- Amianto
Responsabilità del rappresentante legale ed amministrativo di una ditta per non aver adottato misure adeguate ad evitare lo spargimento e l'abbandono di residui minuti contenenti amianto, e per non aver provveduto alla raccolta o alla rimozione di essi - Utilizzabilità delle analisi effettuate senza preavviso sui campioni prelevati - Sussiste.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE MAIO Guido - Presidente -
Dott. GRASSI Aldo - Consigliere -
Dott. PETTI Ciro - Consigliere -
Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere -
Dott. SARNO Giulio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE MAIO Guido - Presidente -
Dott. GRASSI Aldo - Consigliere -
Dott. PETTI Ciro - Consigliere -
Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere -
Dott. SARNO Giulio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
C.P., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del Tribunale, in composizione monocratica, di Tortona, datata 24/10/'05;
Visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
Udita la relazione fatta dal Cons. Dott. Grassi;
Udito il P.M., in persona del S. Procuratore Generale Dott. Meloni V., il quale ha chiesto l'annullamento, con rinvio, della decisione
impugnata limitatamente alla determinazione della pena;
Ascoltato l'Avv. Simon Pietro Ciotti, sostituto processuale dell'Avv. C. Gilli, difensore di fiducia del ricorrente.
La Corte Suprema di Cassazione Osserva:
C.P., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del Tribunale, in composizione monocratica, di Tortona, datata 24/10/'05;
Visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
Udita la relazione fatta dal Cons. Dott. Grassi;
Udito il P.M., in persona del S. Procuratore Generale Dott. Meloni V., il quale ha chiesto l'annullamento, con rinvio, della decisione
impugnata limitatamente alla determinazione della pena;
Ascoltato l'Avv. Simon Pietro Ciotti, sostituto processuale dell'Avv. C. Gilli, difensore di fiducia del ricorrente.
La Corte Suprema di Cassazione Osserva:
Fatto
Con sentenza del Tribunale, in composizione monocratica, di Tortona, datata 24/10/'05, C.P., in seguito ad opposizione a decreto penale, veniva condannato, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche dichiarate equivalenti alla recidiva specifica infraquinquennale contestatagli, alla pena di Euro 2.000,00 di ammenda quale colpevole del reato previsto dal D.Lgs. 15 ottobre 1991, n. 277, art. 27, comma 1, lett. g) e art. 50, comma 1, lett. a), del quale era chiamato a rispondere per non avere, quale rappresentante legale ed amministratore della "Econord", in occasione dei lavori di rimozione di lastre di eternit presso la stazione ferroviaria di Tortona, adottato misure adeguate ad evitare lo spargimento e l'abbandono di residui minuti, contenenti amianto, nè provveduto alla raccolta e rimozione di essi per il successivo loro smaltimento, come accertato il (OMISSIS).
Il Giudice di merito affermava e riteneva:
a) che la responsabilità penale dell'imputato, in ordine al reato ascrittogli, era in atti provata dalla deposizione del teste L., ufficiale di p.g. presso la A.S.L., il quale in sede di sopraluogo aveva accertato che al termine delle operazioni di rimozione delle lastre di eternit, l'impresa del C. aveva lasciato, sia sulla parte in cemento della stazione ferroviaria, che sulla ghiaia della relativa massicciata, diversi detriti di lastre di cemento amianto, i quali rilasciavano nell'ambiente fibre dannose;
b) che dalle analisi prodotte dal P.M. era emerso come i detriti in questione contenessero crisotilo e crocidolite, componenti dell'amianto;
c) che la tesi difensiva dell'imputato, il quale aveva sostenuto che i detti detriti, peraltro non incapsulati, sarebbero stati lasciati "in loco" dagli operai di altre imprese impegnati presso la medesima stazione ferroviaria nella realizzazione di opere diverse, era da disattendere perché sfornita di prova e perché non erano stati allegati elementi onde ritenere che i dipendenti del C. avessero provveduto abitualmente ad incapsulare le lastre di eternit prima della loro rimozione.
