Cassazione Penale, Sez. 4, 14 giugno 2013, n. 26247 - Malfunzionamento della pressa e concorrente responsabilità del datore di lavoro e del costruttore



 

 

"Secondo il consolidato insegnamento di questa corte di legittimità, il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza dell'ambiente di lavoro, è tenuto ad accertare la corrispondenza ai requisiti di legge dei macchinari utilizzati, e risponde dell'infortunio occorso a un dipendente a causa della mancanza di tali requisiti, senza che la presenza sul macchinario della marchiatura di conformità "CE" o l'affidamento riposto nella notorietà e nella competenza tecnica del costruttore, valgano a esonerarlo dalla sua responsabilità (Cass., Sez. 4, n. 37060/2008, Rv. 241020).

Più in particolare, il datore di lavoro ha l'obbligo di garantire la sicurezza dell'ambiente di lavoro e dunque anche quello di accertarsi che i macchinari messi a disposizione dei lavoratori siano sicuri e idonei all'uso, rispondendo in caso di omessa verifica dei danni subiti da questi ultimi per il loro cattivo funzionamento, e ciò a prescindere dall'eventuale configurabilità di autonome concorrenti responsabilità nei confronti del fabbricante o del fornitore dei macchinari stessi (Cass., Sez. 4, n. 6280/2007, Rv- 238959).

La responsabilità del costruttore, nell'ipotesi in cui l'evento dannoso sia stato provocato dall'inosservanza delle cautele antinfortunistiche nella progettazione e fabbricazione della macchina, non vale quindi a escludere la responsabilità del datore di lavoro utilizzatore della macchina, giacché questi è obbligato a eliminare le fonti di pericolo per i lavoratori dipendenti chiamati ad avvalersi della macchina e ad adottare nell'impresa tutti i più moderni strumenti che la tecnologia offre per garantire la sicurezza dei lavoratori (Cass., Sez. 4, n. 2630/2006, Rv. 236012).

A tale regola, fondante la concorrente responsabilità del datore di lavoro, può farsi eccezione nella sola ipotesi in cui l'accertamento di un elemento di pericolo nella macchina o di un vizio di progettazione o di costruzione di questa sia reso impossibile per le speciali caratteristiche della macchina o del vizio, impeditive di apprezzarne la sussistenza con l'ordinaria diligenza (per esempio, allorquando il vizio riguardi una parte non visibile e non raggiungibile della macchina)".


 

 

Fatto





1. - Con sentenza resa in data 14.10.2011, la Corte d'appello di Perugia, in riforma della sentenza del 20.1.2009 del Tribunale di Perugia, sezione distaccata di Città di Castello, su appello della parte civile, ha condannato G. M. (in solido con la BIMA di M. G. & C. s.n.c, quale responsabile civile) al risarcimento dei danni sofferti da D. O. a seguito delle lesioni personali dallo stesso subite in qualità di lavoratore dipendente della BIMA di M. G. & C. s.n.c, e colpevolmente provocate dal M. legale rappresentante della BIMA di M. G. & C. s.n.c), in cooperazione colposa con F. C., a sua volta legale rappresentante della C. s.r.l., ditta costruttrice della macchina-pressa durante il cui uso, in Città di Castello, in data 6.3,2002, l'O., nell'esercizio delle proprie mansioni lavorative alle dipendenze della ditta del M., si era procurato le richiamate lesioni personali, consistite nella perdita del secondo dito della mano sinistra e in alcune fratture a carico del terzo e del quarto dito della stessa mano.

In particolare, al M., nella richiamata qualità di legale rappresentante della BIMA di M. G. & C. s.n.c. datrice di lavoro del prestatore infortunato, è stata contestata, nella prospettiva del reato di lesioni colpose allo stesso ascritto, la violazione dei tradizionali parametri della colpa generica, nonché il mancato rispetto delle norme cautelari espressioni di colpa specifica analiticamente indicate nei capi di accusa sollevati a suo carico.

