Cassazione Civile, Sez. Lav., 23 maggio 2017, n. 12908 - Azione di regresso e risarcimento del danno differenziale nei confronti del lavoratore
Presidente: D'ANTONIO ENRICA Relatore: SPENA FRANCESCA Data pubblicazione: 23/05/2017
Fatto
Con ricorso al Tribunale di Brescia del 5.4.2006 l'INAIL chiedeva la condanna della società IMPRESA R. snc e dei soci illimitatamente responsabili B., G. e G. R. al pagamento delle prestazioni erogate al dipendente della società signor L.F. a seguito dell'infortunio sul lavoro del 10 ottobre 2000 (complessivi € 217.051,23).
La società chiamava in causa la compagnia di assicurazione MILANO ASSICURAZIONI spa nonché il dipendente L.F. .
Al giudizio veniva riunito il procedimento introdotto dal L.F. contro il datore di lavoro e l'INAIL (ricorso del 15.6.2007), diretto nei confronti della società al risarcimento del danno e nei confronti dell'INAIL alla attribuzione di prestazioni corrispondenti ad un grado di invalidità superiore a quello riconosciuto.
Per quanto rileva in causa, il giudice del lavoro con sentenza del 14.4.2010 (nr. 374/2010) condannava la società ed i soci illimitatamente responsabili nei confronti dell'INAIL in via di regresso nonché al risarcimento del danno differenziale nei confronti del lavoratore.
Proponevano separato appello l'INAIL per la rideterminazione della somma dovuta in via di regresso e la società IMPRESA R. snc con i soci illimitatamente responsabili; il L.F. proponeva appello incidentale.
Riuniti gli appelli, la Corte d'appello di Brescia, con sentenza del 3-12.3.2011, accoglieva l'appello dell'INAIL, rigettava l'appello della società IMPRESA R. snc nei confronti del lavoratore, rigettava l'appello incidentale proposto dal lavoratore.
La Corte territoriale osservava che l'INAIL aveva attestato il proprio credito, pari alla capitalizzazione della rendita liquidata tenendo conto dei miglioramenti economici intervenuti, con certificazione del direttore della sede. Il credito per il regresso andava determinato al momento della liquidazione definitiva, senza possibilità per il datore di lavoro di eccepire la modifica della domanda.
L'appello della società datrice di lavoro e dei soci era infondato.
La ctu del primo grado dava conto adeguatamente dei postumi dell'infortunio al maggio 2001 nonché del successivo aggravamento, che aveva determinato un aumento della rendita corrisposta dall'INAIL dal 28% al 65% di invalidità.
Per la liquidazione del danno alla persona appariva condivisibile il ricorso alle tabelle del Tribunale di Milano nonché la personalizzazione in aumento del 15% in ragione dell'età dell'infortunato e della penosità della vita quotidiana, per l'incidenza dei postumi nei rapporti sociali e nella autonomia personale.
Non poteva condividersi la difesa del datore di lavoro circa la insussistenza di un danno non patrimoniale differenziale rispetto alla liquidazione della rendita INAIL per il danno biologico.
L'appello del datore di lavoro era infondato anche quanto alla liquidazione del danno patrimoniale.
Il lavoratore aveva prodotto un prospetto dell'INPS dal quale risultava, da un lato, che dalla data di cessazione del rapporto di lavoro egli non godeva di alcun trattamento pensionistico, dall'altro che la perdita della possibilità di proseguire qualsiasi attività lavorativa aveva determinato la impossibilità di raggiungere un maggior numero di contributi settimanali sino al 65A anno di età , la cui incidenza era stata liquidità (sulla base del prospetto prodotto e non contestato) come danno futuro da perdita di una quota mensile di pensione.
Hanno proposto ricorso per la cassazione della sentenza la società IMPRESA R. snc ed i soci B., G. e G. R., articolato in nove motivi.
Hanno resistito con controricorso l'INAIL e L.F..
MILANO ASSICURAZIONI spa è rimasta intimata.
L'INAIL ha depositato memoria.
Diritto
1. Con il primo motivo le parti ricorrenti hanno denunziato— ai sensi dell'art. 360 nr. 5 cod. proc. civ.— omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Hanno lamentato l'omesso esame della richiesta della società, all'esito del deposito della consulenza integrativa da parte del ctu ( alla udienza del 21.9.2009, prima utile), di essere autorizzata al deposito di memoria difensiva.
