Cassazione Penale, Sez. Unite, 18.09.2014, n. 38343 - Thyssenkrupp “Guida alla lettura” a cura di Arianna Arganese |
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Valutazione dei rischi: obbligo giuridico nei reati colposi e autonormazione (punti 3, 4, 22 in diritto) |
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PAROLE CHIAVE: Valutazione dei rischi – Documento di valutazione dei rischi – Obbligo giuridico - Autonormazione |
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SOMMARIO: Fatti di causa - Questioni di diritto - Soluzione adottata - Riferimenti giurisprudenziali - Essenziali Riferimenti bibliografici |
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Fatti di causa |
Nella notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007, presso lo stabilimento di Torino della ThyssenKrupp, divampava un terribile incendio, che interessava la linea denominata APL5, dedicata alle fasi di ricottura e decapaggio di enormi rotoli di acciaio, nel quale persero la vita sette operai. Sostanzialmente non controverso è lo sviluppo delle circostanze che determinarono l’innesco e lo sviluppo dell’incendio: il primo innesco riguardò carta accartocciata vicino al punto di sfregamento tra il nastro di acciaio in lavorazione con i bordi dell’impianto posto a quota +3 metri che, infiammatasi, precipitò sul piano sottostante, ove si trovavano spezzoni di carta e ristagni di olio di laminazione che alimentarono l’incendio. Nell’arco di circa dieci minuti l’incendio coinvolse tutta la carta e l’olio esistenti sul pavimento. I lavoratori, avvedutisi dopo alcuni minuti di quanto accadeva, si precipitarono fuori dal pulpito nel quale si trovavano e, con gli estintori a breve gittata, tentarono di spegnere le fiamme, provando pure ad utilizzare una manichetta dalla quale tuttavia l’acqua non fuoriusciva, ma vennero investiti da una nuvola incandescente di olio nebulizzato (flash fire), che si espanse improvvisamente per un’ampiezza di 12 metri, senza lasciare loro possibilità di scampo. Le misure avviate per spegnere l’incendio si rivelarono inefficaci ed esso divampò ulteriormente e fu domato solo dopo un lungo e laborioso intervento dei vigili del fuoco. Dalle primissime indagini dopo l’incendio emerse un complessivo degrado dell’impianto e la parziale inefficienza degli strumenti di spegnimento, tanto che gli ispettori dell’Asl riscontrarono ben 116 irregolarità e constatarono la mancata manutenzione delle attrezzature, il danneggiamento di parti elettriche, l’accumulo di materiale infiammabile. Della morte dei sette operai venivano chiamati a rispondere, a vario titolo: l’Amministratore delegato e membro del Comitato esecutivo (c.d. Board) della società, esercente lo stabilimento di Torino, con delega per la produzione e la sicurezza sul lavoro, il personale, gli affari generali e legali; due Consiglieri del Consiglio di Amministrazione e membri del Comitato esecutivo (c.d. Board) della società, con delega, l’uno, per il settore commerciale ed il marketing e, l’altro, per l’amministrazione, finanza, controllo di gestione, approvvigionamenti e servizi informativi; il Direttore dello stabilimento sito in Torino; e due Dirigenti con funzioni, rispettivamente, di Direttore dell’Area Tecnica e Servizi, con competenza nella pianificazione degli investimenti in materia di sicurezza antincendio anche per lo stabilimento di Torino e di Responsabile dell’Area EAS (ecologia, ambiente e sicurezza) e Responsabile del Servizio di Prevenzione e protezione dello stabilimento sito in Torino; nonché e la società, in qualità di persona giuridica, in persona del legale rappresentante, ai sensi dell’art. 25-septies, del d.lgs. n. 231/2001. In particolare, l’accusa formulava i seguenti capi d’imputazione: A) tutti gli imputati, in concorso tra loro, del reato di cui all’art. 437, cc. 1 e 2, c.p., per aver omesso di dotare la linea di ricottura e decapaggio denominata APL5 di impianti ed apparecchi destinati a prevenire disastri ed infortuni sul lavoro; ed in particolare di adottare un sistema automatico di rivelazione e spegnimento degli incendi, di cui emergeva la necessità in considerazione dell’alto rischio dovuto alla presenza di olio idraulico in pressione, olio di laminazione e carta imbevuta di olio. Fatto dal quale sono derivati un disastro (incendio), di cui ai capi C e E, ed un infortunio sul lavoro che