Cassazione Civile, Sez. Lav., 03 ottobre 2013, n. 22606 - Licenziamento: assenza per infortunio e periodo di comporto
Fatto
Con sentenza del 12/1 - 25/2/2010 la Corte d'appello di Napoli ha rigettato l'impugnazione proposta da M.G. avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di S. M. Capua Vetere che l'aveva condannato a reintegrare A.M. nel posto di lavoro di autista dopo aver dichiarato l'illegittimità del licenziamento intimato a quest'ultimo in conseguenza dell'accertata insussistenza dell'addebito, vale a dire il superamento del periodo di morbilità previsto dalla contrattazione collettiva di settore, periodo di malattia che nella fattispecie era dipeso da un infortunio sul lavoro del dipendente. La Corte partenopea ha osservato che la norma collettiva richiamata dal ricorrente, vale a dire l'art. 29 del CCNL per gli autotrasporti, a sua volta menzionata nell'atto di licenziamento, stabiliva che l'assenza per infortunio non doveva essere computata nel periodo di comporto previsto dallo stesso contratto e che nemmeno poteva negarsi il carattere di infortunio sul lavoro all'incidente occorso al M. il 29/9/2003; inoltre, il datore di lavoro non aveva eccepito alcunché in ordine alla richiesta di tutela reale avanzata dal proprio dipendente, mentre era infondata l'eccezione di inammissibilità del provvedimento di reintegra per l'asserita cessazione dell'azienda, posto che quest'ultima circostanza era stata smentita dalla visura camerale in atti, senza che l'appellante avesse fornito, da parte sua, la prova del suo assunto difensivo. Infine, era infondata la richiesta risarcitoria avanzata dalla parte datoriale in considerazione della genericità della relativa domanda e della mancanza di allegazione e prova dei danni subiti.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso il M. con due motivi, al quale resiste con controricorso il M.; quest'ultimo propone, a sua volta, ricorso incidentale per omessa pronunzia sulla richiesta di condanna della controparte alla corresponsione dell'indennità sostitutiva del mancato preavviso del licenziamento.
Diritto
Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi ai sensi dell'art. 335 cod. proc. civ.
1. Col primo motivo il ricorrente principale si duole della violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti collettivi nazionali di lavoro in relazione all'art. 18 della legge n. 300/70 ed alla legge n. 604/66, deducendo l'inapplicabilità del contratto collettivo richiamato in sentenza, in quanto egli non era associato alle organizzazioni di categoria che lo avevano stipulato, ed aggiunge che, in ogni caso, dopo la cessazione della sua attività d'impresa non poteva essere più disposta la reintegra nei suoi confronti.
Il motivo è infondato. Invero, come è dato ricavare dalla lettura dell'impugnata sentenza, la norma collettiva che escludeva il periodo di malattia da infortunio sul lavoro dal calcolo del comporto era stata richiamata esplicitamente nell'atto di licenziamento, oltre che nel ricorso, per cui è logica ed immune da rilievi di carattere giuridico la decisione della Corte di merito di ritenere che l'applicabilità della stessa norma contrattuale discendeva dal fatto che in tal modo le parti avevano inteso farvi chiaro riferimento, configurandosi la espressa riconducibilità del motivo del licenziamento alla specifica fonte negoziale come comportamento concludente atto a far ritenere sussistente una ipotesi di implicita adesione dei datore di lavoro al contratto collettivo del quale si era a tal fine avvalso. Quanto alla ulteriore censura della asserita ineseguibilità dell'ordine di reintegra è agevole osservare che rimane insuperata l'argomentazione della Corte d'appello che fa leva sull'accertamento di fatto, immune dai rilievi di legittimità in quanto adeguatamente svolto, dell'avvenuta visura camerale che smentiva l'assunto del datore di lavoro sulla asserita cessazione dell'azienda, il tutto supportato dalla considerazione espressa in sentenza che quest'ultimo non aveva nemmeno fornito prova documentale della sua eccezione.