Sussisteva il presupposto dei gravi motivi giacché nei due atti introduttivi del giudizio, depositati dall'INAIL e dall'infortunato, non si erano allegate conseguenze dell'infortunio tali da far ritenere l'incapacità dell'infortunato allo svolgimento delle ordinarie occupazioni; la resistente doveva essere ammessa a provare la capacità del L.F. di estrinsecare le proprie attitudini, esigenza istruttoria sorta solo dopo il deposito della ctu. Tale esigenza era ancor più evidente per il regime dell'articolo 149 d.a. cpc, che rendeva rilevanti in causa anche gli aggravamenti e le infermità verificatisi in corso di giudizio.
Il motivo è inammissibile.
L'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40— applicabile ratione temporis— prevede l'«omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione» come riferita ad «un fatto controverso e decisivo per il giudizio» laddove il testo previgente riferiva il medesimo vizio ad un «punto decisivo della controversia».
Il termine «fatto» non può considerarsi equivalente a «questione» o «argomentazione» , dovendo per fatto intendersi un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza da intendersi in senso storico-naturalistico, non assimilabile a «questioni» o «argomentazioni» che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate al riguardo. (Cfr. Cassazione civile, sez. trib., 08/10/2014, n. 21152 ).
Non conduce ad esiti diversi la riqualificazione della censura in termini di error in procedendo (sotto il profilo dell'art. 420 cod.proc.civ.).
Gli eventuali vizi di attività del giudice nel processo di primo grado determinanti la nullità della sentenza devono formare oggetto di specifica impugnazione, per il principio dell'assorbimento delle nullità in mezzi di gravame sicché, in difetto di essa, sul punto si forma il giudicato e la questione non può più essere fatta valere in sede di legittimità. Era dunque onere delle parti ricorrenti , sotto il profilo della specificità del motivo di ricorso (art. 366 nr. 6 cod. proc. civ.), allegare di avere proposto un motivo di appello sul punto, indicandone i contenuti.
2. Con il secondo motivo le parti ricorrenti hanno dedotto— ai sensi dell'art. 360 nr. 5 cod.proc.civ.— omessa , insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e deciso per il giudizio nonché — ai sensi dell'art. 360 nr.3 cod.proc.civ.— violazione dell'art. 2697 cod civ.
La censura afferisce al mancato accoglimento della richiesta di rinnovo della ctu, per non avere il ctu adeguatamente risposto alle note critiche di parte ed ai rilievi verbalizzati alla udienza dell'11 giugno 2009, inerenti, in particolare, alla mancata esposizione dei motivi dell'aggravamento dei postumi alla data della visita peritale(20 giugno 2008) ed alla mancata indagine circa l'intervento di cause estranee.
Inoltre il grado di invalidità accertato non incideva nella stessa misura sulla capacità di condurre una normale vita di relazione e nessun elemento era stato fornito dal ctu per concludere nel senso della compromissione della qualità della vita.
Le parti ricorrenti hanno censurato la adesione da parte del giudice del primo grado e poi del giudice dell'appello alle conclusioni del ctu, in mancanza di una specifica motivazione sulla reiezione della richiesta.
Il motivo è inammissibile.
Parte ricorrente non evidenzia uno specifico fatto decisivo non esaminato dal giudice del merito né individua le statuizioni della sentenza affette dal vizio di contraddittorietà o da carenza del procedimento logico.
Esprime, piuttosto, un dissenso diagnostico rispetto alle conclusioni del ctu circa la dipendenza dei postumi dall'infortunio e la loro quantificazione, devolvendo a questa Corte un non-consentito esame di merito sugli accertamenti di fatto compiuti dal giudice dell'appello.
Non appare pertinente la censura formulata in relazione all'articolo 2697 cc.
La violazione della regola processuale viene in rilievo nelle sole fattispecie in cui il giudice del merito, in assenza della prova del fatto controverso, applichi la regola di giudizio basata sull'onere della prova, individuando come soccombente la parte onerata della prova; è in tale eventualità che il soccombente può dolersi della non corretta ripartizione del carico della prova.
Nell'ipotesi di causa la Corte territoriale ha ritenuto provata la responsabilità del datore di lavoro per gli esiti dell'infortunio, secondo i postumi accertati dal ctu, sicché non hanno influito sulla decisione la distribuzione dell'onere probatorio e le conseguenze del suo mancato assolvimento.