ha determinato la morte di sette operai, evento rubricato ai capi B e D, nonché lesioni personali in danno di altri; B) Al solo Amministratore delegato, imputato del reato di cui agli artt. 81 e 575 c.p., per aver cagionato volontariamente la morte dei lavoratori, essendosi rappresentata la possibilità del verificarsi di infortuni anche mortali, in quanto a conoscenza delle contingenze già riportate nel capo A) e di aver accettato tale rischio, giacché, in virtù dei poteri decisionali inerenti alla sua posizione apicale, nonché della specifica competenza e delega in materia di sicurezza sul lavoro, prendeva la decisione di posticipare l’investimento antincendio, sebbene lo stabilimento si trovasse in una situazione di crescente insicurezza; C) Al solo Amministratore delegato, imputato del reato di incendio doloso di cui all’art. 423 c.p., per aver cagionato nella linea APL5 un incendio violento, rapido e di vaste proporzioni dal quale derivava la morte dei lavoratori, in quanto, pur informato della concreta possibilità del verificarsi di incendi, ometteva di adottare le misure tecniche, organizzative, procedurali i prevenzione e protezione contro gli incendi; contestandogli di non aver adeguatamente valutato il rischio di non aver organizzato percorsi informativi e formativi nei confronti dei lavoratori, di non aver installato un sistema automatico di rilevazione e spegnimento degli incendi, nonostante la situazione i crescente abbandono ed insicurezza dello stabilimento; tutte condotte derivanti dalla decisione di posticipare l’investimento antincendio; D) Ai membri del Comitato esecutivo, ai due Consiglieri del Consiglio di amministrazione, ai due Dirigenti ed al Direttore dello stabilimento, imputati del reato di cui all’art. 61 c.p., n. 3 e art. 589, cc. 1, 2 e 3, c.p., per aver cagionato per colpa la morte dei lavoratori, con le aggravanti della violazione delle norme di sicurezza sul lavoro e di aver agito nonostante la previsione dell’evento; E) Ai membri del Comitato esecutivo, ai due Consiglieri del Consiglio di amministrazione, ai due Dirigenti ed al Direttore dello stabilimento, imputati del reato di incendio colposo cui all’art. 61 c.p., n. 3 e artt. 449 e 423 c.p., per aver cagionato l’incendio, a causa delle condotte colpose riportate al capo D), con l’aggravante della previsione dell’evento; In primo grado, la Corte di Assise di Torino, sezione seconda, con sentenza del 14.11.2011 (ud. 15.04.2011), n. 31095, in accoglimento delle richieste della Procura della Repubblica, affermava la responsabilità degli imputati in ordine ai reati loro ascritti, condannando l’Amministratore delegato della società ad una pena di anni 16 e mesi 6 di reclusione per i delitti di omicidio volontario plurimo (artt. 81, c. 1 e 575 c.p.), incendio doloso (art. 423 c.p.) e omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro aggravata dall’evento (art. 437, c. 2, c.p.); gli altri cinque imputati, Amministratori e Dirigenti dell’impresa, a pene comprese tra 13 anni e 6 mesi di reclusione e 10 anni e 10 mesi di reclusione, per i delitti di omicidio colposo plurimo (art. 589, cc. 1, 2 e 3 c.p.) e incendio colposo (art. 449 c.p., in relazione all’art. 423 c.p.), entrambi aggravati dalla previsione dell’evento, e omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro (art. 437, c. 2, c.p.); nonché, in solido tra loro e con il responsabile civile, al risarcimento del danno nei confronti delle parti civili; nonché, ai sensi dell’art. 25-septies del d.lgs. n. 231/2001, la società ThyssenKrupp Acciai speciali Terni S.p.A., alla sanzione pecuniaria di un milione di euro (ex artt. 9, 10 e 12, c. 2, lett. a), disponendo, oltre alle sanzioni interdittive della esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi per la durata di 6 mesi (ex art. 9, c. 2, lett. a), e del divieto di pubblicizzare beni o servizi per la durata di 6 mesi (ex art. 9, c. 2, lett e) ed alla confisca del profitto del reato per una somma di 800 mila euro (ex art. 19), la pubblicazione della sentenza sui quotidiani di diffusione nazionale. Impugnata dalle difese degli imputati, la sentenza di primo grado veniva parzialmente riformata in appello dalla Prima Corte di Assise d’Appello di Torino, la quale, con sentenza del 27.05.2013 (ud. 28.02.2013), n. 6, disattendendo le conclusioni della Corte di Assise in tema di dolo eventuale, riqualificava