Responsabilità del dirigente dell'ispettorato sinistri di una società assicuratrice per infortunio ad una dipendente - Omissione dei necessari e reiteratamente richiesti interventi di manutenzione per garantire la sicurezza sul lavoro - Il richiamo alla delega di funzioni secondo la Corte non è pertinente: le norme prevedono infatti che il datore possa delegare funzioni che attengono alla sua sfera di responsabilità ma non richiede che i distinti soggetti, legalmente individuati come destinatari di obblighi di sicurezza, ossia dirigente e preposto, debbano essere muniti di delega per essere chiamati responsabili.
La loro sfera di responsabilità è conformata infatti sul loro ruolo istituzionale come emerge dall'art. 1, comma 4 bis del D.Lgs. 626/94 - Sussiste
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANATO Graziana - Presidente -
Dott. ROMIS Vincenzo - Consigliere -
Dott. BIANCHI Luisa - Consigliere -
Dott. BLAIOTTA Rocco Marco - Consigliere -
Dott. PICCIALLI Patrizia - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANATO Graziana - Presidente -
Dott. ROMIS Vincenzo - Consigliere -
Dott. BIANCHI Luisa - Consigliere -
Dott. BLAIOTTA Rocco Marco - Consigliere -
Dott. PICCIALLI Patrizia - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1) L.P., N. IL (OMISSIS);
avverso SENTENZA del 25/05/2007 CORTE APPELLO di NAPOLI;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. BLAIOTTA ROCCO MARCO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. IANNELLI Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore Avv. FUCILLO Luigi, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso.
sul ricorso proposto da:
1) L.P., N. IL (OMISSIS);
avverso SENTENZA del 25/05/2007 CORTE APPELLO di NAPOLI;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. BLAIOTTA ROCCO MARCO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. IANNELLI Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore Avv. FUCILLO Luigi, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso.
FattoDiritto
1. Il Tribunale di Napoli ha affermato la responsabilità di L.P. in ordine al reato di cui all'art. 590 c.p., commi 1, 2, 3.
La Corte d'appello di Napoli ha parzialmente riformato la sentenza, revocando il beneficio della sospensione condizionale della pena, e l'ha confermata nel resto.
L'imputazione riguarda un infortunio accorso alla dipendente N. A.M. all'interno degli uffici dell'ispettorato sinistri dell'Assitalia s.p.a. di Napoli.
La donna veniva colpita alla testa dal cassonetto della tapparella riportando lesioni personali.
Secondo l'ipotesi accusatoria fatta propria dai giudici di merito tale evento è imputabile al L., nella veste di responsabile dell'ispettorato in questione, per aver omesso gli interventi di manutenzione occorrenti per assicurare la sicurezza dell'ambiente di lavoro.
2. Ricorre per Cassazione l'imputato tramite il difensore deducendo diversi motivi.
2.1 Con il primo motivo si lamenta l'esistenza di una motivazione meramente apparente, costituita da espressioni generiche e stereotipate, che dissimulano una sostanziale mancanza della giustificazione della decisione.
Si assume che nessuna verifica è stata compiuta sulla affidabilità della teste, portatrice di un interesse civilistico alla pronuncia di condanna.
La sentenza non verifica neppure l'esistenza in capo all'imputato della qualifica soggettiva richiesta dal D.Lgs. n. 626 del 1994.
Anche a tale proposito la pronunzia ha valorizzato le dichiarazioni della vittima, trascurando quelle di segno contrario del funzionario dell'ispettorato del lavoro.
Sul punto era stata evidenziata la decisiva circostanza, di cui la Corte d'appello non ha tenuto conto, che al pagamento della sanzione amministrativa aveva provveduto la struttura tecnica della società Assitalia con sede in Roma, effettivamente proposta alle verifiche periodiche dei luoghi di lavoro.
2.2 Con il secondo motivo si rimarca l'assenza di una delega quale responsabile della sicurezza in capo all'imputato.
Il D.P.R. n. 547 del 1955, art. 374 reca una norma indirizzata al solo datore di lavoro.
Pertanto, l'esistenza dell'obbligo di preservare la sicurezza del luogo di lavoro avrebbe potuto essere configurato a carico dell'imputato solo nel caso in cui questi fosse stato destinatario di una formale delega quale responsabile della sicurezza, che invece difettava.
Nè, si argomenta ancora, tale veste in capo all'imputato può essere desunta dalla circostanza che questi aveva ricevuto le doglianze della dipendente sulla instabilità del cassonetto in questione.
2.3 Con il terzo motivo si espone che, ai sensi del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 2, comma 1, lett. b), è la figura del datore di lavoro che ha il compito di mantenere in buono stato gli ambienti di lavoro.
Inoltre lo stesso decreto legislativo prevede una delega di funzioni in tema di sicurezza del lavoro in capo ad un soggetto tecnicamente qualificato che assume il compito di responsabile della sicurezza.
Mai alcun accertamento è stato compiuto presso l'ufficio competente per verificare l'esistenza dell'incarico in questione.
Un incarico di tale genere, d'altra parte, non avrebbe potuto essere attribuito all'imputato, che non ha competenze tecniche nella materia.
C Costui, inoltre, non aveva poteri decisionali e di spesa correlati alla sicurezza dell'ambiente di lavoro.
3. Il ricorso è infondato. Dalla lettura del capo d'imputazione emerge che l'addebito è mosso all'imputato nella veste di responsabile dell'Ispettorato sinistri; e che gli vengono addebitate sia la colpa generica, sia la violazione del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 374.
La Corte d'appello pone in luce che la violazione della normativa cautelare è evidente e non contestata, assumendo eloquente rilievo la circostanza che la copertura del cassonetto cadde sulla testa della lavoratrice.
