Cassazione Penale, Sez. 4, 24 luglio 2023, n. 31833 - Capo-macchina schiacciato dal macchinario "Pick & Place line Tandem".


 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOVERE Salvatore - Presidente -

Dott. VIGNALE Lucia - rel. Consigliere -

Dott. BELLINI Ugo - Consigliere -

Dott. RANALDI Alessandro - Consigliere -

Dott. RICCI Anna Luisa A. - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
 


sul ricorso proposto da:

A.A., nato a (Omissis);

B.B., nato a (Omissis);

C.C., nato a (Omissis);

D.D., nato a (Omissis);

E.E., nato a (Omissis);

F.F., nato a (Omissis);

G.G., nato a (Omissis);

avverso la sentenza del 29/06/2022 della CORTE APPELLO di NAPOLI;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa VIGNALE LUCIA;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. TAMPIERI LUCA, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi proposti da: G.G., F.F., E.E., D.D., C.C. e l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per B.B. e A.A.;

uditi i difensori presenti;

per le parti civili:

avvocato TROMBETTI ROCCO, del foro di SANTA MARIA CAPUA VETERE, anche per l'avvocato CARFORA ELISABETTA, che ha depositato conclusioni scritte alle quali si è riportato e nota spese;

avvocato BRASCA FRANCESCO, del foro di SANTA MARIA CAPUA VETERE, quale sostituto processuale dell'avvocato RUSSO RAFFAELE, che ha depositato conclusioni scritte alle quali si è riportato e nota spese;

avvocato CANNAVACIUOLO DOMENICO del Foro di NAPOLI, quale sostituto processuale dell'avvocato TESSITORE SERGIO, che ha depositato conclusioni scritte alle quali si è riportato e nota spese;

per gli imputati:

avvocato QUARANTA FERDINANDO, del foro di NOLA, in difesa di A.A. e B.B., che ha chiesto l'accoglimento dei ricorsi;

avvocato IANNUZZI CARMINE, del foro di NAPOLI, in difesa di D.D., e, in sostituzione degli avvocati BOTTI CLAUDIO e SPERLONGANO PAOLO, anche per C.C. e E.E., che ha chiesto l'accoglimento dei ricorsi;

avvocato FRACCHIA DAVID, del foro di TORINO in difesa di G.G., che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;

avvocato VERCELLI ALBERTO, del foro di TORINO, in difesa di F.F., che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;

avvocato DAVICO BONINO PAOLO, del foro di TORINO, in difesa di F.F., che ha insistito nei motivi di ricorso.

 

Fatto


1. Con sentenza del 29 giugno 2022, la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza pronunciata dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere in data 11 dicembre 2018 quanto alla affermazione della penale responsabilità di G.G., F.F., D.D., C.C., A.A., B.B. e E.E., per il reato di cui all'art. 589 c.p., comma 2, in danno di H.H.. La sentenza di primo grado è stata riformata solo con riferimento alle statuizioni civili disponendo la condanna degli imputati al risarcimento dei danni anche nei confronti della parte civile CGIL Regione (Omissis) (condanna che non era stata disposta in primo grado).

2. Il procedimento ha ad oggetto un infortunio sul lavoro verificatosi il (Omissis) presso lo stabilimento di (Omissis) della "Rieter Automotive Fimit s.p.a." nel quale perse la vita H.H. dipendente della società. Secondo la ricostruzione fornita dai giudici di merito, il giorno dei fatti, H.H. stava lavorando alla macchina denominata "Pick & Place line Tandem", destinata al prelievo di fogli bituminati (materiale utilizzato per realizzare i frontali e i passaruote delle auto) e al trasferimento degli stessi alla zona di termoformatura. Per prelevare e sostenere i fogli durante la traslazione, la macchina utilizzava un braccio con ventose. Poteva accadere, tuttavia, che, durante il trasferimento, i fogli si staccassero, oppure che le ventose non riuscissero ad afferrarli e sollevarli. In questo caso, per evidenti ragioni di sicurezza, il macchinario andava in blocco. Ne conseguiva, inevitabilmente, un rallentamento della produzione: era necessario, infatti, accedere all'area di lavoro della macchina per recuperare e mettere a posto manualmente i fogli che, inoltre, potevano deformarsi nella caduta, nel qual caso il successivo inserimento nel forno doveva avvenire manualmente. Terminate le operazioni di ripristino, il macchinario doveva essere prima resettato e poi riavviato usando una pulsantiera che si trovava all'esterno della linea produttiva, vicino all'ingresso. L'accesso all'area di lavoro della macchina era costituito da un varco munito di fotocellule che ne bloccavano il funzionamento se rilevavano il passaggio di persone. Dalle sentenze emerge (e il dato non è controverso) che l'inconveniente descritto si verificava con una certa frequenza, aveva determinato ripetuti interventi di manutenzione sul macchinario, ed era causato, più che da un malfunzionamento delle ventose, dal fatto che i fogli bituminati si attaccavano fra loro sicchè accadeva che la macchina ne sollevasse più d'uno e il peso fosse eccessivo. Per evitare che ciò accadesse, i lavoratori facevano in modo che i fogli bituminati fossero distanziati inserendo tra gli stessi dei pezzetti di legno o facendo delle "orecchiette" sugli angoli.

Non è controverso che il giorno dei fatti il macchinario sia andato in blocco e H.H., che aveva il ruolo di "capo-macchina", sia intervenuto accedendo all'area di lavoro. Al momento dell'incidente egli si trovava tra i bancali sui quali i fogli erano impilati - per quanto è dato comprendere in posizione seduta - e dava le spalle al pick-up; fu schiacciato dalla barra con ventose destinata al prelievo dei fogli e morì per asfissia meccanica violenta da immobilizzazione del torace. Secondo i giudici di merito, la presenza di H.H. vicino ai bancali trova spiegazione nel fatto che la macchina era andata in blocco e nella conseguente necessità di sistemare i fogli bituminati. L'infortunio si verificò perchè la macchina entrò in funzione: quindi perchè fu effettuata la procedura di reset, cui seguì quella di riavvio. Il giudizio di merito ha escluso che il riavvio della macchina fosse stato determinato da un guasto elettronico e da ciò si desume che qualcuno la azionò. Non è stato possibile accertare se tale operazione fu compiuta dallo stesso H.H., prima di avvicinarsi ai bancali, o fu eseguita da altro dipendente, ignaro del fatto che H.H. si trovasse in quel luogo. La prima eventualità non ha potuto essere esclusa perchè dall'istruttoria dibattimentale è emerso che l'accesso all'area in cui operava il pick-up era possibile - oltre che dall'ingresso principale presidiato da fotocellule - anche da una porticina che, dopo l'infortunio, fu trovata aperta, con la chiave inserita in una serratura non funzionante. Secondo i giudici di merito, sia nel caso in cui H.H. abbia raggiunto i bancali dopo aver messo in moto il macchinario, sia nel caso in cui l'avviamento sia stato eseguito da un terzo, l'infortunio sarebbe riferibile a violazione di norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro. Le sentenze impugnate sostengono infatti che, sia in un caso che nell'altro, l'evento letale fu reso possibile dalla intrinseca pericolosità del macchinario perchè dipese: nella prima ipotesi, dal fatto che i lavoratori potevano entrare nel raggio di azione del pick-up in movimento; nella seconda ipotesi, dal fatto che l'accesso ai comandi che consentivano il reset e il riavvio della macchina era possibile anche se uno dei dipendenti si trovava in posizione pericolosa e chi procedeva al riavvio non poteva vederlo. Secondo la prospettazione dei giudici di merito, a tale intrinseca pericolosità si aggiunse la mancanza di procedure operative volte a disciplinare le modalità di accesso alla zona di lavoro della macchina: una carenza che fu diretta conseguenza della mancata individuazione e valutazione dei rischi connessi al funzionamento della linea "Tandem" installata nello stabilimento nell'anno 2010.

2.1. G.G., F.F., D.D., C.C., A.A., B.B. e E.E., sono stati chiamati a rispondere della morte di H.H.:

- G.G., quale legale rappresentante della "Rieter Automotive Fimit s.p.a.", datore di lavoro dell'infortunato e redattore del Documento di valutazione dei rischi (DVR) che aveva sottoscritto in data 20 gennaio 2011, poco dopo aver assunto la qualifica di legale rappresentante della società;

- F.F., quale direttore dello stabilimento di (Omissis), ove accadde l'incidente;

- D.D., quale Responsabile del Servizio di prevenzione e protezione dello stabilimento (RSPP);

- C.C., quale dirigente responsabile della produzione;

- A.A., quale dirigente responsabile della qualità;

- B.B., quale dirigente responsabile dei servizi tecnici di produzione;

- E.E., quale dirigente responsabile del comparto manutenzione;

Secondo i giudici di merito, l'infortunio fu determinato da numerose violazioni di norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro ed in particolare: dalla non adeguata valutazione dei rischi connessi al funzionamento e all'uso del macchinario (D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 17, 28 e 29); dal fatto che la linea produttiva non era idonea a fini di sicurezza perchè accessibile a macchina in movimento (D.Lgs. 9 aprile 2008, artt. 70 e 71); dal fatto che non erano state adottate adeguate misure tecnico organizzative per ridurre al minimo i rischi connessi all'uso dell'impianto (D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 71, commi 3 e 4 e allegato 6, punto 3); dal fatto che H.H. non aveva ricevuto un adeguato addestramento in proposito (D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 37 e art. 71, comma 7);

Secondo i giudici di merito, per prassi consolidata, i lavoratori si portavano in corrispondenza dei bancali ove erano impilate le lastre per distanziarle con pezzi di legno e, quando le lastre cadevano o non erano afferrate dalle ventose, intervenivano per rimetterle in posizione. Per evitare un eccessivo rallentamento della produzione, questo poteva avvenire anche con la macchina in funzione perchè l'accesso all'area in cui operava il pick-up era possibile anche da una porticina non presidiata da alcun sistema di sicurezza. Inoltre, il reset e il riavvio della macchina potevano avvenire ad opera di lavoratori diversi da quello che era entrato nell'area di lavoro. La sentenza impugnata e la sentenza di primo grado sostengono che il problema del distacco o mancata presa delle lastre bituminate era emerso subito dopo l'installazione della linea "Tandem" ed era noto ai vertici dell'azienda. Secondo i giudici di merito, poichè l'inconveniente si presentava con frequenza, i vertici dell'azienda erano consapevoli - o avrebbero potuto esserlo usando l'ordinaria diligenza - che per prevenirlo i lavoratori sistemavano, tra un foglio e l'altro, dei pezzi di legno, così avvicinandosi impropriamente al macchinario. La sentenza impugnata e quella di primo grado spiegano che di tale prassi era informato D.D. perchè il teste I.I. ha detto di avergliene parlato; erano informati C.C. e E.E., che hanno reso dichiarazioni in tal senso; erano informati anche B.B. e A.A. perchè C.C. ha riferito di aver discusso con loro della questione e perchè - come dichiarato da E.E. - A.A. chiese all'azienda produttrice dei fogli di trattarli in modo da evitare che potessero attaccarsi tra loro. I giudici di merito sottolineano che nessuna misura fu adottata al fine di evitare che i lavoratori ricorressero ad espedienti per distanziare le lastre e far sì che il problema del distacco o mancato afferramento delle stesse si presentasse con minor frequenza e neppure furono previste modalità operative idonee ad impedire che, per sistemare e distanziare i fogli, i lavoratori potessero trovarsi nel raggio di azione del pick-up in movimento. Rilevano che la situazione di pericolo - pur essendo, per così dire, "notoria" (atteso che l'inserimento tra i fogli bituminati dei distanziatori di legno avveniva quotidianamente) - non fu presa in considerazione nel documento di valutazione dei rischi. Sostengono che il verificarsi dell'evento fu reso possibile: da una valutazione del rischio incompleta e inadeguata; dal fatto che alla zona in cui il macchinario operava potesse accedersi anche a macchina in funzione tramite una porticina laterale che non poteva essere chiusa perchè la serratura non funzionava; dalla possibilità di procedere al reset e al riavvio del macchinario senza prima essersi assicurati che nessuno si trovasse all'interno dell'area di lavoro.

3. Tutti gli imputati, per mezzo dei rispettivi difensori, hanno proposto ricorso contro la sentenza. I ricorsi sono articolati in più motivi che vengono di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari alla decisione come previsto dal D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271, art. 173, comma 1.

4. Il ricorso proposto nell'interesse di G.G. - imputato quale legale rappresentante della "Rieter Automotive Fimit s.p.a.", datore di lavoro dell'infortunato e redattore del DVR - consta di cinque motivi.

4.1. Col primo motivo la difesa si duole che la sentenza impugnata non abbia fornito una ricostruzione certa della dinamica del fatto e abbia comunque contraddetto la ricostruzione dello stesso contenuta nel capo di imputazione. Deduce quindi, da un lato, carenza di motivazione, dall'altro violazione dell'art. 521 c.p.p.. La difesa sottolinea che, quando H.H. entrò nell'area di lavoro, il macchinario era in blocco e, per riavviarlo, era necessario intervenire sul quadro elettrico (che si trova distante dalla linea), operare la procedura di reset (che fa tornare la macchina a inizio ciclo e la fa ripartire in posizione zero) e poi dare il comando di avvio. Per comprendere la rilevanza causale delle omissioni ascritte al G.G. sarebbe stato necessario, dunque, accertare perchè la macchina fu riavviata e da chi; circostanze che la Corte territoriale ha immotivatamente ritenuto non rilevanti, come ha ritenuto irrilevante il dato (emerso in giudizio) che, quando fu schiacciato dal braccio del pick-up, H.H. era seduto e dava le spalle alla macchina. Secondo la difesa, questo dato avrebbe rilievo perchè consentirebbe di escludere che, al momento del fatto, H.H. stesse rimettendo a posto i fogli (operazione che non si potrebbe compiere stando seduti); dimostrerebbe quindi l'imprevedibilità e abnormità della condotta del lavoratore.

Sotto diverso profilo, la difesa sottolinea che, secondo l'imputazione, H.H. si avvicinò alla macchina in movimento "al fine di interporre (...) dei bastoni che favorissero l'aderenza del foglio alle ventose" e il fatto così descritto è completamente diverso rispetto a quello ritenuto in sentenza. Sostiene che vi è stata violazione dell'art. 521 c.p.p. non essendovi corrispondenza tra chiesto e giudicato.

4.2. Col secondo motivo la difesa deduce vizi di motivazione riguardo alle condotte omissive ascritte a G.G. ed errata applicazione del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 37 quanto al contenuto degli obblighi di formazione facenti capo al datore di lavoro.

