Cassazione Civile, Sez. Lav., 05 giugno 2013, n. 14207 - Infortunio mortale con un muletto e compito affidato dai dipendenti della ditta committente: responsabilità della società committente
Fatto
F. V., in proprio e quale esercente la potestà sui figli B. M. B. C. e B. M., convenne in giudizio, innanzi al Tribunale di Perugia in funzione di giudice del lavoro, la T. s.n.c., il dipendente della stessa M. M. e le V. s.r.l. per sentirli dichiarare solidalmente responsabili delta morte del loro congiunto B. E. avvenute a seguito di incidente sul lavoro mentre quest'ultimo, anch'egli dipendente della T. s.n.c.. era intento ad eseguire, in data Omissis, una determinata attività lavorativa presso la V. s.r.l. Quest'ultima chiama, a sua volte, in garanzia la compagnia assicuratrice R. s.p.a. .
Il Primo giudice stabilì, che l'incidente mortale occorso a B. E. doveva imputarsi per il 25% al medesimo lavoratore, per il 25% all'altro dipendente M. e per il 50% alla V. s.r.l. per cui condanna in solido questi ultimi due e la suddetta compagnia assicuratrice al risarcimento del danno nella misura complessiva di € 291.238,32.
A seguito di impugnazione proposta in via principale dalla compagnia assicuratrice R. s.p.a.. dalla V. s.r.l, dal M. ed in via incidentale dagli eredi del B., la Corte d'appello di Perugia ha riformato parzialmente la sentenza respingendo la domanda nei confronti del M. e condannando la società V. s.r.l.. e per essa l'impresa assicuratrice R. s.p.a., alla minor somma di € 85.155,00.
La Corte territoriale ha escluso la responsabilità del M., il quale era stato assolto con sentenza passata in giudicato dall'accusa di omicidio colposo con la formula ampia della insussistenza del fatto, cosi come ha escluso quella della società T. s.n.c, non in grado di poter esercitare alcun potere di vigilanza sui suoi dipendenti che operavano in un cantiere esterno di altra società mentre ha confermato la responsabilità della V. s.r.l. per l'omessa vigilanza sull'osservanza, all'interno del suo cantiere, delle norme sulla sicurezza del lavoro nella misura del 50%, cioè la stessa attribuita alla vittima dell'incidente per l'imprudenza che aveva caratterizzato il suo comportamento concorrente alla verificazione dell'evento.
Ricorrono in cassazione F. V., B. C., B. M., B. M. e la V. s.r.l., che affidano l'impugnazione, rispettivamente, ad otto e tre motivi di censura.
La V. s.r.l., la T. s.n.c, il M. e la R. s.p.a. resistono con controricorso al ricorso principale degli eredi di B. E., i quali, a loro volta, si oppongono al ricorso della V. s.r.l.
Nel contempo, F. V., B. C., B. M., B. M., la stessa società V. s.r.l. e la R. s.p.a. propongono, ognuna delle tre parti, ricorso incidentale.
Prima dell'udienza di discussione F. V., B. M., B. C. e B. M. depositano atto di rinunzia al ricorso per intervenuta conciliazione della lite, rinunzia che viene accettata dalla società assicuratrice R. S.p.a. Quest'ultima, a sua volta, rinunzia al ricorso incidentale e tale rinunzia viene accettata dalle altre parti.
Diritto
Preliminarmente va disposta la riunione di tutti i ricorsi proposti nel presente giudizio ai sensi dell'art. 335 c.p.c.
Sempre in via preliminare va preso atto dell'intervenuta rinunzia al ricorso principale da parte di F. V. e dei suoi tre figli B. M., C. e M. (tutti eredi di B. E.) e dell'accettazione di tale rinunzia da parte della R. s.p.a.; egualmente, occorre tener conto della rinunzia, da parte della medesima società assicuratrice, al proprio ricorso incidentale, rinunzia, quest'ultima, che ha registrato l'accettazione di tutte le altre parti in causa. Orbene, considerato che l'art. 306 cod. proc. civ., secondo il quale la rinuncia agli atti del giudizio dev'essere accettata, non si applica al giudizio di cassazione nel quale la rinuncia, non richiedendo l'accettazione della controparte per essere produttiva di effetti processuali, non ha carattere "accettizio" e, determinando il passaggio in giudicato della sentenza impugnata, comporta il conseguente venir meno dell'interesse a contrastare l'impugnazione (v. in tal senso Cass. Sez. 5, n. 9857 del 5/5/2011) ne consegue che il ricorso principale proposto dalla F. e dai suoi tre figli è inammissibile per effetto della predetta rinunzia, anche se la stessa è stata accettata direttamente solo dalla R. s p.a. Ad onor del vero va, però, aggiunto che lo stesso atto della società assicuratrice, col quale la medesima ha contemporaneamente accettato la rinunzia degli eredi del B. al ricorso principale e comunicato la propria rinunzia al ricorso incidentale, è stato sottoscritto per accettazione dai difensori delle altre parti in causa.
