seguita la condanna dell'imputato, riconosciute le circostanze attenuanti generiche prevalenti sull'aggravante contestata, alla pena, sospesa alle condizioni di legge, di sei mesi di reclusione, nonchè al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite, alle quali ha assegnato una provvisionale di 50.000,00 Euro ciascuno.
Secondo l'accusa, condivisa dal tribunale, l'imputato, preposto alla sicurezza del cantiere edile della "E. Professional s.r.l.", di cui è titolare C.S., separatamente giudicato, per negligenza, imperizia e violazione delle norme prevenzionali - in particolare, per avere omesso di dotare di adeguata protezione i lucernai, posti in prossimità del luogo di lavoro, coperti da una struttura in plexiglass, inidonea a sostenere il peso di un uomo - ha cagionato la morte del M.. Costui, dipendente della "E.", dopo avere sfondato la protezione, è precipitato giù, attraverso il lucernaio, da un'altezza di circa sei metri, rimanendo ucciso a causa delle gravi lesioni riportate nella caduta. Il luogo dell'incidente, ove si trovava il lucernaio, è una terrazza-solaio calpestarle, dotata di venti lucernai sporgenti circa 10/15 cm. dal piano di calpestio, attraverso la quale gli operai della "E.", utilizzando una scala a pioli, accedevano ad un tetto in eternit che avrebbe dovuto essere demolito e ricostruito utilizzando un materiale privo di amianto. Il cantiere era già operativo e proprio sulla terrazza cosparsa di lucernai l'imputato aveva anche allestito un box che gli operai utilizzavano per il cambio degli abiti, circostanza che, in tesi d'accusa, aumentava il rischio di cadute.
L'imputato, secondo il giudice di primo grado, quale preposto e responsabile del cantiere, dotato anche di un fondo per eventuali interventi in materia di prevenzione, avrebbe dovuto intervenire per mettere in sicurezza i lucernai, rendere sicuro il passaggio degli operai e scongiurare il rischio di cadute.
2 - Su appello proposto dall' A., la Corte d'Appello di Genova, con sentenza dell'11 marzo 2011, in riforma della sentenza impugnata, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'imputato, essendo il reato allo stesso ascritto estinto per prescrizione, ed ha confermato le statuizioni civili, escludendo il concorso di colpa della vittima.
3 - Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione l' A., che deduce:
a) Vizio di motivazione della sentenza impugnata per omessa valutazione del primo motivo d'appello, con il quale era stata rilevata l'erroneità della consulenza autoptica che aveva escluso l'uso recente, da parte della vittima, di droghe o alcool, laddove era certo che il M. era stato in passato, e per circa dieci anni, tossicodipendente e che, al momento dell'incidente, si trovava in stato di alterazione con sfasamento di collocazione spazio temporale;
b) Vizio di motivazione in relazione a quanto dedotto con il secondo dei motivi d'appello proposti ed alle conclusioni cui sono pervenuti i verbalizzanti nella ricostruzione della dinamica del sinistro;
conclusioni secondo le quali il M. era caduto sul lucernaio, sfondandolo, perchè colpito da malore, in tal guisa avendo escluso responsabilità di terzi per quanto accaduto;
c) Vizio di motivazione in relazione a quanto dedotto con il terzo motivo d'appello, con il quale era stata dedotta l'errata applicazione dell'art. 10, art. 8, comma 7, e del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 389, lett. c) laddove tale normativa, che riguarda le misure prevenzionali da adottare per le aperture esistenti al suolo, è stata indebitamente ritenuta applicabile al caso dei lucernai;
d) Vizio di motivazione in relazione al quarto motivo d'appello ed alla delega in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro, inosservanza del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 7, comma 1, lett. b) e vizio di motivazione sul punto. Si sostiene nel ricorso che la delega in materia di sicurezza conferita dal legale rappresentante della "E." all'imputato, oltre che priva di data certa e di sottoscrizione riconosciuta, è generica e del tutto invalida; si sostiene, inoltre, che i giudici del merito avrebbero disapplicato il disposto dell'art. 7, comma 1, lett. b) del citato D.Lgs., che obbliga il datore di lavoro, in caso di affidamento ad imprese appaltatrici o lavoratori autonomi di lavori all'interno dell'azienda, di fornire agli stessi dettagliate informazioni;
e) Vizio di motivazione in relazione al quinto motivo di appello, riguardante le condizioni di salute della vittima, la consulenza tecnica del Dott. Ca., la testimonianza resa da C.A. e la consulenza tecnica del prof. P.;
f) Vizio di motivazione in relazione al sesto motivo d'appello, riguardante la relazione del CT del PM, il quale ha escluso che la caduta del M. era stata causata da un malore;
g) Vizio di motivazione in relazione al settimo motivo d'appello ed alla relazione del CT della difesa che aveva escluso che l'imputato avesse l'obbligo di installare dei parapetti intorno ai lucernai, ed erronea applicazione delle norme previste dai D.P.R. n. 547 del 1955, art. 7, comma 1, lett. b), e D.P.R. n. 164 del 1956;
h) Vizio di motivazione in relazione all'ottavo, nono e decimo motivo d'appello, in ordine: alla dinamica dell'infortunio, alla pausa lavorativa nel corso della quale lo stesso si è verificato, al rapporto causale tra la caduta e la mancata esecuzione dei parapetti o coperture;
i) Vizio di motivazione con riguardo alle conclusioni raggiunte dal perito, ing. G. ed alla conclusione cui è pervenuto il giudice de gravame circa l'insussistenza di profili di colpa a carico della vittima.
