Cassazione Penale, Sez. 5, 29 gennaio 2013, n. 4324 - Può la società capogruppo rispondere per il reato commesso nell'ambito dell'attività di una società controllata?





REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TERESI Alfredo - Presidente -
Dott. OLDI Paolo - Consigliere -
Dott. ZAZA Carlo - rel. Consigliere -
Dott. SABEONE Gerardo - Consigliere -
Dott. PISTORELLI Luca - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso proposto da:
1. D.S., nato a (Omissis);
2. Unipol Gruppo Finanziario s.p.a.;
avverso la sentenza del 16/07/2010 della Corte d'Appello di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato, i ricorsi e la memoria depositata dalla parte civile;
udita la relazione svolta dal Consigliere Carlo Zaza;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Francesco Salzano, che ha concluso per l'annullamento senza  rinvio della sentenza impugnata per prescrizione con conferma delle altre statuizioni;
udito per la parte civile l'avv. Emanuela Di Lazzaro, che ha concluso per la conferma delle statuizioni civili della sentenza impugnata  depositando nota spese;
uditi per l'imputato e la responsabile civile l'avv. SIROTTI LUCA e l'avv. Franco Carlo Coppi, che hanno concluso per l'accoglimento dei ricorsi.


Fatto



1. Con la sentenza impugnata, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Milano in data 14/05/2008, D.S., direttore finanziario della Unipol S.p.A., veniva condannato alla pena di mesi dieci di reclusione, nonchè al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile Consob, per il reato di cui all'art. 2637 c.c., e D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 185, commesso nelle sedute di borsa dei giorni 19, 20, 21, 24, 25, 26, 27, 28 e 31 marzo e 1 aprile 2003 mediante acquisti da parte della Meieaurora s.p.a., società appartenente allo stesso gruppo Unipol ed amministrata dal D., tramite l'intermediaria Cofiri Sim s.p.a., di azioni Unipol privilegiate, con modalità tali da creare una tendenza al rialzo progressivo da Euro 1,669 ad Euro.1,781 del prezzo dei titoli, dei quali un pacchetto di 4,5 milioni veniva venduto il 31/03/2003 al prezzo unitario di Euro 1,76 dalla Finsoe s.p.a., società controllante la Unipol, con un vantaggio economico di Euro 409.000.

Con la stessa sentenza la Unipol veniva ritenuta responsabile di illecito amministrativo dipendente dal reato di cui sopra e condannata alla sanzione di Euro 10.300, così ridotta la sanzione inflitta in primo grado.

2. L'imputato e l'ente ritenuto amministrativamente responsabile ricorrono sui punti e per i motivi che seguono.

2.1. Sulla competenza territoriale del Tribunale di Milano, ritenuta in base alla sede del mercato borsistico presso il quale si manifestava l'operatività della condotta nella sua attitudine a produrre l'alterazione del prezzo delle azioni, i ricorrenti deducono violazione di legge e difetto di motivazione osservando che, a seguito della fusione di Borsa Italiana s.p.a. con London Exchange Limited, il mercato borsistico italiano si serve della piattaforma digitale inglese; che comunque il reato contestato è fattispecie di mera condotta che, pur se connotata da modalità idonee a produrre un determinato evento, lascia tuttavia quest'ultimo estraneo alla consumazione del reato; e che la competenza territoriale è pertanto determinata nella specie dal luogo di conclusione dell'acquisto dei titoli, registrati sul conto dell'acquirente in (Omissis).