Ne consegue, altresì, che il ricorso incidentale proposto dalla F. e dai suoi tre figli B., attraverso il quale sono stati esposti gli stessi motivi del ricorso principale, segue le sorti di quest'ultimo per sopraggiunta carenza di interesse. Egualmente inammissibile è il ricorso incidentale proposto dalla società assicuratrice R. s.p.a., avendovi quest'ultima rinunziato, come spiegato in precedenza, ed essendo intervenuta espressa accettazione di tale rinunzia da tutte le altre parti in causa.
In definitiva, resta da esaminare il solo ricorso principale proposto dalla V. s.r.l., mentre il ricorso incidentale svolto da quest'ultima in contrapposizione al ricorso principale formulato dagli eredi di B. E. rimane assorbito dalla dichiarazione di inammissibilità di quest'ultimo.
1. Orbene, col primo motivo la società V. s.r.l. si duole della violazione e falsa applicazione dell'art. 2049 c.c., in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., nonché dell'insufficiente e contraddittoria motivazione ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c., assumendo che non poteva ritenersi responsabile dell'infortunio mortale occorso al B. per il fatto che due suoi dipendenti avevano chiesto a quest'ultimo ed al M., quali dipendenti della distinta società T. s.n.c, senza darne preavviso a chi di dovere e senza riceverne autorizzazione, di espletare un compito del tutto diverso rispetto a quello al quale essi erano stati preposti ed in un locale distinto rispetto a quello in cui erano stati chiamati ad operare, ragione per la quale si era interrotto il nesso di occasionalità necessaria tra le mansioni fatte indebitamente eseguire a questi ultimi lavoratori ed il danno oggetto di causa.
In pratica la ricorrente evidenzia che i suoi dipendenti P. e G., addetti alla macchina stampatrice, avevano agito del tutto autonomamente ed al di fuori delle mansioni loro attribuite nel momento in cui avevano chiesto direttamente al M. ed al B., dipendenti della ditta T. s.n.c, di riparare la plafoniera mal funzionante, per cui non poteva essere ritenuta responsabile dell'infortunio mortale occorso al B. a seguito dello svolgimento di quella determinata operazione ad essa in alcun modo riconducibile.
2. Col secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 7 del D.lgs n. 626/1994, in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., nonché l'insufficienza e contraddittorietà della motivazione, ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c., assumendo che la Corte di merito era incorsa in errore nell'affermare che essa società committente era tenuta a fornire dettagliate informazioni sui rischi specifici inerenti l'esercizio della propria attività anche relativamente ad ambienti di lavoro, come quello ove era avvenuto l'infortunio di cui trattasi, nei quali i dipendenti dell'impresa appaltatrice non erano tenuti affatto a lavorare e che, inoltre, la sua responsabilità per i lavori dati in appalto alla società T. s.n.c non poteva essere estesa al punto tale da ricomprendervi anche i rischi specifici facenti capo a quest'ultima quale impresa appaltatrice dei lavori.
In concreto la ricorrente vuol evidenziare che l'obbligo di garantire la sicurezza sul lavoro ai sensi dell'art. 2087 c.c. non poteva essere preteso, nella fattispecie, nei suoi confronti, in quanto dal contratto d'appalto non emergeva che essa si era riservata un qualche potere di gestione del cantiere realizzato dalla sola impresa appaltatrice. Inoltre, la ricorrente pone in risalto che l'utilizzo del muletto da parte dei dipendenti della ditta appaltatrice T. s.n.c., utilizzo entrato a far parte della dinamica conclusasi con l'infortunio mortale in danno del B., esorbitava del tutto dalle mansioni ad essi affidate, atteso che tali lavoratori avevano inopinatamente fatto uso del predetto mezzo esclusivamente per adempiere ad un compito illegittimamente loro demandato da due dipendenti dell'impresa committente.
3. Col terzo motivo ci si lamenta, ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c., della contraddittorietà della motivazione nella parte in cui è stata pronunziata condanna dell'impresa committente al risarcimento del danno morale sulla base della previsione dell'astratta configurabilità di una ipotesi di reato nei confronti del titolare dell'impresa ritenuta responsabile del sinistro, nonostante che nessuna azione penale fosse stata promossa a carico del legale rappresentante della stessa impresa committente.
I tre motivi possono essere trattati congiuntamente, essendo unitaria la questione ad essi sottesa.
Il ricorso è infondato.
Anzitutto, la questione per la quale l'ambiente in cui avvenne l'infortunio mortale del B. potesse non rientrare in quello oggetto dell'appalto, nella cui esecuzione quest'ultimo era impegnato alle dipendenze dell'impresa appaltatrice T. s.n.c., rappresenta una rivisitazione del merito preclusa nel giudizio di legittimità.