I motivi dal terzo al settimo attengono ai rapporti tra la società IMPRESA R. snc ( con i soci illimitatamente responsabili) ed il lavoratore.
3. Con il terzo motivo le parti ricorrenti hanno dedotto— ai sensi dell'art. 360 nr. 5 cod.proc.civ.— omessa motivazione relativamente agli importi liquidati al L.F. a titolo risarcitorio.
Hanno esposto che con l'atto di appello era stata censurata la liquidazione del danno operata dal primo giudice, in quanto il Tribunale aveva applicato le tabelle del Tribunale di Milano vigenti alla data della decisione (anno 2009) , correttamente devalutando gli importi alla data dell'infortunio (10 ottobre 2000) ma poi rivalutandoli per il periodo dall'infortunio al saldo, con una sopravalutazione del danno; hanno dedotto che il giudice dell'appello non aveva motivato circa il rigetto della censura.
Il motivo è inammissibile.
Trattasi di questione non esaminata in sentenza sicché i ricorrenti avrebbero dovuto indicare i contenuti del motivo di appello proposto sul punto al fine di evitare la statuizione di inammissibilità per novità della censura ( ex plurimis: Cassazione civile sez. III 13/06/2014 nr.13547).
4. Con il quarto motivo le parti ricorrenti hanno denunziato— ai sensi dell'art. 360 nr. 3 cod.proc.civ.— violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2729 cod.civ., 13 DL.vo 38/2000 in relazione alla personalizzazione del danno.
La censura afferisce all'aumento dei valori tabellari in misura del 15% operato in sentenza per la personalizzazione del danno.
I ricorrenti hanno assunto la assenza di una automatica equivalenza tra il grado di invalidità e la riduzione della capacità di lavoro specifica e della capacità di attendere alle quotidiane occupazioni. Hanno dedotto che nella fattispecie di causa mancava la prova dell'incapacità lavorativa, risultando anzi, lo svolgimento del rapporto di lavoro alle dipendenze della società IMPRESA R. anche dopo l'infortunio. L'aumento dei valori tabellari non poteva essere parametrato alla gravità dei postumi, di cui si teneva già conto nella liquidazione tabellare.
Il motivo è inammissibile.
Esso, benché articolato come violazione di norme di diritto, investe la liquidazione del danno non patrimoniale operata nelle fattispecie concreta ed, in particolare, la personalizzazione del danno rispetto al criterio tabellare.
Trattasi dell'accertamento del fatto storico riservato al giudice del merito e censurabile nella presente sede soltanto ai sensi del nr. 5 dell'art. 360 cod.proc.civ.
La censura, pur riqualificata, non presenta i requisiti di ammissibilità per la deduzione del vizio di motivazione.
Essa non indica un fatto storico non esaminato in sentenza né individua le statuizioni della sentenza affette dal preteso vizio di insufficienza e contraddittorietà su una quaestio facti ma chiede a questa Corte di compiere un nuovo esame di merito sulla entità del danno biologico, sottoponendo a critica l'apprezzamento dei dati di fatto (conseguenze dell'invalidità nella vita quotidiana dell'infortunato) da parte del giudice dell'appello.
5) Con il quinto motivo le parti ricorrenti hanno dedotto —ai sensi dell'art. 360 nr. 5 cod proc.civ.— omessa motivazione nonché — ai sensi dell'art.360 nr. 3 cod.proc.civ.— violazione e falsa applicazione dell'art. 13 D.Lgs. 23.2.2000 nr. 38, del DPR 1124/1965, dell'art. 2697 cod.civ.
Hanno assunto il difetto della motivazione per la mancata considerazione della rendita erogata dall'INAIL a copertura delle conseguenze patrimoniali e biologiche dell'Infortunio .
A seguito della entrata in vigore del D.L.vo 38/2000 operava per il datore di lavoro l'esonero dalla responsabilità civile per il danno biologico in forza dell'articolo 10 DPR 1124/1965.
La rendita erogata dall'INAIL copriva tutti pregiudizi, non ammettendosi la possibilità di un danno differenziale sulla base di criteri di creazione giurisprudenziale, quali le tabelle elaborate dagli uffici giudiziari.
La liquidazione legale del danno biologico, sulla base dell'art.13 D.Lgs 38/2000 e del DM attuativo (12 luglio 2000), escludeva la possibilità di individuare un danno differenziale sulla sola base della diversità dei valori tabellari rispetto al valore capitalizzato della rendita a carico dell'INAIL ; il lavoratore poteva ottenere il risarcimento delle sole voci di danno non coperte dall' Istituto (biologico temporaneo, esistenziale, morale).