2.2. Sulla ritenuta utilizzabilità della relazione informativa della Consob, delle informazioni acquisite dagli indagati nel corso dell'attività ispettiva e delle registrazioni delle comunicazioni telefoniche fra il D. e G.D., operatore per la Cofiri, effettuate ai sensi dell'art. 62 del regolamento della Consob, acquisite in quanto rispettivamente documento i cui contenuti venivano peraltro discussi nel contraddittorio dibattimentale sull'escussione teste D., dichiarazioni rese in sede diversa da quella processuale ed atti irripetibili, i ricorrenti deducono violazione di legge e difetto di motivazione osservando che la natura documentale della relazione era esclusa dalla presenza di contenuti valutativi che il contraddittorio dibattimentale non rendeva comunque utilizzabili, dalla conclusione della relazione con la richiesta di avviso dell'eventuale archiviazione, che la rendeva atto non meramente amministrativo ma viceversa diretto al procedimento penale, e dalla violazione dell'art. 220 disp. att. c.p.p., per il compimento di atti necessari ad assicurare le fonti di prova senza l'osservanza delle disposizioni del codice; che il diritto al silenzio dell'indagato anche nel corso di un'inchiesta amministrativa è garantito dalla giurisprudenza comunitaria formatasi sull'art. 6 CEDU; e che proprio l'irripetibilità delle registrazioni delle telefonate ne imponeva l'acquisizione, mediante la trasposizione su supporti informatici, con le forme dell'incidente probatorio o dell'accertamento tecnico ai sensi dell'art. 360 c.p.p., in modo da consentire alla difesa di controllare la corretta estrazione dei dati.

2.3. Sulla sussistenza del reato contestato i ricorrenti, premesso che elementi essenziali del reato sono i caratteri oggetti va mente artificiosi della condotta, la mancanza di una razionale giustificazione economica della stessa e la concreta idoneità ad alterare in misura sensibile i prezzi dei titoli, deducono illogicità della motivazione laddove la stessa desumeva l'artificiosità della condotta dall'irrilevante dato soggettivo della finalità perseguita dai soggetti agenti, per il resto facendo riferimento a modalità operative delle quali il ricorso evidenzia analiticamente la coerenza con un'operazione di investimento nell'ambito della separata gestione della Meieaurora, confortata dalle ricostruzioni dei consulenti tecnici di parte sulla base di elementi dettagliatamente riproposti nel ricorso, fra i quali l'essersi il valore del titolo costantemente mantenuto negli anni successivi al di sopra del prezzo registrato al termine della condotta. Lamentano altresì mancanza di motivazione sui rilievi difensivi in merito ad autonomi acquisti dei titoli da parte del Monte dei Paschi ed all'estraneità dell'imputato alla vendita effettuata dalla Finsoe. Deducono infine violazione di legge nella mancanza di un concreto pericolo per il bene giuridico tutelato nel descritto andamento del titolo nei tempi successivi al fatto, essendosi la condotta sostanzialmente risolta nell'anticipazione della tendenza rialzista del titolo, e pertanto non essendo stata la stessa rappresentativa di una situazione di mercato difforme da quella reale.

2.4. Sull'affermazione di responsabilità della Unipol, motivata in base all'interesse della stessa a far segnare ad un proprio titolo un valore superiore a quello di mercato, peraltro riverberatosi a vantaggio della controllante Finsoe, la ricorrente deduce violazione di legge e difetto di motivazione osservando che la condotta veniva realizzata nell'ambito della funzione di gestione del portafoglio titoli affidata al D. dalla Meieaurora, che la società emittente di un titolo non ha interesse diretto al valore dello stesso, e che irrilevante è l'eventuale interesse della Finsoe, non estendendosi la responsabilità degli enti per illecito amministrativo derivante da reato all'interno dei gruppi di società.

3. La parte civile Consob ha presentato memoria nella quale si contestano specificamente i motivi di ricorso.

Diritto



1. Il termine massimo di prescrizione del reato contestato, pur tenendosi conto dei periodi di sospensione, risulta decorso alla data ultima del 05/12/2010.

I motivi di ricorso saranno pertanto esaminati ai fini della conferma delle statuizioni civili e di quelle relative alla responsabilità da reato della persona giuridica Unipol.

2. I motivi di ricorso relativi alla ritenuta competenza territoriale del Tribunale di Milano sono infondati.

2.1. è opportuno rammentare che l'attuale assetto normativo della fattispecie criminosa in esame è il risultato di una successione di interventi legislativi.

