Corte di Appello di Trento del 14 giugno 2011


INFORTUNIO A CAUSA DELLA RIMOZIONE DI UN DISPOSITIVO DI SICUREZZA DA UNA MACCHINA IN COLLAUDO. RESPONSABILITÀ PENALI

1. La sentenza in oggetto ci ricorda ancora una volta un principio fondamentale in tema di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori: il lavoratore deve poter operare in condizioni di assoluta sicurezza.
È noto a tutti che l’utilizzo di macchinari in genere comporta l’esposizione ad innumerevoli tipologie di rischio. Possono esserci, per ricordarne alcuni, pericoli di tipo meccanico (schiacciamento, taglio, impigliamento, …), di tipo elettrico (folgorazione dovuta al contatto con elementi in tensione, …), da radiazioni (uso di laser, …), di tipo termico (contatto con elementi in temperatura, irraggiamento, …), di tipo chimico (inalazione di gas, …).
Proprio da tali rischi il lavoratore (e non solo questi, cfr. Cass. pen, sez. IV, n. 43966 del 17 novembre 2009) deve essere protetto mediante la corretta e piena applicazione di tutta la normativa antinfortunistica vigente.

2. Rinviando al d.lgs. 17/2010 (Nuova direttiva macchine in attuazione della Direttiva 2006/42/CE) per una puntuale analisi delle definizioni dei termini “macchina” e “quasi-macchina”, analizziamo un po’ più da vicino la sentenza in questione.
Il caso concerne l’amministratore delegato/datore di lavoro nonché il preposto/RSPP di una società, chiamati a rispondere dei reati di cui agli artt. 113 e 590, commi 2 e 3, c.p. in danno di un lavoratore dipendente che aveva subito un infortunio sul lavoro presso una macchina ribaltacassoni, elemento di testa dell’impianto di lavorazione frutta.
Il lavoratore, verificatosi un anomalo funzionamento dell’anzidetta macchina (un disallineamento della cellula fotoelettrica che ne causava il blocco), accedeva al retro della medesima. La rete di protezione, infatti, era aperta da tempo, posto che era stato già necessario procedere a frequenti interventi e riparazioni; l’infortunio avveniva poiché, mentre il lavoratore cercava di eliminare la causa del problema, la macchina improvvisamente si rimetteva in moto. Lo stesso subiva trauma-cranio-facciale-cerebrale da schiacciamento.

3. Per l’accaduto, a rigor del vero, sono stati ritenuti responsabili, seppur a diverso titolo, non solo i due soggetti sopra indicati, bensì anche i due amministratori della ditta costruttrice del ribaltacassoni ed il Presidente del CdA della società costruttrice dell’impianto di lavorazione frutta, i quali sono stati processati per il medesimo fatto, ma con separato processo.
Entrando nello specifico di questa sentenza, e quindi delle relative responsabilità, sia dell’amministratore delegato/datore di lavoro che del preposto/RSPP, secondo la Corte questi “avrebbero dovuto darsi carico di rilevare le situazioni di pericolo esistenti sul luogo di lavoro ed attivarsi per neutralizzarle”.

