Cassazione Civile, Sez. Lav., 04 settembre 2013, n. 20318 - Amianto e malattia professionale: responsabilità


 

 

 

Fatto



Con sentenza del 25/6 - 30/7/08 la Corte d'appello di Genova ha rigettato l'impugnazione proposta da R.A. e P.F., eredi di P.P., avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Genova che aveva respinto la loro domanda diretta alla condanna della società A. Energia s.p.a. al risarcimento del danno biologico e morale per la morte del loro dante causa conseguita alla malattia professionale per mesotelioma pleurico per effetto della quale l'Inail gli aveva riconosciuto in vita una rendita da inabilità permanente del 100%.

La Corte territoriale ha confermato la sentenza di primo grado dopo aver rilevato che alla luce delle indagini tecniche svolte non si era avuta alcuna certezza sul fatto che il P. fosse deceduto per mesotelioma, che tale malattia fosse dipesa dall'inalazione di amianto sul luogo di lavoro e che i presidi al tempo esistenti in materia di sicurezza fossero idonei ad evitarla, per cui non era stata raggiunta la prova sull'esistenza di un nesso causale tra il decesso del lavoratore ed il comportamento dei responsabili della società, la qual cosa aveva reso inutile accertarne la colpevolezza nella verificazione dell'evento letale. Per la cassazione della sentenza propongono ricorso R.A. e P.F., le quali affidano l'impugnazione a cinque motivi di censura.

Resiste con controricorso l'Ansaldo Energia s.p.a. Entrambe le parti depositano memoria.



Diritto





1. Col primo motivo, proposto per omessa ed insufficiente motivazione sulla circostanza del decesso di P.P. per mesotelioma, le ricorrenti pongono l'accento sulla carenza motivazionale della sentenza in relazione alla disamina della prima consulenza medico-legale d'ufficio che se, in base al loro assunto, fosse stata attentamente valutata, avrebbe consentito ai giudici d'appello di pervenire ad un diverso convincimento sulla causalità del predetto evento. In particolare le ricorrenti richiamano le parti della relazione del consulente d'ufficio, prof. T., nelle quali si menzionano i dati clinici inerenti al riconoscimento dell'inabilità permanente del 100% con costituzione della relativa rendita dell'lnail in conseguenza della malattia diagnosticata del mesotelioma pleurico, oltre che i successivi accertamenti sanitari che precedettero la morte del P., cioè, in definitiva, quegli elementi che indussero il perito ad esprimersi per una diagnosi di mesotelioma "in assoluto molto probabile". A tal riguardo le ricorrenti pongono in rilievo che tale giudizio è incompatibile con l'affermazione apodittica di "insuperabilità del dubbio" formulata dalla Corte territoriale nell'operazione di declassamento della causa di elevata probabilità di morte per mesotelioma, come diagnosticata dal perito, in quella di semplice probabilità dell'esistenza di un tale tipo di evento letale.

2. Col secondo motivo le ricorrenti deducono l'insufficienza e la contraddittorietà della motivazione sul fatto della dipendenza del mesotelioma del P. dalla presenza dell'amianto nei luoghi di lavoro, in quanto a loro giudizio la Corte territoriale ha erroneamente escluso che potesse esservi certezza sulla sussistenza di un tale nesso causale. Il dedotto vizio motivazionale risiede, secondo l'assunto difensivo delle ricorrenti, nelle affermazioni della Corte di merito che evidenziano gli aspetti statistici dell'incidenza dell'inalazione dell'amianto sulla produzione dei mesotelioma e che finiscono, in tal modo, per porsi in contrasto con quanto asserito dai consulenti tecnici d'ufficio nelle due perizie espletate in corso di causa, avendo questi ultimi escluso la sussistenza di cause patogene concomitanti all'amianto ed avendo ammesso, nel contempo, la plausibilità del nesso causale dì cui trattasi.

3. Col terzo motivo, formulato per l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul fatto se l'amianto era stato assorbito in ambiente di lavoro, le ricorrenti censurano l'impugnata sentenza per la mancata disamina delle deposizioni testimoniali concernenti l'esposizione del P. agli effetti nocivi dell'amianto nel corso della sua attività lavorativa contraddistinta dall'utilizzazione di tale sostanza nelle varie operazioni di manutenzione, saldatura e coibentazione dei tubi nei cantieri delle centrali termiche, nonché per la contraddizione derivante dal fatto che i giudici d'appello, nonostante i supplementi d'indagine peritale, sono approdati solo ad un giudizio dì "sufficiente probabilità" sul fatto che l'esposizione all'amianto presso l'impresa potesse aver determinato la suddetta patologia neoplasica, per poi aggiungere che non sussisteva alcuna certezza che l'amianto fosse stato assorbito in ambiente lavorativo.

4. Col quarto motivo le ricorrenti, nel lamentarsi dell'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul fatto controverso e decisivo rappresentato dal mancato utilizzo dei presidi al tempo esistenti in materia di sicurezza che avrebbero potuto evitare l'evento lesivo, evidenziano che i giudici d'appello si sono limitati a valutare solo con un giudizio "ex ante" una tale possibilità prima dì giungere alla contestata conclusione che l'incertezza sull'idoneità preventiva dei suddetti strumenti era sufficiente a far ritenere che non sussistesse in quel caso un obbligo della parte datoriale ad adottarli e, quindi, una sua colpa nel loro mancato impiego.