Il D.Lgs. 11 aprile 2002, n. 61, art. 1, nel riformulare interamente il titolo undicesimo del libro quinto del codice civile, poneva all'art.2637 cod. civ. una fattispecie incriminatrice unitaria del reato di aggiotaggio, che riuniva le tre figure di detto reato precedentemente previste nell'aggiotaggio societario di cui all'art. 2628 c.c., nell'aggiotaggio finanziario di cui al D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 181, e nell'aggiotaggio bancario di cui al D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 138. Detta fattispecie, per effetto di ciò, veniva ad articolarsi in una condotta soggetta ad assumere le forme della diffusione di notizie false, del compimento di operazioni simulate o della realizzazione di altri artifici, e nel requisito della concreta idoneità della condotta a cagionare il risultato della sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari o quello della significativa incidenza sull'affidamento del pubblico nella stabilità patrimoniale di banche o gruppi bancari; requisito che assumeva altresì funzione tipicizzante rispetto alla condotta altrimenti genericamente incriminata negli "altri artifici".

La successiva previsione della L. 18 aprile 2005, n. 62, art. 9, ritrasferiva parte della fattispecie di cui si è appena detto, relativa alle condotte idonee ad alterare il prezzo degli strumenti finanziari, nel D.Lgs. n. 58 del 1998, collocandola nell'art. 185 sotto la rubrica di "manipolazione del mercato"; e nel modificare contestualmente l'art. 2637 c.c., introducendovi per gli strumenti finanziari oggetto del reato gli attributi della mancanza di quotazione sul mercato o della presentazione di una richiesta di ammissione alle negoziazioni in un mercato regolamentato, produceva l'esito conclusivo di una sostanziale ripartizione della fattispecie di aggiotaggio fra le due norme. Per effetto di ciò, l'art. 2637 c.c., rimane norma generalmente incriminatrice dell'aggiotaggio;

mentre il D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 185, è divenuta norma specialmente incriminatrice dell'aggiotaggio riferito alla valutazione degli strumenti finanziari quotati, quale risultante della sottrazione, dagli strumenti finanziari genericamente menzionati nella norma, di quelli non quotati, o agli stessi assimilati, oggetto dell'attuale previsione dell'art. 2637.

Per quanto detto, i fatti qui contestati, commessi precedentemente all'entrata in vigore del nuovo contenuto del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 185, sono riconducibili alla fattispecie di aggiotaggio in strumenti finanziari di cui all'art. 2637 c.c.. Quest'ultima, come le altre previste dalla normativa in esame, è caratterizzata da continuità nei vari interventi legislativi succedutisi in materia (Sez. 5, n. 26943 del 10/07/2006, Gnutti, Rv.234375; Sez. 5, n. 48005 del 07/11/2008, Carpoca, Rv. 242958; Sez. 5, n. 8588 del 20/01/2010, Banca Profilo s.p.a., Rv. 246242); le problematiche di successione di legge si limitano dunque alle conseguenze sanzionatorie, rimanendo nella specie irrilevanti attesa l'intervenuta prescrizione del reato.

2.2. Tanto premesso, il reato è contestato in questa sede nella figura del cosiddetto aggiotaggio operativo o manipolativo in strumenti finanziari, commesso, nell'ipotesi accusatoria, con artifici consistiti in acquisti ripetuti in giorni ravvicinati di azioni Unipol privilegiate, tali da produrre un anomalo rialzo della valutazione dei titoli, alterandone il normale andamento sul mercato.

Il presupposto dell'eccezione di incompetenza territoriale oggetto del motivo di ricorso in esame, ossia l'essere detto reato un illecito di mera condotta, è in realtà condiviso nell'impostazione della sentenza impugnata; ed è peraltro indiscutibile che il reato si esaurisca nella condotta artificiosa, rimanendo estraneo alla sua consumazione l'effettivo verificarsi o meno dell'alterazione del prezzo dei titoli.