Il motivo è infondato.
Esso pone all'esame della Corte due distinte questioni ovvero, in linea di pregiudizialità, quella dell'esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile per il danno biologico ed in via successiva quella, logicamente consequenziale, circa i criteri di liquidazione del danno cd. differenziale.
Sul primo punto è agevole rilevare che per effetto della riforma di cui al d.l.vo 38/00 - art. 13- la copertura assicurativa del danno biologico determina l'esonero da responsabilità civile del datore di lavoro nei termini e secondo le condizioni previste dall'art. 10 DPR 1124/1965 ( ex plurimis Cassazione civile , sez. lav., 29 gennaio 2001, n. 1114 ).
L' articolo 10 nei commi successivi al primo (così come interpretati alla luce degli interventi additivi della Corte Costituzionale e della modifica dei rapporti, attuata dal nuovo codice di procedura penale, tra azione penale e azione civile ) prevede che permanga la responsabilità civile del datore di lavoro nei casi in cui la sua condotta costituisce reato perseguibile d'ufficio e per la sola parte che eccede le indennità liquidate dall'INAIL: cd. danno differenziale (commi 6^ e 7^ dell'articolo 10).
Nella fattispecie di causa sussisteva la responsabilità del datore di lavoro per il danno cd. differenziale, in quanto la sua condotta integrava gli estremi di un reato (lesioni personali colpose gravissime con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro) per il quale è prevista la procedibilità d'ufficio.
Quanto alla seconda questione, correttamente la Corte di merito ha individuato il danno differenziale procedendo alla liquidazione del danno alla persona secondo gli ordinari criteri civilistici e detraendo dal quantum così determinato l'indennizzo liquidato dall'INAIL.
L'INAIL eroga una prestazione che per il suo carattere — rigidamente predeterminato ex lege— e per la sua funzione— di assicurare un mero sostegno sociale all'infortunato— non corrisponde al danno risarcibile previsto nel modello della responsabilità civile , avente funzione di ristoro integrale delle conseguenze pregiudizievoli dell'illecito.
La diversità trova ragionevole spiegazione nella differenza delle fattispecie disciplinate giacché le prestazioni erogate dall'Inail sono dovute in dipendenza dal semplice verificarsi dell'infortunio mentre il risarcimento da responsabilità civile presuppone la configurabilità di un illecito e l'accertamento della colpevolezza.
La censura muove dall'erroneo assunto della omogeneità della funzione dell'indennizzo dell'INAIL rispetto al risarcimento del danno civilistico.
La statuizione impugnata, che ha individuato il danno biologico differenziale come differenza tra l'importo del danno da responsabilità civile— liquidato secondo i parametri ordinari di cui all'art. 1226 cod.civ.— e l'indennizzo corrisposto dall'INAIL, ha dunque correttamente interpretato ed applicato le norme di legge indicate nella rubrica del motivo .
6. Con il sesto motivo le parti ricorrenti hanno denunziato — ai sensi dell'art. 360 nr. 3 cod.proc.civ.— violazione dell'art. 2697 cod civ. relativamente all'importo riconosciuto al L.F. a titolo di danno per mancato proseguimento dell'attività di lavoro sino all'età pensionabile.
La censura afferisce all'importo riconosciuto alla vittima come danno patrimoniale differenziale.
I ricorrenti hanno dedotto la mancanza di prova del danno, in quanto il lavoratore si era volontariamente dimesso nel dicembre 2005 e non aveva offerto la prova della dipendenza delle proprie dimissioni dai postumi dell'infortunio ( dimostrando che egli avrebbe proseguito nella attività lavorativa e che era impedito ad attendervi). Dalla consulenza risultava la mancanza di accertamenti medici per tutto il periodo decorrente dal 30 aprile 2004, epoca in cui il dipendente era ancora in servizio e la visita del ctu, effettuata in data 19 giugno 2008.
La prova non era stata offerta neppure in via presuntiva perché non era certa la riduzione della capacità lavorativa.
7) con il settimo motivo le parti ricorrenti allegano — ai sensi dell'alt. 360 nr. 5 cod.proc.civ.— omessa ed insufficiente motivazione sull'importo riconosciuto a titolo di danno differenziale per diminuzione del trattamento pensionistico .