4. I due imputati, precisamente, sono stati ritenuti colpevoli di aver violato l’art. 2087 c.c. e l’art. 35, comma 1 e comma 4 lett. b), del D.Lgs. 19 settembre 1994 n. 626 in quanto “per il ruolo, la presenza e la necessaria immanenza, più o meno continua, sia del T.” -l’amministratore delegato- “che del P.L.” -il preposto- “non è nemmeno pensabile che essi non fossero stati a conoscenza dell’esistenza dei problemi generati dai disallineamenti della cellula e delle ripercussioni che essi determinavano sulla continuità del ciclo produttivo, tanto più che si era in fase di collaudo e che di massimo interesse era rilevare subito i difetti del macchinario, denunciarli e sollecitare soluzioni per fronteggiarli”. E ancora “gli imputati si erano resi conto di quanto andava accadendo per porre rimedio alle anomalie e, tuttavia, lo avevano tollerato per ovvie ragioni pratiche, che prescindevano completamente dalla necessità di salvaguardare la sicurezza dei dipendenti e che si pongono ora come altrettanti segni rivelatori di responsabilità”.
Proprio per la consapevolezza di tali circostanze, gli imputati “avrebbero dovuto subito ristabilire l’integrità della recinzione e pretendere la installazione della porta interbloccata, prevista dal progetto” -della macchina- “ma non realizzata”. “Esigere la installazione di quel sistema di sicurezza prima di dare avvio al funzionamento della catena produttiva in fase di collaudo, era nel dovere primario del massimo responsabile aziendale” -il datore di lavoro- “che conosceva bene i progetti approvati e che non ignorava certo l’inesistenza della porta. Con essa si sarebbe attuata una protezione radicale che avrebbe messo al sicuro chiunque avesse varcato (anche impropriamente o non avendone titolo) la linea della recinzione”.

5. Copiosa è la giurisprudenza elaborata nel corso degli anni sul problema degli infortuni legati all’uso di macchine e l’orientamento che ne è derivato è rimasto, nonostante le varie evoluzioni normative (corre l’obbligo di ricordare a tale proposito l’abrogazione del d.lgs. n. 626/1994 a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 81/2008) pressoché invariato.
La prima osservazione che merita di essere fatta è che “il datore” -di lavoro- è il primo garante della sicurezza dei suoi dipendenti. Pertanto, in caso di infortuni egli non è esonerato da responsabilità, se non ha esercitato i dovuti controlli e la necessaria vigilanza, in ordine alla fornitura di una macchina non munita dei necessari congegni di sicurezza” (cfr. Cass. pen., Sez. IV, n. 34774 del 27 settembre 2010). Del resto erano previsti nel precedente decreto, e lo sono anche nel d.lgs. n. 81/2008, specifici obblighi a carico del datore di lavoro in relazione alla problematica di cui si discute: si pensi in particolare agli artt. 18, 71 e 73 del decreto richiamato.

6. Il datore di lavoro, tuttavia (ed il caso in esame è lampante da questo punto di vista), può non essere l’esclusivo responsabile dell’infortunio di un lavoratore dovuto ad una problematica associata ad un macchinario: si ricorda, infatti, che il d.lgs. n. 81/2008 coinvolge una pluralità di soggetti nella “gestione” di un’attrezzatura di lavoro. Gli artt. 22-23-24 del citato decreto, recuperando quanto disciplinato dall’articolo 6 del d.lgs. n. 626/1994, prevedono obblighi per i progettisti, i fabbricanti e i fornitori nonché per gli installatori. “Di conseguenza non solo il costruttore, ma chiunque si inserisce nel circuito di fabbricazione, fornitura, installazione, noleggio e concessione in uso è tenuto all’osservanza delle norme di sicurezza previste dalla relativa legislazione”, diversamente non potrà che incorrere in una delle sanzioni di cui al successivo art. 57 del d.lgs. n. 81/08 (per approfondire, si veda Zoppoli, Pascucci, Natullo, Le nuove regole per la salute e sicurezza dei lavoratori, Ipsoa, 2010). Esenti da responsabilità non vanno nemmeno il noleggiatore e il concedente in uso, gli obblighi dei quali sono posti dall’art. 72 dello stesso decreto. Lo stesso dicasi per il preposto, anch’egli destinatario iure proprio dell’osservanza dei precetti antinfortunistici (art. 19 d.lgs. n. 81/08).