Osserva in proposito che, non ostante il verificarsi di episodi di mancata presa o distacco dei fogli bituminati, la linea "Tandem" garantiva standard produttivi più che adeguati. G.G. non aveva dunque ragione alcuna per ritenere che non funzionasse bene, tanto più che anche i dirigenti dello stabilimento non attribuivano l'inconveniente a malfunzionamento del macchinario, ma, piuttosto, alle caratteristiche dei fogli che tendevano ad appiccicarsi tra loro. Nella medesima prospettiva, la difesa sottolinea che l'inserire un distanziatore tra i fogli non è in sè operazione pericolosa e lo diventa solo se la si compie con la macchina in movimento. Osserva che tutti i testimoni esaminati hanno riferito di aver proceduto a distanziare con pezzetti di legno i fogli impilati accedendo all'area di lavoro dell'impianto attraverso il varco dotato di fotocellule e, quindi, di aver operato a macchina ferma. Sottolinea che la linea "Tandem" non prevedeva accessi alternativi e i lavoratori lo sapevano. Rileva che tutti gli accessi non presidiati dovevano essere chiusi a chiave e non potevano essere aperti sicchè, a ben guardare, una specifica formazione sul punto non era neppure necessaria. Secondo la difesa, l'ipotesi - formulata dagli inquirenti e avallata dai giudici di merito - secondo la quale H.H. sarebbe entrato nell'area di lavoro da un ingresso alternativo, non è provata; ma anche a voler ammettere che ciò sia avvenuto, la Corte territoriale avrebbe dovuto spiegare per quale motivo questa modalità operativa dovrebbe essere considerata espressione di una prassi consolidata atteso che tutti i testimoni hanno riferito di essere entrati nella zona a rischio attraverso il varco presidiato da fotocellule così bloccando il movimento della macchina.

Con riferimento agli obblighi di informazione e formazione, la difesa rileva che l'organigramma aziendale prevedeva una apposita struttura deputata a tal fine sicchè l'ipotizzato inadempimento non potrebbe essere ascritto a G.G.. Sottolinea che il dovere di informazione previsto dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 37 non comporta una specifica indicazione delle conseguenze che determinate modalità di lavoro possono comportare, ma solo l'indicazione delle corrette modalità operative e di utilizzo dei macchinari. Sostiene che, come risulta dalle dichiarazioni rese in udienza dalla teste L.L. (tecnico della prevenzione incaricato delle indagini e teste qualificato) - ignorate, per questa parte, dai giudici di merito - H.H. ricevette una specifica formazione proprio rispetto all'uso della linea "Tandem".

4.3. Col terzo motivo, la difesa deduce illogicità, contraddittorietà della motivazione ed erronea applicazione degli artt. 40 e 43 c.p.. Sostiene che la sentenza impugnata avrebbe omesso il doveroso giudizio controfattuale, non essendo stato provato al di là di ogni ragionevole dubbio che le condotte omissive ascritte a G.G. avrebbero impedito l'evento. Sostiene che, a tal fine, sarebbe stato necessario conoscere le ragioni per le quali, al momento dell'incidente, H.H. si trovava seduto tra le pedane e vi rimase non ostante la messa in funzione della macchina, che è rumorosa e il cui avvio è preceduto da un segnale acustico. Solo a queste condizioni, infatti, il giudizio controfattuale avrebbe potuto essere compiuto al di là di ogni ragionevole dubbio.

4.4. Col quarto motivo, la difesa deduce vizi di motivazione e violazione di legge quanto alla sussistenza della colpa. Sostiene che la sentenza impugnata attribuisce a G.G. una responsabilità di posizione perchè afferma che i problemi relativi al concreto funzionamento del pick-up erano noti in azienda a tutti i livelli e, pertanto, dovevano essere noti anche a G.G.. Rileva che, prima dell'infortunio e dopo che G.G. aveva assunto la carica, nello stabilimento di (Omissis) furono eseguiti due audit in materia di sicurezza: uno, il 14 luglio 2011, che riguardava lo stabilimento in generale, nel quale fu attestata la complessiva conformità degli impianti alle norme di sicurezza; un altro, avente specificamente ad oggetto la linea "Tandem", che reca la data del 23 settembre 2011 (cinque giorni prima dell'infortunio) col quale fu attestato il rispetto dei parametri di sicurezza e il corretto funzionamento della linea. Il ricorrente si duole che il significato di tali documenti sia stato sottovalutato dalla sentenza impugnata, con la quale si è sostenuto (pag. 64): da un lato, che il documento del 23 settembre 2011 era stato inviato al direttore dello stabilimento, F.F., e non a G.G. sicchè non vi è prova che questi lo conoscesse; dall'altro, che i documenti redatti a seguito degli audit (compilati seguendo una check-list) avrebbero carattere formale e sarebbero inidonei a rappresentare la situazione reale; dall'altro ancora, che gli autori di quei documenti non avevano riferito di aver rivolto "domande agli operai sulle eventuali difficoltà concernenti il macchinario" sicchè dagli stessi G.G. non avrebbe potuto trarre conclusioni rassicuranti. La difesa replica alle considerazioni contenute nella sentenza impugnata osservando che l'audit del 23 settembre 2011 era così specifico da aver segnalato la necessità di far svolgere per il sabato immediatamente successivo la pulizia della macchina, sporcata da un prodotto "distaccante" e che le argomentazioni sviluppate dalla Corte territoriale denotano una non piena conoscenza del modo in cui gli audit in materia di sicurezza devono essere predisposti. Secondo la difesa, la Corte territoriale avrebbe fondato l'affermazione della penale responsabilità di G.G. sull'assunto che egli non potesse non essere informato della prassi, in uso nello stabilimento, di inserire distanziatori in legno tra i fogli bituminati. Si tratterebbe, secondo la difesa, di una conclusione illogica e contraddittoria non solo perchè dal fatto che quella prassi fosse nota ai dirigenti dello stabilimento non può desumersi che fosse nota anche al legale rappresentante della società; ma anche perchè la sentenza impugnata ha irragionevolmente sottovalutato l'esito degli audit che riguardavano anche le procedure di lavoro. A questo proposito, la difesa sottolinea che La Corte territoriale ha finito per presumere che G.G. fosse informato, non solo della concreta prassi operativa seguita dai dipendenti dello stabilimento addetti alla linea "Tandem" per distanziare i fogli, ma anche della concreta pericolosità di quella prassi. Osserva che nessuno dei dirigenti imputati ha sostenuto di aver parlato con G.G. di questa prassi operativa e tutti coloro che ne erano informati hanno affermato di averla ritenuta non pericolosa perchè l'inserimento dei distanziatori poteva avvenire solo a macchina ferma. Ne desume l'illogicità di una motivazione secondo la quale il legale rappresentante della società avrebbe dovuto essere informato di una prassi valutata non pericolosa dagli organismi di controllo a ciò preposti. La difesa ricorda che, per giurisprudenza costante, il datore di lavoro assolve all'obbligo di vigilare sull'esatta osservanza di norme antiinfortunistiche se predispone e dà attuazione a un sistema di controllo effettivo e adeguato al caso concreto e che, come la sentenza impugnata riconosce (pag. 53 della motivazione), lo stabilimento era "dotato di un'idonea organizzazione e di un settore manutentivo ad hoc". Ricorda inoltre che, in tanto il datore di lavoro è tenuto ad intervenire su eventuali prassi difformi alle regole di sicurezza, in quanto di quelle prassi sia a conoscenza; che, al momento del fatto, G.G. era legale rappresentante della società da meno di un anno; che quella società gestiva, oltre a quello di (Omissis), altri quattro stabilimenti, sicchè non era esigibile da parte sua un comportamento diverso da quello tenuto.

Secondo la difesa, a ciò deve aggiungersi che, quando assunse l'incarico e sottoscrisse il DVR, G.G. prese atto che D.D., RSPP dello stabilimento, aveva segnalato un problema relativo alla mancata chiusura della porticina laterale di accesso all'area di lavoro della linea "Tandem" attestando di averlo risolto e gli audit successivi confermarono che l'impianto era conforme alle norme di sicurezza.

4.5. Col quinto e ultimo motivo il ricorrente deduce mancanza e contraddittorietà della motivazione con la quale è stata esclusa la circostanza attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 6. Rileva che - diversamente da quanto sostenuto nella sentenza impugnata - già la sentenza di primo grado dava atto che i familiari della vittima avevano ricevuto somme a titolo di risarcimento. Secondo la difesa, non vale ad escludere la sussistenza dell'attenuante la constatazione che la somma versata (indicata nel ricorso in complessivi Euro 760.000,00) non sia stata ritenuta sufficiente dalle parti civili.

5. Il ricorso proposto nell'interesse di F.F., direttore dello stabilimento, si articola in sette motivi.

5.1. Col primo motivo, la difesa lamenta violazione dell'art. 521 c.p.p. e sostiene che il fatto del quale F.F. è stato ritenuto responsabile sarebbe diverso da quello oggetto di imputazione.

Come emerge dalla lettura del capo di imputazione, F.F. era stato chiamato a rispondere dell'infortunio per non aver preteso "l'osservanza da parte del lavoratore H.H. delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e igiene sul lavoro in riferimento all'utilizzo della macchina Tandem" e per aver omesso la sorveglianza sul preposto (nella specie il capo reparto M.M. deceduto nel corso del giudizio di merito) il quale, a sua volta, non aveva vigilato sull'osservanza da parte di H.H. delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza del lavoro. La difesa sottolinea che F.F. non è stato ritenuto responsabile della condotta che gli era stata contestata nel capo di imputazione, ma di una condotta diversa, consistita nel non aver previsto misure organizzative adeguate in relazione a una prassi operativa ritenuta pericolosa, nel non aver provveduto a colmare le lacune nella formazione dei lavoratori, nel non aver assicurato un unico varco di accesso alla macchina presidiato da fotocellule, nel non aver previsto un sistema di reset del macchinario lontano dall'area di lavoro e non accessibile ad altri lavoratori (pag. 12 della sentenza impugnata). La difesa osserva che, nel caso di specie, la differenza tra la condotta contestata e la condotta ritenuta in sentenza non riguarda solo i profili di colpa, ma, prima ancora, l'identificazione della condotta omissiva che, secondo l'accusa si esauriva nella mancata vigilanza sul comportamento altrui ed è stata individuata in sentenza nella mancata predisposizione di misure organizzative idonee a fini di sicurezza anche con riguardo alle caratteristiche del macchinario: profili completamente estranei all'imputazione originaria. La difesa lamenta illogicità manifesta della motivazione con la quale la Corte territoriale ha superato questa censura, già sollevata con l'atto di appello. Si è ritenuto, infatti, che l'imputazione formulata potesse "estendersi dal punto di vista lessicale e logico, fino a ricomprendere non solo l'inadempimento dell'obbligo di vigilanza e sorveglianza delle lavorazioni, ma anche l'inadempimento dell'obbligo di apprestare misure organizzative generali idonee a prevenire rischi infortunistici". Secondo il ricorrente, è irragionevole ritenere che l'addebito di omessa vigilanza possa comprendere l'addebito relativo alla mancata predisposizione di misure di sicurezza relative ai varchi di accesso o ai quadri di comando di un macchinario.

5.2. Col secondo motivo, la difesa deduce nullità della sentenza impugnata per carenza di motivazione riguardo alla concreta dinamica del sinistro. Sottolinea che la Corte territoriale ha apoditticamente affermato che H.H. entrò nell'area di lavoro della macchina passando da un varco laterale mentre la stessa era in movimento, ma tale circostanza non è stata accertata essendo possibile (e non essendo stato escluso dai giudici di merito) che la macchina fosse stata riavviata da terzi. Rileva che, se così fosse avvenuto, la presenza di un varco privo di fotocellula sarebbe stata irrilevante nella causazione dell'evento. Sottolinea che l'ulteriore profilo di colpa, consistito nell'aver previsto un sistema di reset del macchinario accessibile ad altri lavoratori, non è stato oggetto di una specifica motivazione. Osserva che, in caso di blocco, la macchina doveva essere resettata e poteva essere riavviata solo dopo il reset. Sottolinea che i giudici di merito non hanno spiegato chi abbia riavviato la macchina e perchè, e ciò sarebbe stato indispensabile per comprendere se l'infortunio poteva essere dipeso dalla condotta dei colleghi di lavoro di H.H., imprevedibile e inevitabile da parte del direttore dello stabilimento.

5.3. Col terzo motivo, la difesa deduce violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 16 anche con riferimento alla disposizione di cui all'art. 299 del medesimo decreto che attribuisce responsabilità prevenzionali a chi svolge di fatto attività corrispondenti a quelle di coloro che hanno ricevuto una delega ai sensi del citato art. 16. La difesa sostiene che l'attribuzione a F.F. della qualifica di direttore dello stabilimento non comportava che gli fossero state conferite - nè che, in concreto, egli svolgesse - funzioni in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro. Nello stabilimento esisteva, infatti, una struttura organizzativa cui la materia della prevenzione infortuni era stata delegata. Il ricorrente osserva che la sentenza impugnata ha impropriamente equiparato la posizione del direttore di stabilimento a quella del datore di lavoro affermando che il direttore di stabilimento sarebbe destinatario di obblighi in materia di sicurezza jure proprio e senza necessità di una delega specifica. Sostiene che tale affermazione non trova riscontro nelle disposizioni del D.Lgs. n. 81 del 2008 che non riconosce alcun ruolo specifico al direttore di stabilimento fatto salvo il riferimento contenuto nell'art. 2, comma 1, lett. t), che definisce la "unità produttiva". La difesa sottolinea che F.F. dirigeva due stabilimenti dislocati a molti chilometri di distanza l'uno dall'altro: quello di (Omissis) e quello di (Omissis). Riferisce che egli era presente nello stabilimento di (Omissis) solo due giorni a settimana e, proprio per questo, quando aveva assunto l'incarico, aveva chiesto che in ciascuno di questi stabilimenti fosse prevista una struttura dirigenziale idonea, dotata di autonomi poteri di gestione e di spesa. Sostiene che, in questo contesto, l'attività di F.F. era "specificamente orientata ad un coordinamento" degli organi delegati alla gestione dell'impianto, "alla definizione delle politiche di impiego e di sfruttamento economico finanziario delle risorse" al coordinamento delle attività produttive dei due plessi industriali. Nel caso di specie, dunque, non sarebbe possibile attribuire a F.F. competenze in materia di prevenzione infortunistica. La difesa sottolinea che, in ogni caso, i giudici di merito non hanno motivato in ordine alla possibile applicazione del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 299 ad altre persone investite di funzioni dirigenziali e hanno attribuito a F.F. la qualità di datore di lavoro basandosi sulla qualifica di direttore di stabilimento, senza valutare il contenuto effettivo delle competenze derivanti da tale qualifica.