Avverso detta decisione l'imputato ha proposto ricorso per Cassazione e ne chiede l'annullamento per violazione di legge e difetto di motivazione.
Deduce, in particolare, il ricorrente:
1. la nullità del giudizio e della sentenza conclusiva di esso, per indeterminatezza del capo d'imputazione, che non specificherebbe il luogo del commesso reato, la condotta colpevole attribuitagli, nè le cautele che si sarebbero dovute adottare per evitare la consumazione del fatto di reato;
2. la nullità del decreto penale di condanna, opposto, perché la pena chiesta dal P.M. ed in esso riportata, non avrebbe contemplato la diminuzione di cui all'art. 459 c.p.p., comma 2;
3. l'inutilizzabilità, per violazione delle norme di cui all'art. 223 disp. att. c.p.p., delle analisi effettuate sui campioni senza preventivo avviso a lui o al suo difensore e senza che egli fosse stato messo in condizione di chiederne la revisione, non risultando che i campioni prelevati fossero stati sottoposti a sequestro;
4. la mancanza di adeguata e logica motivazione in ordine alla ritenuta attribuibilità agli operai da lui dipendenti dell'abbandono dei residui di che trattasi, nonostante la contestuale presenza di lavoratori di altre imprese;
5. la sopravvenuta illegittimità della contestazione della recidiva, a seguito della modifica apportata all'art. 99 c.p., dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251, art. 4, avendo egli riportato, in precedenza, soltanto una sentenza di applicazione di pena patteggiata, per contravvenzioni;
6. in subordine, l'omessa motivazione del giudizio di equivalenza, e non di prevalenza, delle attenuanti generiche sulla recidiva e la mancata concessione del beneficio della non menzione della condanna nel suo certificato penale.
Con memoria datata 29/6/07 il difensore del ricorrente ha ulteriormente segnalato l'avvenuta abrogazione delle disposizioni contenute nel capo 3 del D.Lgs. 15 agosto 1991, n. 277 ad opera del D.Lgs. 25 luglio 2006, n. 257 e ne ha dedotto che la decisione impugnata dovrebbe essere annullata senza rinvio, non essendo il fatto più previsto dalla legge come reato o, in subordine, con rinvio per la determinazione della pena, essendo le sanzioni previste dal citato D.Lgs. n. 257 del 2006 meno gravi delle precedenti.
Il Giudice di merito affermava e riteneva:
a) che la responsabilità penale dell'imputato, in ordine al reato ascrittogli, era in atti provata dalla deposizione del teste L., ufficiale di p.g. presso la A.S.L., il quale in sede di sopraluogo aveva accertato che al termine delle operazioni di rimozione delle lastre di eternit, l'impresa del C. aveva lasciato, sia sulla parte in cemento della stazione ferroviaria, che sulla ghiaia della relativa massicciata, diversi detriti di lastre di cemento amianto, i quali rilasciavano nell'ambiente fibre dannose;
b) che dalle analisi prodotte dal P.M. era emerso come i detriti in questione contenessero crisotilo e crocidolite, componenti dell'amianto;
c) che la tesi difensiva dell'imputato, il quale aveva sostenuto che i detti detriti, peraltro non incapsulati, sarebbero stati lasciati "in loco" dagli operai di altre imprese impegnati presso la medesima stazione ferroviaria nella realizzazione di opere diverse, era da disattendere perché sfornita di prova e perché non erano stati allegati elementi onde ritenere che i dipendenti del C. avessero provveduto abitualmente ad incapsulare le lastre di eternit prima della loro rimozione.
Avverso detta decisione l'imputato ha proposto ricorso per Cassazione e ne chiede l'annullamento per violazione di legge e difetto di motivazione.
