Infortunio mortale a lavoratore subordinato - Assenza di misure antinfortunistiche:  ponteggi, impalcature od opere provvisionali nonché mancato rispetto delle distanze da linee elettriche - Condanna del datore di lavoro che ricorre per Cassazione obiettando di non avere avuto rapporto di lavoro subordinato con la vittima ma perfettamente paritario - La Sez 4, prendendo atto della sottoposizione della vittima alle direttive dell'imputato, sostiene l'esistenza inequivocabile di un rapporto di lavoro subordinato e afferma la responsabilità dell'imputato - Sussiste

 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE FERIALE PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PIZZUTI Giuseppe - Presidente -
Dott. ESPOSITO Antonio - Consigliere -
Dott. VECCHIO Massimo - Consigliere -
Dott. BLAIOTTA Rocco Marco - Consigliere -
Dott. MARINI Luigi - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
 
SENTENZA
 
sul ricorso proposto da:
1) N.C., N. IL (OMISSIS);
avverso SENTENZA del 11/05/2007 CORTE APPELLO di LECCE;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. BLAIOTTA Rocco Marco;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. DELEHAYE Enrico,
che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito il difensore Avv. CASTRIGNANO' G., che ha chiesto l'accoglimento del ricorso.



FattoDiritto
 
Il Tribunale di Brindisi, sezione distaccata di Mesagne, ha affermato la penale responsabilità di N.P. in ordine al reato omicidio colposo in danno di C.L..
La pronunzia è stata confermata dalla Corte d'appello di Lecce.
L'imputazione riguarda un infortunio sul lavoro.
Secondo l'ipotesi accusatoria fatta propria dai giudici di merito, erano in corso lavori di pitturazione di una cabina elettrica ed il lavoratore C. si trovava su una scala a pioli in ferro ad un'altezza di circa 5 m. da terra quando, a causa di una scarica elettrica, perdeva l'equilibrio e cadeva in terra riportando lesioni letali.
La lavorazione avveniva in violazione della disciplina antinfortunistica, giacchè aveva luogo a meno di 5 metri dalle linee elettriche, senza che fosse stata adottata alcuna misura di protezione atta ad evitare accidentali contatti o pericolosi avvicinamenti dei lavoratori alle linee stesse.
La pitturazione, inoltre si svolgeva ad un'altezza superiore a 2 m, senza impalcature, ponteggi od opere provvisionale idonee ad eliminare i pericoli di caduta.
I lavori erano eseguiti dall'imputato, socio di una cooperativa proprietaria della cabina elettrica, a seguito di incarico ricevuto dalla stessa cooperativa.
Egli aveva ritenuto di avvalersi della cooperazione della vittima.
In conseguenza, i giudici di merito hanno ritenuto che il N. rivestisse la qualifica di datore di lavoro; e che debba essere pertanto ritenuto responsabile dell'evento letale a causa della mancata predisposizione delle necessarie misure di sicurezza.
Ricorre per cassazione il difensore deducendo diversi motivi.
Con il primo motivo si contesta l'esistenza di una posizione di garanzia a carico del N..
Fra i due lavoratori, infatti, esisteva una situazione di collaborazione perfettamente paritaria.
Ne rileva che il lavoro fosse stato trovato dal ricorrente e che dallo stesso fosse stata messa a disposizione la scala, giacchè gli strumenti per la pitturazione erano stati forniti da entrambi.
Si lamenta altresì che si è voluto attribuire all'imputato un ruolo che non aveva, escludendo inspiegabilmente profili di responsabilità per il rappresentante legale della cooperativa che rivestiva la veste di committente dei lavori.
Con il secondo motivo si deduce vizio della motivazione: la pitturazione avveniva utilizzando un lungo bastone con un rullo all'apice, mentre la scala aveva il solo scopo di consentire il raggiungimento del lastrico solare per ivi effettuare la relativa bitumazione.
Di tale dato si sarebbe dovuto tener conto al fine di verificare l'esistenza di violazioni della disciplina antinfortunistica.
Con il terzo motivo si deduce che, essendo stato già il lavoro completato, il comportamento del C., che inopinatamente e senza alcuna plausibile ragione salì nuovamente sulla scala, è imprudente e completamente imprevedibile.
Se ne inferisce l'inesistenza del nesso causale.
Il primo motivo di ricorso è infondato.
La pronunzia d'appello richiama quella di primo grado, condividendone pienamente l'impostazione, in particolare per ciò che riguarda la natura del rapporto tra l'imputato ed il C. e l'esistenza di una posizione di garanzia a carico dell'imputato stesso.
Si era infatti in presenza di un rapporto di lavoro subordinato, sia pure caratterizzato da alcune peculiarità.