7. Poiché, per ovvi motivi, non è possibile in questa sede analizzare in maniera puntuale ed esaustiva tutti i profili connessi a tali responsabilità, si riportano, a mero titolo esemplificativo, alcune massime in merito a quanto affermato nel punto precedente, massime individuate tra le più recenti sentenze della Suprema Corte:
- “Il fornitore di una macchina prodotta da terzi, che la conceda in leasing, risponde dell’infortunio occorso al dipendente della ditta utilizzatrice, in quanto il fornitore o l’installatore deve controllare che il fabbricante abbia effettivamente osservato le prescrizioni imposte dalla legge per la sicurezza delle macchine” (cfr. Cass. pen., sez. III, n. 23430 del 10 giugno 2011),
- “Il datore di lavoro che introduca in azienda e metta a disposizione del lavoratore una macchina - che per vizi di costruzione possa essere fonte di danno per le persone - senza avere appositamente accertato che il costruttore, e l’eventuale diverso venditore, abbiano sottoposto la stessa macchina a tutti i controlli rilevanti per accertarne la resistenza e l’idoneità all’uso, è responsabile delle eventuali lesioni che la macchina possa provocare ai dipendenti, e ciò a prescindere dalla eventuale configurabilità di autonome concorrenti responsabilità nei confronti del fabbricante o del fornitore dei macchinari stessi” (cfr. Cass. pen., sez. IV, n. 1226 del 18 gennaio 2011);
- “Ad esonerare il datore di lavoro da tali obblighi non si può invocare, secondo un meccanismo di pedissequa automaticità, la circostanza che la macchina fosse provvista della marcatura CE di cui al D.P.R. n. 459/1996 (cfr. Cass. pen., sez. IV, n. 32426 del 04 luglio 2001) e ciò in virtù del fatto che “in tema di prevenzione infortuni, la conformità di un macchinario alle norme comunitarie, e la conseguente ‘marcatura Ce’, non esonera il datore di lavoro dalla necessità di valutare le condizioni di sicurezza ulteriormente necessarie in relazione al ciclo di lavorazione in concreto svolto dalla macchina stessa” (Tribunale Monza n. 1739 del 14 luglio 2008, in Riv. pen. 2009, 11, 1290 e, nello stesso senso, la già citata Cass. pen., sez. IV, n. 1226 del 18 gennaio 2011). Infatti, “già all’atto dell’acquisto il datore di lavoro ha l’obbligo di verificare in concreto la sussistenza dei requisiti di sicurezza provvedendo, se necessario, a dotare il macchinario dei dispositivi di prevenzione dei quali risulti sprovvisto oppure ad integrare quelli già esistenti se questi si presentano in maniera evidente insufficienti” (Cass. pen., sez. IV, n. 32426 del 4 luglio 2001).
- “In caso di infortunio sul luogo di lavoro determinato dall’utilizzo di un macchinario, sussiste la posizione di garanzia del costruttore della macchina, che non è esclusa di per sé da quella (in ipotesi concorrente) del progettista e dello stesso datore di lavoro che il macchinario impieghi. Infatti, il costruttore di una macchina risponde per gli eventi dannosi causalmente ricollegabili alla costruzione di una macchina che risulti priva dei necessari dispositivi o requisiti di sicurezza, con l’unica eccezione rappresentata dal caso dell’utilizzatore che risulti avere compiuto sulla macchina trasformazioni di natura ed entità tale da poter essere considerate causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento (per esempio, nel caso di una totale trasformazione strutturale della macchina). Pertanto, ove di tale eccezione non ricorrano i presupposti, si ha una permanenza della posizione di garanzia del costruttore allorquando l’evento sia stato provocato dall’inosservanza delle cautele antinfortunistiche nella progettazione e fabbricazione della macchina” (cfr. Cass. pen., sez. IV, nn. 16941 del 4 maggio 2010, 15873 del 19 aprile 2007, e, in senso conforme, Cass. pen., sez. IV, n. 1216 del 13 gennaio 2006);
- “La constatazione della evidente violazione delle” -omissis- “norme di sicurezza e la configurabile responsabilità del costruttore non esclude ma si associa a quella del datore di lavoro” (cfr. Cass. pen., sez. IV, nn. 34774 del 27 settembre 2010 e 6280 dell'8 febbraio 2008).
- In conclusione, “nel caso di ripartizione degli obblighi tra più soggetti, il principio di affidamento implica che colui che si affida non possa essere automaticamente ritenuto responsabile delle autonome condotte del soggetto cui si è affidato; e ciò in base al principio di autoresponsabilità. Non esiste, infatti, un obbligo di carattere generale di impedire che terzi, responsabili delle loro scelte, realizzino condotte pericolose. È tuttavia necessario che la condotta sopravvenuta abbia fatto venir meno la situazione di pericolo originariamente provocata, ovvero l’abbia in tal modo modificata da escludere la riconducibilità al precedente garante della scelta operata. Occorre cioè che le nuove scelte si siano sostanzialmente sovrapposte a quelle precedenti innovando totalmente la situazione che aveva generato la situazione di pericolo. Per escludere la continuità delle posizioni di garanzia è necessario, in definitiva, che il garante sopravvenuto abbia posto nel nulla le situazioni di pericolo create dal predecessore o eliminandole o modificandole in modo tale che non possano essere più attribuite al precedente garante” (cfr. Cass. pen., sez. IV, n. 27959 del 9 luglio 2008).