Tuttavia la condotta materiale del reato, lo abbiamo visto, non ne esaurisce gli elementi costitutivi. Occorre altresì che essa sia realizzata con modalità tali da rendere concreta la possibilità del verificarsi, in conseguenza della stessa, di una sensibile alterazione del valore degli strumenti finanziari. Si tratta, in sostanza, di un reato di pericolo; e per la precisione di un esemplare di quei reati di pericolo nei quali quest'ultimo è incluso nella fattispecie incriminatrice, essendo pertanto oggetto di accertamento in concreto, ma non quale risultato causale della condotta, bensì come modalità pericolosa della stessa nei confronti dell'interesse tutelato. Per questa tipologia di illeciti penali, certa dottrina ha coniato in passato la definizione di "reati di pericolo astratto-concreto"; altra ha fatto ricorso più semplicemente alla terminologia di "reati di pericolo astratto", nell'ambito di una prospettiva classificatoria che non intendeva questa espressione quale sinonimica di quella di "reati di pericolo presunto", utilizzata per indicare gli illeciti nei quali il pericolo non costituisce elemento costitutivo della fattispecie (sinonimia peraltro ritenuta da questa Corte, v. Sez. 5, n. 5215 del 28/10/1999, Florimonte, Rv. 215563; Sez. 4, n. 24249 del 28/04/2006, Crepaldl, Rv.234416). L'intento, in entrambe le letture, era quello di sottolineare la particolare posizione assunta in queste fattispecie dall'offesa di pericolo, che la differenzierebbe non solo da quella dei reati di pericolo presunto, ma anche da quella dei reati di pericolo concreto, nei quali il pericolo costituisce evento conseguente alla condotta; e di sottolinearne le implicazioni in tema di accertamento del pericolo o, per meglio dire, della pericolosità, da condursi necessariamente ex ante.

Il reato, dunque, si perfeziona nel momento in cui la condotta acquisisce connotati di concreta lesività, nel senso del pericolo di alterazione del normale corso dei titoli; e ciò in special modo ove, come nel caso in esame, la condotta assume la forma degli artifici diversi dalla diffusione di notizie false o dalle operazioni simulate, situazione nella quale siffatta lesività costituisce elemento che concorre positivamente a delineare i contorni di tipicità del fatto, non sufficientemente definiti dall'elemento negativo della non riconducibilità alle altre tipologie di condotta appena menzionate. L'offensività della condotta, tuttavia, è prescritta dalla norma come concreta; non è dunque sufficiente la potenzialità lesiva di determinate operazioni, essendo altresì necessario che le stesse possano effettivamente realizzare tale potenzialità. In quanto attinente all'andamento del mercato finanziario, l'offensività diviene concreta nel momento in cui la condotta si manifesta nel mercato, venendo a conoscenza degli operatori; passaggio fattuale, questo, ineludibile perchè il fatto assuma rilevanza penale, risultando effettivamente produttivo di effetti distorsivi sulla valutazione dei titoli (in questo senso, nel caso per questi aspetti analogo dell'aggiotaggio commesso mediante diffusione di notizie false, v. Sez. 5, n. 28932 del 04/05/2011, Tanzi).

Ulteriori specificazioni del momento consumativo, rispetto ad una fattispecie tipica descritta con mero riferimento ad artifici che si rivelino idonei a cagionare gli effetti di cui sopra, non possono che dipendere dalla condotta in concreto contestata; tale essendo nel nostro caso una serie di operazioni di acquisto di titoli, luogo di consumazione è quello in cui gli ordini di acquisto vengono effettuati, essendo da quel momento noti al mercato.

Tanto risulta decisivo ai fini della competenza territoriale per il reato in esame; la quale, per il principio di cui all'art. 8 c.p.p., è determinata dal luogo di consumazione del reato. Ed in questi termini correttamente concludeva la sentenza impugnata, osservando che il reato in oggetto si consumava nel momento in cui la condotta perveniva a conoscenza del mercato, fissando in tale momento il luogo di riferimento per la determinazione della competenza.

Nessuna indicazione utile in senso contrario può essere tratto dal precedente citato dalla difesa (Sez. 5, n. 7769 del 21/01/2009, Consorte, Rv. 242967), nel quale il luogo di consumazione del reato veniva individuato, ai fini della competenza territoriale, in quello nel quale avveniva la registrazione dei titoli sul conto dell'acquirente. Il caso era infatti relativo al diverso reato di esecuzione di operazioni su strumenti finanziari avvalendosi del possesso di informazioni privilegiate (cosiddetto "abuso di informazioni privilegiate" o "insider trading"), previsto all'epoca dall'art. 180 ed ora dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 184; diverso non solo nella diversa struttura della fattispecie, caratterizzata dal presupposto del possesso di informazioni e non dall'attitudine delle operazioni ad alterare il mercato, ma anche, e soprattutto, in ciò che ne deriva in termini di definizione dell'offensività del reato.