I ricorrenti hanno censurato la mancanza di prova circa il quantum di € 63mila liquidato per danno patrimoniale sulla base di un conteggio di parte acquisito per iniziativa del giudice, in mancanza della prova che la cessazione della attività lavorativa nell'anno 2005 fosse conseguenza diretta ed immediata dell'infortunio. Gli accertamenti diagnostici eseguiti dal ctu erano relativi all'anno 2008 mentre vi era una mancanza di certificazioni mediche per tutto il periodo dall'anno 2004 al 2008.
Il sesto ed il settimo motivo, in quanto connessi, devono essere esaminati congiuntamente.
La censura proposta con il sesto motivo in punto di violazione dell'art. 2697 cod.civ. è inammissibile.
Come si è già detto, la sentenza non ha individuato la soccombenza a carico del datore di lavoro sulla base del mancato assolvimento dell'onere della prova, facendo così applicazione dell'art. 2697 cod civ., ma ha ritenuto positivamente provato il lucro cessante sulla base della ctu, per mancato raggiungimento di una più elevata anzianità contributiva.
Il vizio denunziato con i due motivi in trattazione attiene piuttosto che alla applicazione delle norme di diritto all'accertamento del fatto storico (importo del danno da lucro cessante) sicché deve essere esaminato sotto il profilo del vizio di motivazione dedotto con il settimo motivo.
Il motivo è inammissibile per difetto di specificità.
La Corte di merito ha affermato che la prova della dipendenza del danno dall'infortunio derivava dalla relazione del CTU sulla impossibilità di proseguire qualsiasi attività lavorativa.
I ricorrenti al fine di censurare specificamente questa statuizione avrebbe dovuto riportare le parti della ctu dalle quali si ricavava che la incapacità a proseguire qualsiasi attività lavorativa non era riferibile alla data di cessazione del rapporto di lavoro ed inoltre provvedere alla localizzazione, nell'ambito degli atti depositati, della consulenza tecnica posta a base della censura (art. 369 nr. 4 cod.proc.civ.) non essendo all'uopo sufficiente il rinvio ai fascicoli di parte. Inoltre per sfuggire al rilievo di novità della censura avrebbero dovuto indicare in quali atti la questione di fatto della cessazione del rapporto di lavoro per dimissioni, di cui non è cenno in sentenza, era stata portata all'esame del giudice del merito, provvedendo alla loro localizzazione e deposito ( ex art. 369 nr. 4 cod.proc.civ.) .
I motivi ottavo e nono sono relativi alla azione di regresso proposta dall'INAIL.
8. Con l'ottavo motivo i ricorrenti lamentano — ai sensi dell'art. 360 nr. 5 cod.proc.civ — omessa e insufficiente motivazione relativamente all'importo della somma liquidata in favore dell' INAIL.
Hanno dedotto che la Corte di merito aveva posto a base della quantificazione la certificazione del direttore della sede INAIL, in assenza di adeguata motivazione.
La società non avrebbe potuto contestare specificamente la certificazione, in quanto ignorava la procedura interna di liquidazione dell'importo certificato ed aveva comunque contestato il riconoscimento delle conseguenze patrimoniali, che non spettavano per la prosecuzione della attività lavorativa.
Il motivo è infondato.
Per consolidato indirizzo di questa Corte (cfr. Cassazione civile, sez. lav., 02/02/2015, n. 1841; Cass. n. 12562 del 2014; Cass. n. 11544 del 2012; Cass. n. 21964 del 2011; Cass. n. 11617 del 2010)— cui si intende dare in questa sede continuità— la prova della congruità delle indennità corrisposte dall'INAIL al lavoratore nel giudizio di regresso intentato contro il datore di lavoro può essere fornita con l'attestato del direttore della sede regolatrice, svolgendo l'Istituto la sua azione attraverso atti emanati a conclusione di procedimenti amministrativi ed assistiti da presunzione di legittimità propria di tutti gli atti amministrativi. Tale presunzione di legittimità può venir meno solo di fronte a precise contestazioni che evidenzino i vizi da cui sarebbero affetti tali atti. La sentenza ,che si è adeguata a tale principio, è esente dalle censure mosse sotto il profilo della insufficienza della motivazione.
Del pari infondata è la contestazione dell'importo richiesto per l'indennizzo del danno patrimoniale.