i fatti contestati all’Amministratore delegato, di cui al capo B), in omicidio colposo ai sensi dell’art. 589 c.p., cc. 1, 2 e 3 e dell’art. 61, c.p., n. 3, e di cui al capo C), in incendio colposo, ai sensi dell’art. 449 c.p. e dell’art. 61, n. 3, c.p., entrambi aggravati dalla previsione dell’evento; per tutti, il reato di incendio colposo veniva ritenuto assorbito in quello di cui all’art. 437, cc. 1 e 2, c.p., rubricato al capo A), e riconosciuto il concorso formale tra i reati di cui agli artt. 437 e 589 c.p.; per l’effetto le pene venivano rideterminate in senso più favorevole per tutti gli imputati; mentre le statuizioni nei confronti della società, di cui al d.lgs. n. 231/2001 venivano integralmente confermate. Avverso la sentenza di secondo grado veniva proposto ricorso per cassazione, sia dal Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Torino nei confronti di tutti gli imputati, che dagli imputati. L’Ufficio per l’esame preliminare dei ricorsi della Prima sezione della Corte di Cassazione, cui il processo era stato assegnato, trasmetteva gli atti al Primo Presidente esponendo le divergenze giurisprudenziali sull’individuazione della linea di confine tra dolo eventuale e colpa cosciente, segnalando l’opportunità che fosse trattato dalle Sezione Unite, anche per chiarire se “la irragionevolezza del convincimento prognostico dell’agente circa la non verificazione dell’evento comporti o meno la qualificazione giuridica dell’elemento psicologico del delitto in termini di dolo eventuale”. Il Primo Presidente della Corte di Cassazione, con decreto del 29.11.2013, riscontrata l’esistenza di dissonanze nella giurisprudenza di legittimità a proposito della evocata linea di confine tra dolo eventuale e colpa cosciente, valutata altresì l’importanza anche di altre questioni afferenti alla posizioni di garanzia, particolarmente nelle strutture complesse e ad elevato rischio, assegnava il ricorso alle Sezioni Unite. |
Questioni di diritto |
Se il corretto adempimento dell’obbligo di sicurezza imponga al garante della sicurezza non solo di rispettare le prescrizioni normativamente previste, ma anche di adottare tutte le misure cautelari suggerite dal sapere scientifico e tecnologico. |
Soluzione adottata |
Il d.lgs. n. 626/1994 (così come confermato dal successivo d.lgs. n. 81/2008) attribuisce al datore di lavoro l’obbligo preliminare di valutare egli stesso il rischio e di approntare misure atte ad azzerarlo o ridurlo al massimo. Nel confezionare il documento di valutazione dei rischi, al datore di lavoro spetta il compito prudenziale di sommare tutti i fattori di rischio conosciuti, cioè di considerarli ipoteticamente tutti compresenti onde ricostruire una situazione da stress da cui trarre le necessarie conclusioni in tema di opere prevenzionali per azzerare o ridurre al minimo i rischi. Pertanto, laddove plurimi significativi indicatori di allarme segnalino la presenza di un rischio, incombe sul datore di lavoro, ai sensi e per gli effetti degli artt. 3 e 4 del d.lgs. n. 626/1994, l’obbligo di organizzare ed aggiornare le misure di prevenzione secondo la propria esperienza e secondo la migliore evoluzione della tecnica, tenendo conto dei mutamenti organizzativi e produttivi rilevanti per la sicurezza. In particolare, il datore di lavoro ha l’obbligo giuridico di applicare i protocolli normativi tenendo conto dell’esperienza, dell’evoluzione tecnica e dei rischi concretamente presenti. Quando si parla di cautele da approntare per fronteggiare un rischio si fa riferimento ad un obbligo giuridico e non solo meramente morale o sociale. Peraltro, tale obbligo giuridico non sempre trova la sua fonte diretta in un asserto normativo. Vi sono, infatti, nell’ordinamento, contesti di rischio (di cui la sicurezza del lavoro e la circolazione stradale costituiscono gli esempi più noti) che sono oggetto di un’articolata disciplina di settore. Sebbene tali normative abbiano indubbio rilievo, contribuendo significativamente a conferire determinatezza all’illecito colposo ed a concretizzare quindi, nello specifico contesto, il principio di legalità; esse, tuttavia, non possono certamente esaurire ed attualizzare tutte le possibili prescrizioni atte a governare compiutamente rischi indicibilmente vari e complessi. L’inadeguatezza deriva, da un lato, dalla varietà delle situazioni di dettaglio, che non