Quest'ultima è infatti connotata, nell'insider trading, dal conseguimento di un vantaggio mediante l'abuso delle informazioni disponibili. è ricorrente in dottrina la metafora per la quale, assimilando il mercato borsistico ad una corsa ippica, l'aggiotaggio e l'abuso di informazioni privilegiate equivarrebbero rispettivamente ad una gara truccata e ad una "soffiata" sul cavallo vincente.

Entrambi i reati, in altre parole, afferiscono allo stesso ambiente di vita (fuor di metafora, il mercato dei titoli). Ma, mentre l'aggiotaggio è lesivo del regolare andamento del mercato, e dunque diviene rilevante nel momento in cui la condotta è in grado di incidere su tale andamento, la lesività dell'abuso di informazioni privilegiate si pone nel conseguimento di indebiti vantaggi abusando di una determinata posizione sul mercato; e dunque si realizza nel momento in cui il vantaggio è effettivamente conseguito, come, nel caso trattato dal citato precedente, con l'effettiva acquisizione dei titoli oggetto dell'operazione.

2.3. Nell'ottica della soluzione giuridica adottata dai giudici di merito sul punto, per quanto detto corretta, si colloca tuttavia l'ulteriore argomento dei ricorrenti, per il quale la riferibilità della condotta alla borsa di Milano non sarebbe più determinate nell'individuare detta sede come luogo di consumazione del reato, attesa la trasmigrazione del mercato borsistico italiano su una piattaforma digitale estera.

L'argomento, tuttavia, non sposta i termini della questione;

derivandone infatti unicamente l'insufficienza del dato nominalistico della sede borsistica in riferimento alla quale le operazioni venivano effettuate. Deve aversi riguardo, a questo punto, alla condotta materiale contestata; identificandone l'ultimo atto, territorialmente individuabile, che soddisfi la condizione dell'idoneità ad influenzare il mercato.

Detta idoneità deve essere attribuita, per quanto detto in precedenza, agli ordini di acquisto dei titoli. Tali ordini venivano eseguiti, come si è rammentato in premessa, attraverso l'intermediaria Cofiri Sim; la quale risulta dagli atti avere sede in (Omissis). Quanto meno da questo luogo, dunque, gli ordini venivano immessi sul mercato; e tanto consente di collocarvi il momento di consumazione di una condotta già concretamente idonea ad incidere sui prezzi dei titoli. Mentre del tutto irrilevante a questi fini continua ad essere la successiva registrazione dei titoli sul conto dell'acquirente, in quanto comunque ininfluente sulla vantazione degli strumenti finanziari.

Correttamente, in conclusione, il Tribunale di Milano veniva ritenuto territorialmente competente a conoscere dell'imputazione contestata.

3. I motivi di ricorso relativi alla ritenuta utilizzabilità della relazione informativa della Consob, delle informazioni acquisite nel corso dell'attività ispettiva e delle registrazioni delle comunicazioni telefoniche, sono anch'essi infondati.

La relazione su un'attività ispettiva, svolta da pubblici funzionari in sede amministrativa extraprocessuale, ha natura documentale rispetto ai dati oggettivi in essa rappresentati (Sez. 6, n. 10996 del 17/02/2010, Vanacore, Rv. 246686); ed in questi termini sono in particolare utilizzabili le relazioni ispettive dei funzionari della Consob (Sez. 5, n. 14759 del 02/12/2011, Fiorani, Rv. 252300). La relazione redatta nella specie dagli ispettori della Consob, come precisato nella sentenza impugnata, veniva acquisita nelle sole parti descrittive e valutata dai giudici di merito con riguardo ai dati oggettivi provenienti dall'analisi delle sedute di borsa e dai risultati delle registrazioni delle comunicazioni telefoniche intercorse fra il D. e G.D., operatore della Cofiri. I contenuti valutativi, che i ricorrenti lamentano essere presenti nella relazione, non venivano pertanto utilizzati a fini probatori. Nè la natura documentale dell'atto viene meno per la mera circostanza del concludersi lo stesso con la richiesta di avviso dell'eventuale richiesta di archiviazione, rimanendo immutata la natura amministrativa della sede nella quale l'atto veniva formato.