L’art. 11 del DPR 1124/1965 accorda all’istituto assicuratore il diritto di regresso «per le somme pagate a titolo d'indennità e per le spese accessorie contro le persone civilmente responsabili»; si tratta di un diritto proprio dell'INAIL, autonomo rispetto alla pretesa risarcitoria spettante al lavoratore infortunato, derivante dal rapporto assicurativo ed assoggettato ad un regime giuridico peculiare (Sezioni Unite, sentenza n. 5160 del 2015), tendenzialmente onnicomprensivo di quanto corrisposto dall'ente, con il solo limite del quantum della responsabilità civile, accertabile secondo le regole generali dei danni, quale che sia l'entità delle prestazioni assicurative erogate.
Ove siano state riconosciute ed erogate prestazioni illegittime, perchè non spettanti ovvero eccedenti, il datore di lavoro può sempre dimostrare la stessa illegittimità, da rapportare necessariamente alla mancanza dei presupposti di fatto e alla violazione dei criteri vincolanti posti dalla legge (Cassazione civile, sez. lav., 23/06/2016, n. 13061 ;Cass. n. 9329/1994 e 1899/1988).
Nella fattispecie di causa la censura non attiene né al superamento del quantum della propria responsabilità civile secondo le regole ordinarie né alla illegittimità della prestazione erogata dall'INAIL.
9. Con il nono motivo le parti ricorrenti hanno denunziato— ai sensi dell'art. 360 nr. 3 cod proc.civ— violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod.proc.civ. nonché—ai sensi dell'art. 360 nr. 5 cod.proc.civ. omessa motivazione.
Il motivo attiene alla pronunzia di condanna delle parti ricorrenti alle rifusione delle spese di entrambi i gradi di giudizio in favore dell' INAIL e del L.F. .
I ricorrenti hanno esposto di avere già evidenziato nell'atto di appello la non corretta attribuzione del totale carico delle spese del primo grado, in quanto:
- il L.F. aveva proposto giudizio autonomo mentre avrebbe potuto far valere le proprie ragioni nel giudizio introdotto dall'INAIL, nel quale era stato chiamato in causa;
- gran parte della attività difensiva del L.F. e dell'INAIL era relativa alla domanda di una maggiore rendita introdotta dal L.F. nei confronti dell'Istituto.
Hanno altresì dedotto che le spese del grado di appello avrebbero dovuto essere parzialmente compensate, per il rigetto dell'appello incidentale del L.F. e per la necessità dell'INAIL di proporre un autonomo atto di appello.
Il motivo è infondato.
La violazione dell'art. 91 cod. proc.civ. viene in rilievo quando il giudice abbia attribuito il carico delle spese con un criterio diverso dalla soccombenza. Nella specie la impugnazione non attiene al profilo indicato ma alla adeguatezza del quantum liquidato, essendo incontestata la soccombenza tanto rispetto alla domanda Introdotta dall'INAIL che rispetto a quella del lavoratore.
Pertanto la censura avrebbe dovuto essere dedotta in termini di violazione del principio di inderogabilità della tariffa professionale (nella fattispecie di causa, D.M. 8 aprile 2004) specificando altresì ,ex art. 366 nr. 6 cod.proc.civ., gli errori commessi dal giudice e le voci della tabella degli onorari e dei diritti asseritamente violate (Cass. n. 14744 del 2007; Cass. n. 13417 del 2001).
Del pari è infondata la censura di violazione dell'art. 92 cod.proc.civ.
Mentre l’esercizio - da parte del giudice di merito - del potere di disporre la compensazione è stato, nel tempo, sottoposto a un controllo sempre più stringente (dalla formulazione dell'art. 92 c.p.c., alla riforma contenuta nella l. 28 dicembre 2005 n. 263 a quella della legge 18 giugno 2009 n. 69 sino al d.l. 12 settembre 2014 n. 132), con conseguente sindacabilità della motivazione posta a base dell'esercizio di quel potere, il mancato esercizio dello stesso non può essere dedotto quale motivo di illegittimità della pronuncia di merito che ha applicato il principio della soccombenza (Cassazione civile, sez. III 20/10/2014, n. 22224).
Il ricorso deve essere conclusivamente respinto.
Le spese ,regolate come da dispositivo, seguono la soccombenza nei confronti delle parti costituite.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna le parti ricorrenti al pagamento delle spese, che liquida in favore dell'INAIL in € 200 per spese ed € 6.500 per compensi professionali oltre spese generali al 15% ed accessori di legge ed in favore di L.F. in € 200 per spese ed € 6.000 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, in data 8.2.2017