5.4. Il quarto motivo può ritenersi specificazione del secondo. La difesa riporta alcuni passaggi delle deposizioni testimoniali dai quali risulta che la macchina doveva essere prima resettata e, solo dopo il reset, poteva essere riavviata. Evidenzia che H.H. entrò nell'area di lavoro perchè il macchinario era andato in blocco, sicchè doveva resettare la macchina, sistemare i fogli e, solo in seguito, avrebbe potuto riavviarla. Sottolinea che non v'era ragione di compiere tale procedura con la macchina in movimento sicchè la prassi operativa che i giudici di merito hanno censurato non era intrinsecamente pericolosa.

5.5. Col quinto motivo, la difesa deduce vizi di motivazione quanto alla ritenuta mancata formazione del lavoratore riguardo ai rischi specifici inerenti all'uso del macchinario. Sostiene che il giudice di primo grado e i giudici di appello (cui la questione era stata devoluta) avrebbero travisato il contenuto delle prove documentali e testimoniali dalle quali emergerebbe che l'obbligo di formazione fu regolarmente adempiuto. La difesa osserva che la documentazione prodotta (e allegata al ricorso), in particolare la scheda riassuntiva datata 5 ottobre 2010, attesta che H.H. fu specificamente addestrato all'uso della macchina denominata "Tandem" e la dottoressa L.L. (tecnico della prevenzione incaricato delle indagini e teste qualificato) ha confermato tale circostanza esaminando in udienza quel documento. Nel corso della propria deposizione la teste ha chiarito che nella scheda riassuntiva non era indicato il nome di H.H., ma il suo numero di matricola ((Omissis)). Il ricorrente sostiene che la Corte territoriale ha ignorato questo dato affermando (pag. 29 della sentenza) che il nome di H.H. non compare mai nelle schede concernenti la formazione e l'addestramento senza dare atto che in quelle schede compare il numero di matricola dell'infortunato. La Corte territoriale avrebbe ignorato, inoltre, le dichiarazioni rese da C.C., secondo il quale H.H. fu uno dei primi dipendenti ad essere addestrato all'utilizzo del macchinario, che era stato installato nel corso del 2010.

5.6. Col sesto motivo, la difesa deduce vizi di motivazione con riferimento alla sussistenza dell'elemento psicologico del reato. Osserva che, nella parte della motivazione che riguarda la posizione di F.F., la Corte territoriale non ha trattato il tema degli audit in materia di sicurezza eseguiti il 14 luglio 2011 e il 23 settembre 2011. Rileva che dell'esistenza di questi audit si sarebbe dovuto tenere conto, non solo con riferimento alla posizione di G.G., ma anche con riferimento alla posizione di F.F. che aveva assunto l'incarico di direttore dello stabilimento il 4 luglio 2011 e, poco dopo, aveva ricevuto due documenti che attestavano la conformità alle norme di sicurezza degli impianti dello stabilimento di (Omissis) e, specificamente, della linea "Tandem" che fu teatro dell'infortunio.

5.7. Col settimo motivo, il ricorrente lamenta vizio di motivazione con riferimento al giudizio di bilanciamento tra circostanze. Si duole che le attenuanti generiche non siano state ritenute prevalenti sull'aggravante di cui all'art. 589 c.p., comma 2, tanto più alla luce della ingente somma erogata ai parenti della vittima e dell'esistenza di soggetti cui la materia della prevenzione antinfortunistica era stata delegata ai sensi del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 16.

5.8. Con memoria del 21 aprile 2023, la difesa di F.F. ha ulteriormente argomentato con riferimento al sesto motivo di ricorso. Con i motivi nuovi il difensore sottolinea che F.F. aveva assunto la carica di direttore dello stabilimento il 4 luglio 2011 e l'infortunio si verificò meno di tre mesi dopo; che lo stabilimento rimase chiuso dal 1 al 29 agosto; che, pertanto, per rendersi conto della ipotizzata situazione di pericolo, l'imputato ebbe a disposizione meno di due mesi, nel corso dei quali ricevette due audit di sicurezza (uno, commissionato dal suo predecessore, datato 14 luglio; l'altro, integrativo, datato 23 settembre e relativo proprio alla linea "Tandem") che attestavano la conformità alle norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro degli impianti installati nello stabilimento di (Omissis) ed, in specie, della linea produttiva ove si verificò l'infortunio. La difesa si duole che, in questa situazione, la sentenza impugnata si sia limitata ad affermare (pag. 53) che, "in ragione dello stretto rapporto esistente - o che comunque dovrebbe esistere - tra il direttore dello stabilimento e l'ambiente di lavoro, alla luce dei poteri e degli obblighi derivanti dal regolamento aziendale" il lasso di tempo intercorso dall'assunzione dell'incarico all'incidente, era sufficiente ad acquisire "adeguata consapevolezza" della situazione.

6. Il ricorso proposto nell'interesse di D.D., Responsabile del Servizio di prevenzione e protezione, si articola in due motivi.

6.1. Col primo motivo, il ricorrente deduce inosservanza o erronea applicazione degli artt. 40, 43, 113 e 589 c.p.. Secondo la difesa la sentenza impugnata (pag. 46) avrebbe individuato quale omissione ascrivibile a D.D., idonea ad evitare il verificarsi dell'evento, il non aver "bloccato e rideterminato il ciclo produttivo secondo modalità differenti" avallando una prassi operativa elaborata dagli operai e intrinsecamente pericolosa senza segnalarla al datore di lavoro. Giungendo a tali conclusioni, però, i giudici di merito non avrebbero considerato che D.D., quale consulente del datore di lavoro privo di autonomo potere decisionale, non può essere ritenuto responsabile dell'evento per aver omesso di intervenire nella fase esecutiva, estranea alle sue competenze, ma solo per non aver adempiuto correttamente ai propri compiti per aver dato al datore di lavoro un suggerimento sbagliato o aver omesso di segnalare e valutare situazioni di rischio. La difesa sostiene che, nel caso di specie, tale situazione non si verificò perchè, D.D. segnalò a più riprese varie anomalie e tra queste: che occorreva installare la chiusura di una porta aperta nella zona pick-up, rivedere le procedure di lavoro, aggiornare le istruzioni di lavoro. Secondo la difesa, posto che, come la sentenza impugnata riconosce, la prassi di inserire distanziatori tra i fogli bituminati era nota ai vertici dell'azienda, segnalando la necessità di chiudere la porta di accesso alla zona pick-up non presidiata da fotocellule e di rivedere, aggiornandole, le procedure e le istruzioni di lavoro, D.D. adempì puntualmente ai propri obblighi consultivi. Non rientra infatti tra i compiti del Responsabile del Servizio di prevenzione e protezione apportare modifiche alle apparecchiature o ai processi di lavorazione. Secondo la difesa, inoltre, D.D. non era tenuto a segnalare al datore di lavoro che la linea "Tandem" non era utilizzata in conformità al manuale di uso e manutenzione essendo sufficiente in tal senso la segnalazione della necessità di procedere ad una completa revisione delle procedure di lavoro e all'aggiornamento delle istruzioni impartite ai dipendenti, tanto più che la prassi operativa censurata era nota a tutti i soggetti gestori del rischio.

Il ricorrente osserva che, nel ricostruire la dinamica del sinistro, le sentenze di merito hanno formulato due ipotesi alternative: che l'infortunio si sia verificato perchè H.H. entrò nell'area di lavoro, attraverso una porta laterale, mentre il macchinario era in funzione; che l'infortunio si sia verificato perchè qualcuno, dall'esterno, azionò il macchinario senza aver verificato che nel raggio di azione del pick-up non ci fosse nessuno. In entrambi i casi nessuna condotta omissiva sarebbe ascrivibile a D.D., che aveva segnalato la necessità di chiudere la porta laterale in modo che non potesse essere aperta dai lavoratori e la necessità di rivedere le procedure di lavoro. Il ricorrente sostiene inoltre che, sia nell'uno che nell'altro caso, si trattò di condotte estemporanee e abnormi, tali da attivare un rischio eccentrico rispetto a quello che le norme ipoteticamente violate miravano a prevenire e comunque estraneo alla sfera di controllo del responsabile del servizio di prevenzione e protezione.

6.2. Col secondo motivo, il ricorrente deduce vizio di motivazione ed erronea applicazione dell'art. 69 c.p.. Si duole, in particolare, che le attenuanti generiche, pur concesse, siano state valutate solo equivalenti all'aggravante di cui all'art. 589 c.p., comma 2, senza tenere conto del fatto che D.D., consapevole del fatto che non sempre le ventose afferravano e trattenevano i fogli, si era attivato per segnalare il problema e sollecitarne la soluzione.

7. Il ricorso proposto nell'interesse di C.C., responsabile della produzione nello stabilimento di (Omissis), si articola in cinque motivi.

7.1. Col primo motivo la difesa deduce violazione di legge e vizi di motivazione con riferimento alla individuazione delle regole cautelari che C.C. avrebbe violato e alla individuazione della condotta doverosa omessa. Secondo la difesa, la qualifica di responsabile della produzione che C.C. rivestiva non gli imponeva di intervenire sulla manutenzione del macchinario "Pick & Place line Tandem" nè di ovviare ad un eventuale non corretto funzionamento dello stesso.

Nel ricorso si sottolinea che, dopo essersi confrontato con il caporeparto con i responsabili della manutenzione e con l'RSPP, C.C. segnalò via mail alla casa spagnola produttrice dei fogli bituminati che, soprattutto nei mesi estivi, gli stessi tendevano ad attaccarsi tra loro e chiese di trattarli con un materiale adatto, ovvero di realizzare sugli stessi delle scanalature idonee ad evitare il verificarsi dell'inconveniente. Tali iniziative rientravano nella sfera di competenza di C.C. perchè riguardavano il regolare svolgimento dell'attività produttiva, ma egli non aveva alcuna competenza ad intervenire su problemi relativi alla manutenzione del macchinario e delle ventose e la sentenza impugnata non ha sciolto questo nodo perchè non ha chiarito se i problemi che si verificavano dipendessero da un difetto dei materiali da sollevare o da un difetto dell'apparecchio di sollevamento.

Il ricorrente osserva che il manuale di uso e manutenzione del macchinario prevedeva l'accesso dei lavoratori nell'area a rischio per il posizionamento dei fogli sui bancali, ma la presenza di fotocellule assicurava che ciò avvenisse a macchina ferma e quindi in condizioni di sicurezza. Il fatto che tra i fogli venissero collocati dei pezzi di legno, dunque, non modificava la situazione ed C.C. non aveva ragione di pensare che questo tipo di operazioni potesse avvenire con la macchina in movimento nè aveva il compito di accertarsi che eventuali varchi di accesso non presidiati da fotocellule restassero chiusi. Ad C.C. sarebbe stata dunque attribuita la violazione di regole cautelari non afferenti all'area di rischio sulla quale egli aveva il compito di vigilare.

Secondo la difesa a ciò deve aggiungersi che, pur informato del fatto che i lavoratori distanziavano i fogli bituminati con pezzetti di legno, C.C. non poteva prevedere (e dunque non era tenuto ad impedire) che ciò potesse avvenire mentre la macchina era in movimento sicchè l'evento si verificò perchè l'imprudente condotta dell'infortunato attivò un rischio eccentrico rispetto a quello che C.C. aveva l'obbligo di prevenire, non essendo possibile per lui prevedere il possibile fallimento di una cautela esistente.

Nel ricorso si sottolinea che la delega ricevuta da C.C. riguardava la produzione e i relativi servizi tecnici, ma non i problemi di malfunzionamento e manutenzione dei macchinari. Si sostiene, in sintesi, che la sentenza impugnata avrebbe attribuito ad C.C. il compito di sopperire alle lacune e inadempienze di altri dirigenti di rango pari al suo con funzioni specifiche in materia di manutenzione; gli avrebbe quindi attribuito, apoditticamente, la qualifica di responsabile della sicurezza chiamandolo a rispondere della mancata osservanza di norme in materia di prevenzione non riconducibili all'area di rischio soggetta al suo controllo.

7.2. Col secondo motivo di ricorso, la difesa deduce violazione di legge in relazione alla concreta possibilità per C.C. di rappresentarsi l'evento. Rileva che il rischio determinato dall'esistenza di un cancelletto non chiuso (o di facile apertura) attraverso il quale si poteva accedere all'area di lavoro della linea "Tandem" non poteva essere previsto e governato da C.C. così come non poteva esserlo il rischio conseguente alla scelta, imprevedibile, di accedere all'area di lavoro dopo aver resettato e avviato la macchina.

7.3. Il terzo motivo riprende un tema già affrontato nel primo. La difesa sostiene che l'evento verificatosi non rappresenta la concretizzazione del rischio che C.C. era chiamato a governare, chiede pertanto che sia esclusa la sussistenza della aggravante di cui all'art. 589 c.p., comma 2, e che il reato sia dichiarato estinto per prescrizione.

7.4. Col quarto motivo il ricorrente si duole che la sentenza impugnata non abbia fornito una esaustiva ed univoca ricostruzione della dinamica dell'incidente. In particolare, l'istruttoria svolta non avrebbe consentito di accertare se il lavoratore sia entrato nell'area di azione della macchina in movimento o la macchina sia stata azionata da altra persona la quale, dal punto in cui si trovano i comandi, non poteva avvedersi che all'interno della recinzione c'era qualcuno. Secondo il ricorrente, ciò impedisce di valutare, oltre alla prevedibilità ed evitabilità dell'evento, anche la rilevanza causale delle ipotizzate omissioni.

7.5. Col quinto e ultimo motivo la difesa deduce manifesta illogicità della motivazione con la quale è stato negato ad C.C. il beneficio della non menzione della condanna.