Così delimitata la portata probatoria della relazione, nessuno degli elementi rilevanti per la stessa risulta essere stato raccolto nel corso dell'indagine ispettiva omettendo l'osservanza delle norme del codice di procedura penale, in violazione dell'art. 220 disp. att. c.p.p.. Tanto è in primo luogo evidente per la mera esposizione dei tempi e delle modalità di acquisto dei titoli. I contenuti delle registrazioni delle conversazioni telefoniche, legittimamente eseguite secondo le disposizioni regolamentari della Consob, venivano semplicemente riportati nella relazione; e la doglianza dei ricorrenti sulla mancanza di garanzie difensive nella trasposizione dei predetti contenuti è generica nel momento in cui non vengono segnalate precise difformità fra le registrazioni e le trascrizioni, al di là di un accenno a quello che gli stessi ricorrenti definiscono come un mero sospetto di errori collegato a differenze nelle indicazioni del numero delle registrazioni fra quanto trasmesso dalla Cofiri alla Consob e quanto pervenuto alla Guardia di Finanza, dato inconferente rispetto all'esattezza della trasposizione delle conversazioni. Non risulta, infine, che nell'argomentazione probatoria dei giudici di merito abbiano assunto rilevanza decisiva dichiarazioni rese in sede amministrativa da soggetti poi indagati.

A prescindere da quanto sopra, gli elementi sostanziali riportati nella relazione, come rammentato dalla Corte territoriale, venivano comunque acquisiti direttamente in sede dibattimentale attraverso l'esame della teste D.. Le dedotte ragioni di inutilizzabilità sono in conclusione insussistenti.

4. Sono altresì infondati i motivi di ricorso relativi alla sussistenza del reato contestato.

Non vi è dubbio che, come osservato dai ricorrenti, la condotta del reato in esame debba essere oggettivamente artificiosa. Tale carattere artificioso, in altre parole, non può essere desunto da mero dato soggettivo del fine di alterazione delle valutazioni di mercato perseguito dall'agente, ma deve trovare fondamento nell'essere la condotta realizzata con modalità di azione, di tempo e di luogo tali da incidere sul normale andamento della domanda e dell'offerta dei titoli (Sez. 5, n. 2063 del 02/10/2008, Crovetto, Rv. 242356).

La sentenza impugnata motivava tuttavia coerentemente secondo questi principi, nel momento in cui poneva alla base della propria argomentazione elementi modali tratti dall'esame delle operazioni borsistiche accertate, quali in particolare la concentrazione degli acquisti dei titoli in un ristretto periodo temporale, il frazionamento di tali acquisti in diverse e numerose giornate ed il ricorso ad un intermediario differente da quello solitamente utilizzato. Anche la tesi difensiva della riconducibilità dell'operazione ad un razionale e conveniente investimento veniva specificamente esaminata e ritenuta inattendibile, discutendosi in particolare le conclusioni del consulente della difesa in quanto fondate su eventi successivi alla condotta, ed osservandosi come di contro l'ipotesi di una normale campagna dividendi non spiegasse la concentrazione temporale degli acquisti e fosse smentita dall'aver l'imputato intrapreso l'operazione precedentemente all'annuncio ufficiale del dividendo del titolo.