8. Una considerazione a parte merita la circostanza che nel caso di specie la macchina fosse in fase di collaudo. Si era infatti stabilito che lo stesso venisse effettuato “da personale dell’acquirente, sotto la supervisione di due tecnici specializzati R. & C.”, società costruttrice dell’impianto di lavorazione frutta. A tale proposito, significativo è quanto evidenziato dalla stessa Corte di appello: “altrettanto evidente si presenta che anche durante il collaudo (tranne la primissima fase ‘in bianco’ - cioè senza movimentazione di frutta - limitata a due soli giorni) la catena produttiva esprimeva già un pieno funzionamento operativo ed esso era ovviamente gestito dalla ditta committente, che era l’unica che avrebbe dovuto procurare le ingenti quantità di materie prime e dare poi sbocco al prodotto lavorato. Sostenere, perciò, che la fase di collaudo fosse sotto la esclusiva responsabilità della ditta costruttrice che gestiva anche i dipendenti messi a disposizione dalla T.F.” -ditta committente- “come se fossero dipendenti suoi, perché distaccati, ai fini della sicurezza, con esclusione di ogni posizione di garanzia dei responsabili della T.F. medesima, è cosa, inesatta e contraria alla realtà della situazione accertata (basta ricordare quanto ha detto M.P., del Consiglio di amministrazione della T.F.: ‘L’impianto doveva essere collaudato in azienda; ... doveva essere in grado di lavorare 20 tonnellate di frutta all’ora; ... La R.C. - non avrebbe mai potuto mettere in produzione così tanta frutta per conto suo’).” È chiaro, “che la particolarità delle complessive operazioni da compiere, facendo coesistere normale ciclo produttivo e collaudo, aggiungeva responsabili ai fini della sicurezza e di certo non ne sottraeva”.