Nel caso di specie, la pressa cui era addetto il lavoratore infortunato, azionabile unicamente mediante la contemporanea pressione di due pulsanti con le due diverse mani del lavoratore addetto, si era nell'occasione de qua inopinatamente messa in moto con la pressione di un solo pulsante, essendosi verificato un falso contatto all'interna della scatola dei cablaggi relativa al secondo pulsante; falso contatto prodottosi per effetto del riempimento di detta scatola con residui di materiale metallico rivenienti dalle lavorazioni della pressa che, messasi improvvisamente in moto, aveva provocato lo schiacciamento della mano sinistra del lavoratore.

Avverso la sentenza d'appello, a mezzo del proprio difensore, il M., anche nella qualità di legale rappresentante della BIMA di M. G. & C. s.n.c, ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi d'impugnazione.

2.1. - Con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza d'appello per violazione di legge in relazione agli artt 590, comma 3, e 533 c.p.; 115 d.p.r. n. 547/1955; 35, commi 1 e 4, lett. b), d.lgs. n. 626/94.

In particolare, il ricorrente si duole che la corte territoriale abbia omesso di rilevare come la pressa cui era addetto il lavoratore infortunato fosse espressamente certificata come corrispondente alla normativa antinfortunistica (siccome munita della marchiatura 'CE'), mentre la presenza del materiale metallico all'interno della scatola di uno dei comandi elettrici della pressa poteva essere accertabile solo previo smontaggio della stessa scatola: ossia previa esecuzione di un adempimento certamente inesigibile nei confronti dell'utilizzatore di una macchina acquistata come pienamente corrispondente agli standards di sicurezza certificati.

Nella specie, secondo il ricorrente, l'affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui sarebbe configurabile una responsabilità del datore di lavoro per aver messo a disposizione del lavoratore una macchina senza preventivamente accertarsi della relativa resistenza e idoneità all'uso, avrebbe determinato una forma d'imputazione dell'evento, a carico del datore di lavoro, a titolo di responsabilità oggettiva, non potendo ammettersi che quest'ultimo sia chiamato a smontare e analizzare tutti i macchinari "omologati" utilizzati nella propria azienda, al fine di individuare eventuali vizi di costruzione costituenti potenziali fonti di danno per i propri lavoratori.

In relazione all'ipotesi in esame, la responsabilità dell'evento lesivo occorso ai danni del lavoratore infortunato doveva integralmente ricondursi al fatto del produttore della pressa, per avere quest'ultimo posto in commercio una macchina priva dei necessari requisiti di sicurezza.

Sotto altro profilo, secondo il ricorrente neppure sarebbe ragionevole sostenere che la pressa utilizzata dal lavoratore infortunato si presentasse come manifestamente inadeguata dal punto di vista della sicurezza, avuto riguardo alle limitatissime dimensioni della fessurazione attraverso la quale era penetrato il materiale metallico all'interno della scatola dei comandi elettrici, e attesa l'impossibilità di stabilire da quanto tempo sì fosse verificato detto modestissimo scollamento delle superfici.

2,2. - Con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza d'appello per vizio di motivazione e violazione di legge in relazione agli artt. 590, comma 3, e 583 c.p., avendo la corte territoriale proceduto all'affermazione della responsabilità del M. sulla base di un esame solo sommario degli elementi di prova disponibili, trascurando le prospettazioni difensive del datore di lavoro illogicamente ritenute prive di alcuna attendibilità.

In particolare, la corte territoriale avrebbe omesso di dettare una motivazione coerente e logicamente fondata in ordine all'esistenza dell'elemento soggettivo del reato ascritto al M., stante t'integrale riconducibilità della responsabilità dell'evento lesivo subito dal lavoratore al fatto del produttore della macchina, la cui certificata conformità agli standards di sicurezza in precedenza richiamati non poteva non giustificare il legittimo affidamento del datore dì lavoro, il quale, a sua volta, non aveva apportato alcuna modificazione strutturale alla macchina de qua.