Deduce, in particolare, il ricorrente:
1. la nullità del giudizio e della sentenza conclusiva di esso, per indeterminatezza del capo d'imputazione, che non specificherebbe il luogo del commesso reato, la condotta colpevole attribuitagli, nè le cautele che si sarebbero dovute adottare per evitare la consumazione del fatto di reato;
2. la nullità del decreto penale di condanna, opposto, perché la pena chiesta dal P.M. ed in esso riportata, non avrebbe contemplato la diminuzione di cui all'art. 459 c.p.p., comma 2;
3. l'inutilizzabilità, per violazione delle norme di cui all'art. 223 disp. att. c.p.p., delle analisi effettuate sui campioni senza preventivo avviso a lui o al suo difensore e senza che egli fosse stato messo in condizione di chiederne la revisione, non risultando che i campioni prelevati fossero stati sottoposti a sequestro;
4. la mancanza di adeguata e logica motivazione in ordine alla ritenuta attribuibilità agli operai da lui dipendenti dell'abbandono dei residui di che trattasi, nonostante la contestuale presenza di lavoratori di altre imprese;
5. la sopravvenuta illegittimità della contestazione della recidiva, a seguito della modifica apportata all'art. 99 c.p., dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251, art. 4, avendo egli riportato, in precedenza, soltanto una sentenza di applicazione di pena patteggiata, per contravvenzioni;
6. in subordine, l'omessa motivazione del giudizio di equivalenza, e non di prevalenza, delle attenuanti generiche sulla recidiva e la mancata concessione del beneficio della non menzione della condanna nel suo certificato penale.
Con memoria datata 29/6/07 il difensore del ricorrente ha ulteriormente segnalato l'avvenuta abrogazione delle disposizioni contenute nel capo 3 del D.Lgs. 15 agosto 1991, n. 277 ad opera del D.Lgs. 25 luglio 2006, n. 257 e ne ha dedotto che la decisione impugnata dovrebbe essere annullata senza rinvio, non essendo il fatto più previsto dalla legge come reato o, in subordine, con rinvio per la determinazione della pena, essendo le sanzioni previste dal citato D.Lgs. n. 257 del 2006 meno gravi delle precedenti.
Diritto
La denunciata indeterminatezza del capo di imputazione non sussiste, essendo stati chiaramente contestati, all'imputato, il fatto di reato ed il luogo di commissione di esso (abbandono, in esito all'esecuzione dei lavori di rimozione di lastre di eternit nella stazione ferroviaria di Tortona, di detriti contenenti amianto).
Le cautele da adottare per evitare detto fatto non dovevano essere specificate in imputazione, essendo previste dal D.Lgs. n. 277 del 1991, art. 27, comma 1, lett. g), indicato in rubrica.
Anche il secondo motivo di censura è infondato.
A mente dell'art. 464 c.p.p., comma 3, infatti, nel giudizio conseguente ad opposizione tempestivamente proposta e non dichiarata inammissibile, il decreto penale di condanna viene revocato "ope legis", anche a prescindere da un formale provvedimento, al riguardo, da parte del Giudice del dibattimento (v. conf. Cass. sez. 3^ pen., 7/5/'97, Bortolotti e 19/9/'00, Franco).
Qualsiasi vizio del detto decreto può essere fatto valere esclusivamente con l'opposizione di cui all'art. 461 c.p.p. che, se è tempestiva ed ammissibile, ne determina la revoca come atto preliminare del successivo giudizio nel quale, dunque, non può più essere eccepito, essendo relativo ad un provvedimento che, con la revoca, ha cessato di spiegare i propri effetti (v. conf. Cass. Sez. 3^ pen., 20/6/'06, Genovese).
La dedotta inutilizzabilità dei risultati delle analisi sui campioni prelevati non sussiste.
A norma dell'art. 223 disp. att. c.p.p., comma 1, le analisi di campioni debbono essere precedute, a pena di nullità di ordine generale a regime intermedio, dall'avviso, anche orale, all'interessato del giorno, dell'ora e del luogo in cui saranno effettuate, solo se trattasi di analisi per le quali non è prevista la revisione.
Nel caso in esame si trattava di analisi su campioni - non deperibili - di detriti solidi, suscettibili di revisione che, ex art. 223 disp. att. c.p.p., comma 2 avrebbe potuto essere chiesta dal C. e non lo fu.