8. A.A. e B.B. hanno proposto ricorso per mezzo del comune difensore lamentando, con un unico motivo, inosservanza o erronea applicazione della legge penale e carenza di motivazione quanto alla ritenuta violazione di norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro. La difesa osserva in particolare che nè A.A. - cui la sentenza impugnata attribuisce la qualifica di responsabile della qualità - nè B.B. - cui la sentenza impugnata attribuisce la qualifica di responsabile dei servizi tecnici di produzione - avevano ricevuto una delega in materia di sicurezza del lavoro. In primo luogo, perchè la valutazione del rischio che, secondo i giudici di merito, sarebbe stata omessa non è delegabile; in secondo luogo, perchè la delega di funzioni acquisita agli atti reca la data del 2014 (successiva ai fatti) e non è firmata, dunque, è improduttiva di effetti giuridici ai sensi del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 16; inoltre, perchè, ai sensi del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 18, i dirigenti sono titolari di obblighi prevenzionali secondo le attribuzioni e competenze ad essi conferite e quindi solo in presenza di valida delega. La difesa sottolinea che, ai sensi del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 17, il datore di lavoro non può delegare la valutazione dei rischi connessi all'attività di impresa e l'elaborazione del documento previsto dall'art. 28 e che, anche a fronte di una delega corretta ed efficace, il datore di lavoro non può andare esente da responsabilità se le carenze nella disciplina antiinfortunistica dipendono - come nel caso di specie - da scelte di politica aziendale rispetto alle quali il delegato non ha alcuna concreta possibilità di intervento. Si duole che analoghe osservazioni, formulate nei motivi di appello, non abbiano trovato risposta adeguata da parte della Corte territoriale.

9. Il ricorso proposto nell'interesse di E.E., responsabile della manutenzione dell'impianto, si articola in tre motivi.

9.1. Col primo motivo, la difesa deduce vizi di motivazione e violazione degli artt. 516 e 521 c.p.p. per difetto di corrispondenza tra i fatti contestati nel capo di imputazione e quelli ritenuti in sentenza. La difesa osserva che ad E.E. è stato contestato di aver tollerato la prassi pericolosa invalsa all'interno dello stabilimento di far fronte ai problemi di sollevamento e traslazione dei fogli bituminati entrando dell'area operativa del macchinario in movimento, ma, come emerso dall'istruttoria dibattimentale, l'inconveniente cui i lavoratori dovevano porre rimedio era determinato dalle caratteristiche dei materiali che dovevano essere sollevati e non da un difetto di manutenzione della macchina. La prassi che, in ipotesi accusatoria, sarebbe stata tollerata - osserva il ricorrente - non consisteva nell'avvicinarsi alla macchina in movimento, ma, invece, nel rimettere a posto i fogli impilati, distanziandoli con dei pezzi di legno, mentre la macchina era in blocco. Secondo la difesa, a fronte di una così radicale immutazione del fatto, il giudice di primo grado avrebbe dovuto pronunciare ordinanza ex art. 521 c.p.p. e restituire gli atti al pubblico ministero, ma ciò non è avvenuto e la dedotta nullità non è stata ritenuta esistente neppure dal giudice di appello, investito della questione.

9.2. Col secondo motivo di ricorso la difesa deduce violazione di legge e vizi di motivazione per la ritenuta sussistenza di nesso causale tra la condotta omissiva ascritta a E.E. e il verificarsi dell'evento. Il difensore osserva che la qualifica di responsabile della manutenzione era stata attribuita ad E.E. nel 2008 dal direttore di stabilimento allora in carica (N.N.) e, a quella data, la macchina "Pick & Place line Tandem" non era ancora stata installata. La difesa sostiene che l'obbligo giuridico di agire gravante su E.E., quand'anche riferibile al macchinario sul quale si verificò l'infortunio, era limitato agli aspetti della manutenzione sicchè il ricorrente non aveva alcun obbligo di opporsi a una prassi che riguardava l'andamento della produzione e non lo svolgimento di attività manutentive. Sottolinea che le attività di manutenzione furono sempre svolte in condizioni di sicurezza e non erano in corso quando l'infortunio si verificò. Il ricorrente osserva che, ai sensi del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 18, i dirigenti sono titolari di obblighi prevenzionali in relazione alle attività che sono chiamati a organizzare e dirigere "secondo le attribuzioni e competenze ad essi conferite" e, in ogni caso, non hanno l'obbligo giuridico di impedire eventi che dipendano da comportamenti anomali e imprevedibili dei lavoratori, realizzati in violazione degli ordini ricevuti.

Secondo la difesa - a differenza di quanto sostenuto nella sentenza impugnata (pag. 29) - la circostanza che nel marzo 2010 E.E. avesse ricevuto da D.D. alcune mail che raccomandavano di effettuare corsi sull'uso della nuova linea e di scrivere istruzioni operative da consegnare ai lavoratori, non può incidere sul contenuto degli obblighi prevenzionali posti a carico dell'imputato. Il carteggio, infatti, faceva riferimento ad attività di prevenzione inerenti al funzionamento dell'impianto e fu inviato ad E.E. solo per conoscenza, come dimostra il fatto che, il 14 aprile 2020, avendo constatato che la formazione non era ancora avvenuta, D.D. sollecitò in tal senso solo C.C. (responsabile della produzione) e non anche E.E. che, quale responsabile della manutenzione, non aveva competenza alla formazione del personale addetto all'uso del macchinario.

9.3 Col terzo motivo il ricorrente lamenta difetto di motivazione quanto alla mancata applicazione della aggravante di cui all'art. 62 c.p., n. 6 e al giudizio di bilanciamento tra le attenuanti generiche e l'aggravante di cui all'art. 589 c.p., comma 2. Osserva che i familiari della vittima hanno percepito rilevanti indennizzi e che nel giudizio di bilanciamento non si è tenuto conto del comportamento processuale dell'imputato.

 

Diritto


1. I ricorsi proposti da F.F., A.A., B.B. e E.E. meritano accoglimento nei termini di seguito specificati. Sono invece infondati i motivi di ricorso proposti da G.G., D.D. e C.C.. Nell'esposizione saranno esaminati per primi i motivi di ricorso di carattere processuale e quelli comuni a più ricorrenti (purchè non assorbiti dall'accoglimento di altri motivi). Si procederà poi ad esaminare i motivi specificamente riguardanti le singole posizioni.

2. Col primo motivo di ricorso, G.G., lamenta violazione dell'art. 521 c.p.p. per difetto di correlazione tra accusa e sentenza.

Si deve premettere che, nel descrivere la condotta tenuta dall'infortunato al momento del fatto, il capo di imputazione afferma che H.H. si introdusse nell'area di lavoro del macchinario mentre lo stesso era in funzione "per favorire l'aderenza del foglio alle ventose" grazie all'uso di pezzi di legno. Secondo questa ricostruzione, i pezzi di legno dovevano essere collocati in corrispondenza delle ventose, l'operazione doveva essere necessariamente compiuta con la macchina in movimento e, per questo, H.H. fu schiacciato dal braccio del pick-up. La dinamica dei fatti, come ricostruita dalle sentenze di primo e secondo grado, è del tutto diversa: i pezzi di legno non erano posizionati in corrispondenza delle ventose, bensì tra i fogli bituminati, per distanziarli ed evitare che si attaccassero tra loro; se il pick-up ne sollevava più d'uno, infatti, poteva perdere il foglio inferiore durante il tragitto o non riuscire nel sollevamento per il peso eccessivo e, in questo caso, la macchina andava in blocco.

Come emerge dalla descrizione fornita dai giudici di merito e dal contenuto dei ricorsi, prima dell'inizio delle lavorazioni i fogli bituminati erano collocati su bancali all'interno della linea produttiva. L'operazione era prevista dal manuale d'uso della macchina e avveniva ad impianto fermo perchè i bancali erano introdotti nell'area attraverso un varco dotato di fotocellule che avrebbero bloccato il macchinario se fosse stato in funzione. I distanziatori in legno avrebbero forse potuto essere collocati tra i fogli in questa fase preliminare, ma - per quanto è dato capire - non si procedeva così. Si procedeva, invece, a distanziare i fogli bituminati quando ci si accorgeva che si erano attaccati tra loro e il macchinario andava in blocco. Proprio questo si verificò il giorno dei fatti. Secondo i giudici di merito, dunque, H.H. intervenne per inserire i distanziatori in legno tra i fogli ed evitare che il blocco si ripetesse.

Tanto premesso, è necessario riferire che le sentenze di merito hanno individuato due possibili serie causali alternative. Secondo una prima ipotesi, dopo aver resettato la macchina, H.H. la riavviò e, dopo averlo fatto, entrò nell'area di lavoro attraverso una porticina laterale non presidiata da fotocellule per sistemare i fogli impilati staccandoli e inserendo i distanziatori in legno. Per questo venne a trovarsi nell'area operativa del braccio del pick-up e ne fu schiacciato. Secondo un'altra ipotesi, H.H. resettò la macchina per allontanare il braccio del pick-up dai bancali, ma non la riavviò e si mise a lavorare sui bancali per sistemare, staccare e distanziare i fogli impilati. Mentre stava compiendo questa operazione, qualcuno, non accortosi della sua presenza nella zona dei bancali, riavviò la macchina.

I giudici di merito hanno ritenuto di non avere elementi per scegliere tra queste ipotesi alternative, ma hanno valutato che ciò non fosse necessario ai fini della decisione atteso che, in entrambi i casi, l'infortunio sarebbe stato determinato: dal fatto che i problemi di funzionamento della linea e i rischi connessi, pur esistenti fin dalla installazione del macchinario (avvenuta nel 2010), non erano stati considerati nel DVR sottoscritto da G.G. il 20 gennaio 2011; dal fatto che al malfunzionamento dell'impianto si pose rimedio attraverso una procedura pericolosa, nota alla dirigenza e, tuttavia, non codificata in modo da prevenire il verificarsi di situazioni di pericolo; dal fatto che i lavoratori non ricevettero specifica formazione in proposito.

I giudici di merito hanno ritenuto che l'infortunio sia stato determinato anche dalle seguenti, alternative, condotte colpose: o dal fatto che l'accesso al macchinario - in violazione delle regole stabilite dal manuale di uso e manutenzione - era possibile anche da una porticina laterale che, dopo l'infortunio, fu trovata aperta con la chiave inserita nella serratura; oppure dal fatto che ogni lavoratore aveva la possibilità di riavviare il macchinario anche senza essersi accertato che nessuno si trovasse in posizione pericolosa.

2.1. Secondo il ricorrente, poichè lo svolgimento del fatto, come descritto in sentenza, è diverso da come descritto nel capo di imputazione, l'affermazione della penale responsabilità dell'imputato sarebbe avvenuta in violazione dei diritti di difesa. A questo proposito si deve osservare che, come più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità, "la mutazione della mera descrizione del fatto, che, senza incidere sulla sua storicità, sia volta a rendere quello riportato nell'imputazione conforme a quanto risulta dagli atti e, quindi, è noto all'imputato, non preclude al giudice di pronunciarsi sullo stesso, nè gli impone di restituire gli atti al pubblico ministero, in quanto non costituisce modifica dell'imputazione, rilevante ai sensi dell'art. 516 c.p.p." (Sez. 3, n. 17829 del 05/12/2018, dep. 2019, Fina, Rv. 275455; Sez. 6, n. 38061 del 17/04/2019, Rango, Rv. 277365). Come è stato efficacemente chiarito: "le norme che disciplinano le nuove contestazioni, la modifica dell'imputazione e la correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenza (artt. 516-522 c.p.p.), avendo lo scopo di assicurare il contraddittorio sul contenuto dell'accusa e, quindi, il pieno esercizio del diritto di difesa dell'imputato, vanno interpretate con riferimento alle finalità alle quali sono dirette, cosicchè non possono ritenersi violate da qualsiasi modificazione rispetto all'accusa originaria, ma soltanto nel caso in cui la modificazione dell'imputazione pregiudichi la possibilità di difesa dell'imputato. In altri termini, poichè la nozione strutturale di "fatto", contenuta nelle disposizioni in questione, va coniugata con quella funzionale, fondata sull'esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di difesa, il principio di necessaria correlazione tra accusa contestata (oggetto di un potere del pubblico ministero) e decisione giurisdizionale (oggetto del potere del giudice) risponde all'esigenza di evitare che l'imputato sia condannato per un fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi" (così, in motivazione, Sez. 4, n. 41663 del 25/10/2005, Cannizzo, Rv. 232423; nello stesso senso: Sez. 6, n. 21094 del 25/02/2004, Faraci, Rv. 229021; Sez. 4, n. 10103 del 15/01/2007, Granata, Rv. 236099; Sez. 6, n. 38061 del 17/04/2019, Rango, Rv. 277365).

Le Sezioni Unite di questa Corte, del resto, con la sentenza n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051 hanno affermato che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza "non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perchè, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione". Proprio questo si è verificato nel caso di specie atteso che, come emerge dalla lettura delle sentenze di primo e secondo grado, la ricostruzione della dinamica del sinistro è stata oggetto di ampia attività istruttoria e gli imputati hanno articolato le proprie difese, già nel processo di primo grado, tenendo conto: della prassi operativa accertata in giudizio (inserimento di pezzi di legno tra i fogli bituminati); della mancata previsione di procedure volte a disciplinare le modalità di svolgimento di questa operazione; dell'esistenza di una porticina che consentiva di accedere all'area di azione del macchinario quanto lo stesso era in movimento;

della possibilità, per qualunque operatore presente, di resettare e poi riavviare la macchina senza aver prima verificato che tutti i colleghi di lavoro fossero al sicuro.

Con specifico riferimento ai profili di colpa ritenuti sussistenti e al riferimento, contenuto in sentenza, a norme di prevenzione in materia di infortuni sul lavoro differenti rispetto a quelle indicate nel capo di imputazione, si deve osservare che, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale dal quale non v'è ragione di discostarsi, nei procedimenti per reati colposi, la sostituzione o l'aggiunta di un particolare profilo di colpa, sia pure specifica, al profilo di colpa originariamente contestato, non vale a realizzare diversità o immutazione del fatto ai fini dell'obbligo di contestazione suppletiva di cui all'art. 516 c.p.p. e dell'eventuale ravvisabilità, in carenza di valida contestazione, del difetto di correlazione tra imputazione e sentenza ai sensi dell'art. 521 c.p.p. (fra le tante: Sez. 4, n. 18390 del 15/02/2018, P.C. in proc. Di Landa, Rv. 273265; Sez. 4, n. 51516 del 21/06/2013, Miniscalco, Rv. 257902). Rileva, infatti, anche in questo caso, il concreto pregiudizio che i diritti di difesa abbiano subito (cfr.: Sez. 4, n. 27389 del 08/03/2018, Siani, Rv. 273588; Sez. 4, n. 53455 del 15/11/2018, Galdino De Lima, Rv. 274500; Sez. 4, n. 36778 del 03/12/2020, Celli, Rv. 280084; Sez. 4, n. 32899 del 08/01/2021, Castaldo, Rv. 281997).