A ciò i ricorrenti oppongono la riproposizione della tesi della normale operazione di investimento e mere valutazioni diverse delle stesse risultanze esaminate dai giudici di merito, quali la maggiore fruttuosità di acquisti concentrati in prossimità della distribuzione dei dividendi, la natura "sottile" del titolo acquistato, ossia il suo essere scambiato in quantità ridotte, a giustificazione del frazionamento dell'operazione, o l'irrilevanza del ricorso ad un intermediario non consueto; rilievi, questi, che nel discutere partitamente i singoli elementi non evidenziano vizi logici rilevanti in questa sede nell'argomentazione della sentenza impugnata, fondata sulla convergenza di detti elementi rispetto all'ipotesi accusatola. Soprattutto, i ricorrenti non affrontano l'ulteriore dato segnalato dalla Corte d'Appello nelle registrazioni dei contatti telefonici relativi alla seduta dell'01/04/2003, nei quali si faceva espresso riferimento all'effettuazione in quella giornata di ulteriori acquisti di titoli, nonostante la vendita alla Finsoe fosse già stata effettuata il giorno precedente, al dichiarato scopo di occultare la reale natura dell'operazione.

Riferimento finalistico, quest'ultimo, che non deve trarre in inganno sulla consistenza oggettiva dell'elemento; coerentemente individuata dalla Corte territoriale nella prova di un'attività materialmente artificiosa, quale è indubbiamente un acquisto di titoli funzionale a dissimulare il collegamento degli acquisti precedenti con il rialzo del valore del titolo fino alla vendita effettuata il 31/03/2003.

Le considerazioni appena svolte rendono implicita la reiezione del rilievo della difesa sull'assenza di un formale rapporto dell'imputato con la vendita effettuata dalla Finsoe, viceversa sostanzialmente ritenuto in base all'indicato riferimento telefonico, così escludendosi la fondatezza della censura di mancanza di motivazione. Infondata è poi l'ulteriore doglianza di omessa motivazione con riguardo ad un'analoga operazione effettuata dal Monte dei Paschi, implicitamente quanto evidentemente ritenuta irrilevante rispetto agli aspetti propri della condotta qui esaminata.

Anche sotto il profilo dell'offensività della condotta la sentenza impugnata era congruamente motivata con riferimento all'inconcludenza a tal fine di un successivo andamento rialzista del titolo, non indicativo di una tendenza esistente già al momento del fatto anche per la possibilità che il descritto andamento fosse stato influenzato dalla condotta dell'imputato.

5. è da ultimo infondato il motivo di ricorso relativo all'affermazione di responsabilità della Unipol.

Ai fini di detta responsabilità, è sufficiente che il soggetto autore del resto abbia agito per un interesse non esclusivamente proprio o di terzi, ma anche per un interesse riconducibile alla società della quale lo stesso è esponente (Sez. 6, n. 36083 del 09/07/2009, Mussoni, Rv. 244256).

Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, siffatto titolo di responsabilità è individuabile anche all'interno di un gruppo di società; potendo la società capogruppo rispondere per il reato commesso nell'ambito dell'attività di una società controllata laddove il soggetto agente abbia perseguito anche un interesse riconducibile alla prima (Sez. 5, n.24583 del 18/01/2011, Tosinvest, Rv. 249820).

Alla luce di questi principi, è irrilevante la circostanza dell'aver il D. agito nell'ambito di un incarico affidatogli dalla Meieaurora, laddove tale azione possa essere ricollegata ad un interesse della Unipol. E la ravvisabilità di tale interesse veniva adeguatamente motivata nella sentenza impugnata con riferimento non, come lamentato dalla ricorrente, all'emissione da parte della Unipol del titolo oggetto delle contrattazioni contestate, ma alla posizione della società all'interno del gruppo ed al vantaggio che per la stessa ne derivava dall'incremento del valore del titolo.

6. In conclusione, dovendo la sentenza impugnata essere annullata senza rinvio agli effetti penali per essere il reato estinto per prescrizione, i ricorsi devono essere rigettati agli effetti civili ed a quelli della responsabilità dell'ente da reato. Ne segue la condanna dell'imputato ricorrente al pagamento delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, che avuto riguardo all'entità della vicenda processuale si liquidano in Euro.5.000 oltre accessori come per legge.




P.Q.M.



Annulla la sentenza impugnata senza rinvio agli effetti penali per essere il reato estinto per prescrizione.

Rigetta i ricorsi agli effetti civili ed agli effetti della responsabilità da reato dell'ente.

Condanna l'imputato alla rifusione delle spese del grado in favore della parte civile, liquidate complessivamente in Euro 5.000 oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 23 febbraio 2012.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2013