La tesi secondo cui detta revisione non sarebbe stata chiesta per non essere stati sequestrati i campioni dei detriti prelevati, non può essere condivisa in quanto l'imputato, o il di lui difensore, avrebbero dovuto comunque chiederla e solo se essa non fosse stata effettuata per avvenuta distruzione dei campioni prelevati - che non dovevano essere sottoposti a sequestro - si sarebbe potuta lamentare la dedotta violazione dei diritti di difesa.
La responsabilità penale dell'imputato, in ordine al reato ascrittogli, è stata ritenuta con motivazione incensurabile, in questa sede, perchè adeguata, giuridicamente corretta e non manifestamente illogica, fondata sulla deposizione del teste L., ufficiale di p.g. presso la A.S.L., il quale in sede di sopraluogo aveva accertato che al termine delle operazioni di rimozione delle lastre di eternit, l'impresa del C. aveva lasciato, sia sulla parte in cemento della stazione ferroviaria, che sulla ghiaia della relativa massicciata, diversi detriti di lastre di cemento amianto, i quali rilasciavano nell'ambiente fibre dannose.
Anche la tesi difensiva, circa la possibilità che i detriti in questione fossero stati abbandonati da operai di altre imprese, è stata valutata e respinta, in sede di merito, con argomentazioni incensurabili.
La dedotta depenalizzazione del fatto non sussiste in quanto la condotta attribuita al C. continua ad essere prevista - senza soluzioni di continuo - come reato contravvenzionale dal D.Lgs. 25 luglio 2006, n. 257, art. 59 duodecies.
La sanzione oggi irrogabile per tale illecito penale, prevista dal combinato disposto del D.Lgs. n. 257 del 2006, art. 3, comma 1, lett. b) e D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 89, comma 2, è però più milite della precedente, sicchè la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio, sul punto della determinazione della pena.
Tale annullamento va pronunciato anche per l'ulteriore ragione costituita dalla sopravvenuta illegittimità della contestazione della recidiva, in quanto a mente dell'art. 99 c.p., come modificato dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251, successiva alla data della decisione impugnata, la recidiva può essere ritenuta solo nel caso che l'imputato, dopo essere stato condannato per un delitto non colposo, ne commetta un altro.
Nella fattispecie in esame, dal certificato in atti, a carico del C. risulta un unico precedente penale, essendo stata emessa nei di lui confronti, il 26 marzo 2001, una sentenza di applicazione di pena patteggiata (Euro 3.150,00 di ammenda) per contravvenzioni.
Ne deriva che a carico dello stesso non può più essere ritenuta esistente la recidiva contestatagli e che le circostanze attenuanti generiche, riconosciutegli, debbono essere diversamente valutate nel computo della pena da infliggergli, previa considerazione - omessa nella decisione impugnata - dei parametri di cui all'art. 133 c.p..
L'ultima doglianza, quella relativa alla mancata applicazione del beneficio di cui all'art. 175 c.p., resta in conseguenza assorbita.
Alla luce delle esposte considerazioni la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio, nel solo punto della determinazione della pena, fermi restando ormai la ritenuta esistenza del reato e l'attribuzione di esso al ricorrente.
Le cautele da adottare per evitare detto fatto non dovevano essere specificate in imputazione, essendo previste dal D.Lgs. n. 277 del 1991, art. 27, comma 1, lett. g), indicato in rubrica.
Anche il secondo motivo di censura è infondato.
A mente dell'art. 464 c.p.p., comma 3, infatti, nel giudizio conseguente ad opposizione tempestivamente proposta e non dichiarata inammissibile, il decreto penale di condanna viene revocato "ope legis", anche a prescindere da un formale provvedimento, al riguardo, da parte del Giudice del dibattimento (v. conf. Cass. sez. 3^ pen., 7/5/'97, Bortolotti e 19/9/'00, Franco).
Qualsiasi vizio del detto decreto può essere fatto valere esclusivamente con l'opposizione di cui all'art. 461 c.p.p. che, se è tempestiva ed ammissibile, ne determina la revoca come atto preliminare del successivo giudizio nel quale, dunque, non può più essere eccepito, essendo relativo ad un provvedimento che, con la revoca, ha cessato di spiegare i propri effetti (v. conf. Cass. Sez. 3^ pen., 20/6/'06, Genovese).