Nel presente procedimento, dal contenuto delle sentenze di primo e secondo grado, dai motivi di appello e dai motivi di ricorso emerge con evidenza che G.G. ha avuto la concreta possibilità di apprestare in modo completo la propria difesa in relazione ai profili di addebito in concreto ritenuti sussistenti. Per quanto esposto, il motivo di ricorso col quale egli ha dedotto la violazione dell'art. 521 c.p.p. è infondato.

3. I ricorrenti G.G. (nel secondo e nel terzo motivo); D.D. (nel primo motivo) ed C.C. (nel primo e nel secondo motivo) sostengono, con accenti diversi, che l'infortunio fu determinato da condotte imprudenti dei lavoratori, qualificabili come cause sopravvenute da sole sufficienti a determinare l'evento e tali da attivare un rischio eccedente rispetto a quello che gli imputati erano chiamati a governare.

Si sostiene che, anche se era necessario introdursi nell'area operativa del pick-up per recuperare i fogli bituminati eventualmente caduti o per metterli a posto o per distanziarli con pezzi di legno così da evitare che si attaccassero tra loro, tali operazioni non dovevano avvenire mentre la macchina era in movimento e, infatti, tutti i lavoratori esaminati in giudizio, hanno riferito di averle compiute a macchina ferma, dopo aver resettato il macchinario per allontanare il braccio del pick-up dai bancali sui quali i fogli erano impilati. Si sostiene che nessuna esigenza di produzione imponeva di procedere a macchina in movimento e, tanto meno, di entrare nell'area di lavoro dell'impianto attraverso una porticina laterale. Il ricorso proposto nell'interesse di G.G. sottolinea che la condotta di H.H., oltre che abnorme, era del tutto imprevedibile atteso che egli fu colpito dal braccio del pick-up mentre si trovava seduto tra i bancali dando le spalle al macchinario e la ragione per la quale si trovava in quella posizione non è stata chiarita nel corso del giudizio.

Più in generale, i ricorrenti si dolgono del fatto che i giudici di merito non abbiano scelto tra le due serie causali alternative (ingresso nell'area di lavoro a macchinario in movimento o accidentale avviamento dello stesso da parte di un terzo) e osservano che: nel primo caso, sarebbe stata abnorme e imprevedibile la condotta dell'infortunato; nel secondo caso, lo sarebbe stata la condotta di chi mise in moto la macchina senza essersi prima accertato che all'interno dell'impianto non ci fosse nessuno.

3.1. Nessuna di queste argomentazioni coglie nel segno. Si rammenta in proposito che, per giurisprudenza costante, un comportamento, anche avventato, del lavoratore, se realizzato mentre egli è dedito al lavoro affidatogli, può essere invocato come imprevedibile o abnorme solo se il datore di lavoro ha adempiuto tutti gli obblighi che gli sono imposti in materia di sicurezza sul lavoro (Sez. 4, n. 12115 del 03/06/1999, Grande A., Rv. 214999; Sez. 4, n. 1588 del 10/10/2001, Russello, Rv. 220651; Sez. 4, n. 22249 del 14/03/2014, Enne, Rv. 259227; Sez. 4, n. 16397 del 05/03/2015, Guida, Rv. 263386). A questo proposito, la giurisprudenza più recente ha opportunamente sottolineato che "in tema di prevenzione antinfortunistica, perchè la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia" (Sez. 4, n. 7012 del 23/11/2022, dep. 2023, Cimolai, Rv. 284237; Sez. 4, n. 33976 del 17/03/2021, Vigo, Rv. 281748; Sez. 4, n. 5794 del 26/01/2021, Chierichetti, Rv. 280914). Ponendosi in questa prospettiva si è affermato che il comportamento negligente, imprudente e imperito tenuto dal lavoratore nello svolgimento delle mansioni a lui affidate può costituire concretizzazione di un "rischio eccentrico", con esclusione della responsabilità del garante, solo se questi "ha posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente, così che, solo in questo caso, l'evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante (Fattispecie in tema di omicidio colposo, in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità del datore di lavoro in quanto la mancata attuazione delle prescrizioni contenute nel Pos e la mancata informazione del lavoratore avevano determinato l'assenza delle cautele volte a governare anche il rischio di imprudente esecuzione dei compiti assegnati al lavoratore infortunato)" (Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, Simeone, Rv. 276242).

Nel caso di specie - fatte salve le doverose valutazioni con riferimento alle posizioni dei singoli imputati sulle quali ci si soffermerà più avanti - non v'è dubbio che gravasse sul datore di lavoro e sui dirigenti che avevano ricevuto delega in tal senso il compito di eliminare le fonti di pericolo derivanti dall'uso del macchinario in questione adottando tutti gli strumenti organizzativi e tecnologici per garantire la sicurezza dei lavoratori. A questa regola potrebbe farsi eccezione se l'accertamento della situazione di pericolo non fosse stata possibile con l'ordinaria diligenza, ma, nel caso di specie, così non è. Le sentenze di merito - che possono essere lette congiuntamente e costituiscono un unico complessivo corpo decisionale in virtù dei richiami che la sentenza d'appello opera alla sentenza di primo grado (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595) - hanno chiarito infatti (pag. 28 della sentenza impugnata; pag. 13 e ss. della sentenza di primo grado):

- che con una certa frequenza (più volte alla settimana e, talvolta, più volte in un giorno) il macchinario andava in blocco perchè le ventose del pick-up non trattenevano i fogli bituminati o non riuscivano ad afferrarli;

- che questo problema determinò numerosi interventi di manutenzione;

- che, già il 6 ottobre 2010 (poco dopo l'installazione del "Pick & Place line Tandem"), C.C. inviò a B.B., E.E. e A.A. una mail nella quale segnalava, "quali principali cause di fermo o rallentamento della produzione" le difficoltà di prelievo dei fogli;

- che il 21 febbraio 2011, A.A. scrisse una mail al fornitore dei fogli lamentando che il pick-up ne prelevava tre o quattro insieme e tendeva a perderli durante il trasporto e il problema fu ribadito, in termini analoghi, in una mail inviata da B.B. a A.A. il 5 aprile 2011;

- che, come anche C.C. ha dichiarato nel corso del giudizio, l'inconveniente era noto ed era stato oggetto di numerose riunioni;

- che, l'espediente escogitato dagli operai, di inserire pezzi di legno tra i fogli in modo da distanziarli, era noto anch'esso, ma tale modalità operativa non era stata disciplinata con apposita procedura e i lavoratori non avevano ricevuto specifica formazione in proposito.

In questa situazione non si può sostenere che l'ipotizzata condotta colposa di H.H. o dell'ignoto lavoratore che azionò l'impianto sia idonea ad escludere il nesso di causalità tra le condotte omissive ascritte agli imputati e l'evento lesivo. Come le sentenze di merito chiariscono, infatti, l'accesso all'area operativa del macchinario era possibile attraverso una porticina con chiave inserita e serratura non funzionante e, in assenza di una procedura ad hoc, l'avviamento della macchina poteva avvenire da parte di chiunque, manovrando un pannello che si trovava al di fuori dell'area operativa, ed anche senza aver prima verificato che nessuno si trovasse in posizione pericolosa. Il rischio concretizzatosi, dunque, è diretta conseguenza della mancata osservanza di norme di prevenzione finalizzate anche ad evitare comportamenti imprudenti dei lavoratori. Com'è evidente, l'obbligo giuridico di intervenire per eliminare la situazione di pericolo incombeva solo su coloro che, in ragione della posizione rivestita all'interno dell'azienda o di eventuali deleghe ricevute, erano titolari di una posizione di garanzia nei confronti dell'infortunato, e ciascuno dei ricorrenti, per ragioni diverse, contesta di esserlo stato. Su questo aspetto, tuttavia, ci si soffermerà più avanti, essendo qui in discussione se la condotta dell'infortunato o quella di altri lavoratori addetti alla linea "Tandem" possa aver interrotto il nesso causale tra l'evento e le ipotizzate omissioni, consistite, secondo i giudici di merito: nella mancata valutazione del rischio conseguente al verificarsi dell'inconveniente sopra descritto; nella mancata previsione di procedure operative appropriate; nella mancanza di una specifica formazione dei lavoratori con riferimento a questo problema; nella mancata verifica della conformità della macchina alle norme in materia di sicurezza (per la presenza di un varco di accesso non presidiato e per la collocazione della consolle di avviamento).

3.2. I ricorrenti G.G. (nel primo e nel terzo motivo), D.D. (nel primo motivo) ed C.C. (nel quarto motivo), sostengono che il giudizio controfattuale non sarebbe stato correttamente compiuto, non essendo stato accertato se l'incidente si verificò perchè H.H. entrò nel raggio di azione della macchina mentre la stessa era in movimento o, invece, la macchina si mise in movimento, azionata da altri, mentre H.H. si trovava nel suo raggio di azione. La circostanza che l'accesso all'area fosse possibile da un ingresso laterale non presidiato, infatti, avrebbe rilievo nel primo caso e non nel secondo; mentre la circostanza che la consolle di avviamento fosse accessibile a chiunque e non fosse stata prevista la necessità di verificare, prima di far partire la macchina, che tutti i lavoratori fossero al sicuro, avrebbe rilievo nel secondo caso e non nel primo.

L'argomentazione difensiva non merita accoglimento. Se è vero che la serie causale che condusse all'evento non è stata individuata con certezza, è pur vero che il giudizio controfattuale è stato compiuto con riferimento ad entrambe le ipotesi alternative. Si è sostenuto, infatti - con motivazione non contraddittoria nè illogica - che, nell'una e nell'altra ipotesi, l'evento avrebbe potuto essere impedito da una completa valutazione dei rischi connessi all'uso del macchinario, dalla predisposizione di apposite procedure operative da attuarsi quando le ventose non riuscivano a sollevare o trattenere i fogli, da una specifica formazione dei lavoratori sulle procedure da seguire in questi casi.

A ciò deve aggiungersi che non v'è alcun profilo di contraddittorietà o illogicità nel compiere un giudizio controfattuale rispetto a due ipotesi alternative. Secondo la ricostruzione fornita dai giudici di merito, infatti, l'omissione del doveroso controllo sulle caratteristiche del macchinario e sulle modalità di utilizzo dello stesso hanno avuto rilevanza causale nel verificarsi dell'evento: nel caso in cui sia stato H.H. a far partire il macchinario, perchè l'accesso all'area di lavoro dell'impianto era possibile attraverso una porta laterale che era aperta e non poteva essere chiusa (come riferito a pag. 7 della sentenza di primo grado la serratura nella quale era inserita la chiave non era funzionante); nel caso in cui il macchinario sia stato fatto partire da terzi, perchè i comandi di avviamento erano liberamente accessibili.

3.3. Ponendosi nella prospettiva indicata, non assume rilievo la circostanza (sulla quale i ricorsi si soffermano) che i lavoratori esaminati in giudizio abbiano dichiarato di aver sempre provveduto a sistemare i fogli mentre la macchina era spenta entrando nell'impianto dal varco principale presidiato da fotocellule. Come le sentenze di merito hanno sottolineato, infatti, poichè la necessità di intervenire a recuperare o a sistemare o a distanziare tra loro i fogli bituminati era nota, le modalità di questo intervento avrebbero dovuto essere valutate e procedimentalizzate e i lavoratori avrebbero dovuto essere formati in tal senso. Più in generale, al fine di garantire la sicurezza dei dipendenti, sarebbe stato necessario fare in modo che l'accesso all'area di lavoro della macchina non fosse possibile quando la stessa era in movimento e, in ogni caso, che la macchina non potesse essere avviata se nell'area di lavoro c'era qualcuno. Di conseguenza, la porta laterale avrebbe dovuto essere chiusa (ma non lo era, e non poteva esserlo, atteso che la serratura non era funzionante) e l'acceso ai comandi avrebbe dovuto essere consentito solo previa verifica che tutti i lavoratori fossero fuori pericolo. Per quanto esposto, il ragionamento causale compiuto dalla sentenza impugnata è completo, non contraddittorio nè manifestamente illogico e non contrasta in alcun modo con i principi di diritto che regolano la materia.

4. Come si è detto tutti i ricorrenti contestano di aver avuto posizione di garanzia con riferimento al rischio che si concretizzò con la realizzazione dell'evento letale per cui è processo. Pertanto, la posizione di ciascun ricorrente deve essere esaminata in questa prospettiva.

5. G.G. era legale rappresentante della società e sottoscrisse il DVR del 20 gennaio 2011 nel quale, secondo l'accusa, non erano adeguatamente valutati i rischi connessi al funzionamento della linea "Tandem". Nel ricorso egli sostiene che dell'esistenza di quei rischi non era informato e non certo a causa di un comportamento colposo, atteso che nello stabilimento operava una struttura organizzativa costituita da un direttore di stabilimento e da dirigenti cui era stata conferita delega in materia di sicurezza.

Più in particolare, la difesa del ricorrente osserva:

- che la carica di legale rappresentate della società era stata conferita a G.G. dieci mesi prima dell'infortunio;

- che la "Rieter Automotive Fimit s.p.a." gestiva in Italia cinque stabilimenti; - che i direttori di stabilimento e i dirigenti delegati avevano autonomia di spesa;

- che la linea Tandem garantiva standard produttivi più che adeguati e il legale rappresentante della società non aveva ragione di ipotizzarne un malfunzionamento;

- che nessuno dei testimoni esaminati in giudizio e nessuno dei coimputati ha riferito di aver parlato del problema con G.G. e - diversamente da quanto ritenuto dai giudici di merito - è plausibile che ciò non sia avvenuto atteso che tutti i delegati hanno riferito di aver ritenuto non pericolosa la prassi di inserire distanziatori di legno tra i fogli bituminati;

- che gli audit in materia di sicurezza non avevano evidenziato problemi e l'ultimo, riferito proprio alla linea "Tandem", si era concluso con esito favorevole il 23 settembre 2011 (cinque giorni prima dell'infortunio);

- che una segnalazione, proveniente dall'RSSP D.D. in ordine alla necessità di chiudere la porticina laterale di accesso alla zona di lavoro del pick-up, risultava non più attuale quando fu predisposto il DVR e, per questa ragione, il problema non fu valutato e il macchinario fu attestato conforme alle norme di prevenzione;

- che i compiti relativi alla formazione erano stati delegati alla struttura organizzativa presente nello stabilimento e la documentazione acquisita prova il regolare svolgimento di corsi di formazione relativi alla linea "Tandem".

