• Datore di Lavoro
 
Responsabilità del datore di lavoro per aver omesso di comunicare alla ASL lo svolgimento dell'attività lavorativa - L'art. 48 del D.P.R. 303/1956 afferma l'obbligo di comunicazione alla pubblica amministrazione a carico di coloro che intendono avviare un'attivita produttiva - La suddetta comunicazione non può essere fatta oltre il termine stabilito  -  La Corte rigetta il ricorso  negando rilevanza scusante alla necessità di porre in essere  gli adempimenti di documentazione necessaria che avrebbero dovuto essere effettuati prima del controllo operato dalla ASL.


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ONORATO Pierluigi - Presidente -
Dott. PETTI Ciro - Consigliere -
Dott. LOMBARDI Alfredo Maria - Consigliere -
Dott. MARINI Luigi - Consigliere -
Dott. GAZZARA Santi - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
M.S., nata a (OMISSIS);
Avverso la sentenza emessa in data 10 Aprile 2007 dal Tribunale di Monza, Sezione distaccata di Desio, che l'ha condannata alla pena complessiva di Euro 4.000,00 di ammenda (pena interamente condonata) per i reati previsti dal D.P.R. n. 303 del 1956, art. 48, comma 1 (capo A) e dall'art. 20 della medesima legge (capo B).
Fatto contestato al 2 Marzo 2004.
Sentita la relazione effettuata dal Consigliere Dott. Luigi Marini;
Udito il Pubblico Ministero nella persona del CONS. Dott. BUA Francesco, che ha concluso per il rigetto del ricorso.



Fatto

A seguito di ispezione dell'ASL competente e dei successivi accertamenti, la Sig.ra M. è stata tratta a giudizio per rispondere dei reati previsti dal D.P.R. n. 303 del 1956, art. 48, comma 1 (capo A) e dall'art. 20 della medesima legge (capo B) perchè, quale legale rappresentante della ditta "IMBOKLASS" di Nova Milanese, ha omesso di comunicare alla ASL lo svolgimento dell'attività lavorativa ed omesso di installare i dispositivi di captazione necessari quando si svolgono attività di imballaggio con uso di collanti.
Il Tribunale, ritenuta sussistere la prova di entrambi i reati, ha fissato per ciascuno di essi, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, la pena di Euro 2.000,00 di ammenda, e così complessivamente Euro 4.000,00, pena interamente condonata ai sensi della L. n. 241 del 2006.
Attraverso il proprio difensore la Sig.ra M. ha proposto dichiarazione di appello, lamentando, con primo motivo, la insussistenza del reato contestato al capo A).
Rileva la ricorrente di non avere omesso la prevista comunicazione, ma di averla soltanto trasmessa oltre il termine stabilito nel verbale redatto dalla ASL;
trattandosi di termine non perentorio e dovendo il ritardo essere addebitato alla necessità di raccogliere tutta la documentazione richiesta, non sussisterebbe alcuna violazione penalmente rilevante.
Con secondo motivo, lamenta la mancata declaratoria che il fatto contestato sub B) non sussiste o non costituisce reato.
Evidenzia la ricorrente che tra la documentazione presentata alla ASL vi è una consulenza specialistica che, andando di contrario avviso rispetto alla richiesta della ASL, evidenzia la non necessità dell'impianto di aspirazione in quanto il volume massimo di collanti utilizzati giornalmente nella lavorazione ammonta a soli 5 kg. contro i 100 richiesti dal D.Lgs. n. 277 del 1991.
Con terzo motivo di appello si chiedeva l'applicazione dell'art. 81 cpv, con riconoscimento della continuazione tra le due fattispecie.
Dal momento che la sentenza di condanna alla sola pena dell'ammenda non è soggetta ad appello, gli atti sono stati trasmessi a questa Corte.




Diritto

La Corte rileva preliminarmente che i motivi di appello risultano fondamentalmente coerenti con la scelta di impugnare la decisione del Tribunale con lo strumento dell'appello, e di conseguenza poco rispettosi dei criteri che presiedono all'impugnazione davanti al giudice di legittimità.
Tale limite è particolarmente evidente per il terzo motivo di ricorso, palesemente estraneo ai casi che legittimano il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 606 c.p.p..
Oltre ad essere assolutamente generico, il motivo non individua alcuna violazione di legge o alcun vizio di motivazione che legittimi l'impugnazione avanti il giudice di legittimità, e deve essere pertanto dichiarato inammissibile.
A diversa valutazione deve giungersi per i primi due motivi di appello, i quali presentano contenuti potenzialmente riconducibili alle previsioni contenute nella prima parte dell'art. 606 c.p.p. e debbono pertanto essere esaminati da questa Corte.
Il primo motivo di ricorso è infondato.
La disposizione contenuta nel D.P.R. n. 303 del 1956, art. 48 introduce un obbligo di comunicazione alla pubblica amministrazione a carico di coloro che intendono avviare un'attività produttiva.
La evidente ratio di tale disposizione è quella di mettere gli organi di controllo in condizione di essere tempestivamente informati dell'avvio delle attività, così da poter intervenire utilmente a mezzo di verifiche, indicazioni e prescrizioni.
Se questo è il contenuto della previsione normativa e questa la sua finalità, non vi è dubbio che ha ragione il primo giudice nel ritenere che la ricorrente abbia effettuato la comunicazione senza rispettare l'obbligo di legge, così come non si può condividere la prospettiva difensiva che attribuisce rilevanza scusante alla necessità di porre in essere (tardivamente) gli adempimenti di documentazione e informazione che avrebbero dovuto effettuati prima del controllo operato dalla ASL.
Anche il secondo motivo è infondato.
Le valutazioni operate con la relazione tecnica di parte attengono alla esistenza dei presupposti in fatto che fanno sorgere l'obbligo del datore di lavoro di dotare di aspiratori i locali ove si svolgono attività che richiedono l'applicazione di collanti.
Su tale punto la pur sintetica sentenza impugnata ha dato atto che il personale della ASL aveva ritenuto necessario la presenza di apparecchi di aspirazione e formulato specifica richiesta in tal senso, richiesta rimasta insoddisfatta senza che la parte si sia attivata per ottenere la modifica di tale prescrizione.
Si è in presenza di motivazione corretta e logica, che non è soggetta a censura in sede di legittimità, non potendo la Corte di cassazione spingere il proprio sindacato fino alla rivalutazione degli elementi di prova.
Si rinvia sul punto ai principi fissati dalla sentenza delle Sezioni Unite Penali, n. 2120, del 23 novembre 1995-23 febbraio 1996, Fachini (rv 203767) e quindi confermati dalla più recente giurisprudenza, richiamando tra le altre la sentenza della Seconda Sezione Penale della Corte, 5 maggio-7 giugno 2006, n. 19584, Capri ed altra (rv 233773, rv 233774, rv 233775) e la sentenza della Sesta Sezione Penale, 24 marzo-20 aprile 2006, n. 14054, Strozzanti (rv 233454).
Al rigetto del ricorso consegue l'obbligo per la ricorrente, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., di sostenere le spese del presente giudizio.



P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2008.
Depositato in Cancelleria il 29 febbraio 2008