Sotto altro profilo, la corte territoriale si sarebbe altresì resa responsabile di un vizio di travisamento della prova, avendo ritenuto esistenti fatti non emersi dagli atti (con particolare riguardo al tema della manutenzione della macchina) e, viceversa, avendo ritenuto inesistenti fatti per converso comprovati (quale la circostanza che nelle istruzioni fornite dal produttore si facesse riferimento all'esigenza di controlli semestrali dell'impianto elettrico, mediante l'uso di un tester e controllando i teleruttori e i contatti nonché pulendo con aria compressa il quadro, se sporco).

Ciò premesso, la motivazione dettata dalla corte territoriale, nel fondarsi su argomentazioni di puro genere e asserzioni meramente apodittiche, avrebbe omesso il vaglio critico delle risultanze processuali e l'illustrazione della ritenuta riconducibilità del fatto all'ipotesi criminosa contestata a carico del M..

3. - Ha depositato memoria la parte civile costituita, concludendo per l'inammissibilità, ovvero il rigetto, dell'impugnazione proposta dai ricorrenti.


Diritto




4. - Entrambi i motivi del ricorso - congiuntamente esaminabili in ragione dell'intima connessione delle questioni dedotte - sono infondati.

Secondo il consolidato insegnamento di questa corte di legittimità, il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza dell'ambiente di lavoro, è tenuto ad accertare la corrispondenza ai requisiti di legge dei macchinari utilizzati, e risponde dell'infortunio occorso a un dipendente a causa della mancanza di tali requisiti, senza che la presenza sul macchinario della marchiatura di conformità "CE" o l'affidamento riposto nella notorietà e nella competenza tecnica del costruttore, valgano a esonerarlo dalla sua responsabilità (Cass., Sez. 4, n. 37060/2008, Rv. 241020).

Più in particolare, il datore di lavoro ha l'obbligo di garantire la sicurezza dell'ambiente di lavoro e dunque anche quello di accertarsi che i macchinari messi a disposizione dei lavoratori siano sicuri e idonei all'uso, rispondendo in caso di omessa verifica dei danni subiti da questi ultimi per il loro cattivo funzionamento, e ciò a prescindere dall'eventuale configurabilità di autonome concorrenti responsabilità nei confronti del fabbricante o del fornitore dei macchinari stessi (Cass., Sez. 4, n. 6280/2007, Rv- 238959).

La responsabilità del costruttore, nell'ipotesi in cui l'evento dannoso sia stato provocato dall'inosservanza delle cautele antinfortunistiche nella progettazione e fabbricazione della macchina, non vale quindi a escludere la responsabilità del datore di lavoro utilizzatore della macchina, giacché questi è obbligato a eliminare le fonti di pericolo per i lavoratori dipendenti chiamati ad avvalersi della macchina e ad adottare nell'impresa tutti i più moderni strumenti che la tecnologia offre per garantire la sicurezza dei lavoratori (Cass., Sez. 4, n. 2630/2006, Rv. 236012).

A tale regola, fondante la concorrente responsabilità del datore di lavoro, può farsi eccezione nella sola ipotesi in cui l'accertamento di un elemento di pericolo nella macchina o di un vizio di progettazione o di costruzione di questa sia reso impossibile per le speciali caratteristiche della macchina o del vizio, impeditive di apprezzarne la sussistenza con l'ordinaria diligenza (per esempio, allorquando il vizio riguardi una parte non visibile e non raggiungibile della macchina) (Cass., Sez. 4, n. 1216/2005, Rv. 233175).

Nel caso di specie, la corte territoriale, dopo aver riaffermato il principio della concorrente responsabilità del datore di lavoro con quello del produttore della macchina, ha correttamente sottolineato come i relativi obblighi di controllo cautelare (a fini di sicurezza), non potendo esaurirsi nella verìfica una tantum della rispondenza del macchinario utilizzato agli standards di sicurezza, implicavano viceversa l'esercizio di un costante monitoraggio esteso all'integrità della macchina e al controllo continuo e costante del suo corretto funzionamento.

In relazione all'ipotesi infortunistica contestata al M., la corte ha evidenziato come il datore di lavoro avesse messo a disposizione del lavoratore un macchinario privo dei necessari presidi in conseguenza della non attenta verifica dei requisiti di legge e della mancata valutazione in progress delle carenze di quel macchinario, anche attraverso un'adeguata azione manutentiva.