D'altra parte, osserva ancora il giudice d'appello, il D.Lgs. n. 626 del 1994, predispone un sistema di misure prevenzionali finalizzate a garantire non solo i lavoratori subordinati ma anche i lavoratori autonomi.
La richiamata pronunzia del primo giudice fornisce ulteriori e più diffusi argomenti a sostegno della tesi accusatori evidenziando che la disciplina in questione si applica a tutte le prestazioni di lavoro subordinato, in tutti i settori di attività, con esclusione del lavoro a domicilio.
Lavoratore subordinato è colui che presta il proprio lavoro alle dipendenze altrui con o senza retribuzione; e la disciplina individua altresì alcuni soggetti equiparati ai lavoratori subordinati, come i soci delle cooperative, gli allievi di istituti d'istruzione eccetera.
Nel caso esaminato, afferma ancora il giudice, i lavori sono stati eseguiti dalla vittima sottostando, di fatto, alle direttive dell'imputato.
E' stato lo stesso N. ad affermare che egli contattò il C. per offrirgli il lavoro;
che si era impegnato a pagarlo, sia pure con il danaro proveniente dalla cooperativa; che fu lui a stabilire l'ordine e le modalità dei lavori, fornendo i mezzi ed in particolare la scala con la quale il C. ridetto stava eseguendo i lavori di pitturazione.
Tutti tali elementi consentono di ritenere che tra i due vi fosse un rapporto di lavoro subordinato.
Si tratta di un compiuto accertamento in fatto, che delinea persuasivamente una condizione di subordinazione della vittima.
In conseguenza, correttamente è stata individuata una posizione di garanzia a carico dell'imputato nella veste di datore di lavoro; con il conseguente obbligo di predisporre le misure occorrenti ad assicurare la sicurezza del lavoro.
Nè le peculiarità del rapporto in questione valgono a rendere inapplicabile la disciplina legale in tema di sicurezza del lavoro.
Infatti il D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 2,, nel testo novellato dal D.Lgs. n. 242 del 1996, innovando rispetto alla formulazione originaria della norma, pone l'accento, ai fini dell'individuazione della figura del datore di lavoro, non tanto sulla titolarità del rapporto di lavoro, quanto sulla responsabilità dell'impresa, sull'esistenza di poteri decisionali.
Si fa leva, quindi, precipuamente sulla situazione di fatto: alla titolarità dei poteri di organizzazione e gestione corrisponde simmetricamente il dovere di predisporre le necessarie misure di sicurezza.
Tale ordine concettuale si rinviene implicitamente per ciò che riguarda la definizione, nello stesso richiamato art. 2, della figura del lavoratore, caratterizzata, nel suo nucleo essenziale, dalla condizione di dipendenza, di subordinazione rispetto ad altri che assume su di sè la gestione della prestazione.
Si può dunque concludere che tale relazione di fatto determina l'applicabilità della disciplina di cui si discute.
Del resto, già nel passato questa Corte ha ripetutamente avuto occasione di focalizzare il rapporto di lavoro subordinato sulla reciproca relazione di fatto tra i soggetti che vi sono coinvolti;
configurandolo anche quando il lavoro viene svolto per mero favore (Cass. 4, 4 marzo 1982, n. 2232; Cass. 4, 7 marzo 1990 n. 3273).
Alla luce di tali principi e del richiamato accertamento in fatto sui rapporti tra l'imputato e la vittima, correttamente è stata ritenuta l'esistenza del rapporto di lavoro e dei connessi obblighi in materia antinfortunistica.
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile poichè tenta di riproporre una differente ricostruzione del fatto, accreditando l'ipotesi che la pitturazione avvenisse utilizzando delle lunghe pertiche e non una scala.
Si tratta di operazione con tutta evidenza non consentita nella presente sede di legittimità.
D'altra parte, ove pure si volesse ritenere che la scala servisse solo per raggiungere il tetto della cabina, non verrebbe certo meno l'obbligo di rispettare le misure di sicurezza, particolarmente per ciò che riguarda il controllo del pericolo derivante dalla vicina linea elettrica.
Pure il terzo motivo è del tutto infondato.
Infatti, la scala era stata collocata proprio per consentire le lavorazioni; sicchè il suo uso da parte del lavoratore non costituisce con tutta evidenza evento completamente esorbitante ed abnorme tale da interrompere il nesso causale.
Al rigetto del ricorso segue, ex lege, la condanna al pagamento delle spese processuali.


P.Q.M.
 
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 21 agosto 2007.
Depositato in Cancelleria il 17 settembre 2007