Cassazione Civile, Sez. Lav., 17 maggio 2024, n. 13762 - Caduta dalla scala a pioli mai trovata. Appalto e subappalto. Criteri di distribuzione dell'onere della prova



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia - Presidente

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni - Consigliere

Dott. RIVERSO Roberto - Consigliere

Dott. PONTERIO Carla - Rel. Consigliera

Dott. PANARIELLO Francescopaolo - Consigliere

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

 

sul ricorso 17278-2020 proposto da:

A.A., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato FULVIO CAROLLO;

- ricorrente -

contro

ICM - IMPRESA COSTRUZIONI B.B. Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 28, presso lo studio dell'avvocato GIUSEPPE CILIBERTI, che la rappresenta e difende;

- controricorrente -

contro

C.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 28, presso lo studio dell'avvocato GIUSEPPE CILIBERTI, che lo rappresenta e difende;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 263/2019 della CORTE D'APPELLO DI VENEZIA, depositata il 03/10/2019 R.G.N. 535/2017;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/02/2024 dalla Consigliera CARLA PONTERIO.

 

Fatto


1. La Corte d'Appello di Venezia ha respinto l'appello di A.A., confermando la sentenza di primo grado che, preso atto della conciliazione intervenuta tra il lavoratore infortunato e la committente (Casabella Snc), la datrice di lavoro (D.D. Sas) e la compagnia assicuratrice di quest'ultima (Allianza Spa), aveva respinto la domanda di risarcimento del danno differenziale nei confronti della appaltatrice (Maltauro Spa - che aveva subappaltato parte dei lavori alla D.D. Sas), e di C.C., responsabile della sicurezza del cantiere.

2. La Corte territoriale ha premesso che, come ricostruito dal tribunale, il 9.10.2007 il A.A. stava eseguendo lavori edili presso il cantiere della committente, ad una altezza dal suolo di circa 3,50 metri, quando è caduto dalla scala a pioli in alluminio, presuntivamente priva di gradini antiscivolo, di piedini in gomma e di ancoraggio alle pareti, scala non più rinvenuta sul luogo dell'infortunio.

3. I giudici di appello hanno ritenuto che "dall'esame delle prove testimoniali espletate nel primo giudizio è emerso che nessuno ha assistito alla caduta del A.A. dalla scala; quando sono stati prestati i primi soccorsi effettivamente una scala a pioli è stata vista per terra vicino al A.A.... in ogni caso la scala in oggetto, conclusosi l'intervento del servizio 118, non è stata più rinvenuta" (sentenza d'appello, p. 5). Il lavoratore non aveva "fornito prova idonea circa le caratteristiche della scala" e quindi non era "stato possibile valutare la idoneità della scala da cui è caduto (né) se la stessa era tra quelle in dotazione della Maltauro Spa e da questa messa a disposizione di terzi per il relativo uso" (sentenza d'appello, p. 6).

4. Avverso tale sentenza A.A. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. La ICM Spa (nuova denominazione della Impresa Costruzioni Giuseppe Maltauro Spa) e C.C. hanno resistito con distinti controricorsi. È stata depositata memoria nell'interesse del lavoratore.

5. Il Collegio si è riservato di depositare l'ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell'art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal D.Lgs. n. 149 del 2022.

 

Diritto


6. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione o falsa applicazione dell'art. 2087 c.c., degli artt. 111 Cost., 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., nonché omesso esame di un fatto storico decisivo.

7. Il ricorrente premette di avere allegato, fin dal ricorso introduttivo del giudizio (che ha trascritto nelle parti essenziali a p. 8 e ss. del ricorso per cassazione) e in appello (v. trascrizione dei brani del ricorso in appello a p. 10 e ss. del ricorso per cassazione) che il giorno dell'infortunio, per eseguire la propria attività (controllo dei pannelli esterni in facciata dell'immobile) era "costretto a servirsi di una semplice scala singola, in alluminio a pioli alta circa 5,50 m., senza parapetto anticaduta e senza reali piani di appoggio, priva di gradini antiscivolo, piedini in gomma e, soprattutto, di ancoraggi alle pareti o di altri ritrovati di sostegno e non di ponteggi fissi o mobili, dotati di ringhiere che avrebbero dovuto essere posti in dotazione; inoltre, non era disponibile nessuno che potesse fare assistenza a terra del lavoratore impegnato sulla scala; che quel giorno le impalcature attorno al costruendo edificio erano state già smontate e quindi non disponibili"; che "la scala causa dell'infortunio ...era di proprietà della Maltauro Spa"; che "nessun documento di valutazione del rischio in cantiere ex L. 626/94 (era) mai stato redatto". Censura la sentenza d'appello osservando che la motivazione adottata non consente di comprendere l'iter logico giuridico seguito per negare la responsabilità della appaltatrice-subcommittente (Maltauro Spa) e del responsabile per la sicurezza (C.C.) rispetto all'infortunio provocato dall'utilizzo di una scala inidonea alla lavorazione eseguita (da svolgere sulla facciata esterna dell'edificio, con impossibilità di uso delle scale interne) e in assenza della necessaria valutazione dei rischi a cui il lavoratore era esposto; rileva che, in base alla documentazione contrattuale prodotta dalle controparti (PSC - Piano sicurezza e coordinamento), la Maltauro Spa aveva assunto l'obbligo di fornire le scale.

8. Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione o falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., degli artt. 414 e 432 c.p.c. nonché omessa valutazione di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti. Si sostiene che i giudici di appello abbiano respinto la domanda per difetto di prova in ordine alle condizioni della scala in quanto non rinvenuta là dove il lavoratore aveva denunciato la inidoneità in sé della scala quale strumento per le lavorazioni da eseguire in quota, oltre che l'assenza di una valutazione del rischio soggettivato e la mancata formazione e informazione del lavoratore all'interno del cantiere di cui le controparti erano responsabili; che a causa di questa erronea lettura della causa petendi, la Corte di merito ha errato nell'escludere la responsabilità delle medesime controparti per violazione dell'art.2087 c.c.

9. Con il terzo motivo si censura la sentenza per violazione o falsa applicazione degli artt. 2697, 2087, 1218 e 2729 c.c., dell'art. 35 D.Lgs. 626 del 1994, degli artt. 61, 62 e 421 c.p.c., nonché per omesso esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione e occultamento della prova. Si sostiene che i giudici di appello abbiano erroneamente applicato il criterio di riparto dell'onere della prova, anche in ragione della errata ricostruzione del contenuto dell'obbligo di sicurezza imposto dall'art. 2087 c.c. Essi non solo non hanno valutato la sparizione della scala subito dopo l'infortunio come violazione dell'obbligo di lealtà ed elemento di prova presuntiva, ma hanno addossato al lavoratore l'onere di provare l'inidoneità della scala ed hanno respinto la domanda sul rilievo che tale onere non fosse stato assolto per l'impossibilità di stabilire proprietà e condizioni della scala, resa introvabile.

10. I motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente perché pongono, da diversi angoli di visuale, la medesima questione giuridica che ha come focus la responsabilità della appaltatrice e sub-committente per l'infortunio occorso al lavoratore dipendente della sub-appaltatrice nonché del responsabile della sicurezza del cantiere e i criteri di distribuzione dell'onere della prova.

11. Con riferimento alla posizione del committente e del subcommittente, vengono in considerazione le seguenti disposizioni, applicabili ratione temporis (infortunio del 2007): l'art. 7 D.Lgs. 626/94, secondo cui: "Il datore di lavoro, in caso di affidamento dei lavori all'interno dell'azienda, ovvero dell'unità produttiva, ad imprese appaltatrici o a lavoratori autonomi: a) verifica, anche attraverso l'iscrizione alla camera di commercio, industria e artigianato, l'idoneità tecnico-professionale delle imprese appaltatrici o dei lavoratori autonomi in relazione ai lavori da affidare in appalto o contratto d'opera; b) fornisce agli stessi soggetti dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività" (primo comma). "Nell'ipotesi di cui al primo comma i datori di lavoro: a) cooperano all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro, incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto; b)coordinano gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell'esecuzione dell'opera complessiva" (secondo comma). "Il datore di lavoro promuove il coordinamento di cui al secondo comma, lettera b). Tale obbligo non si estende ai rischi specifici propri dell'attività delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi" (terzo comma). L'art. 8 D.Lgs. 494/1996 (Attuazione della direttiva 92/57/CEE concernente le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili), secondo cui, per quanto qui interessa: "I datori di lavoro, durante l'esecuzione dell'opera, osservano le misure generali di tutela di cui all'articolo 3 del decreto legislativo n. 626/1994, e curano, in particolare: ... g) la cooperazione tra datori di lavoro e lavoratori autonomi...