Sul punto, muovendo dalla deposizione resa dal teste F. (con ciò stesso smentendo il preteso vizio di travisamento della prova nella forma contestata con il secondo motivo di ricorso proposto in questa sede), la corte perugina ha sottolineato come la manutenzione della pressa in esame non aveva mai avuto carattere di sistematicità, essendosi il datore di lavoro avvalso, a tal fine, della sola opera di un elettricista in modo saltuario e contingente ("all'occorrenza"), senza mai provvedere al controllo della scatola dei comandi.

Al riguardo, del tutto irrilevante appare, secondo la coerente argomentazione del giudice d'appello, l'invocata previsione, nelle istruzioni fomite dalla ditta produttrice, di controlli semestrali dell'impianto elettrico effettuati utilizzando un tester e controllando i teleruttori e i contatti nonché pulendo con aria compressa il quadro, se sporco, non potendo ammettersi, da parte del datore di lavoro, un affidamento acritico sulle indicazioni del costruttore, essendo il datore di lavoro in proprio debitore della sicurezza dei lavoratori e dunque assumendo per intero l'obbligo di assicurazione delle condizioni permanenti di idoneità dei macchinari utilizzati.

Nel dettaglio, la corte territoriale ha evidenziato come la fessurazione di tre millimetri entro la quale si erano infiltrati i residui di materiale metallico rivenienti dalle lavorazioni della pressa appariva obiettivamente rilevabile e visibile (secondo quanto emerso dalle dichiarazioni del perito resa all'udienza del 7.5.2008, f. 14), per ciò solo costituendo un'obiettiva e rilevabile fonte di pericolo tale da imporre un'adeguata azione preventiva, nella specie del tutto mancata.

La stessa circostanza che la macchina fosse in uso da sei anni, soggetta a vibrazioni e sollecitazioni che ne rendevano plausibile l'allargamento della rilevata fessurazione, unitamente alle modalità operative della pressa (comportanti il prodursi del richiamato materiale metallico tale da accrescere i pericoli d'infiltrazione), apparivano tali, secondo il giudizio della corte, da imporre l'esercizio di un costante monitoraggio del macchinario, onde prevenire proprio il rischio del cattivo funzionamento successivamente manifestatosi.

Sotto altro profilo, i giudici d'appello hanno sottolineato come il M. non potesse neppure addurre la mancata conoscenza della circostanza che la scatola dei comandi non fosse protetta da una idonea guaina plastica, essendo tale dato (già di per sé obiettivamente rilevabile) in ogni caso destinato a una necessaria verifica, senza acritici affidamenti sulla relativa presenza in forza delle astratte certificazioni fornite dal produttore.

Sulla base di tali premesse, la corte ha concluso attribuendo al datore di lavoro la responsabilità colposa dell'evento infortunistico de quo, escludendone la relativa imprevedibilità e inevitabilità, ma anzi rilevando il non adeguato apprestamento, da parte dello stesso, di adeguate misure precauzionali, rapportate alle caratteristiche del macchinario in uso, per come derivanti dall'originale progettazione e dalla prolungata utilizzazione dello stesso.

Il complesso delle argomentazioni così compendiate nella sentenza impugnata, nel prospettare le caratteristiche concrete del fatto e l'effettiva riconducibilità dello stesso al M. sulla base di fattispecie concrete di imputazione causale e soggettiva logicamente e probatoriamente fondate, appare coerente ai dati legislativi applicati e del tutto immune da vizi d'indole logica o giuridica, e come tale idonea a sfuggire integralmente alle censure in questa sede illustrate dall'odierno ricorrente.

5. - Al riscontro dell'infondatezza dei motivi di doglianza avanzati dal M. - in proprio e nella qualità di legale rappresentante della società civilmente responsabili per i danni sofferti dal lavoratore infortunato - segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre al rimborso delle spese in favore della parte civile costituita secondo la liquidazione di cui al dispositivo.



P.Q.M.



Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre alla rifusione delle spese in favore della parte civile che liquida in complessivi euro 2500,00 oltre accessori come per legge.