Motivi della decisione
Il ricorso è infondato.
A) Certamente infondate sono le censure concernenti presunti vizi di motivazione della sentenza impugnata, denunciati sotto i profili della mancanza e/o della manifesta illogicità.
Del tutto legittimamente, invero, il giudice del gravame, in presenza di una causa di estinzione del reato (prescrizione), ed in mancanza di espressa rinuncia a fruirne da parte dell'imputato, ha limitato il proprio intervento alla verifica dell'assenza di ragioni che implicassero il ricorso all'art. 129 c.p.p., comma 2.
D'altra parte, secondo la condivisa giurisprudenza di questa Corte, quando con il ricorso per cassazione si faccia valere il vizio di difetto o di illogicità della motivazione, ovvero quello di travisamento della prova, trova applicazione il principio, costantemente affermato dai giudici di legittimità, secondo cui, "in presenza di una causa di estinzione del reato (nella specie, prescrizione) non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata dal momento che il rinvio, da un lato, determinerebbe comunque per il giudice l'obbligo di dichiarare immediatamente la prescrizione, dall'altro, sarebbe incompatibile con l'obbligo dell'immediata declaratoria di proscioglimento (Cass. SU n. 35490/09 rv 244275 e Cass. nn. 14450/09 rv 244001, 40570/08, 24327/04). Ciò che ancor più vale nel caso, come di specie, di prescrizione già dichiarata dai giudici del merito e di ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza dichiarativa della stessa.
In ogni caso, il giudice del gravame non ha certamente omesso di riesaminare la vicenda e gli elementi probatori sui quali si è basata la sentenza di primo grado, nè ha omesso di considerare le tesi difensive; solo al termine di tale esame egli ha legittimamente ritenuto di ribadire che il mortale incidente di cui è rimasto vittima il M. doveva ascriversi alla condotta negligente e imprudente dell'imputato ed al mancato rispetto, da parte dello stesso, di elementari norme di sicurezza.
Così, in termini sintetici e tuttavia efficaci, lo stesso giudice, richiamate le emergenze probatorie in atti, nel ricostruire la dinamica del sinistro, ha escluso, con argomentazioni ineccepibili sotto il profilo logico, che la condotta della vittima abbia avuto efficacia causale nella determinazione dell'evento, in realtà riconducibile, secondo il coerente e condivisibile argomentare dei giudici del merito, allo stato dei luoghi. In particolare, all'insidiosa presenza sul luogo, necessariamente attraversato dagli operai per raggiungere il tetto da demolire e ricostruire, di aperture non segnalate ed approssimativamente coperte con materiale inadeguato, e dunque esclusivamente al mancato rispetto, da parte dell'imputato, di elementari norme di sicurezza. Di qui, la conseguente esclusione di qualsiasi concorso della vittima nella determinazione dell'evento.
Sono state quindi ritenute frutto di mere illazioni le ipotesi che il M. fosse caduto attraverso il lucernaio per un delirio scatenato dalla pregressa tossicodipendenza, peraltro lontana nel tempo, o che si fosse addirittura deliberatamente tuffato nel lucernaio. Ipotesi giustamente escluse, in assenza del più pallido elemento di riscontro ed in presenza degli esiti negativi degli esami tossicologici eseguiti sul cadavere del lavoratore, nonchè alla luce di quanto accertato in sede autoptica, laddove è stata accertata l'assenza di droghe o alcool sia nello stomaco che nel sangue, come sostenuto dal giudice di primo grado.