9. L’unica ipotesi in cui si verifica un’interruzione del nesso causale tra la condotta del datore di lavoro o di altro soggetto tenuto ad applicare la normativa antinfortunistica e l’evento scaturitone è quello in cui l’evento sia conseguenza di un comportamento c.d. abnorme del lavoratore. Anche su questa circostanza nutrita è la giurisprudenza: “per escludere la responsabilità del datore di lavoro ‘in colpa’ e, quindi, per interrompere, ex articolo 41, comma 2, del c.p., il nesso causale tra la condotta colposa di questi e l’evento pregiudizievole derivatone, non basterebbe un comportamento del lavoratore pur avventato, negligente o disattento, che il lavoratore pone in essere mentre svolge il lavoro affidatogli, trattandosi di comportamento ‘connesso’ all’attività lavorativa o da essa non esorbitante e, pertanto, non imprevedibile. Per converso, deve ritenersi che, per interrompere il nesso causale, occorra un comportamento del lavoratore che sia ‘anomalo’, e ‘imprevedibile’ e, come tale, ‘inevitabile’; cioè un comportamento del lavoratore che ragionevolmente non può farsi rientrare nell’obbligo di garanzia posto a carico del datore di lavoro. Si deve trattare, in altri termini, di un comportamento del lavoratore definibile come ‘abnorme’, che, quindi, per la sua stranezze e imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte all’applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro” (cfr., tutte nel medesimo senso, Cass. pen., Sez. IV, nn. 16089 del 22 aprile 2011; 5122 del 1 febbraio 2008; 21587 del 1 giugno 2007; 36609 del 4 novembre 2006; 40164 del 13 ottobre 2004; nonché, tra le più recenti sentenze di merito, Corte di Appello di L’Aquila, Sez. Pen., 14 settembre 2011, Tribunale Lecco del 23 dicembre 2009, quest'ultima in Foro ambrosiano 2009, 4, 462). Non esclude invece la responsabilità del datore di lavoro il concorso o la cooperazione colposa del lavoratore nella causazione dell’evento, valendo tale concorso o tale cooperazione a ridurne la quantificazione in misura proporzionale all’accertata cooperazione o all’accertato concorso colposo del lavoratore.

10. Ciò che va stigmatizzato è che spesso, purtroppo, le misure antinfortunistiche vengono adottate “in ritardo”, solo, cioè, dopo il verificarsi di un incidente o in seguito ad un controllo ispettivo, quando invece “escludere oggettivamente la possibilità che il lavoratore, per malore o disattenzione, ma anche per propria negligenza, si possa trovare in una condizione di rischio” dovrebbe essere l’obiettivo primario: il lavoratore “deve essere difeso anche da se stesso” (cfr. Trib. Grosseto n. 382 del 25 maggio 2007, in Il merito 2007, 11, 73).
Tale principio è stato confermato anche nella sentenza in esame. Ha sottolineato infatti la Corte: “si è detto che un interruttore a pulsante (il ‘fungo’) con pari efficacia neutralizzatrice esisteva nei paraggi ed avrebbe potuto essere utilmente azionato dal dipendente prima di addentrarsi nella zona protetta; l’osservazione, però, non coglie nel segno perché quel che qui rileva è l’esistenza di congegni idonei ad operare oggettivamente a salvaguardia del garantito e non quelli fondati sulla sua stessa diligenza, perché questi forzatamente rimettono al destinatario della tutela la salvaguardia della sua incolumità, come non è consentito”. Ciò è del tutto in linea con quanto costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità: “L’applicazione delle misure di prevenzione degli infortuni sul lavoro sottendono proprio allo scopo di evitare che l’errore umano, possibile e, quindi, prevedibile, influente su di una condotta lavorativa diversa da quella corretta, ma pur sempre posta in essere nel contesto lavorativo, possa determinare il verificarsi di un infortunio. Se tutti i dipendenti fossero sempre diligenti, esperti e periti non sarebbe necessario impartire disposizioni con regole di condotta e dotare i luoghi di lavoro e le macchine di sistemi di protezione” (cfr. Cass. pen., sez. IV, n. 24547 del 20 giugno 2011).
Significativa, tuttavia, di come l’attività prevenzionistica sia ancora “soccombente” rispetto all’interesse economico del datore di lavoro, è un’affermazione resa dalla persona offesa del caso qui esaminato durante l’accertamento dell’ispettore del lavoro: “…se la macchina ha tante anomalie, … è chiaro che io devo produrre comunque”.
Pertanto, la conclusione di questa breve nota non può che essere una: manca ancora una cultura/filosofia della prevenzione intesa come eliminazione delle possibili cause d’infortunio e quindi dell’infortunio medesimo.

Romina Allegrezza
Dottoranda in “Diritti umani e diritti sociali fondamentali”