Cassazione Civile, Sez. Lav., 25 ottobre 2013, n. 24189 - Trasferimento di un informatore scientifico e atteggiamento discriminatorio: mobbing


 

Fatto





Con ricorso al Tribunale di Torino il dott. M.D., informatore scientifico del farmaco alle dipendenze di P. S.p.A. sin dal 1° settembre 1987 in forza di rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, ha impugnato il trasferimento da Pesaro, suo luogo di residenza e di lavoro, a Torino, ritenendo lo stesso illegittimo perché determinato da intenti vessatori e discriminatori e comunque non supportato da effettive ragioni aziendali; ha chiesto il risarcimento dei danni, patrimoniali e non, subiti a fronte di condotte vessatorie e punitive, precedenti e successive alla intimazione del trasferimento; ha impugnato la sanzione disciplinare dell’ammonizione scritta del 20 novembre 2007, comminatagli per non avere trasmesso tempestivamente al suo capoarea gli itinerari delle visite di informazione dei medici da effettuarsi la settimana successiva; ha rivendicato infine somme a titolo di compensi per lavoro straordinario, indennità di trasferta, rimborso spese di soggiorno, vitto e alloggio a seguito dell'intimato trasferimento.

Il Tribunale adito ha respinto tutte le domande, ad eccezione di quelle relativa ai rimborsi delle spese per il trasferimento a Torino, condannando la società al pagamento della somma di € 1.000,00.

L’impugnazione proposta dal D. è stata respinta dalla Corte d’appello di Torino con sentenza in data 14 febbraio - 12 aprile 2012.

Ricorre per cassazione avverso questa sentenza il predetto lavoratore, sulla base di due motivi, limitatamente ai capi relativi al trasferimento e al risarcimento dei danni. La società resiste con controricorso.



Diritto





1. Con il primo motivo il ricorrente, denunziando violazione e falsa applicazione degli artt. 2103 e 2697 cod. civ., deduce che la sentenza impugnata, incorrendo nel vizio di motivazione, ha omesso di esaminare circostanze rilevanti e decisive ed in particolare:

- che l’area di Torino, diversamente da quanto risultante dalla lettera di trasferimento, aveva carattere non strategico, onde non era giustificato il suo trasferimento in quella sede;

- che non vi era corrispondenza tra le microaree di Torino, lasciate vacanti da due informatori scientifici, e quelle attribuite al ricorrente; -

- che era stata la stessa società resistente a determinare la scopertura della zona di Torino, proponendo ai due informatori scientifici le dimissioni incentivate;

- che vi era la possibilità di praticare soluzioni alternative al suo trasferimento nell’area di Torino, distante ben 700 Km. dalla zona di Pesaro;

- che le residue piccole aree affidate al ricorrente ben potevano essere assegnate agli informatori scientifici piemontesi;

- che l’azienda ha disposto l’allontanamento del ricorrente dalla zona di lavoro abituale, senza considerare l’allarmante quadro sanitario documentato, attestante disturbi di carattere psichico.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2087 cod. civ. nonché omesso esame delle circostanze poste a fondamento della domanda di risarcimento.

Rileva che la Corte di merito, incorrendo nel vizio di motivazione, ha omesso di valutare i fatti denunciati dal ricorrente, ritenendo che non fosse stata provata la domanda di risarcimento dei danni per mobbing e non considerando che le condotte poste in essere dal datore di lavoro, pur se non integrando la fattispecie del mobbing, perché prive di sistematicità e di intenti persecutori, erano tuttavia lesive dell’obbligo di sicurezza di cui all’art. 2087 cod. civ.

Richiama, e trascrive, il ricorrente le deposizioni testimoniali che evidenziavano ogni tipo di vessazione posta in essere nei suoi confronti.

Evidenzia che era evidente il nesso eziologico tra dette condotte vessatorie e le sue precarie condizioni psico-fisiche, documentate da certificazioni medico-specialistiche.

3. Il primo motivo non è fondato.

Questa Corte ha più volte affermato che il controllo giurisdizionale delle comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive che legittimano il trasferimento del lavoratore subordinato deve essere diretto ad accertare che vi sia corrispondenza tra il provvedimento adottato dal datore di lavoro e le finalità tipiche dell'impresa, e, trovando un preciso limite nel principio di libertà dell'iniziativa economica privata, garantita dall’art. 41 Cost., non può essere dilatato fino a comprendere il merito della scelta operata dall’imprenditore; quest’ultima, inoltre, non deve presentare necessariamente i caratteri dell'inevitabilità, essendo sufficiente che il trasferimento concreti una delle possibili scelte, tutte ragionevoli, che il datore di lavoro può adottare sul piano tecnico, organizzativo e produttivo (Cass. 2 gennaio 2001 n. 27; Cass. 2 agosto 2002 n. 11624; Cass. 29 luglio 2003 n. 11660; Cass. 18 aprile 2005 n. 7930; Cass. 28 aprile 2009 n. 9921; Cass. 2 marzo 2011 n. 5099).

Nella specie la Corte di merito ha ritenuto provata la sussistenza delle ragioni organizzative e produttive idonee a giustificare il trasferimento ai sensi dell’art. 2103, rilevando che i due informatori che coprivano le zone di Torino ed Aosta si erano dimessi, onde si era reso necessario provvedere alla loro sostituzione, peraltro in un quadro di riorganizzazione dell'azienda, conseguente alle dimissioni incentivate di 16 informatori su un totale di 110; che la situazione personale del ricorrente non era ostativa al trasferimento, privo essendo il medesimo di carichi familiari; che al D. era stata assegnata una zona assolutamente comparabile con quella degli altri informatori, all’inizio coperta da altri suoi colleghi avendo il ricorrente ripreso servizio quasi un anno dopo il trasferimento; che non era pretestuoso il motivo della nuova destinazione, risultando comprovate le ragioni da cui era stato determinato il trasferimento.