Nessun obbligo, peraltro, aveva il giudice del gravame, specie a fronte di una declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, di richiamare specificamente le consulenze di parte o le testimonianze in atti, dovendo egli, come sopra già rilevato, limitare il proprio intervento alla verifica dell'assenza di ragioni che imponessero il ricorso all'art. 129 cod. proc. pen..
D'altra parte, è stato anche giustamente osservato che non escluderebbe, nè attenuerebbe la responsabilità dell' A. l'ipotesi che la caduta fosse stata causata da un malore del lavoratore o dall'avere egli inciampato su qualche ostacolo, atteso che, se l'imputato avesse curato di proteggere adeguatamente il lucernaio, munendolo dei presidi di sicurezza previsti dalle norme, la caduta dovuta a tali cause non avrebbe avuto alcuna conseguenza per il M.. Considerazioni che valgono anche a ritenere del tutto irrilevante la tesi, pure richiamata nel ricorso, che l'infortunio si sia verificato non durante le ore lavorative, bensì nell'ora di pausa.
Ancora, in tema di delega in materia di sicurezza, è stato correttamente osservato che, a prescindere dai profili di colpa, riferibili ad altri soggetti, concernenti la mancata formazione e informazione, e quindi la violazione del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 7, comma 1, lett. b) la responsabilità dell'imputato deve comunque ritenersi sussistente, laddove egli non ha eliminato, predisponendo le più opportune cautele, il rischio, del tutto evidente ed immediatamente percepibile, derivante dalla presenza dei numerosi lucernai coperti da semplici lastre di plexiglas trasparente. Donde l'irrilevanza della censura riguardante una presunta violazione dall'art. 7, comma 1, lett. b) del D.Lgs..
Alla messa in sicurezza dei luoghi di transito egli avrebbe dovuto tempestivamente provvedere, cioè prima ancora che iniziassero i lavori, in vista delle mansioni di "preposto" e responsabile di cantiere allo stesso attribuite, e di fatto esercitate, come ancora rilevato dal primo giudice. Argomento che evidentemente rende superfluo qualsiasi riferimento a presunte invalidità della delega formale, alla quale il ricorrente fa, peraltro, riferimento in maniera generica, laddove essa viene ricondotta, senza ulteriori indicazioni, alla mancanza di "sottoscrizione riconosciuta", ovvero contraddittoria, laddove fa riferimento alla mancanza di "data certa", mentre poco prima aveva indicato la data del (Omissis).
Osservazioni, quelle del giudice d'appello, che, pur nella necessaria sinteticità, hanno affrontato i temi essenziali della vicenda e che chiaramente hanno indicato la sussistenza di un preciso rapporto causale tra la condotta dell'imputato e l'evento determinatosi.
B) Ugualmente infondate sono le censure concernenti presunte violazioni di legge nelle quali i giudici del merito sarebbero incorsi.
Così, esclusa, come già sopra osservato, qualsiasi violazione dell'art. 7, comma 1, lett. b) cit. D.Lgs., inesistente deve ritenersi anche la dedotta, con il terzo motivo di ricorso, erronea applicazione dell'art. 8, comma 7, art. 10, e art. 389, lett. c) del D.P.R..
Sul punto, si è già correttamente e condivisibilmente espresso il giudice del gravame che, richiamando la normativa di riferimento ed i principi affermati da questa Corte, ha giustamente osservato che "aperture" devono essere considerate, non soltanto quelle esistenti nel suolo, ma anche quelle poste "nel pavimento dei luoghi e degli ambienti di lavoro e di passaggio ", che devono essere "provviste di solide coperture o di parapetti normali, atti ad impedire la caduta di persone" (art. 10 del richiamato D.P.R.). Non si comprende, d'altra parte, perchè, come genericamente sostiene il ricorrente con il settimo motivo di ricorso, detta disposizione non dovrebbe applicarsi nel caso di specie, visto che essa richiama anche le aperture poste nel pavimento dei luoghi di lavoro e di passaggio; in tali termini dovendo evidentemente qualificarsi il luogo dell'incidente.
Il ricorso deve essere, dunque, rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione alle parti civili delle spese del presente giudizio, che si liquidano in complessivi 2.500,00 Euro, oltre accessori come per legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre alla rifusione delle spese, in favore delle parti civili, che liquida in complessivi Euro 2.500,00 oltre accessori come per legge.