12. Questa Corte (v. da ultimo Cass. n. 2517 del 2023 e precedenti ivi richiamati tra cui Cass. n. 12465 del 2020; n. 798 del 2017; n. 11362 del 2009) ha affermato l'obbligo delle imprese committenti (o sub-committenti), che affidino lavori ad altre imprese, all'interno della azienda o dell'unità produttiva (cui è certamente da assimilarsi il cantiere di costruzione, nel settore dell'edilizia), di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l'integrità e la salute dei lavoratori, nonché di cooperare nell'attuazione degli strumenti di protezione e prevenzione dei rischi connessi sia al luogo di lavoro sia all'attività appaltata, nell'ambito dell'intero ciclo produttivo (Cass. 24 giugno 2020, n. 12465), riconoscendone la responsabilità per i danni derivati al lavoratore nel corso dell'attività lavorativa concessa in appalto o in sub-appalto, a causa dell'inosservanza delle (misure di tutela delle condizioni di lavoro, ai sensi degli artt. 2087 c.c. e dell'art. 7 D.Lgs. 626/1994, come modificato dalle leggi n. 296 del 2006 e n. 123 del 2007.

13. Più esattamente, la citata sentenza n. 2517 del 2023, in tema di responsabilità ex artt. 2087 c.c. e 7 del D.Lgs. n. 626 del 1994, per i danni derivati al lavoratore dall'inosservanza delle misure di tutela delle condizioni di lavoro nel corso di attività concesse in appalto, ha interpretato le locuzioni normative di cui agli artt. 6, par. 4, della Direttiva 89/391/CEE (datori di lavoro), e 8 della Direttiva 92/57/CEE (realizzazione dell'opera) nel senso che nella categoria dei "datori di lavoro" tenuti agli obblighi di protezione e di prevenzione dei rischi professionali, rientrano sia il subcommittente che il sub-appaltatore, qualora collaborino insieme nell'ambito del medesimo procedimento produttivo, finalizzato alla realizzazione di una "stessa opera", che si compia all'interno di un qualunque luogo a ciò funzionalmente destinato e che li coinvolga entrambi in attività, ancorché parziali e diverse, sinergicamente dirette al medesimo scopo produttivo, così rendendoli reciprocamente responsabili delle omissioni degli obblighi di sicurezza nei confronti dei lavoratori in essa impiegati.

14. Si è sottolineato come l'insieme delle disposizioni richiamate, interpretate in conformità alla normativa europea, risulti chiaramente diretto ad evitare, attraverso la parcellizzazione del processo produttivo, la frammentazione della responsabilità per la sicurezza e l'igiene degli ambienti di lavoro, costituendo il datore di lavoro/committente ed il sub-committente, quale co-attori del perseguimento degli obiettivi delineati dalla legge

15. Si è ancora ribadito che tali principi si fondano su quello più generale, secondo il quale "in tema di infortuni sul lavoro quando un danno di cui si chiede il risarcimento sia determinato da più soggetti, ciascuno dei quali con la propria condotta contribuisce alla produzione dell'evento dannoso, si configura una responsabilità solidale ai sensi dell'art. 1294 cod. civ. fra tutti costoro, qualunque sia il titolo per il quale ciascuno di essi è chiamato a rispondere, dal momento che, sia in tema di responsabilità contrattuale che extracontrattuale, se un unico evento dannoso è ricollegabile eziologicamente a più persone, è sufficiente, ai fini della responsabilità solidale, che tutte le singole azioni od omissioni abbiano concorso in modo efficiente a produrlo, alla luce dei principi che regolano il nesso di causalità ed il concorso di più cause efficienti nella produzione dei danni (patrimoniali e non) da risarcire (Cass. n. 8372 del 2014)" (Cass. 18 ottobre 2019, n. 26614, p.to 9.1 in motivazione).

16. Nel caso in esame, la Corte di merito, da un lato, ha focalizzato l'obbligo di sicurezza avendo riguardo unicamente alla scala usata dal lavoratore, così tralasciando del tutto lo spettro, ben più ampio, in cui si articolano gli obblighi di prevenzione e protezione che gravano, oltre che sul datore di lavoro e sulla committente (nella specie parti di un accordo transattivo con il lavoratore infortunato), sul subcommittente (nella specie, sulla Maltauro Spa quale subcommittente rispetto alla società datrice di lavoro dell'infortunato), ai sensi dell'art. 7, D.Lgs. n. 626 del 1994, "qualora collaborino insieme nell'ambito del medesimo procedimento produttivo, finalizzato alla realizzazione di una "stessa opera", che si compia all'interno di un qualunque luogo a ciò funzionalmente destinato e che li coinvolga entrambi in attività, ancorché parziali e diverse, sinergicamente dirette al medesimo scopo produttivo, così rendendoli reciprocamente responsabili delle omissioni degli obblighi di sicurezza nei confronti dei lavoratori in essa impiegati" (così Cass. n. 2517 del 2023 cit.).