Secondo la difesa, pur volendo ammettere che G.G. fosse informato dei problemi connessi al sollevamento e allo spostamento dei fogli bituminati, nulla consentirebbe di affermare che egli fosse informato della prassi adottata dai lavoratori per risolverlo e della connessa necessità di codificare una apposita procedura e formare i dipendenti su questo specifico punto. In sintesi il difensore di G.G. sostiene che al legale rappresentante della società sarebbe stata attribuita una responsabilità di posizione, conseguente alla qualifica.

5.1. Come noto (e come più volte precisato dalla giurisprudenza di legittimità) l'obbligo di prevenzione gravante sul datore di lavoro non è limitato al solo rispetto delle norme tecniche, ma richiede anche l'adozione di ogni ulteriore accortezza necessaria ad evitare i rischi per i lavoratori, purchè ciò sia concretamente specificato in regole che descrivono con precisione il comportamento da tenere per evitare il verificarsi dell'evento (Sez. 4, n. 5273 del 21/09/2016, dep.2017, Ferrentino, Rv. 270380; Sez. 4, n. 14915 del 19/02/2019, Arrigoni, Rv. 275577).

La responsabilità per colpa, infatti, non si fonda unicamente sulla titolarità di una posizione gestoria del rischio, ma presuppone l'esistenza e la necessità di dare applicazione a regole aventi specifica funzione cautelare, perchè esse indicano quali misure devono essere adottate per impedire che l'evento temuto si verifichi (Sez. 4, n. 12478 del 19/11/2015, dep. 2016, Barberi, Rv. 267813). Si è sottolineato in proposito che il dovere di diligenza e la regola cautelare "si integrano definendo nel dettaglio il concreto e specifico comportamento doveroso; ciò assicura che non si venga chiamati a rispondere penalmente per la sola titolarità della posizione e pertanto a titolo di responsabilità oggettiva" (Sez. 4, n. 14915 del 19/02/2019, Arrigoni, Rv 275577, pag. 4 della motivazione).

Nel caso oggetto del presente giudizio, la Corte territoriale ha ritenuto che il legale rappresentante della società fosse informato dei problemi sorti nella concreta operatività del macchinario "Pick & Place line Tandem" installato nello stabilimento di (Omissis) e, comunque, avrebbe potuto esserlo se avesse usato l'ordinaria diligenza. Ha ritenuto, pertanto, che la mancata valutazione della situazione di rischio relativa all'uso di quel macchinario (che non era presa in considerazione nel DVR sottoscritto da G.G. il 20 gennaio 2011) fosse ascrivibile a comportamento colposo dell'imputato.

La sentenza impugnata osserva (pag. 65) che, nel sottoscrivere il DVR, G.G. attestò di aver proceduto a "osservazione diretta" degli ambienti di lavoro e di aver verificato che "tutte le macchine e le attrezzature in uso" erano conformi "alle norme di sicurezza vigenti" e che le attrezzature rischiose erano utilizzate solo da "operatori giudicati idonei e formalmente addestrati e abilitati". Secondo la Corte territoriale, nel documento furono attestate circostanze non vere. Quando il DVR fu sottoscritto, infatti, le difficoltà connesse alla movimentazione delle lastre bituminate erano già note e G.G. avrebbe potuto conoscerle, anche se non ne fosse stato informato da dirigenti e preposti, perchè (come risulta dal documento stesso) aveva proceduto all'osservazione diretta dell'ambiente di lavoro e "il carattere assolutamente macroscopico della prassi invalsa tra gli operai" di inserire pezzi di legno tra i fogli bituminati la rendeva percepibile "a chiunque mettesse piede in quella parte dello stabilimento". Secondo i giudici di merito, inoltre, tale prassi "era a conoscenza di tutti (operai, preposto, manutentore, dirigenti delegati) ed è francamente poco credibile che nessuno di costoro abbia mai nemmeno accennato al "capo" l'esistenza di un problema così serio e tale da incidere negativamente sulla salute degli operai e sul ciclo produttivo".

5.2. Si deve dare atto al ricorrente che la motivazione della sentenza impugnata presenta profili di illogicità quando afferma che, avendo proceduto ad osservazione diretta dell'ambiente di lavoro, il legale rappresentante della società poteva rendersi conto della prassi operativa consistente nell'inserire pezzi di legno tra i fogli bituminati. Tale prassi, infatti, seppure invalsa, aveva attuazione solo quando la macchina andava in blocco per la difficoltà di sollevamento dei fogli e, anche se ciò avveniva spesso, non per questo il rimedio che i lavoratori avevano adottato era percepibile "a chiunque mettesse piede" nello stabilimento.

Becker, tuttavia, è stato chiamato a rispondere della morte di H.H., perchè il DVR che sottoscrisse non conteneva alcuna valutazione dei rischi conseguenti al fatto che i fogli bituminati potevano non essere afferrati dalle ventose o cadere durante la traslazione. Pertanto, ai fini dell'affermazione della sua responsabilità non rileva se egli fosse o non fosse informato della prassi di inserire pezzetti di legno tra i fogli bituminati, ma rileva invece se, nel predisporre quel documento, egli valutò tutti i rischi che era tenuto a conoscere perchè connessi al funzionamento del macchinario e alle caratteristiche dello stesso.

Come noto, "in tema di prevenzione degli infortuni, il datore di lavoro, avvalendosi della consulenza del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, ha l'obbligo giuridico di analizzare e individuare, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda e, all'esito, deve redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 28, all'interno del quale è tenuto a indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori" (in tal senso, per tutte: Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261109). Nel caso di specie, il rischio che il datore di lavoro era tenuto a valutare non era solo quello derivante dall'uso di pezzi di legno per distanziare i fogli, ma, ancor prima, quello derivante dalle problematiche operative che di frequente si verificavano a causa del distacco o del mancato afferramento dei fogli da parte del pick-up. La sentenza impugnata osserva (pag. 63) che, come riferito dal teste O.O. (consulente tecnico della società), è noto a chiunque utilizzi macchine pick-up per la movimentazione di lastre bituminate che, nella fase di afferramento e traslazione delle stesse, possono presentarsi problemi. Non è illogico, nè contraddittorio aver desunto da tali affermazioni (provenienti, peraltro, da un teste a discarico) che questi problemi, proprio perchè connessi al funzionamento di un macchinario recentemente installato nella linea di produzione dello stabilimento di (Omissis), dovessero essere oggetto di valutazione da parte del datore di lavoro. Come i giudici di merito hanno sottolineato, infatti, tali difficoltà di funzionamento erano fonte di rischio per l'incolumità dei lavoratori che, oltre a dover resettare e riavviare l'impianto, dovevano intervenire sulle lastre (per metterle a posto o addirittura per inserirle manualmente nel forno) facendo ingresso nell'area operativa del macchinario.

Con riferimento alla deposizione di O.O., la difesa di G.G. deduce travisamento della prova. Sostiene, infatti, che la sentenza impugnata avrebbe dedotto dalle dichiarazioni del teste che Becher era stato informato dei problemi di funzionamento del pick-up a ventosa, mentre O.O. non ha mai fatto una tale affermazione e si è limitato a riferire che si trattava di problemi noti agli operatori del settore. A questo proposito si deve osservare che, secondo O.O., il problema della tenuta delle ventose riguardava tutti gli stabilimenti nei quali erano in uso macchinari simili a quello installato a (Omissis), sicchè non ha rilevo se del problema G.G. fosse stato informato in termini specifici. Ai sensi del D.Lgs. n. 81 del 2008, infatti, sul datore di lavoro incombe l'obbligo di individuare i rischi connessi allo svolgimento dell'attività lavorativa e adottare procedure idonee a tutelare la salute e la sicurezza dei propri dipendenti: non è illogico aver desunto dalle dichiarazioni di O.O. che il rischio non valutato da G.G. non fosse un rischio occulto nè può dirsi che la deposizione del teste sia stata distorta nel suo significato o che il dato probatorio sia stato trasposto in modo inesatto nel ragionamento svolto dai giudici di merito.

La sentenza impugnata e quella di primo grado riferiscono che nel DVR predisposto da G.G. non vi è alcuna valutazione del rischio conseguente alla necessità per i lavoratori di recarsi nell'area operativa dell'impianto e, in questa prospettiva, non rileva se l'ingresso in quell'area dovesse avvenire per recuperare le lastre cadute, per metterle a posto o per distanziarle con pezzetti di legno. Il ricorrente, peraltro, non contesta il dato e si limita a sostenere: che una valutazione non era necessaria atteso che, in caso di distacco o mancato afferramento delle lastre, la macchina andava in blocco; che l'accesso al pick-up era possibile solo attraversando un varco presidiato da fotocellule; che, secondo quanto riferito a G.G. da D.D., il problema connesso all'esistenza di una porticina laterale era stato risolto assicurandone la chiusura. Si tratta di argomenti privi di pregio. Come le sentenze di merito sottolineano, infatti, l'esistenza di sistemi di sicurezza idonei a garantire il blocco del macchinario in caso di malfunzionamento delle ventose e di accesso dei lavoratori all'area operativa del pick-up, non escludeva affatto il verificarsi di situazioni di rischio. Ed invero: la linea di produzione poteva essere riavviata senza aver verificato che nessuno si trovasse in una posizione pericolosa; nessuna procedura operativa era stata prevista per evitare che ciò avvenisse; neppure era stato previsto che l'accesso attraverso la porticina laterale fosse impedito in modo assoluto. Secondo i giudici di merito, la valutazione dei rischi derivanti dal funzionamento della linea "Tandem", della quale il pick-up faceva parte, non fu completa e quei rischi erano evidenti, non soltanto perchè strutturalmente connessi al funzionamento del macchinario (la possibilità di distacco o mancato afferramento delle lastre era così concreta che in questi casi, a fini di sicurezza, il macchinario andava in blocco); ma anche perchè il problema si era manifestato molte volte. Come lo stesso ricorrente riferisce (pagg. 13 e 14 del ricorso): fra il 13 gennaio e il 14 ottobre 2011 "furono eseguiti 409 interventi manutentivi generici con riferimento al PK e al carico dei fogli" e "il 62,5% di questi interventi riguardò la mancata presa dei fogli EPDM" per un totale di "circa 250 interventi". La circostanza - sulla quale la difesa insiste - che la percentuale di tempo dedicata alla soluzione di tali guasti fosse pari al 1,46% del totale tempo di produzione non rileva in senso contrario. Invero, il fatto che la linea "Tandem" lavorasse "su standard ottimali" e non vi fosse ragione alcuna per ritenerla malfuzionante, non esimeva il datore di lavoro dalla valutazione di un rischio che era conseguenza diretta delle caratteristiche del macchinario e delle modalità di funzionamento dello stesso. I giudici di merito hanno ritenuto che ad una valutazione del rischio adeguata e completa sarebbe conseguita la previsione di specifiche procedure operative che avrebbero dovuto essere rispettate nel caso in cui il macchinario fosse andato in blocco, sicchè il giudizio controfattuale è stato correttamente compiuto. Come emerge dalle sentenze di primo e secondo grado, inoltre, l'omessa procedimentalizzazione non riguardò soltanto le modalità di inserimento di distanziatori tra le lastre bituminate, ma, prima ancora, le regole da rispettare per accedere all'area di lavoro del pick-up e quelle cui attenersi, in caso di blocco, per resettare e riavviare la macchina. In particolare, la circostanza che il varco di accesso all'area operativa dell'impianto fosse presidiato da fotocellule che bloccavano il macchinario se i lavoratori lo oltrepassavano, non era sufficiente a prevenire il rischio derivante dalla possibile presenza di persone nel raggio di azione del pick-up (che poteva essere riattivato dall'esterno dopo che il varco era stato oltrepassato) e la possibilità che i dipendenti si trovassero all'interno dell'area operativa della macchina era inevitabile conseguenza del fatto (non solo prevedibile, ma concretamente previsto) che le lastre potevano non essere afferrate dalle ventose o staccarsi durante la traslazione dai bancali alla zona di termoformatura.

5.3. La giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che sul datore di lavoro grava l'obbligo di valutare tutti i rischi connessi alle attività lavorative e individuare così le misure cautelari necessarie a prevenirli, adottandole e assicurandosi che i lavoratori le osservino. La complessità dei processi aziendali può richiedere (e questo è avvenuto nel caso di specie) la presenza di dirigenti e di preposti che, in diverso modo, coadiuvano il datore di lavoro. Ai sensi del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 2, comma 1, lett. d), i dirigenti attuano le direttive del datore di lavoro organizzando l'attività lavorativa e vigilando su di essa; ai sensi dell'art. 2, comma 1, lett. e), i preposti sovraintendono all'attività lavorativa e garantiscono l'attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa. Questo schema normativo prevede, tuttavia, che il datore di lavoro abbia preliminarmente proceduto ad una corretta valutazione dei rischi e, nel caso di specie, questo non è avvenuto. Come chiarito dai giudici di merito, infatti, l'infortunio fu reso possibile non soltanto dalla scelta di non impedire (e, tuttavia, di non procedimentalizzare) la prassi operativa escogitata dai lavoratori per distanziare le lastre bituminate ed evitare il blocco del macchinario (prassi della quale G.G. potrebbe non essere stato informato) ma, ancor prima, dall'omessa valutazione dei rischi connessi al funzionamento della macchina "Pick & Place line Tandem"; valutazione che, quale datore di lavoro, G.G. aveva l'obbligo giuridico di compiere e, per espressa previsione di legge, non poteva delegare.

A questo proposito è opportuno ricordare che l'eventuale conferimento a terzi della delega relativa alla redazione del documento di valutazione dei rischi (delega che, nel caso in esame, non risulta essere stata conferita), "non esonera il datore di lavoro dall'obbligo di verificarne l'adeguatezza e l'efficacia, di informare i lavoratori dei rischi connessi alle lavorazioni in esecuzione e di fornire loro una formazione sufficiente ed adeguata" (Sez. 4, n. 27295 del 02/12/2016, dep. 2017, Furlan, Rv. 270355). A ciò deve aggiungersi che è obbligo del datore di lavoro, quale titolare della posizione di garanzia, "prevenire il concretizzarsi di rischi riguardanti la verificazione anche di un "evento raro" la cui realizzazione non sia però ignota all'esperienza e alla conoscenza della scienza tecnica e, una volta individuato il rischio, predisporre le misure precauzionali e procedimentali, ove necessarie, per impedire l'evento" (Sez. 4, n. 27186 del 10/01/2019, D'Ottavio, v. 276703). Nel caso di specie, il rischio verificatosi non era conseguenza di un evento raro, ma, al contrario, di un evento che si verificava con una certa frequenza e dipendeva da un inconveniente, non solo prevedibile, ma concretamente previsto da chi aveva progettato il macchinario (che andava in blocco quando le ventose non riuscivano a trattenere le lastre da movimentare). Pertanto, quel rischio avrebbe dovuto essere individuato e valutato dal datore di lavoro. Da tale omessa valutazione discende la mancata predisposizione di procedure operative adeguate e la mancata formazione dei dipendenti al rispetto delle stesse. La circostanza, documentata in atti, che H.H. avesse frequentato corsi di formazione relativi all'uso del macchinario non rileva in senso contrario.