Al contrario, secondo le ricorrenti, l'avvenuto accertamento dell'omissione di qualsiasi mezzo di protezione contro l'amianto, come risultato dalle testimonianze e dagli atti depositati, doveva ritenersi decisivo per la verifica della sussistenza del nesso dì causalità tra la stessa omissione e l'esposizione del lavoratore agli effetti nocivi della suddetta sostanza.

5. Col quinto motivo le ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell'art. 40 cod. pen., in quanto ritengono che erroneamente la Corte di merito ha preteso, ai fini dell'affermazione della sussistenza del nesso causale tra la condotta datoriale e l'evento lesivo, il raggiungimento della certezza assoluta dell'esistenza degli elementi che potevano contribuire a farlo ravvisare, finendo per trascurare, in tal modo, il principio della causalità omissiva che non presuppone il criterio dell'assoluta certezza, ma solo quello dell'elevata credibilità.

Osserva la Corte che i primi quattro motivi, che investono nel loro insieme la questione della verifica del nesso di causalità tra lo svolgimento dell'attività lavorativa del P. in luoghi interessati dalla presenza di amianto ed il suo decesso, possono essere trattati congiuntamente essendo tra loro connessi per la suddetta ragione.

Ebbene, tali motivi sono fondati.

Invero, una prima contraddizione che balza evidente dalla lettura della sentenza impugnata è quella in cui, da una parte, i giudici d'appello, dopo aver fatto riferimento alla questione della mancanza delle misure di sicurezza atte a prevenire i rischi di inalazione nociva di fibre da amianto e dopo aver affermato che sarebbe stata necessaria la dimostrazione della idoneità delle stesse misure ai fini della suddetta prevenzione, precisano, anzitutto, che il materiale probatorio presente in atti non è completamente univoco, per poi aggiungere di seguito che, comunque, lo stesso deve ritenersi sufficiente in merito alla sussistenza del predetto rischio. Ne consegue che, per un verso, la Corte di merito reputa non del tutto univoco il materiale probatorio, mentre per altro verso, contraddicendosi, lo ritiene sufficiente ai fini dell'accertamento della sussistenza del rischio di contrazione di malattie da amianto e, quindi, della ipotizzabilità di un nesso di causalità tra condizioni lavorative ed evento lesivo.Una ulteriore e non meno rilevante contraddizione la sì coglie, inoltre, allorquando gli stessi giudici, dopo aver affermato che appariva solo probabile, ma non certo, che il P. fosse affetto da mesotelioma e che non era stato possibile verificare a quale tipologia di amianto il medesimo era stato esposto, pervengono alla conclusione che, alla stregua delle osservazioni del consulente d'ufficio, era possibile ed anche abbastanza probabile che il mesotelioma derivasse dall'inalazione di fibre di amianto, così come appariva anche abbastanza probabile che l'esposizione fosse avvenuta nel corso del rapporto di lavoro. Quindi, nello stesso contesto della motivazione è dato cogliere il ricorso a due giudizi tra loro non del tutto compatibili, in quanto ad una iniziale valutazione di semplice probabilità della sussistenza di quel determinato tipo di malattia e di verificata impossibilità di accertamento del tipo di amianto, segue un giudizio di elevata probabilità della derivazione del mesotelioma dall'amianto, che implica il riconoscimento dell'esistenza nella fattispecie di quella specifica patologia, al quale si collega un successivo giudizio di una altrettanto elevata probabilità che l'esposizione all'amianto fosse avvenuta nel corso del rapporto di lavoro, nonostante fosse stato precisato che non era dato conoscere la tipologia precisa della suddetta sostanza nociva.

Al termine di questo ragionamento costellato da intime contraddizioni i giudici d'appello evidenziano che appariva poco probabile che l'utilizzo delle misure di sicurezza esistenti all'epoca avrebbe potuto evitare l'insorgenza della malattia. In pratica, da un lato, i predetti giudici esigono il massimo livello di certezza ai fini della dimostrazione della sussistenza del nesso di causalità tra le condizioni lavorative in cui operava il P. e l'insorgenza della malattia letale, omettendo, senza spiegarne la ragione, qualsiasi riferimento alle deposizioni testimoniali citate dalla difesa delle ricorrenti con riguardo a tale circostanza e non valutando adeguatamente le risultanze cliniche della relazione peritale del prof. Traversa, mentre, dall'altro, ritengono che la scarsa probabilità che ì presidi all'epoca esistenti potessero impedire l'insorgenza della malattia rappresentava dì per sé un elemento sufficiente ad escludere una responsabilità omissiva della parte datoriale, quand'anche accertata.

In definitiva, le ragioni esposte dalla Corte d'appello di Genova a fondamento del convincimento della insussistenza di qualsiasi responsabilità della datrice di lavoro in ordine all'evento letale occorso al P. si basano su una motivazione priva di intima coerenza e logicità che non trova agganci a dati di fatto oggettivi ed incontrovertibili.

Pertanto, i primi quattro motivi vanno accolti, la qual cosa, avendo natura dirimente, consente di ritenere assorbita la disamina del quinto motivo di censura vertente sulla questione della violazione e falsa applicazione dell'art. 40 cod. pen. in materia di principio di causalità.

Conseguentemente all'accoglimento del ricorso la sentenza impugnata va cassata ed il procedimento va rinviato, per un nuova valutazione del materiale probatorio, alla Corte d'appello di Genova che, in diversa composizione, provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio.



P.Q.M.




Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia il procedimento, anche per le spese, alla Corte d'appello di Genova in diversa composizione.