La dedotta inutilizzabilità dei risultati delle analisi sui campioni prelevati non sussiste.
A norma dell'art. 223 disp. att. c.p.p., comma 1, le analisi di campioni debbono essere precedute, a pena di nullità di ordine generale a regime intermedio, dall'avviso, anche orale, all'interessato del giorno, dell'ora e del luogo in cui saranno effettuate, solo se trattasi di analisi per le quali non è prevista la revisione.
Nel caso in esame si trattava di analisi su campioni - non deperibili - di detriti solidi, suscettibili di revisione che, ex art. 223 disp. att. c.p.p., comma 2 avrebbe potuto essere chiesta dal C. e non lo fu.
La tesi secondo cui detta revisione non sarebbe stata chiesta per non essere stati sequestrati i campioni dei detriti prelevati, non può essere condivisa in quanto l'imputato, o il di lui difensore, avrebbero dovuto comunque chiederla e solo se essa non fosse stata effettuata per avvenuta distruzione dei campioni prelevati - che non dovevano essere sottoposti a sequestro - si sarebbe potuta lamentare la dedotta violazione dei diritti di difesa.
La responsabilità penale dell'imputato, in ordine al reato ascrittogli, è stata ritenuta con motivazione incensurabile, in questa sede, perchè adeguata, giuridicamente corretta e non manifestamente illogica, fondata sulla deposizione del teste L., ufficiale di p.g. presso la A.S.L., il quale in sede di sopraluogo aveva accertato che al termine delle operazioni di rimozione delle lastre di eternit, l'impresa del C. aveva lasciato, sia sulla parte in cemento della stazione ferroviaria, che sulla ghiaia della relativa massicciata, diversi detriti di lastre di cemento amianto, i quali rilasciavano nell'ambiente fibre dannose.
Anche la tesi difensiva, circa la possibilità che i detriti in questione fossero stati abbandonati da operai di altre imprese, è stata valutata e respinta, in sede di merito, con argomentazioni incensurabili.
La dedotta depenalizzazione del fatto non sussiste in quanto la condotta attribuita al C. continua ad essere prevista - senza soluzioni di continuo - come reato contravvenzionale dal D.Lgs. 25 luglio 2006, n. 257, art. 59 duodecies.
La sanzione oggi irrogabile per tale illecito penale, prevista dal combinato disposto del D.Lgs. n. 257 del 2006, art. 3, comma 1, lett. b) e D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 89, comma 2, è però più milite della precedente, sicchè la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio, sul punto della determinazione della pena.
Tale annullamento va pronunciato anche per l'ulteriore ragione costituita dalla sopravvenuta illegittimità della contestazione della recidiva, in quanto a mente dell'art. 99 c.p., come modificato dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251, successiva alla data della decisione impugnata, la recidiva può essere ritenuta solo nel caso che l'imputato, dopo essere stato condannato per un delitto non colposo, ne commetta un altro.
Nella fattispecie in esame, dal certificato in atti, a carico del C. risulta un unico precedente penale, essendo stata emessa nei di lui confronti, il 26 marzo 2001, una sentenza di applicazione di pena patteggiata (Euro 3.150,00 di ammenda) per contravvenzioni.
Ne deriva che a carico dello stesso non può più essere ritenuta esistente la recidiva contestatagli e che le circostanze attenuanti generiche, riconosciutegli, debbono essere diversamente valutate nel computo della pena da infliggergli, previa considerazione - omessa nella decisione impugnata - dei parametri di cui all'art. 133 c.p..
L'ultima doglianza, quella relativa alla mancata applicazione del beneficio di cui all'art. 175 c.p., resta in conseguenza assorbita.
Alla luce delle esposte considerazioni la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio, nel solo punto della determinazione della pena, fermi restando ormai la ritenuta esistenza del reato e l'attribuzione di esso al ricorrente.
P.Q.M.
Così deciso in Roma, il 6 luglio 2007.
Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2007