Ed invero, poichè nessuna procedura operativa era stata elaborata per prevenire il rischio che si concretizzò in occasione dell'infortunio, la formazione impartita non può avere avuto ad oggetto quel rischio.

5.4. Alla luce delle considerazioni svolte, la circostanza che due audit in materia di sicurezza (eseguiti il 14 luglio 2011 e il 23 settembre 2011) abbiano attestato la non pericolosità dell'impianto e delle procedure operative e che uno di questi audit abbia riguardato specificamente la linea "Tandem" non vale ad escludere la responsabilità del datore di lavoro. L'omessa valutazione dei rischi connessi al funzionamento del macchinario risale, infatti, al 20 gennaio 2011, la necessità di accedere all'area operativa dell'impianto conseguente al distacco o al mancato afferramento delle lastre era nota e in certa misura "strutturale" alla scelta di un sistema di traslazione a ventose e, sul punto, nessuna procedura operativa era stata prevista.

5.5. Col quinto e ultimo motivo, il ricorrente deduce mancanza e contraddittorietà della motivazione con la quale è stata esclusa la circostanza attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 6 e sottolinea che i familiari della vittima hanno ricevuto a titolo di risarcimento somme rilevanti, che hanno accettato, tuttavia, solo a titolo di acconto sul maggior danno. A questo proposito si deve osservare: che la circostanza attenuante del risarcimento del danno di cui all'art. 62 c.p., comma 1, n. 6, prima parte, presuppone l'integrale riparazione del danno cagionato (Sez. 3, n. 25326 del 19/02/2019, Perani, Rv. 276276; Sez. 5, n. 57573 del 31/10/2017, P., Rv. 271872; Sez. 4, n. 34380 del 14/07/2011, Allegra, Rv. 251508); che la Corte territoriale ha ritenuto insufficiente il versamento di Euro 240.000,00 ciascuno alla moglie e al figlio minore di H.H. in ragione della giovane età della vittima e tale valutazione, poichè non presenta profili di contraddittorietà o manifesta illogicità, non è sindacabile in questa sede.

5.6. Per quanto esposto, il ricorso di G.G. deve essere respinto.

6. F.F. è stato chiamato a rispondere dell'infortunio mortale oggetto del procedimento nella qualità di direttore dello stabilimento.

Egli non contesta tale qualità ma sostiene, nel terzo motivo, che dalla stessa non può farsi discendere una posizione di garanzia in materia di sicurezza atteso che nello stabilimento operava una struttura cui era stata conferita delega espressa in questa materia. Nel sesto motivo e nel motivo aggiunto il difensore sostiene che, quand'anche tale posizione di garanzia fosse ipotizzabile, F.F. non potrebbe rispondere dell'evento avendo assunto la direzione dello stabilimento di (Omissis) insieme a quella dello stabilimento di (Omissis) il 4 luglio 2011 (meno di tre mesi prima del fatto); non essendo stato informato della situazione di pericolo; non avendo avuto la possibilità di rendersene conto. Lo stabilimento, infatti, restò chiuso per tutto il mese di agosto e, nei due mesi residui (dovendo occuparsi di due stabilimenti), F.F. fu presente a (Omissis) per due giorni a settimana. La difesa sottolinea che, nel periodo trascorso dal momento della assunzione dell'incarico al momento dell'infortunio, due audit in materia di sicurezza attestarono la non pericolosità dell'impianto e delle procedure operative e che uno di questi audit (il cui esito fu comunicato a F.F. cinque giorni prima dell'infortunio) riguardò specificamente la linea "Tandem". Osserva, inoltre, nel quinto motivo, che, sulla base della documentazione di cui F.F. aveva la disponibilità, H.H. era stato specificamente formato all'uso del macchinario e nulla prova che delle specifiche difficoltà operative riscontrate sulla linea "Tandem" F.F. fosse stato informato. Gli argomenti sviluppati nel sesto motivo e nel motivo aggiunto sono fondati e assorbenti.

6.1. La giurisprudenza di questa Corte di legittimità ha approfondito il tema della esigibilità del rispetto della regola cautelare proprio con riferimento a casi, come quello in esame, nei quali l'obbligo giuridico trova la propria fonte nell'assunzione di un incarico e ha sottolineato che, in questi casi, è necessario valutare la situazione di fatto per accertare che il titolare della posizione di garanzia abbia avuto la concreta possibilità di rispettare la regola violata. In questa prospettiva si è sostenuto che i tempi e i modi di apprensione delle informazioni connesse al ruolo rilevano ai fini del giudizio sull'esigibilità del comportamento dovuto e della rimproverabilità dell'atteggiamento antidoveroso (Sez. 4, n. 33548 del 08/03/2022, Carello, non massimata). Il tema è stato particolarmente approfondito proprio con riferimento alla responsabilità datoriale nella materia degli infortuni sul lavoro. Si è sottolineato, infatti, che la responsabilità per colpa deve essere fondata sull'esigibilità del comportamento dovuto, non essendo possibile configurare in capo al datore di lavoro una inammissibile responsabilità "di posizione", tale da sconfinare in responsabilità oggettiva. Ci si è adoperati, quindi, nel senso di personalizzare il rimprovero rivolto all'autore della condotta e lo si è fatto introducendo una doppia misura del dovere di diligenza, che tenga conto, non solo dell'oggettiva violazione di norme cautelari, ma anche della concreta possibilità di uniformarsi alla regola in ragione delle specifiche qualità personali dell'agente e della situazione di fatto in cui egli ha operato (Sez. 4, n. 1096 del 08/10/2020, dep. 2021, Verondini, Rv. 280188; Sez. 4, n. 32507 del 16/04/2019, Romano, Rv. 276797; Sez. 4, n. 20833 del 03/04/2019, Stango, non massimata).

Come si è detto, i giudici di merito hanno ritenuto che il rischio conseguente alla necessità di entrare nell'area operativa del pick-up fosse connesso alle caratteristiche del macchinario e al suo funzionamento. Hanno ritenuto, inoltre, che la pericolosa prassi operativa adottata per distanziare le lastre bituminate ed evitare il blocco del macchinario fosse nota in azienda. Ne hanno tratto la conclusione che, se F.F. non si rese conto di queste criticità, ciò dipese da una sua colpevole negligenza. Nel sostenere che F.F. poteva conoscere la situazione ed era in condizione di intervenire a porvi rimedio, la sentenza impugnata si limita ad affermare (pag. 53) che, "in ragione dello stretto rapporto esistente - o che comunque dovrebbe esistere - tra il direttore dello stabilimento e l'ambiente di lavoro, alla luce dei poteri e degli obblighi derivanti dal regolamento aziendale", il lasso di tempo intercorso dall'assunzione dell'incarico all'incidente era sufficiente ad acquisire "adeguata consapevolezza" della situazione.

Al di là di tale scarna motivazione, nell'esaminare la situazione che determinò il verificarsi dell'infortunio, la Corte di appello fa riferimento (pag. 28 della sentenza) ai numerosi interventi di manutenzione eseguiti sul macchinario (che si bloccava perchè "le ventose "perdevano" i fogli") e ne indica le date, che sono però tutte precedenti al 4 luglio 2011. Ricorda inoltre che, dopo l'installazione dell'impianto, si tennero riunioni per risolvere il problema e che C.C., B.B., E.E. e A.A. si scambiarono numerose mail su questo tema. Come risulta dalla sentenza, però, le riunioni si svolsero tra il mese di aprile e quello di ottobre del 2010 e le mail che C.C., B.B., E.E. e A.A. si scambiarono non sono successive all'aprile 2011.

Sia il Tribunale che la Corte di appello, sostengono che, per la frequenza con la quale il problema si verificava, l'esistenza della situazione di rischio era percepibile a chiunque e dunque anche a F.F.. L'argomentazione, tuttavia è carente e, in parte, contraddittoria atteso che, come i giudici di merito riconoscono, nessuno dei coimputati e nessuno dei testimoni esaminati in giudizio ha sostenuto di aver parlato con F.F. dei problemi connessi al funzionamento della linea "Tandem". L'affermazione contenuta a pagina 28 della sentenza impugnata, secondo la quale il 21 febbraio 2011 e il 5 aprile 2011 due mail nelle quali si affrontava il problema furono mandate anche a F.F. richiede poi di essere chiarita atteso che, a quella data, egli non rivestiva la qualifica di direttore dello stabilimento, nè risulta aver svolto in precedenza funzioni che possano giustificare tale comunicazione.

6.2. Per quanto esposto, con riferimento alla posizione di F.F., la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli.

7. D.D. era Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione dello stabilimento e in tale qualità è stato imputato.

Nell'affermarne la penale responsabilità, la sentenza impugnata osserva:

- che egli fu coinvolto nello scambio di mail relativo alle difficoltà riscontrate nel sollevamento dei fogli bituminati e nelle riunioni che si svolsero sul tema;

- che I.I., collega di lavoro dell'infortunato, ha dichiarato di aver riferito a D.D. dell'espediente escogitato per evitare che i fogli bituminati si attaccassero tra loro e del fatto che tra gli stessi venivano collocati dei pezzi di legno, ma D.D. non segnalò la necessità di intervenire su questa procedura per impedirla oppure per disciplinarne lo svolgimento e formare in tal senso i lavoratori.

Se è vero allora che - a differenza di quanto sostenuto dalla sentenza impugnata (pag. 46) - quale RSSP D.D. non aveva la possibilità di intervenire a "bloccare" e "rideterminare" il ciclo produttivo, è pur vero, tuttavia, che egli era certamente a conoscenza dei problemi connessi al funzionamento del macchinario e del fatto che, con una certa frequenza, i lavoratori dovevano recarsi all'interno dell'area operativa dell'impianto. Era consapevole, dunque, dell'esistenza di un rischio che non era stato adeguatamente valutato. Era stato informato, inoltre, del fatto che i lavoratori erano soliti collocare pezzi di legno tra le lastre per distanziarle. Aveva quindi piena consapevolezza del frequente ricorso a modalità operative che potevano essere fonte di pericolo e del fatto che quel pericolo non era stato preso in considerazione nel DVR, ma non segnalò tale carenza; anzi, nell'audit del 23 settembre 2011 - da lui sottoscritto - che riguardava proprio la linea "Tandem" si limitò a segnalare che era necessario pulire la macchina "dal distaccante".

Nel primo motivo di ricorso - oltre a formulare le censure delle quali si è trattato al paragrafo 2) - la difesa sostiene che D.D. aveva adempiuto ai propri compiti segnalando alcune anomalie e in particolare: che occorreva installare la chiusura di una porta aperta nella zona pick-up, rivedere le procedure di lavoro, aggiornare le istruzioni di lavoro. Il ricorrente non fornisce però alcuna indicazione riguardo all'epoca nella quale tali segnalazioni furono eseguite. Non smentisce, dunque, quanto riferito nella sentenza impugnata, dalla quale risulta (pag. 26) che la segnalazione relativa alla mancata chiusura della porta risaliva al 22 giugno 2010.

Si deve osservare, allora, che D.D. è stato ritenuto responsabile della morte di H.H. per non essere intervenuto a raccomandare la revisione delle procedure dopo aver appreso che, con frequenza, le ventose del pick-up non riuscivano a sollevare o trattenere i fogli bituminati e che i lavoratori li distanziavano facendo uso di pezzi di legno. Le sentenze di merito sottolineano, infatti, che la situazione di pericolo conseguente alla mancata previsione di procedure operative nel caso in cui la linea "Tandem" fosse andata in blocco era, per D.D., di tutta evidenza in ragione della frequenza con la quale l'inconveniente si verificava e del fatto che i lavoratori gli avevano segnalato il problema; percepito, anche da loro, come fonte di pericolo (a pag. 4 della sentenza impugnata la Corte territoriale riferisce che, come emerso in dibattimento, H.H. aveva chiesto di essere assegnato ad altre mansioni proprio in ragione dei frequenti problemi che si manifestavano nel funzionamento della linea "Tandem").

L'argomentazione è congrua, non presenta profili di contraddittorietà o manifesta illogicità ed è conforme ai principi di diritto che regolano la materia. Questa Corte ha sottolineato, infatti, che, il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione "pur svolgendo all'interno della struttura aziendale un ruolo non gestionale, ma di consulenza, ha l'obbligo giuridico di adempiere diligentemente l'incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all'attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino per effetto della violazione dei suoi doveri" (Sez. 4, n. 11708 del 21/12/2018, dep. 2019, David, Rv. 275279). Chi ha la qualifica di RSPP, dunque, in forza del ruolo rivestito, assume una posizione di garanzia nei confronti dei lavoratori, dalla quale consegue una responsabilità per colpa quando - come nel caso di specie - il verificarsi dell'infortunio sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che, essendo conosciuta, doveva essere segnalata (sull'argomento: Sez. 4, n. 49761 del 17/10/2019, Moi, Rv. 277877; Sez. 4, n. 24822 del 10/03/2021, Solari, Rv. 281433; Sez. 3, n. 37383 del 15/07/2021, Di Chio, Rv. 281969).

A questo proposito è utile ricordare che il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, pur non essendo tenuto a controllare che il datore di lavoro adempia alle misure indicate, ha tuttavia "l'obbligo di elaborare, nel documento di valutazione dei rischi, i sistemi di controllo sull'attuazione delle misure precauzionali richieste dal tipo di attività lavorativa" (Sez. 3, n. 37383 del 15/07/2021, Di Chio, Rv. 281969) e "può essere ritenuto responsabile, anche in concorso con il datore di lavoro, del verificarsi di un infortunio, ogni qual volta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l'obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere che alla segnalazione faccia seguito l'adozione, da parte del datore di lavoro, delle iniziative idonee a neutralizzare tale situazione" (Sez. 4, n. 24822 del 10/03/2021, Solari, Rv. 281433). Per quanto esposto in questo paragrafo e al paragrafo 2), il primo motivo del ricorso proposto nell'interesse di D.D. non può trovare accoglimento.