Tutte tali argomentazioni sono state contestate dal ricorrente, il quale ha viceversa rappresentato una situazione di fatto del tutto diversa da quella prospettata dalla sentenza impugnata, assumendo che non erano state correttamente valutate le risultanze probatorie.

In tale ottica, le censure mosse all’impugnata sentenza si sono sostanzialmente risolte in una richiesta di riesaminare e valutare il merito della causa, e cioè in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito, e perciò in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura e alla finalità del giudizio di cassazione.

Ed allora è bene ricordare che la denuncia di un vizio di motivazione non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare autonomamente il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì soltanto quello di controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, le argomentazioni svolte dal giudice di merito.

Spetta infatti in via esclusiva a tale giudice il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllare l’attendibilità e la concludenza delle prove, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti.

Conseguentemente per potersi configurare il vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia, è necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza con un giudizio di certezza e non di mera probabilità (cfr., tra le altre, Cass. 15355/04; Cass. 9368/06; Cass. 9245/07; Cass. 14752/07).

Nella fattispecie in esame deve escludersi che la sentenza impugnata abbia omesso l’esame di circostanze decisive per il giudizio, risultando viceversa che il giudice d’appello, con una motivazione congrua, coerente e priva di vizi logici-giuridici, ha compiutamente valutato, nel complesso, il materiale probatorio acquisito ed in particolare le dichiarazioni rese dai testi, pervenendo alla conclusione che fossero sussistenti le ragioni tecniche, organizzative e produttive che hanno dato luogo al trasferimento.

Al di là del dedotto vizio di motivazione, tutte le altre argomentazioni - quali la possibilità di utilizzare il ricorrente presso la zona di provenienza, la possibilità di coprire la zona di destinazione con altri informatori, lo sviluppo del progetto di crescita, il fatturato dell’azienda nella zona di provenienza e di destinazione, i nuovi compiti assegnati al ricorrente, le dimissioni incentivate proposte agli informatori scientifici, la praticabilità di differenti soluzioni organizzative asseritamente più razionali e redditizie -, attengono al merito delle scelte operate dall’azienda e si sottraggono al controllo giurisdizionale, che è limitato all’esame dell’effettiva sussistenza delle ragioni tecniche e organizzative che hanno determinato il trasferimento, ragioni che la Corte di merito ha accertato dando sufficientemente conto del proprio convincimento.

4. Anche il secondo motivo è infondato.

La Corte di merito, sulla scorta dei dati acquisiti al processo, ha escluso non solo la sussistenza del mobbing, ma anche ogni forma di condotta discriminatoria o vessatoria asseritamente posta in essere nei confronti del ricorrente, rilevando che gli atteggiamenti tenuti nei suoi confronti erano comuni agli altri informatori e che essi erano il frutto del legittimo esercizio del potere gerarchico del datore di lavoro e di una generale politica aziendale che non aveva di mira il ricorrente, ma puntava ad una riorganizzazione dell’azienda del tutto legittima rappresentando esercizio della libertà d’impresa, garantita dall’art. 41 Cost.

Ha piuttosto rimarcato il giudice d’appello due circostanze, peraltro non contestate dal ricorrente, di indubbia rilevanza al fine di valutare la resa lavorativa del medesimo: la prima relativa alla sua effettiva presenza al lavoro per soli 73 giorni nel periodo novembre 2008 - giugno 2009, successivo alla ripresa del servizio dopo la malattia; la seconda concernente il numero assai ridotto di visite giornaliere ai medici, due o tre al giorno contro una media di dieci degli altri informatori.

Ed ha altresì rilevato la Corte di merito l’atteggiamento ostruzionistico e talvolta anche provocatorio tenuto dal ricorrente a partire dal disposto trasferimento, sostanziatosi nel rifiuto di rendere una prestazione lavorativa a livelli accettabili durante le giornate di presenza in servizio, escludendo atteggiamenti persecutori e vessatori e concludendo che le dedotte patologie non erano da collegare in alcun modo alla condotta del datore di lavoro.

Anche qui il ricorrente ha lamentato il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il giudice d’appello, deducendo che il medesimo ha valutato erroneamente le risultanze processuali e proponendo una diversa lettura del materiale probatorio, a lui favorevole.

Ma, al riguardo, valgono le medesime considerazioni svolte sub n. 3, ribadendosi che i vizi di motivazione deducibili con il ricorso per cassazione non possono consistere nella contrapposizione tra la valutazione delle prove fatta dal giudice di merito e la valutazione enunciata dalla parte ricorrente, risultando del tutto precluso alla Corte di cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito, attraverso una propria, autonoma valutazione dei fatti di causa, essendo solo consentito al giudice di legittimità di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, le argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento.

Nella specie devono escludersi i vizi di motivazione denunciati, avendo la Corte di merito, con un percorso argomentativo congruo e privo di vizi logico-giuridici, dato adeguatamente conto della ragioni della decisione.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio, come in dispositivo.



P.Q.M.




Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida, a favore della P. S.p.A., in € 50,00 per esborsi ed € 4.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge, con distrazione a favore dei suoi difensore, Avv.ti A.M. e F.M..