Il punto controverso riguarda l'attribuibilità della condotta colposa omissiva alla sfera di responsabilità dell'imputato.
Si rammenta che già il primo giudice aveva posto in luce il ruolo dirigenziale dell'imputato; nonchè la situazione di fatto costituita dalla ricezione delle ripetute lamentele della donna.
E' proprio tale ricezione che, secondo la Corte, individua nell'imputato il responsabile della violazione, in assenza di altri soggetti investiti della specifica responsabilità.
3.1 Alla luce di tale ricostruzione della vicenda le deduzioni di cui al primo motivo sono con tutta evidenza prive di pregio.
Il giudice di merito ha compiuto un accertamento in fatto sul ruolo dirigenziale rivestito dall'imputato; nè è contestato che il L. fosse il dirigente dell'ufficio in questione.
D'altra parte non sì comprende quale rilievo possa assumere la circostanza che, nell'ambito dell'organizzazione di un'azienda complessa, il pagamento di una sanzione amministrativa sia affidata ad una sua distinta articolazione.
3.2 Gli altri motivi sono frutto di fraintendimento in ordine alla disciplina del sistema di protezione della sicurezza del lavoro.
Essa prevede un articolato apparato di garanzia volto ad assicurare condizioni atte ad eliminare o comunque minimizzare i rischi.
La disciplina è diretta a prevenire anche i rischi connessi ai comportamenti imprudenti o comunque non appropriati del lavoratore.
Tale sistema viene attuato, tra l'altro, prevedendo alcune figure tipiche di garanti: il datore di lavoro, il dirigente, il preposto.
D'altra parte, l'accertamento della qualità di destinatario delle norme antinfortunistiche deve essere in ogni caso effettuato in concreto con riferimento alla singola impresa, alle mansioni svolte, alla specifica sfera di responsabilità gestionale attribuita.
Ciò che rileva, quindi, non è solo e non tanto la qualifica astratta, ma anche e soprattutto la funzione assegnata e svolta (Così ad es. Cass. 7.7.1999 RV 215065; Cass. 21.12. 1995, RV 204972).
Tali figure incarnano distinte funzioni e diversi livelli di responsabilità e sono tenute ad adottare, nell'ambito dei rispettivi ruoli, le iniziative necessarie ai fini dell'attuazione delle misure di sicurezza appropriate; nonchè ad assicurarsi che esse siano costantemente applicate.
In particolare, ai sensi del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 4 e del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 1, comma 4 bis, il datore di lavoro è colui che esercita l'attività, ha la responsabilità della gestione aziendale e pieni poteri decisionali e di spesa. In connessione con tale ruolo di vertice, l'ordinamento prevede numerosi obblighi specifici penalmente sanzionati.
Tali norme individuano altresì un livello di responsabilità intermedio, incarnato dalla figura del dirigente, che dirige appunto, ad un qualche livello, l'attività lavorativa, un suo settore o una sua articolazione. Tale soggetto non porta le responsabilità inerenti alle scelte gestionali generali; ma ha poteri posti ad un livello inferiore, solitamente rapportati anche all'effettivo potere di spesa.
Il Il terzo livello di responsabilità riguarda la figura del preposto, che sovrintende alle attività (per ripetere il lessico del predetto D.P.R. n. 547 del 1955, art. 4) e che quindi svolge funzioni di supervisione e controllo sulle attività lavorative concretamente svolte.
Il dirigente, dunque, ai sensi della normativa richiamata, nell'ambito del suo elevato ruolo nell'organizzazione delle attività, è tenuto a cooperare con il datore di lavoro nell'assicurare l'osservanza della disciplina legale nel suo complesso; e, quindi, nell'attuazione degli adempimenti che da ultimo il D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4, comma 5, demanda al datore di lavoro.
Tale ruolo, naturalmente, è conformato ai poteri gestionali di cui dispone concretamente.
Alla luce di tali principi, emerge a chiare note che l'accertamento compiuto dal giudice in ordine all'effettivo svolgimento delle funzioni dirigenziale non è per nulla inutile, ma costituisce il presupposto per l'accertamento dell'assunzione della posizione di garanzia che fonda la responsabilità penale.
D'altra parte, si era in presenza di una situazione di pericolo che, come emerge dal tenore della pronunzia d'appello, era banale e facilmente rimediabile, ad esempio rimuovendo il coperchio o escludendo l'uso dell'ambiente in cui si trovava l'imposta in questione.
Dunque, correttamente il giudice di. merito ha escluso implicitamente che vi fossero ostacoli all'attuazione delle misure necessarie, desumibili da limitazioni ai poteri gestionali del dirigente in questione.
Infine, il richiamo alla disciplina della delega di funzioni non è pertinente, poichè il sistema prevede che il datore possa delegare ad altri alcune delle funzioni che attengono alla sua sfera di responsabilità (D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 1, comma 4 quater); ma non richiede che i distinti soggetti legalmente individuati, il dirigente ed il preposto, debbano essere muniti di una delega ad hoc perchè assumano la responsabilità che la legge demanda loro.
Tale sfera di responsabilità, lo si ribadisce, è conformata sul ruolo istituzionale svolto, come emerge dal lessico del richiamato D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 1, comma 4 bis: "nell'ambito delle rispettive attribuzioni e competenze, i dirigenti ed i preposti che dirigono o sovrintendono le stesse attività sono tenuti all'osservanza delle disposizioni del presente decreto".
Ta Tale disciplina, del resto, si limita a ribadire e chiarire il ruolo di garanzia, per certi versi autonomo, che già il D.P.R. n. 547 del 1955, art. 4 attribuiva a tali soggetti.
4. Il ricorso deve essere quindi rigettato. Segue ex lege la condanna al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 8 novembre 2007.
Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2007