7.1. Non ha maggior pregio il secondo motivo, col quale il ricorrente si duole che le attenuanti generiche siano state valutate soltanto equivalenti all'aggravante di cui all'art. 589 c.p., comma 2. A questo proposito basta ricordare che, secondo il costante insegnamento di questa Corte di legittimità, "in tema di bilanciamento di circostanze eterogenee, non incorre nel vizio di motivazione il giudice di appello che, nel confermare il giudizio di equivalenza fra le circostanze operato dal giudice di primo grado, dimostri di avere considerato e sottoposto a disamina gli elementi enunciati nella norma dell'art. 133 c.p. e gli altri dati significativi, apprezzati in modo logico e coerente rispetto a quelli concorrenti di segno opposto" (cfr.: Sez. 1, n. 17494 del 18/12/2019, dep. 2020, Defilippi, Rv. 279181). Nel caso di specie, tale giudizio di bilanciamento è stato motivato con riferimento alla gravità del fatto e al grado non lieve della colpa collegata alla constatazione che l'inerzia di D.D. si protrasse per un periodo di tempo non breve.

7.2. Per quanto esposto, nessuno dei motivi di ricorso proposti da D.D. merita accoglimento.

8. C.C. era responsabile della produzione nello stabilimento di (Omissis). Alcune delle censure che egli ha formulato nell'atto di ricorso sono già state esaminate nei paragrafi 2) e 3) ai quali si fa integrale rinvio.

Si devono qui esaminare le doglianze nelle quali si sostiene che, in forza della qualifica rivestita, C.C. non doveva intervenire sulla manutenzione del macchinario e sui problemi di sicurezza conseguenti, ma soltanto sui problemi di sicurezza derivanti dal normale funzionamento dell'impianto, sicchè l'evento verificatosi non rappresenta la concretizzazione del rischio che egli era chiamato a governare e ad C.C. potrebbe essere attribuita al massimo una colpa generica che escluderebbe per lui la sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 589 c.p., comma 2, e consentirebbe di dichiarare il reato estinto per prescrizione. Analoghe osservazioni sono state formulate dal ricorrente con riferimento al fatto che il cancello di accesso all'area era aperto e la chiave era inserita nella serratura (comunque non funzionante). La difesa osserva che si tratta di un problema di manutenzione del quale C.C. non poteva essere informato e con riferimento al quale egli non aveva comunque l'obbligo giuridico di intervenire.

La sentenza impugnata riferisce (pag. 30) che C.C. era stato delegato a fornire ai lavoratori idonei DPI, a prendere le misure necessarie affinchè solo lavoratori adeguatamente formati e addestrati potessero accedere a zone che li esponevano a rischi, a richiedere l'osservanza da parte dei lavoratori delle norme in tema di sicurezza e ad informarli di eventuali rischi derivanti dalle attività produttive. Non è controverso che C.C. fosse informato del fatto che il pick-up aveva difficoltà a sollevare e trasportare le lastre bituminate. E' documentato che ciò aveva comportato, non solo frequenti interventi del reparto di manutenzione, ma anche riunioni e scambi di mail tra gli odierni imputati. E' documentato, inoltre, che il problema non era solo di tipo manutentivo, ma dipendeva soprattutto dalle caratteristiche dei fogli bituminati che tendevano ad attaccarsi tra loro. Di ciò C.C. era consapevole. Anche nel ricorso, infatti, sostiene di aver segnalato alla casa produttrice dei fogli la necessità di realizzare delle scanalature che potevano evitare l'inconveniente. Dalla sentenza impugnata emerge (pagg. 37 e 38) che C.C. ha dichiarato di aver avuto quotidiani contatti con gli operai, i quali gli riferivano circa l'andamento della produzione, e ha ammesso di essere stato informato della prassi, adottata dai lavoratori, di distanziare i fogli collocando tra gli stessi dei pezzi di legno. Non è controverso che egli non abbia segnalato tale situazione di rischio al datore di lavoro, non si sia adoperato per far sì che fosse predisposta una procedura idonea a garantire che l'accesso all'area operativa della macchina avvenisse in sicurezza e non abbia disposto il blocco della produzione pur consapevole che il lavoro non poteva svolgersi in sicurezza perchè il pick-up a ventose "non riusciva a prelevare un foglio alla volta", ma ne prendeva più d'uno "perdendoli poi lungo il tragitto e obbligando gli operai a recuperarli" (così testualmente la sentenza impugnata, pag. 37 della motivazione). Secondo i giudici di merito, poichè il problema riguardava il normale funzionamento dell'impianto produttivo e la concreta operatività del macchinario "Pick & Place line Tandem", l'evento verificatosi rappresentò la concretizzazione del rischio che C.C. era chiamato a governare quale responsabile della produzione e delegato alla sicurezza dell'attività produttiva. Omettendo di intervenire, dunque, egli si rese inadempiente ai propri obblighi e rese possibile un evento che avrebbe potuto evitare vigilando affinchè i lavoratori non si ponessero in situazione di pericolo; verificando la concreta idoneità delle prassi operative adottate; segnalando al datore di lavoro l'esistenza di rischi non valutati e, se del caso, anche interrompendo la produzione. A questo proposito, la sentenza impugnata sottolinea che, essendo certamente informato della prassi operativa che prevedeva di inserire distanziatori in legno tra i fogli, D.D. aveva l'obbligo di contrastarla o di disporre affinchè fosse regolamentata.

Si tratta di una motivazione congrua, che non presenta profili di contraddittorietà o manifesta illogicità ed è conforme ai principi di diritto che regolano la materia. Il compito di vigilare sull'attuazione delle misure di sicurezza, infatti, grava autonomamente su ogni gestore del rischio e - ancorchè quel rischio non fosse stato valutato dal datore di lavoro - C.C. aveva la possibilità di intervenire per governarlo quale responsabile della produzione e titolare di una delega in materia di sicurezza nel settore del quale era responsabile. Nel caso di specie, inoltre, la situazione di pericolo era ben nota all'obbligato, atteso che, come emerge dalle sentenze di merito, C.C. era informato non solo del frequente malfunzionamento del pick-up a ventose, ma anche della prassi operativa che prevedeva di inserire distanziatori in legno tra i fogli. Era consapevole, dunque, che, frequentemente, la linea produttiva della cui sicurezza era delegato ad occuparsi andava in blocco e ciò rendeva necessario l'ingresso dei lavoratori nell'area operativa del macchinario in assenza di procedure che ne garantissero il fermo assoluto. A questo proposito si deve ricordare che, quale delegato alla sicurezza della produzione, C.C. doveva conoscere il DVR: era dunque consapevole della incompletezza di quel documento o avrebbe potuto esserlo usando l'ordinaria diligenza. Si deve sottolineare, infine, che egli è stato ritenuto responsabile della violazione dell'art. 113 c.p.p. e art. 589 c.p.p., comma 2, e che "per aversi cooperazione nel delitto colposo, non è necessaria la consapevolezza della natura colposa dell'altrui condotta, essendo sufficiente la coscienza dell'altrui partecipazione nello stesso reato, intesa come consapevolezza, da parte dell'agente, del fatto che altri soggetti sono investiti di una determinata attività, con una conseguente interazione rilevante anche sul piano cautelare, nel senso che ciascuno è tenuto a rapportare prudentemente la propria condotta a quella degli altri soggetti coinvolti (Sez. 4, n. 25846 del 26/03/2019, Santini, Rv. 276581; Sez. 4, n. 6215 del 10/12/2009, dep. 2010, Pappadà, Rv. 246420).

Per quanto esposto, la decisione assunta non è censurabile nè sotto il profilo dell'identificazione del rischio concretizzatosi, nè per quanto riguarda le regole cautelari applicabili. Neppure è censurabile, perchè coerente con le emergenze istruttorie, l'identificazione della condotta alternativa doverosa, individuata dalle sentenze di merito nella segnalazione della situazione di rischio, nella previsione di idonee procedure operative e, in assenza di iniziative, nella sospensione della produzione.

8.1. Col quinto motivo di ricorso, C.C. lamenta la mancata applicazione della non menzione della condanna prevista dall'art. 175 c.p..

La Corte territoriale ha fondato il diniego del beneficio sottolineando che l'istituto è fondato sul principio dell'emenda, ma C.C. non risulta essersi rapportato in alcun modo con i familiari della vittima. Il ricorrente sostiene che la motivazione sarebbe carente trattandosi comunque di fatto colposo, ma trascura che, come motivato dalla Corte di appello, nel caso in esame il grado della colpa è particolarmente elevato. In questa situazione, non è incongruo, alla stregua dei parametri di cui all'art. 133 c.p., che il beneficio della non menzione sia stato negato per non aver individuato nel comportamento successivo al reato elementi idonei a giustificarne la concessione. A questo proposito si deve ricordare che, per giurisprudenza costante, la concessione del beneficio in parola è rimessa all'apprezzamento discrezionale del giudice di merito sulla base degli elementi di cui all'art. 133 c.p. senza che sia necessaria una specifica e dettagliata esposizione delle ragioni della decisione (Sez. 4, n. 34380 del 14/07/2011, Allegra Rv 252509; Sez. 4, n. 31217 del 16/06/2016, Colombo, Rv. 267523; Sez. 2, n. 1 del 15/11/2016, dep. 2017, Cattaneo, Rv. 268971).

8.2. Per quanto esposto, nessuno dei motivi di ricorso proposti nell'interesse di C.C. merita accoglimento.

9. Nel ricorso proposto per mezzo del comune difensore, A.A. e B.B. sostengono di non aver ricevuto alcuna delega in materia di sicurezza del lavoro, atteso che l'unica delega acquisita agli atti non avrebbe data certa (o sarebbe risalente al 2014) e non sarebbe firmata. Sottolineano che, in ogni caso, ai sensi del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 17, non poteva essere delegata loro la valutazione dei rischi e che, ai sensi del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 18, i dirigenti sono titolari di obblighi prevenzionali in relazione alle attività che sono chiamati a organizzare e dirigere "secondo le attribuzioni e competenze ad essi conferite".

La sentenza impugnata afferma (pag. 44) che A.A. e B.B. "erano indiscutibilmente titolari di una posizione di garanzia" in forza di una delega datata 10 dicembre 2008, che attribuiva loro anche i mezzi finanziari necessari e, poichè avevano partecipato alle riunioni organizzate da C.C. su questo argomento, erano a conoscenza delle problematiche connesse al sollevamento e alla traslazione dei fogli bituminati. Non specifica però quale fosse il contenuto della delega conferita ai ricorrenti e non spiega perchè, in ragione delle rispettive qualifiche di "dirigente responsabile della qualità" e di "dirigente responsabile dei servizi tecnici di produzione", A.A. e B.B. avessero l'obbligo giuridico di intervenire a garantire la sicurezza dei lavoratori addetti alla linea "Tandem". Non spiega, insomma, per quali ragioni l'infortunio oggetto del procedimento rappresenterebbe la concretizzazione di un rischio che A.A. e B.B. erano chiamati a governare. Poichè la motivazione sul punto è carente, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli.

10. Col secondo motivo di ricorso, E.E. sostiene, da un lato, che la qualifica di responsabile della manutenzione attribuitagli nel 2008 dal direttore dello stabilimento allora in carica, non era stata rinnovata dal nuovo direttore di stabilimento; dall'altro che, a quella data, la macchina "Pick & Place line Tandem" non era ancora stata installata; dall'altro ancora che questa delega - quand'anche operativa e riferibile al macchinario sul quale si verificò l'infortunio - era limitata agli aspetti della manutenzione e non comportava l'obbligo di opporsi a una prassi che riguardava l'andamento della produzione e non lo svolgimento di attività manutentive; attività che non erano in corso quando l'infortunio si verificò.

Il motivo è fondato e assorbente.

La sentenza impugnata non indica quale fosse il contenuto della delega in materia di sicurezza conferita a E.E. nè chiarisce perchè questa delega, che sarebbe stata conferita al ricorrente nella qualità di "dirigente responsabile del comparto manutenzione", comportasse l'obbligo giuridico e la possibilità di intervenire a garantire la sicurezza delle attività produttive. In sintesi, non spiega perchè E.E. avrebbe avuto l'obbligo giuridico di individuare procedure operative adeguate a fini di sicurezza anche nel settore della produzione, estraneo alla sua competenza. Non v'è dubbio che le difficoltà riscontrate nel prelevamento e trasporto dei fogli bituminati abbiano coinvolto il reparto manutenzione. La sentenza di primo grado riferisce infatti (pag. 15) che il manutentore meccanico P.P. ha dichiarato di essere spesso intervenuto "per effettuare la registrazione delle ventose" e di essersi accorto in quelle occasioni che, "da almeno tre o quattro mesi", per far passare aria tra i fogli venivano usati dei pezzetti di legno. Tuttavia, i giudici di merito non hanno spiegato perchè il rischio che non fu valutato (e la mancata valutazione del quale determinò il verificarsi dell'evento) avesse attinenza con i compiti del reparto manutenzione. Si deve ricordare, peraltro, che l'infortunato non era addetto a quel reparto; che, quando l'infortunio si verificò, non stava compiendo attività di tipo manutentivo; che le prassi operative adottate per garantire la posizione di fermo del macchinario quando le attività di manutenzione erano in corso non sono state accertate in giudizio. Per quanto esposto il ricorso proposto da E.E. merita accoglimento e la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli.

11. In conclusione: la sentenza impugnata deve essere annullata nei confronti di F.F., A.A., B.B. e E.E., con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli cui si demanda anche la regolamentazione fra le parti delle spese di questo giudizio di legittimità. Devono invece essere respinti i motivi di ricorso proposti da G.G., D.D. e C.C.. Di conseguenza questi ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese processuali. Inoltre, G.G., D.D. e C.C. devono essere condannati, in solido, alla rifusione delle spese sostenute per questo grado di giudizio dalle parti civili costituite che si liquidano come da dispositivo.
 


P.Q.M.
 

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di F.F., E.E., A.A. e B.B. con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli, cui demanda anche la regolamentazione fra le parti delle spese di questo giudizio di legittimità. Rigetta i ricorsi di G.G., D.D. ed C.C. e condanna i predetti ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili che liquida come segue: Euro 1.000,00 in favore di Q.Q.; Euro 1.000,00 in favore di R.R ; Euro 4.800,00 in favore di S.S , T.T. e U.U.; Euro 3000,00 in favore della CGIL Regione (Omissis); oltre, per tutte le menzionate parti civili, gli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 11 maggio 2023.

Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2023