Si è, infatti, statuito (Cass. sez. lav. n. 2451 del 2/2/2011) che "in tema di responsabilità per infortunio sul lavoro, ed al fine di accertare la responsabilità dell'impresa committente per aver richiesto al dipendente dell'appaltatrice un lavoro, non rientrante nell'appalto, in relazione al quale si sia verificato l'infortunio, la valutazione sulla riconducibilità all'appalto dell'operazione che stava svolgendo il dipendente e l'accertamento del fatto che tale operazione gli fosse richiesta dall'impresa committente, non rientrano nell'ambito del giudizio di legittimità, ove non vengano segnalati specifici vizi motivazionali e non venga precisato se, quando, come e - in questo caso - con che esito, la questione di fatto sia stata proposta net giudizio di merito.
In ogni caso le suddette censure non scalfiscono la validità della decisione sulla rilevata responsabilità della committente, sia per l'omessa custodia del muletto, dal quale il medesimo B. cascò, sia per l'omessa vigilanza in quell'ambiente di lavoro in cui sussisteva la eventualità che al suo interno potessero operare persone estranee all'impresa committente durante l'esecuzione dell'appalto presso la sua stessa sede.
Infatti, come adeguatamente spiegato dalla Corte di merito con motivazione esente da rilievi di natura logico-giuridica, fu proprio l'omessa vigilanza da parte dell'impresa committente a far sì che due dei suoi dipendenti riuscissero a far svolgere al B. l'operazione, rivelatasi letale, sul muletto incustodito e con le chiavi ancora inserite, finendo, in tal modo, per perdere rilievo la considerazione per la quale il lavoro richiesto in quella circostanza dai dipendenti della committente potesse esulare da quelli oggetto dell'appalto. Al riguardo non va dimenticato che si è già avuto modo di precisare (Cass. sez. 3 n. 21694 del 20/10/2011) che "in tema di infortuni sul lavoro, l'art. 2087 cod. civ., espressione del principio del "neminem laedere" per l'imprenditore e l'art. 7 del d.lgs 19 settembre 1994 n. 626, che disciplina l'affidamento di lavori in appalto all'interno dell'azienda, prevedono l'obbligo per il committente, nella cui disponibilità permane l'ambiente di lavoro, di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l'integrità e la salute dei lavoratori, ancorché dipendenti dall'impresa appaltatrice, consistenti nell'informazione adeguata dei singoli lavoratori e non solo dell'appaltatrice, nella predisposizione di tutte le misure necessarie al raggiungimento dello scopo, nella cooperazione con l'appaltatrice per l'attuazione degli strumenti di protezione e prevenzione dei rischi connessi sia al luogo di lavoro sia all'attività appaltata, tanto più se caratterizzata dall'uso di macchinari pericolosi. Pertanto l'omissione di cautele da parte dei lavoratori non è idonea ad escludere il nesso causale rispetto alla condotta colposa del committente che non abbia provveduto all'adozione di tutte le misure di prevenzione rese necessarie dalle condizioni concrete di svolgimento del lavoro, non essendo né imprevedibile né anomala una dimenticanza dei lavoratori nell'adozione di tutte le cautele necessarie, con conseguente esclusione, in tale ipotesi, del cd. rischio elettivo, idoneo ad interrompere il nesso causale ma ravvisabile solo quando l'attività non sia in rapporto con lo svolgimento del lavoro o sia esorbitante dai limiti di esso."
Quanto al presunto vizio motivazionale dedotto con riferimento alla questione del danno morale si osserva che non rileva il fatto che il legale rappresentante dell'impresa committente non subì accertamenti penali, stante l'autonomia dell'azione civile e della valutazione giudiziale in sede civile della responsabilità per illecito extra-contrattuale con tutte le conseguenze che ne possono scaturire. D'altronde, la motivazione espressa dalla Corte d'appello circa il fatto che nella fattispecie era ravvisabile astrattamente una ipotesi di reato di omicidio colposo non va interpretata, come vorrebbe la ricorrente, in contrapposizione alla circostanza che alcuna azione penale fu concretamente intrapresa nei confronti del legale rappresentante della committente, ma va intesa nel senso proprio di una autonoma valutazione giudiziale in sede civile della gravità dell'episodio oggetto di indagine ai fini della verifica della responsabilità dell'impresa committente nella prospettiva dell'accertamento del danno non patrimoniale.
Pertanto, il ricorso proposto dalla società V. s.r.l va rigettato. Il mancato accoglimento di tutti i ricorsi riuniti, proposti dalle parti nei termini sopra riferiti, induce a ritenere interamente compensate tra le stesse le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi e li rigetta. Spese compensate.