2. Col secondo motivo del ricorso principale, formulato per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all'art. 414 c.p.c., punti 4) e 5), all'art. 18 della legge n. 300/1970 ed alla legge n. 604/1966, il M. si duole della circostanza che il lavoratore aveva chiesto espressamente di provare che la ditta occupava un numero di dipendenti pari a cinque unità, per cui ciò avrebbe comportato un suo esonero dalla necessità di contestare l'assunto della controparte e di dimostrare il requisito dimensionale dell'impresa ai fini dell'inapplicabilità della tutela reale, tanto più che nel ricorso di primo grado il lavoratore non aveva fatto alcun riferimento all'applicazione dell'art. 18 della legge n. 300/70.
Anche tale motivo è infondato.
Nella sentenza è, infatti, dato rilievo alla circostanza sostanziale per la quale il lavoratore aveva chiesto la reintegra nel posto di lavoro che rappresentava l'oggetto specifico della domanda, mentre il datore di lavoro non aveva svolto una tempestiva eccezione al riguardo. In effetti, la prova del requisito dimensionale, come rilevato correttamente in sentenza, non poteva che ricadere sul datore di lavoro a fronte della richiesta di reintegra, e da tale onere quest'ultimo non poteva ritenersi assolto per il solo fatto che in un capitolo di prova il ricorrente aveva chiesto di dimostrare il numero dei dipendenti in forza all'azienda.
Al riguardo è opportuno ricordare che le sezioni unite di questa Corte (Cass. Sez. un. n. 141 del 10/1/2006) hanno espressamente statuito che " in tema di riparto dell'onere probatorio in ordine ai presupposti di applicazione della tutela reale o obbligatoria al licenziamento di cut sta accertata l'invalidità, fatti costitutivi del diritto soggettivo del lavoratore a riprendere l'attività e, sul piano processuale, dell'azione dì impugnazione del licenziamento sono esclusivamente l'esistenza del rapporto di lavoro subordinato e l'illegittimità dell'atto espulsivo, mentre le dimensioni dell'impresa, inferiori ai limiti stabiliti dall'art. 18 della legge n. 300 del 1970, costituiscono, insieme al giustificato motivo de! licenziamento, fatti impeditivi del suddetto diritto soggettivo del lavoratore e devono, perciò, essere provati dal datore di lavoro. Con l'assolvimento dì quest'onere probatorio il datore dimostra -ai sensi della disposizione generale di cui all'art. 1218 cod. civ. - che l'inadempimento degli obblighi derivatigli dal contratto di lavoro non è a lui imputabile e che, comunque, il diritto del lavoratore a riprendere il suo posto non sussiste, con conseguente necessità di ridurre il rimedio esercitato dal lavoratore al risarcimento pecuniario. L'individuazione di siffatto onere probatorio a carico del datore di lavoro persegue, inoltre, la finalità di non rendere troppo difficile l'esercizio del diritto del lavoratore, il quale, a differenza del datore di lavoro, è privo della "disponibilità" dei fatti idonei a provare il numero dei lavoratori occupati nell'impresa."
Pertanto, il ricorso principale va rigettato.
Attraverso il ricorso incidentale il M. si duole, invece, dell'omessa pronunzia in ordine all'appello incidentale da lui proposto per la richiesta di condanna della controparte al pagamento dell'indennità sostitutiva del mancato preavviso dei licenziamento.
Tale doglianza è inammissibile per la semplice ragione che una volta posto nel nulla il licenziamento ed una volta eseguita la condanna del datore di lavoro alla reintegra del dipendente nel posto prima occupato veniva ad essere garantita a quest'ultimo la persistenza giuridica del rapporto lavorativo, come se lo stesso non avesse subito alcuna interruzione, per cui non era più configurabile un suo diritto alla fruizione dell'indennità sostitutiva del mancato preavviso per il licenziamento ormai superato dalia effettiva ripresa del servizio.
Ne consegue che il ricorso incidentale è inammissibile.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza prevalente del ricorrente principale e vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile quello incidentale.
Condanna il ricorrente principale alle spese del presente giudizio nella misura di € 4000,00 per compensi professionali e di € 50,00 per esborsi, oltre accessori di legge.