consente di pensare ad una formazione direttamente esaustiva; e dall’altro, dal continuo sviluppo delle conoscenze e delle tecnologie, che rende sovente inattuali le prescrizioni codificate. Per questo la normativa cautelare ha bisogno di essere integrata dal sapere scientifico e tecnologico che reca il vero nucleo attualizzato della disciplina prevenzionistica. Per tale ragione il sistema prevede che ciascun garante analizzi i rischi specifici connessi alla propria attività ed adotti le conseguenti, appropriate misure cautelari, avvalendosi proprio di figure istituzionali, come il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, che del sapere necessario sono istituzionalmente portatori. Correttamente si è parlato al riguardo di autonormazione: espressione che ben esprime la necessità di un continuo autoadeguamento delle misure di sicurezza alle condizioni delle lavorazioni. L’obbligo giuridico nascente dalla attualizzata considerazione dell’accreditato sapere scientifico e tecnologico è talmente pregnante che è sicuramente destinato a prevalere su quello eventualmente derivante da disciplina legale incompleta o non aggiornata. Circa il ruolo del sapere scientifico e tecnologico nel conformare l’obbligazione cautelare e nell’orientare il giudizio sulla colpa demandato al giudice, la giurisprudenza ha sottolineato come l’evocazione di tali conoscenze, spesso condensate in qualificate linee guida, ha a che fare con le forti istanze di determinatezza che permeano la sfera del diritto penale. Occorre partire dalla considerazione che la fattispecie colposa ha necessità di essere etero integrata non solo dalla legge, ma anche da atti di rango inferiore, per ciò che riguarda la concreta disciplina delle cautele, delle prescrizioni, degli aspetti tecnici che in vario modo fondano il rimprovero soggettivo. La discesa della disciplina dalla sfera propriamente legale a fonti gerarchicamente inferiori che caratterizza la colpa specifica, contrariamente a quanto si potrebbe a tutta prima pensare, costituisce peculiare, ineliminabile espressione dei principi di legalità, determinatezza, tassatività. La fattispecie colposa, col suo carico di normativa diffusa, è per la sua natura fortemente vaga, attinge il suo nucleo significativo proprio attraverso precostituite regole alle quali vanno parametrati gli obblighi di diligenza, prudenza, perizia. Tuttavia, è illusorio pensare che ogni contesto rischioso possa trovare il suo compiuto governo in regole precostituite e ben fondate, aggiornate, appaganti rispetto alle esigenze di tutela, il giudice, pertanto, consumatore e non produttore di leggi scientifiche e di prescrizioni cautelari, potrà rinvenire la fonte precostituita alla stregua della quale articolare il giudizio senza surrettizie valutazioni a posteriori, nella scienza e nella tecnologia, le uniche fonti certe, controllabili, affidabili. Il sapere extragiuridico, pertanto, assume rilievo sia come fonte delle cautele, al fine di conferire determinatezza alla fattispecie colposa, sia come guida per l’appezzamento demandato al giudice |
Riferimenti giurisprudenziali |
Precedenti conformi: Cass. pen., sez. IV, 09.04.2013, n. 16237 |
Essenziali riferimenti bibliografici |
- G. Aronica, Il datore di lavoro (ancora…) tra formalismo ed effettività, in Rivista trimestrale di diritto penale dell'economia, 2013, n. 4, pp. 617-668 - G. De Falco (a cura di), Rassegna della giurisprudenza - Il RSPP quale garante della sicurezza; Preposto di diritto e preposto di fatto; Omessa valutazione di un rischio ed efficacia causale, in Ambiente e sicurezza sul lavoro, 2014, n. 9, pp. 128-129 - M. Gallo, Caso Thyssen: le nuove frontiere del diritto penale del lavoro, in Guida al lavoro, 16.12.2011, n. 49, p. 67 ss - M. Gallo, Nella sentenza Thyssen la nuova frontiera della responsabilità penale, in Guida al lavoro, 29.04.2011 - A. Guardavilla, Datore di lavoro, dirigente, preposto, delegato e “aree di gestione del rischio”, in http://www.puntosicuro.it, 02.10.2014 - G. Marra, La prevenzione degli infortuni sul lavoro e il caso Thyssenkrupp. I limiti penalistici delle decisioni rischiose nella prospettiva delle regole per un lavoro sicuro, in I Working Papers di Olympus, 2012, n. 8 - A. Montagna (a cura di), Il disastro della Thyssen: un "ordinario" caso di omicidio colposo, in Diritto penale e processo, 2014, n. 11, pp. 1283-1285 |