17. Quanto alla regola di distribuzione dell'onere di prova, la sentenza d'appello, a fronte delle allegazioni e prove fornite dal lavoratore sullo svolgimento di attività lavorativa con l'uso di una scala a pioli per lavori in quota (m. 3,50), senza alcuna cautela, e sulla avvenuta caduta dalla scala, con le conseguenze lesive oggetto di causa, ha addossato al lavoratore, l'ulteriore onere, che ha reputato non assolto, di dimostrare "a chi appartenesse la scala" (misteriosamente sparita dal cantiere) e se la stessa fosse "dotata dei dispositivi di sicurezza (piedini antiscivolo e sistemi di ancoraggio)". Ciò non solo in aperta violazione dell'art. 2697 c.c. da leggere in combinato disposto con l'art. 2087 c.c. e l'art. 7, D.Lgs. 626 del 1994, ma, ancora una volta, focalizzando l'attenzione unicamente sulla proprietà e sulle condizioni della scala e senza tener conto delle disposizioni del D.Lgs. n. 626 del 1994 e, specificamente, dell'art. 34, comma 1, lett. c-bis, che definisce "lavoro in quota: l'attività lavorativa che espone il lavoratore al rischio di caduta da una quota posta ad altezza superiore a 2 m. rispetto ad un piano stabile" (nella fattispecie oggetto di causa è pacifico che il lavoratore operasse ad una altezza di 3,50 m.) e degli artt. 36 bis e ter, che dettano una serie di prescrizioni per l'uso di attrezzature per lavori in quota, imponendo obblighi di prevenzione e protezione incompatibili con l'uso di una mera scala a pioli.

18. Al riguardo, è utile ribadire che l'onere di allegazione e prova facente capo al lavoratore è limitato alla condizione di pericolo insita nella conformazione del luogo di lavoro, nella organizzazione o nelle specifiche modalità di esecuzione della prestazione, e al nesso causale tra la concretizzazione di quel pericolo e il danno psicofisico sofferto, incombendo a questo punto su parte datoriale l'onere di provare l'inesistenza della condizione di pericolo oppure di aver predisposto misure atte a neutralizzare o ridurre al minimo tecnicamente possibile i rischi esistenti (Cass. n. 10319 del 2017; n. 14467 del 2017; n. 34 del 2016; n. 16003 del 2007); inoltre che, per effetto dell'art. 7, D.Lgs. n. 626 del 1994, interpretato conformemente al diritto europeo (v. Cass. n. 12465 del 2020; n. 2517 del 2023), grava sul committente e sul subcommittente, in caso di affidamento dei lavori ad altre imprese, l'obbligo di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l'integrità e la salute dei lavoratori, ancorché dipendenti dell'impresa appaltatrice o sub-appaltatrice, di fornire adeguata informazione ai singoli lavoratori sulle situazioni di rischio nonché di cooperare con l'appaltatrice e con la sub-appaltatrice nell'attuazione degli strumenti di protezione e prevenzione dei rischi connessi sia al luogo di lavoro e sia all'attività appaltata, ove essi collaborino sinergicamente in un medesimo procedimento produttivo, finalizzato alla realizzazione di una "stessa opera" e purché non si tratti di rischi specifici propri dell'attività delle imprese appaltatrici o sub-appaltatrici.

19. La Corte di merito, nel momento in cui ha affermato che la sparizione della scala (e quindi l'impossibilità di stabilire a quale delle imprese presenti in cantiere la stessa appartenesse e se fosse dotata dei necessari requisiti di sicurezza) portasse a ritenere non assolto l'onere di prova gravante sul lavoratore, non si è attenuta ai principi di diritto appena richiamati sull'obbligo di sicurezza del subcommittente e sulla ripartizione degli oneri di prova, così violando gli artt. 2087 e 2697 c.c. e gli artt. 7, 34-36 del D.Lgs. n. 626 del 1994.

20. Per le ragioni esposte, accolti i motivi di ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla medesima Corte d'appello, in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame della controversia attenendosi; ai principi di diritto richiamati, oltre che alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.


La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'appello di Venezia, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso nell'adunanza camerale del 27 febbraio 2024

Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2024.