Fatti di causa
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Il titolare di un’impresa edilizia, mentre era alla guida di una macchina operatrice per trasportare materiale edile all’interno del cantiere di cui era responsabile, non si avvedeva di una persona che stava transitando posteriormente al veicolo, investendola; l’investito decedeva nell’immediatezza per le lesioni riportate ed il titolare veniva condannato, in entrambi di gradi di giudizio di merito, per omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche. Sia in primo che in secondo grado venivano contestate all’imputato, nella sua qualità di titolare della ditta edile e di responsabile del cantiere, sotto il profilo di colpa specifica, le violazioni di cui all’art. 374 del DPR n. 547/55 ed agli artt. 22 e 12 del D. Lgs. n. 494/96, rispettivamente, per non aver tenuto il veicolo in condizioni di efficienza e per non aver rispettato il piano di sicurezza e coordinamento, nella parte relativa all’apprestamento della recinzione del cantiere, in quanto quella apposta, trovandosi a maggior distanza dal muro rispetto a quanto previsto dal piano, consentiva di fatto il passaggio pedonale ed in specie il transito della vittima, persona estranea al cantiere, mancando, peraltro, ogni segnalazione di divieto di transito. L’imputato ricorreva in Cassazione, affidandosi a due motivi: - con il primo motivo denunciava violazione di legge, nella specie degli artt. 40 e 41 c.p., evidenziando che, così come accertato dalla Corte d’Appello, la vittima era entrata all’interno di un cantiere recintato spostando le transenne che circondavano il cantiere; ne deduceva, pertanto, la difesa, che ciò dimostrava che l’imputato aveva predisposto adeguate misure poste per interdire l’accesso al cantiere, così come previsto dal Piano di sicurezza, misure che la vittima aveva evaso consapevolmente ed in modo imprevedibile, introducendosi furtivamente nel cantiere. Secondo la tesi difensiva, infatti, la condotta della vittima (consistita appunto nello spostare le transenne per entrare nel cantiere) e lo scoppio del pneumatico del veicolo guidato dall’imputato, avrebbero interrotto, quali cause sopravvenute autonome, il nesso causale e dunque, proprio perché imprevedibili ed inevitabili, escluso che l’evento morte fosse riconducibile ad una condotta colposa dell’imputato; - con il secondo motivo denunciava altra violazione di legge per la mancata assunzione di una prova decisiva, in quanto la Corte d’Appello non aveva accolto la richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale avanzata dalla difesa, che intendeva acquisire la documentazione relativa ad altro processo instauratosi dopo la sentenza di primo grado, a seguito del rinvio a giudizio a carico di ulteriori soggetti che ricoprivano posizioni di garanzia quali responsabili dei lavori, direttori dei lavori, coordinatori della sicurezza in fase di progettazione.
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Soluzione adottata
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La Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la sentenza di condanna dell’imputato, ritenendo le argomentazioni offerte dalla Corte del merito, sulle medesime censure poste a base del ricorso, pienamente convincenti e condivisibili in quanto aderenti al dato normativo ed alla giurisprudenza della Corte. In particolare, con riferimento alle due principali censure poste alla base della contestata interruzione del nesso di causalità, rispettivamente, per lo spostamento da parte della vittima delle transenne collocate per impedire l’accesso nel cantiere ad estranei e per lo scoppio del pneumatico posteriore, la Cassazione precisa quanto segue: 1) la condotta della vittima non può essere considerata fatto imprevedibile, in quanto, come emerso in istruttoria, era noto all’imputato che le persone residenti nella zona (inclusa la vittima), per comodità, attraversassero il cantiere per giungere dalla parte opposta, rimovendo con facilità le transenne ivi apposte; egli, pertanto, come puntualmente evidenziato dai giudici del merito, avrebbe dovuto apporre una recinzione più consistente e, comunque, applicare anche delle segnalazioni di divieto di transito. Sotto questo profilo, perciò, secondo la Cassazione, il ricorso è inammissibile in quanto tende a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale probatorio rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito e non indica in maniera specifica vizi di legittimità o profili di illogicità della motivazione della decisione impugnata ma mira solo a prospettare una ricostruzione alternativa dei fatti, suggerita come preferibile rispetto a quella adottata dai giudici del merito, ricostruzione che è insuscettibile di valutazione in sede di controllo di legittimità. 2) Quanto allo scoppio del pneumatico, la Corte, condividendo la motivazione sul punto dell’impugnata sentenza, ritiene che, nel caso di specie, questo non si atteggi a causa sopravvenuta, invocandosi al caso fortuito di cui all’art. 45 c.p. Osserva la Cassazione, a tal proposito, che la rilevanza giuridica del caso fortuito è inesorabilmente legata ad un’azione umana che, adoperando l’espressione «commettere», suppone la presenza di un comportamento umano, attivo o negativo: dall’incrocio di questo con l’avvenimento casuale deriva la produzione dell’evento, nel senso che questo, secondo il principio della equivalenza delle cause, è eziologicamente riconducibile alla condotta dell’uomo, il quale tuttavia non ne risponde per l’intervento del fattore causale imprevedibile. Dunque, il caso fortuito presuppone l’integrità del rapporto di causalità materiale tra la condotta e l’evento, collocandosi come causa (soggettiva) di esclusione della punibilità. A questa concezione c.d soggettiva (alla quale, come noto, si contrappone quella c.d. oggettiva, secondo la quale il fortuito escluderebbe il rapporto materiale) la Corte aderisce ritenendola, in linea di principio, meglio rispondente alla logica del sistema normativo. Ne consegue, dunque, che l’accadimento fortuito, per produrre il suo effetto di escludere la punibilità dell’agente - sul comportamento del quale viene ad incidere - deve risultare totalmente svincolato sia dalla condotta del soggetto agente, sia dalla sua colpa; viceversa in tutti i casi in cui l’agente abbia dato materialmente causa al fenomeno – solo, dunque, apparentemente fortuito – ovvero nei casi in cui, comunque, sia possibile rinvenire un qualche legame di tipo psicologico tra il fortuito e il soggetto agente (nel senso che l’accadimento, pure eccezionale, poteva in concreto essere previsto ed evitato se l’agente non fosse stato imprudentemente negligente o imperito) non è possibile parlare propriamente di fortuito in senso giuridico. Per quanto concerne il caso sottoposto all’esame della Suprema Corte, è un dato di fatto oggettivo che il pneumatico in questione fosse usurato e che fosse del tutto prevedibile, anche in ragione del carico trasportato dalla macchina, che lo stesso potesse scoppiare, come in effetti è accaduto; il che, secondo la Cassazione, esclude che possa configurarsi il caso fortuito, consistente, come già evidenziato, in quell’avvenimento imprevisto e imprevedibile che si inserisce d’improvviso nell’azione del soggetto e non può in alcun modo, nemmeno a titolo di colpa, farsi risalire all’attività psichica dell’agente. Quanto poi alla censura posta a base del secondo motivo, secondo la Cassazione è del tutto infondata, in quanto non rileva processualmente se altre persone hanno parimenti posto in essere condotte colpose che hanno determinato l’infortunio mortale, ai fini della valutazione della responsabilità colposa del ricorrente, che è stata ben delineata (sia sotto il profilo di colpa generica che specifica) nei suoi elementi soggettivi ed oggettivi.
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Riferimenti giurisprudenziali
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- Sulla responsabilità in caso di infortunio di un estraneo, v. Cass. pen., sez. IV, del 17.10.2013, n. 42647; Cass. pen., sez. IV, del 03.11.2008, n. 41053.
In particolare sul caso fortuito, la Cassazione richiama espressamente precedenti pronunce di adesione - sia alla concezione c.d. oggettiva: v. Cass. pen., sez. IV, del 25.02.2010 (Ud.), n. 10823; Cass. pen., sez. IV, del 17.09.2009 (Ud.), n. 44548; Cass. SS.UU, del 14.06.1980, Felloni; conformi Cass. pen., sez. III, del 18.12.1997, Rosati; Cass. pen., sez. IV, del 30.10.1990, Lo Nigro; - sia alla concezione c.d. soggettiva: v. Cass. pen., sez. IV, del 09.12.1988, Savelli; in senso conforme v. anche Cass. pen., sez. IV, del 31.05.1990, D’Attico; Cass. pen., sez. IV, del 11.03.1986, Panzerolli; Cass. pen., sez. V, del 31.03.1978, n. 12072; Cass. pen., sez. V, del 28.04.1978, n. 6401.
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